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Caregiver ed emotività.

In Italia in media il 17,4% della popolazione (oltre 8,5 milioni di persone) è caregiver, ossia si prende cura con emotività di familiari più anziani, malati cronici o disabili durante l’anno (dati dell’ISTAT).

Di questi si stima che circa 1 su 10 lo fa per il proprio coniuge o compagno/a.

Si calcola che, questo lavoro di solito considerato un lavoro full time, in media impegni la persona circa 45 ore a settimana. Se si pensa che l’orario di lavoro settimanale massimo è fissato per legge in 48 ore settimanali (art. 4 comma 2 del D. Lgs 66/2003) cioè ogni 7 giorni, compreso il lavoro straordinario si può già immaginare come sia altamente stressante e pieno di emotività svolgere il lavoro di “Caregiver”. Si pensi solo all’impossibilità di interrompere per un intervallo di tempo sufficiente alla ripresa del lavoro come accade nella norma.

Il ruolo del caregiver

Caregiver è un termine anglosassone che vuol dire badante ed è entrato nell’uso comune, forse perché appare termine più elegante linguisticamente parlando! in realtà rappresenta la persona che assiste e si prende cura di un malato o di un disabile. Generalmente si tratta del ruolo di cura, intesa in senso di bisogni di salute e di bisogni accuditivi, che un familiare, di solito una figura femminile, ha nei confronti di un altro familiare.  Ma molto spesso si tratta di un coniuge che accudisce l’altro.

Caregiver ed emotività

In questo caso quali sono le dinamiche e le emotività che si vivono in questa strana coppia, quando gli adulti diventando più anziani e diventano “caregiver” dei loro coniugi? Quest’ultimo caso succede in quanto l’aumentata attesa di durata della vita porta a esperienze di problemi di salute multipli.  per tale motivo  uno automaticamente si prende cura dell’altro a volte senza possibilità di scelta. Questo avviene  in quanto la solitudine della coppia e le condizioni economiche appaiono tali da doversela cavare da soli.

Le statistiche raccontano in numeri le difficoltà vissute nella coppia malato/caregiver che descrivono l’impatto psicologico e fisico subito. Inoltre questo  probabilmente porterà la vita di queste persone a generare tale forma di cura. A questo punto è lecito chiedersi cosa accade nella relazione emotiva di una coppia quando uno dei due partner diventa un caregiver? Quali fattori aiutano a proteggere l’unione felice e soddisfacente della coppia? L’occuparsi del proprio congiunto quanto può influenzare la salute del caregiver?

Lo stress dei caregiver

Ebbene degli studi condotti dalla Yale School of Public Health hanno dimostrato che tutti i caregivers soffrono di un forte stress emotivo. Tra i caregivers tendono a patire meno quelli che rimangono positivi e riescono a regolare i propri sentimenti in risposta alle circostanze stressanti. Aiutarsi reciprocamente favorisce lo sviluppo della resilienza e permette la comprensione reciproca tra partner.

Come alleggerire lo stress del caregiver

Ci si chiede a questo punto come trasformare questa condizione del caregiver da necessità in una virtù. Quali strumenti possono essere necessari agli specialisti per stimolare questo processo d’aiuto? Ad esempio si è dimostrato che i caregivers sembrano stressarsi di meno quando riescono ad esprimere di più le loro emozioni interpersonali, come il senso di colpa o di compassione che provano nei confronti dei loro partner. Uno studio condotto dalla ricercatrice Monin nei laboratory Schulz ha rivelato che la pressione del sangue e il ritmo cardiaco si incrementavano significativamente quando parlavano delle sofferenze dei loro partner o li guardavano. Quindi, non è tanto lo stress derivante dall’impegno quotidiano del caregiver ciò che porta il peso emotivo e fisico, ma è il vedere il proprio partner soffrire e non essere in grado di fare nulla per aiutarlo proficuamente.

Ancora un altro aspetto importante pare sia stato determinato dal fatto che riuscire a farsi una ragione sensata delle sofferenze e emotività dei propri partner ha un impatto sul benessere dei caregiver. Quando vengono usate delle espressioni emotive positive e elaborazioni cognitive (ad esempio pensare, rendersi conto, essere consapevoli) si rilevavano delle reazioni minori a livello di pressione e battito cardiaco, dimostrando che sviluppare una visione più completa e pensare a degli aspetti positivi delle loro vite con i propri partner, portava i caregiver a sentire meno lo stress e le emotività. Lo studio ha anche dimostrato che gli uomini tendono a essere più supportati emotivamente dalle loro mogli e possono ricevere maggiore conforto dal matrimonio rispetto alle donne.

Fattori genetici tra i caregiver

A livello genetico si è anche dimostrato che la soddisfazione coniugale è maggiore se almeno un partner è nato con una versione del recettore denominato GG genotipo. Così ognuno potrebbe chiedersi: avrò il recettore GG genotipo ? Perché la domanda che terrorizza le persone dopo una diagnosi per esempio di Alzheimer è: cosa succederà adesso come faremo ad andare avanti nella vita?

Conclusioni

Non trovare una risposta a questo problema può veramente danneggiare una relazione. Quando i sintomi cominciano ad emergere, ad esempio si è portati a chiedersi continuamente la stessa cosa senza avere la capacità di rispondersi con calma ed apertamente in modo che entrambi i partner possano sentirsi rispettati e sereni. L’ostacolo a tale comportamento è sicuramente l’impazienza dovuta all’insicurezza generata dalla malattia e all’ansia legata al futuro. Quale strumento potrebbe aiutare la coppia ? Il colloquio con uno psicologo può essere utile a far prendere un profondo respiro e guardare le cose dal punto di vista del partner, e poi rispondere alla domanda permettendo di conoscere a fondo la malattia e tutte le emozioni che l’accompagnano sia nel subirla personalmente che nel subirla attraverso la sofferenza dell’altro.

Bibliografia

• The emotional lives of caregivers, di Chris Palmer , Monitor on Psychology, A publication of the American Psychological Association, July/August 2019

A cura della Dott.ssa Floriana De Michele, membro dell’American Psychological Association

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cervo ferito paura rabbia aggressività

Paura, rabbia, aggressività e Coronavirus

In questo particolare momento storico che il genere umano si trova costretto ad affrontare, l’attenzione è rivolta all’emergenza Coronavirus spesso in un clima di paura, rabbia ed aggressività crescente.  Agli effetti consequenziali della pandemia ed ai notevoli mutamenti sul piano emozionale di cui essa è portatrice.

È oramai assodato che la situazione Covid-19 ha lasciato e continua a lasciare segni profondi sulla psiche e sul modo di vivere delle persone. Sul loro essere, come individui sociali e come singoli. Innescando reazioni psicopatologiche che potrebbero permanere anche quando la situazione sarà superata.

La paura degli untori

Diverse sono state le sfumature osservabili in questo periodo così caotico e disorientante. Primo fra tutti l’aspetto misantropico, ovvero l’atteggiamento di quasi disprezzo e mancanza di fiducia nel genere umano, caratterizzato dall’isolamento sia materiale che morale. Ciò che a tratti si è manifestato sotto forma di un razzismo sconfinante nell’odio verso il prossimo, più precisamente verso i cosiddetti “untori”:

L’altro diverso da sé viene oramai percepito come un pericolo.

Conducendo un’analisi accurata del fenomeno sul piano emozionale, si può osservare che una delle maggiori cause all’origine dei comportamenti disfunzionali è stato il passaggio repentino da una routine movimentata, caotica, al passo con una società altrettanto veloce ed esigente. Al dover restare obbligatoriamente in casa, fatta eccezione per le strette necessità, come l’andare in farmacia oppure a fare la spesa. In modo da evitare gli assembramenti e rinunciando, quindi, all’aria aperta in compagnia e ad ogni forma di contatto fisico.

La restrizione e la convivenza forzata

Si è passati dall’essere individui liberi, senza alcuna restrizione, ad una convivenza forzata, anomala e senza precedenti. Questo ha avuto conseguenze allarmanti sul singolo e ripercussioni sulle relazioni tra le persone conviventi.

Sono aumentati i problemi di coppia, poiché l’invasione dello spazio più intimo della persona o la paura di perdere il lavoro, portatore dell’affermazione del sé, hanno condotto inevitabilmente ad incomprensioni continue.  Queste hanno creato conseguenze emozionali inibitorie, inoltre sono aumentate le problematiche legate alla gestione dell’ansia e dello stress.

A seguire, l’influenza mediatica, con la divulgazione di notizie allarmanti e a volta discordanti, il terrore del contagio, la disinformazione e l’isolamento forzato hanno contribuito ad incrementare una forma d’isteria collettiva, dettata dal non sapere e dal sentirsi persi ed in gabbia.

Coronavirus è  importante emergenza psichiatrica: la paura

Osservando da vicino le emozioni emergenti maggiormente riscontrate, prima fra tutte c’è la paura. Questa generalmente non è definita come proprietà negativa della persona, bensì come emozione primaria utile, imprescindibile, con funzione adattiva per l’essere umano.

La paura appare come potente meccanismo autoprotettivo, una risposta di difesa, che, attivando specifici sistemi organici, dà luogo ad un determinato comportamento, identificato come reazione di evitamento e fuga.

La paura funziona bene se è proporzionata al pericolo, se protratta nel tempo ed ingigantita da pensieri disadattivi, potrebbe diventare un apprendimento strumentale. Una tendenza a sovrastimare il fenomeno e a generalizzare la portata del pericolo.

L’ansia , l’angoscia, il panico

In questo scenario dove la rappresentazione soggettiva della realtà è caratterizzata da immagini e pensieri ricorrenti di fronte alla minaccia incombente del Covid-19, la paura si trasforma e può degenerare in ansia, allarmismo e panico.

Le persone si sentono vulnerabili e quindi impotenti, insicure, irrequiete, spesso in preda ad un senso di perdita, smarrimento.

Quest’emozione primaria con funzione adattiva può così tramutarsi in angoscia. Un sentimento che tende ad insorgere proprio quando i valori individuali si presentano fragili, incoerenti con il concetto di esistenza stessa. Questa condizionata da conflitti interni ed esterni, e quindi con il concetto di benessere della persona.

Anche i cosiddetti “pantofolai”, ovvero i soggetti più introversi o solitari, nonostante la maggiore elasticità nell’adattamento e la capacità di equilibrio nel superare le limitazioni forzate sono esausti. Dopo oltre un mese dalla prima ordinanza emanata, risentono della reclusione, non trattandosi più di una libera scelta ma di un’imposizione. Perché l’uomo di per sé è un essere sociale e, come tale, ha bisogno del contatto con gli altri per vivere bene ed in modo equilibrato.

Si sono palesati maggiormente a rischio gli individui più fragili mentalmente, affetti già da psicopatologie o inclini a processi cognitivi disfunzionali come il rimuginio. Vale a dire tutte quelle persone con problemi di gestione dell’ansia, stati depressivi, disturbo post traumatico da stress, attacchi di panico, stati maniacali.  Problematiche queste legate alla paranoia, alla malinconia, alla solitudine e con disturbi di tipo ossessivo compulsivo.

L’insorgere della rabbia ed aggressività

Un ulteriore importante aspetto su cui soffermarsi è la rabbia,  altra emozione primaria istintuale a valenza negativa. Essa, come la paura, ha una funzione adattiva che risiede nell’istinto del soggetto di difendersi dalla minaccia.

Per la maggior parte delle teorie, la rabbia rappresenta la tipica reazione alla frustrazione e alla costrizione, sia fisica che psicologica. E’ una risposta ad uno stimolo che viene percepito ed interpretato dall’individuo come ingiusto e provocatorio, quest’esperienza vissuta viene descritta dal soggetto spesso come sgradevole e problematica.

Più in generale, l’emozione della rabbia può essere quindi definita come la reazione che consegue una precisa serie di eventi.  In una situazione di isolamento e restrizione come quella che dai primi giorni di Marzo si sta vivendo a livello internazionale, il distress e le scarse strategie di coping giocano un ruolo primario nelle manifestazioni d’ira e collera.

Spesso nella quotidianità il termine rabbia e quello di aggressività vengono utilizzati in modo interscambiabile, ma non sempre coincidono. Ciò perchè  il primo termine si riferisce ad uno stato emotivo, mentre il secondo, facendo riferimento all’aggressività ostile. Questo è un comportamento risultante dalla collera, volto all’etero o all’autodistruzione, potendo esitare in atteggiamenti devianti evidenti.

Quando si può perdere il controllo

L’emozione dell’ira, sia che sfoci in azioni aggressive, sia che permanga a livello soggettivo come esperienza emotiva, duratura e persistente, si associa spesso a conseguenze avverse. L’esempio più drammatico delle conseguenze negative della rabbia, del risentimento e della paura è la violenza. Questa va  intesa come tendenza all’azione, sia essa diretta verso se stessi o verso l’altro diverso da sé.

Le persone irritate e frustrate sono più irrazionali e propense ad esercitare una scarsa capacità di giudizio, di conseguenza sono propense a comportarsi in modo rischioso ed imprevedibile.

Si pensi a come vive nel contesto di restrizione ed isolamento sociale chi è incline a stati isterici, non conforme, quindi, a seguire le regole. Tali individui sono  esposti alla perdita di controllo e ad attacchi di aggressività e violenza, che, in una situazione come quella attuale, possono amplificarsi e diventare innumerevoli. È ancor più dura per chi ha problemi di dipendenza, dall’alcool, all’abuso di sostanze stupefacenti fino a giungere alla ludopatia o ad altre new addictions. Ciò poiché l’effetto della quarantena potrebbe portare ad un peggioramento della condizione patologica e gravare inevitabilmente sul rischio di ricaduta. E  proprio perché aumenta la sensazione di perdita di controllo ed i conseguenti comportamenti disfunzionali di compensazione.

… E Confluiscono nella violenza domestica

Prosperano la frustrazione, la rabbia, l’insofferenza e crescono statisticamente i casi di violenza domestica.

Di solito l’atteggiamento aggressivo, pensato anche come risultante dell’alto livello di testosterone, pur subendo l’influenza di diversi fattori, tra cui l’esperienza personale ed il contesto sociale di riferimento, è associato soprattutto al genere maschile.  I casi che si vengono a manifestare ogni giorno ne danno la conferma. Secondo quanto riportato nell’articolo di The Post Internazionale Srl (TPI.it), del 16 Aprile 2020, i casi di violenza di genere sul territorio italiano sono aumentati del 74,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Dal 2 Marzo al 5 Aprile sono state 2.867 le donne che hanno contattato i centri antiviolenza Donne in Rete (D.i.re.), di cui 806 non avevano mai fatto prima una richiesta di supporto, a conferma di quanto la convivenza forzata abbia ulteriormente intensificato le situazioni maltrattanti che le vittime si trovano costrette a vivere.

Le donne maltrattate in dipendenza affettiva

Ciò non considerando il numero esponenziale di donne che, invece, non denunciano, che subiscono abusi e violenze in una dimensione di totale dipendenza affettiva, tipica della coppia patologica. Tali donne vivono in una condizione di sottomissione al partner, nel terrore di essere abbandonate e di rimanere sole. Va reso noto però che la violenza non è un unidirezionale, anzi, al contrario, viene presentata come un fenomeno trasversale e marcatamente diffuso. Anche le donne, se pur in forma ridotta, possono manifestare aggressività e possono violentare, in maniera più subdola, i propri compagni. Ne è un esempio la violenza psicologica, di cui sono vittime circa 5.000.000 di uomini ogni anno.

Molti mariti, succubi delle proprie mogli, vengono denigrati, umiliati davanti ai propri figli ed occasionalmente anche aggrediti fisicamente con schiaffi, graffi o morsi. Semplicemente non se ne parla. Dunque, in termini di manifestazioni di violenza, le differenze di genere vanno ad attenuarsi, soprattutto in presenza di una situazione causa di stress o provocatoria, come la restrizione o l’isolamento sociale.

Il ruolo dello psicologo

In un contesto emergenziale come quello attuale, il ruolo dello psicologo resta quello di offrire ascolto, consulenza, rispetto, accoglienza e soprattutto comprensione ed empatia.

L’obiettivo è creare una relazione di fiducia con chi fa richiesta di supporto psicologico, è importante abbattere le barriere che si frappongono tra chi aiuta e chi è aiutato, per guidare il paziente verso il proprio benessere psicofisico.

La terapia online segue le stesse regole del classico percorso terapeutico, ma naturalmente le dinamiche cambiano, prima fra tutte c’è la modificazione del setting. Si è passati dal vis a vis psicologo-paziente ad un confronto filtrato dallo schermo. La relazione terapeutica manca della presenza fisica dei due interlocutori e viene effettuata in uno spazio virtuale, veicolata da strumentazioni tecnologiche.

Skype, WhatsApp ed altre app con finalità simili diventano il nuovo setting all’interno del quale lavorare.

Problematiche della psicoterapia on line

Questi cambiamenti hanno portato molte problematiche. Prima fra tutte la mancanza di privacy. Diversi pazienti hanno abbandonato i rispettivi precorsi terapeutici, temendo di essere ascoltati durante gli incontri dai familiari o conviventi. Altri, a causa delle difficoltà finanziarie legate al lockdown nazionale, non hanno voluto proseguire con le sedute, per risparmiare ed affrontare il momento critico. Altri ancora non hanno riposto fiducia nella buona riuscita della nuova modalità online.

D’altro canto, nonostante i dati d’abbandono, c’è invece chi ha avvertito l’effettivo bisogno di un supporto psicologico, per fronteggiare al meglio l’emergenza, la reclusione e la gestione emozionale. Usufruendo così di tutte le risorse messe a disposizione dal sistema.

Le iniziative di cura e tutela online

A tal proposito, il Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi (Cnop) ha promosso le iniziative #psicologionline e #psicologicontrolapaura, attraverso cui si può prenotare un tele-consulto sul territorio regionale, per via telefonica o in videochiamata.

La Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva (SITCC) ha creato, attraverso il progetto “Amicopsicologo”, una rete di sostegno online. La Società psicanalitica italiana (Spi), invece, ha messo a disposizione un servizio di ascolto e consulenza di psicologia psicanalitica gratuito.

Inoltre, sempre il Cnop ha messo a disposizione un servizio  d’aiuto e d’orientamento psicologico, a portata di tutti i cittadini, fornendolo anche alle farmacie, questo prevede indicazioni per prevenire e gestire l’ansia e pratiche per affrontare l’emergenza e le situazioni stressanti.

Per quanto riguarda la violenza domestica è stata lanciata anche una campagna informativa sui social dal ministro alle Pari Opportunità e alla Famiglia Elena Bonetti con l’intento di rassicurare le vittime ed informarle che i centri antiviolenza e le case rifugio sono sempre attivi e si sta contribuendo anche ad ampliare il numero di nuovi alloggi, richiesta sollecitata dall’associazione Donne in Rete (D.i.re).

Dunque, attraverso un approccio psico-educativo, veicolato da smartphone, PC o tablet, e il più possibile vicino alle esigenze delle persone. L’obiettivo generale è quello di evitare che le paure diventino panico e contribuiscano all’aumentare dello stress e dei consecutivi comportamenti distruttivi e disfunzionali.

La resilienza.

Un aspetto chiave su cui bisogna lavorare, per fronteggiare le emozioni primarie a valenza negativa, di cui si è parlato precedentemente,  per evitare l’incremento di aggressività e forme di violenza, è la resilienza. Questa va intesa come adattamento alle avversità e quindi come la capacità di opposizione alle pressioni provenienti dall’ambiente.

La resilienza implica una serie di pensieri, atteggiamenti e comportamenti che possono essere appresi, sviluppati e migliorati in base al cambiamento di ogni persona. E’ una funzione psichica che si modifica con il tempo in rapporto all’esperienza, ai fattori emozionali e familiari, al bagaglio personale, ai fattori di sviluppo e al cambiamento degli schemi mentali.

Essere resilienti non vuol dire non provare emozioni negative quali rabbia, paura e tristezza, al contrario vuol dire saperle riconoscere per accoglierle, accettarle ed andare avanti. Si possono controllare ed incoraggiare l’impegno, il controllo e l’assertività, bisogna essere consapevoli di sbagliare.  Poter modificare quel comportamento che porta all’errore, bisogna essere disposti al cambiamento per vivere in modo più equilibrato.

La resilienza delle persone in psicoterapia

Si sta dimostrando, infatti, che le persone già inserite in percorsi di psicoterapia, con una maggiore consapevolezza di sé e con maggiori capacità di riorganizzazione positiva della propria vita, si sono palesate ancor più resilienti. Esse sono  pronte ad affrontare il futuro in un’ottica di dignità della persona e di rispetto del prossimo, facendo appello all’altruismo come valore del singolo inserito nel contesto sociale.

Bisogna lavorare sull’autocontrollo, sulla competenza sociale e comunicativa e sulla fiducia nelle proprie capacità. Solo così si può imparare a gestire al meglio tutte le emozioni che continuano ad affiorare in questo particolare momento critico. A tramutarle in energia positiva da investire nelle attività quotidiane o ricreative.

Bibliografia

• Bagnato K. “Aggressività e intelligenza emotiva: quale relazione?”, Pensa MultiMedia Editore srl, ISSN 2038-9748, Giornale Italiano della Ricerca Educativa, anno VI – n. 10, 2013.

• Mondani M. “Percorsi di criminologia”, 2011, Libreriauniversitaria.it edizioni, ISBN 9788862921633.

A cura della Tirocinante Gina Ragusa – Tutor Dott.ssa Floriana De Michele

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App e intelligenza emotiva

Un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno. (Albert Einstein)

Quello della tecnologia è un discorso che pone sempre le persone in posizioni dicotomiche, lo sviluppo tecnologico è buono? È cattivo? Ci rende schiavi?

App per gestire le emozioni

Oggi la tecnologia ci fornisce una grande quantità di soluzioni pronte all’uso e girando un po’ sull’ app store del vostro smartphone potrete notare che sono state sviluppate moltissime app per la gestione delle emozioni. Un esempio? Headspace , si tratta di un app che si può definire come un personal trainer portatile per la propria salute emotiva. Fornisce una guida per fare fronte allo stress, propone infatti esercizi di mindfulness e consigli utili per diverse situazioni. E’ un esempio di app e intelligenza emotiva.

MoodTools, questa è un app progettata con dei professionisti di mindfulness.  Funziona più o meno nello stesso modo della precedente. Offre strumenti e consigli per migliorare il proprio umore e controllare le proprie emozioni. Suggerisce anche modi per recuperare l’equilibrio perduto. I creatori dicono di averla pensata per gli stati depressivi.

Una App che insegna le emozioni

Questi sono solo due esempi ma ce ne sono davvero tante di app e intelligenza emotiva. In “casa nostra” invece, ovvero in Italia, nello specifico in Friuli Venezia Giulia, è stata pensata, su proposta dell’assessore alle Politiche giovanili, Loredana Panariti, un’app che aiuta i giovani a gestire e riconoscere le proprie emozioni, migliorare le funzioni esecutive, affinare l’abilità l’autocontrollo e migliorare il comportamento per prevenire il disagio.

L’app vuole insegnare quali sono i processi che regolano gli stati emotivi e le strategie che possono essere utili nella gestione delle emozioni.

Riconoscere le emozioni altrui e le proprie non è un’abilità che possiedono tutti, l’intelligenza emotiva si impara, si affina e qualcuno proprio non ce l’ha.

Una app che ti scruta , per analizzare le emozioni, per riconoscere le espressioni facciali tramite machine learning, è la nuova frontiera dell’ human computer interaction.

Come nel caso delle persone affette da autismo, che vivono una vita solo ed esclusivamente interiore e sono totalmente incapaci di comprendere un qualsivoglia segnale emotivo e a volte, la comunicazione non è possibile.

App e intelligenza emotiva è ciò che serve in questi casi.

Il robot Alyx che insegna le emozioni

Ponendosi come obiettivo il miglioramento della vita delle persone con autismo i ricercatori della Heriot-Watt University in Scozia hanno ideato il robot Alyx che avrebbe lo scopo di insegnare le emozioni e comprendere i segnali emotivi nei vari contesti sociali.

Alyx ha un volto umanoide, ma non umano, proprio perché decodificare i segnali del viso per chi è affetto da autismo appare complicatissimo.

I volti umani generano molti piccoli segnali che le persone con autismo possono trovare difficili da decodificare. Il suo funzionamento è progettato per essere facilmente interpretato perché l’ambiguità per persone autistiche è il reale problema, loro non riescono a cogliere l’ironia per esempio, quindi ad un’azione delle persone Alyx risponde con un segno di approvazione o disapprovazione, inoltre è dotato di una telecamera che fornisce dei feedback ai terapeuti circa o stato emotivo dell’utente in modo che possa rispondere in modo adeguato.

Autism Xpress e Grace due app che aiutano gli autistici

Autism Xpress è un’applicazione che aiuta le persone con autismo a riconoscere ed esprimere le emozioni.

L’applicazione si presenta con 12 tasti, ciascuno rimanda ad una caricatura con una specifica espressione facciale di diversi stati emotivi: felice, triste, impaurito, ecc. si preme un pulsate e viene creata l’immagine di quella specifica emozione.

Infine, esiste l’app Grace per l’Autismo sempre per i bambini autistici.

Qualcuno certo storcerà il naso, a pensare alla feroce critica che si fa oggi a tutti coloro che non riescono a staccarsi dal cellulare, i pad o pc, si forniscono app che in qualche modo ci rendono ancora più vincolati, dipendenti, soprattutto se pensiamo che l’uso ( o l’abuso) dello smartphone ha generato nuove patologie come la nomofobia ( paura di non avere il cellulare con sé) la Fomo (paura di essere esclusi) e Vamping (rimanere svegli tutta la notte per inviare per usare i social).

Shinrin-yoku ovvero il Bagno nelle foreste

C’è di vero che negli ultimi anni sempre più ricerche si trovano d’accordo a sostenere con forza che il vero toccasana per modulare, migliorare e modificare gli stati emotivi sia la natura e stare in contatto con essa. In Giappone esiste una pratica molto diffusa “Shinrin-yoku”, ovvero «bagno nelle foreste».

Lasciare andare l’ambiente cittadino dove tutti sembrano voler sprofondare pare essere un ottimo modo per ritrovare la serenità, immergersi nella natura incontaminata con i soli suoni che offre.

In particolare, sembra essere utile contro stress, ansia, stanchezza, depressione. Uno studio che arriva dall’Università del Queensland (UQ) e dall’ARC Centre of Excellence for Environmental Decisions (CEED), sostiene che bastano 30 minuti a settimana per avere notevoli benefici e allontanare il rischio di contrarre malattie sia psicologiche che organiche.

Io trovo che questo sia un segnale molto importante, i nostri cervelli e corpi si sono dovuti adattare ad una dimensione che non è la loro, ambienti sovraffollati, grigi, uffici freddi e vite vissute in ambienti chiusi, e hanno risposto con patologie di ogni sorta e malattia ad esse collegate, e il fatto che la cura risieda nel ritorno alla natura mi fa pensare che in fondo per andare avanti nel modo migliore sia a volte necessario guardare indietro, a quando i nostri nonni e genitori facevano lunghe passeggiate in montagna e il contatto con la natura era uno stile di vita e non una moda da postare su Instagram.

Sitografia

http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2017/07/09/news/la-app-del-cellulare-che-misura-l-umore-e-made-in-fvg-1.15593821

Questo robot insegna agli adulti con autismo a lavorare meglio in ufficio

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Educazione sessuale a scuola: alfabetizzazione emotiva

Educazione Sessuale in Italia

Qual è il livello di educazione  sessuale adolescenziale in Italia?

Quali spazi hanno i giovani e gli adolescenti per confrontarsi ed elaborare la sfera della sessualità?

“In Italia, il dibattito pedagogico sui temi riguardanti l’educazione sessuale adolescenziale e i problemi sessuali relativi, sia in chiave scolastica che extra, sembra essere sostanzialmente inesplorato.”

Indagine di S. Maltese

“Traiettorie underground della formazione” è il testo in cui S. Maltese compie un’indagine dettagliata sull’educazione alla sessualità in Itali. Sono scandagliati i contesti educativi sia formali che non formali che informali.

Dall’indagine emerge che ci sia una grande vuoto educativo riguardo la sessualità adolescenziale.

Se si parla di sessualità femminile e maschile, lo si fa privilegiando esclusivamente 2 ordini di discorsi:

    • quello della scienza che in.daga l’aspetto puramente biologico e fisiologico della sessualità
    • quello relativo alle scelte legate alla salute.

Maltese rileva che all’interno dei contesti educativi se si parla di sessualità lo si fa mantenendo un atteggiamento formale. Ciò facendo si fornisce per lo più nozioni ai giovani circa la fisiologia dell’apparato riproduttivo. Al più informando circa i rischi derivanti dal vivere una sessualità non protetta. Ma rimanendo nell’ordine di discorso materiale, fisico e biologico.

Ciò che manca sono degli spazi educativi che esplorino la dimensione psichica della sessualità o affettività. Che indaghino e sostengano la componente identitaria che con la sessualità si struttura. Che accompagnino i giovani nel processo di conferimento di senso dell’esperienza sessuale.

Atteggiamento giudicante e moralizzante degli adulti

Sono assenti gli spazi narrativi della educazione alla sessualità a scuola e molto spesso a casa. Inoltre sono persistenti  narrazioni dogmatiche, moralizzanti, legate ad una cultura cattolica e per certi versi bigotta. Tutto ciò produce un vuoto di significanti con cui poter elaborare il mondo affettivo, emotivo inaugurato dalla sessualità in adolescenza.

L’esperienza, privata della narrazione e spesso invece accompagnata da un atteggiamento giudicante. Atteggiamento questo tanto esterno, quanto quindi interno e psichico. Tale comunque  da non aver  modo di essere elaborato e quindi di configurarsi in modo integro e sensato all’interno della cornice esistenziale dei soggetti.

Problemi sessuali e disagio adolescenziale

L’adolescente, oggi, si trova a dover gestire spesso dei problemi sessuali nel corso della trasformazione della propria identità. Ciò  senza fare affidamento a riferimenti forti e adulti “significativi”.

Le modificazioni fisiologiche spesso veloci e quasi improvvise consentono di definire la propria appartenenza di genere. Però, talvolta, rendono difficile l’accettazione del nuovo corpo creando disagi e problemi sessuali. Problemi che  possono manifestarsi con disturbi dell’alimentazione o piercing e tatuaggi portati all’eccesso.

Interlocutori e contesti necessari per gli adolescenti

In questo processo di crescita l’adolescente ha bisogno di un confronto con l’adulto.  Di momenti e di spazi di ascolto con “interlocutori reali, flessibili e capaci di restituzione” .

Il compito dell’adulto non è quello di fornire certezze, ma quello di “restituire il proprio esserci per rendere possibile l’esserci dell’altro”.

Da numerose ricerche sui bisogni adolescenziali è emersa la necessità di fornire ai ragazzi strumenti di orientamento. E ciò non solo per avere informazioni ma soprattutto per avere spazi in cui porre le proprie domande e luoghi in cui essere ascoltati.

Non erano cioè presenti luoghi in cui i ragazzi potevano portare il loro disagio evolutivo. Parlo ad esempio i consultori familiari o consultori per minorenni. Un disagio , certo,  non ancora patologico.  Dei luoghi in cui i ragazzi “normali” potessero confrontarsi con adulti sui temi della crescita, dei cambiamenti corporei, dei rapporti con il gruppo dei pari, con il partner.  Con cui parlare di sessualità e delle scelte che questa comporta e dei problemi sessuali adolescenziali in genere.

Ciò ha conseguenze gravi nei giovani che si ritrovano soli a dover fare i conti con un’esperienza strutturante l’identità. Esperienza emotivamente fondamentale senza strumenti e senza codici significanti con cui elaborarla ed inserirla in modo integro e sensato all’interno della propria storia.

I rischi giovanili della sfera emotiva

Tale vuoto, tale assenza educativa si riversa in condotte a rischio, comportamenti lesivi, incapacità di legare la sfera affettiva a quella sessuale. L’affidamento ad internet per rispondere ai dubbi, alle paure, alle difficoltà. Oltre alle sempre più diffuse pratiche online come la nuova moda da web: LOOK AT ME GENERATION pratiche di esibizionismo nei social network. Sempre più diffuse tre i ragazzi tra i 13 ed i 19anni.

Sul tema della sessualità dell’adolescenza e la percezione del rischio la ricerca effettuata dall’ IDO di Roma nel 2011 evidenzia come criticità principale la forte scissione che i giovani fanno tra sessualità e affettività.

Il 70% dei ragazzi intervistati dichiara che sesso e affettività sono due cose differenti e che non necessariamente debbano essere unite.

Questo dato non sorprende vista l’assenza di spazi educativi dedicati all’elaborazione della sessualità a scuola media , evidenziata da Maltese.

Il senso della sessualità , femminile e maschile, , quella complessità che coinvolge la sfera emotiva, affettiva, fisica, cognitiva di ogni essere umano rimane evasa da ogni discorso che la società e gli adulti rivolgono ai giovani.

Sessualità vs Affettività : solitudine adolescenziale

Come possono allora connettere dentro di loro sessualità e affettività?

Galimberti (1983) afferma che nella sessualità di un uomo ci sono le tracce del suo modo di essere al mondo, dunque i percorsi della sessualità adolescenziale sono caratterizzanti per lo sviluppo globale del soggetto e l’evasione sociale che, soprattutto in Italia, si evidenzia nel processo educativo riguardo questa fondamentale tematica, producono un vuoto gravissimo, l’ innesco del problema sessuale adolescenziale, intorno ad un periodo fondamentale dove si struttura una parte profonda della personalità degli individui.

Dalla solitudine adolescenziale possono nascere problemi

E’ da questo vuoto che possono nascere gravi problemi sessuali negli adolescenti.

La mancanza di un processo educativo che sostenga le difficoltà, i dubbi, le incertezze di ogni adolescente che si trovi a confrontarsi con la complessità del mondo della sessualità (rif. linee guida dell’OMS) , genera una condizione di solitudine esistenziale nei giovani che si trovano a dover elaborare il proprio mondo interiore, in piena trasformazione, in completa solitudine senza l’appoggio e la guida di figure di riferimento adulte che possano accompagnarli nella ricerca di risposte ai complessi quesiti che la sessualità apre e senza così riuscire a significare una parte del proprio mondo.

Necessità di uno spazio di confronto per i giovani

La mancanza di spazi di confronto dove elaborare il proprio sentire e quindi riuscire ad attribuire significato alle esperienze, riuscendo così ad consolidare all’interno di un quadro identitario maggiormente definito le nuove dimensioni psico-fisiche e affettive che l’esperienza della sessualità inaugura, genera la difficoltà per i giovani di significare la propria esperienza e di inscriverla all’interno del proprio quadro identitario.

Ciò fa emergere una difficoltà nel legare la sfera sessuale a quella affettiva ed integrare stabilmente la sessualità nel processo psichico e strutturale dell’individuo.

La sessualità viene vissuta non come mezzo di unione, come momento di massima intimità con l’altro bensì come fine,fine a se stesso. Come attività “agonistica” in cui ciò che conta è la performance da poter poi raccontare o addirittura mostrare sul web.

I dati parlano chiaro: la scuola quando prevede percorsi legati alla sessualità lo fa trattando il piano puramente fisiologico o al massimo gli interventi svolti all’interno degli istituti sono mirati a dar conoscenze nozionistiche legate ai rischi del sesso non protetto.

La prima esperienza

Così i ragazzi arrivano all’esperienza sessuale con tante informazioni ma emotivamente impreparati, accompagnati da vissuti di angoscia, timore di sbagliare la performance, agitazione spropositata.

All’interno dei contesti formativi non formali e informali, la situazione non è molto differente, poche sono le famiglie che parlano di sessualità con i propri figli e la percentuale scende ancora nei casi di giovani omosessuali che, come dice Maltese, tanto poco spazio trovano nel mondo sociale per confrontarsi che hanno trovato “Traiettorie Underground” dove elaborare e strutturare il proprio percorso di crescita, lontano dal resto del mondo.

Lo smarrimento degli adolescenti

L’esperienza della sessualità viene così accompagnata sovente da uno smarrimento psichico ed un’ incapacità di riflettere e significare le proprie esperienze che si traduce in agiti comportamentali inconsci e analfabetismo del mondo emotivo interno, in pieno subbuglio.

Si evidenziano molti comportamenti disfunzionali messi in atto da giovani ed adolescenti che, nel pieno della confusione esistenziale, privi di spazi strutturati e figure di riferimento, si sperimentano con comportamenti a rischio con cui forse, i giovani, urlano la loro necessità di essere riconosciuti e guidati.

Consultorio familiare e ruolo del web

I consultori familiari e i consultori ginecologici hanno tentato di colmare tale lacuna ma le statistiche ci dicono che solo una piccola percentuale di giovani si rivolge al servizio.

Un po’ per paura, un po’ per vergogna, un po’ per la poca informazione sui servizi, le giovani generazioni preferiscono affidarsi al web piuttosto che ai servizi locali per risolvere i loro quesiti.

L’Ido di Roma ha escogitato come soluzione di accedere proprio al mondo dei giovani attivando una piattaforma web chiamata “se sò è meglio” , dove i giovani trovano un team di professionisti pronti a rispondere alle loro domande, curiosità e difficoltà.

Se sei interessato a questa inziativa puoi visitare il sito diregiovani.

Le statistiche delle interviste con gli adolescenti

Per effettuare le ricerche in merito al modo di vivere la sessualità dei giovani, alla conoscenza dei servizi di zona, gli specialisti si sono avvalsi di questionari e interviste somministrati all’interno delle scuole.

Tali strumenti di ricerca sembrerebbero i più efficaci per esplorare la tematica nei giovani e potrebbero essere un ottimo metodo per avviare un progetto di educazione alla sessualità nel contesto aquilano.

I dati sulla salute e il benessere degli adolescenti

Secondo i dati elaborati dall’Istituto di Ortofonologia (Ido) di Roma, divulgati durante la prima Conferenza europea su “Salute e benessere dei giovani” il 72% degli adolescenti tra i 12 e i 14 anni approccia per la prima volta a pratiche sessuali con i pari.

La ricerca, svolta su un campione di 8.508 giovani tra i 12 e i 20 anni, rileva come il primo rapporto sessuale per il 46% dei maschi avviene in un età compresa tra i 14 e i 16 anni, mentre per il 53% delle femmine tra i 17 e i 19 anni.

L’approccio con le problematiche relative alla sessualità, però, subisce l’influsso dei media, e soprattutto della rete, che consente la possibilità di accedere facilmente al sesso virtuale, magari nella solitudine della propria stanza con immagini e video, o anche di confrontarsi virtualmente utilizzando chat e webcam.

La ricerca svolta dall’Ido, poi, mostra un panorama complesso del rapporto giovani – sessualità.

Affettività distinta dal  sesso per il 70% dei giovani

Per il 70% degli intervistati, affetto e sesso si possono separare. L’86% di loro parla volentieri di ciò che riguarda la sessualità con gli amici, ma il desiderio di informarsi sull’argomento, magari a scuola da personale extra scolastico esperto, è condiviso dall’86%.

Con i genitori è sempre difficile parlare di sesso, tanto che solo il 27% ammette che le maggiori informazioni sul sesso gli sono state fornite dalla madre, mentre solo l’8% dal padre.

Federico Bianchi di Castelbianco, direttore dell’Ido, parla di “sessualità agita come stile di vita nell’adolescenza, che rappresenta un modo per superare il senso di inadeguatezza e disagio. Attualmente – prosegue – ci confrontiamo con ragazzi che incontrano sempre maggiori difficoltà nel processo di costruzione dell’identità sessuale”.

Consultorio per i minorenni : quale educazione sessuale  ai giovani ?

L’analfabetismo emotivo è conseguenza inevitabile di questo stato di cose che viene rafforzato dalla facilità di accesso alle pratiche web. Pratiche  dove i giovani, nascosti dietro schermi virtuali, possono sperimentarsi e mostrarsi all’altro senza svelarsi. Tutto  senza confrontarsi né con l’altro né con il proprio mondo emotivo esacerbando così il divario tra fisicità e affettività.

Nell’ambito del tema dell’educazione alla sessualità femminile e maschile, nasce quindi la forte esigenza di una alfabetizzazione emotiva, per bambini che diverranno adulti, sin nella scuola d’infanzia.

Nasce cioè la necessità di una prevenziona sanitaria a scuola, nei consultori per minorenni, o nei consultori ginecologici , un progetto di alfabetizzazione che si inserisca nell’orizzonte della scuola.

Come educare i giovani alla sessualità ? 

È necessario avviare delle campagne di informazione e sensibilizzazione per i ragazzi che si pongano l’obiettivo di fornire gli strumenti. Che rendano i ragazzi in grado di integrare i vari aspetti della crescita, della sessualità, dell’affettività. In tal modo si può  colmare quella lacuna sociale nonché psichica che porta a scindere la sessualità dall’emotività e dai restanti aspetti della personalità.

Un intervento nelle scuole, nei consultori familiari, effettuato con pratiche attive volte a fornire ai ragazzi uno spazio di scambio e condivisione. Uno spazio che sia scevro dal giudizio, utile ad attivare una riflessione circa il ruolo della sessualità. Ma anche  l’importanza di questa come fattore fondamentale della personalità. Ed inoltre ad attivare un processo di presa di consapevolezza di sé e del proprio mondo emotivo. Ciò  sembrerebbe ad oggi più che utile, necessario.

Diffusione informativa sul territorio

Inoltre una maggiore diffusione sul territorio di opuscoli informativi che spieghino cosa sono i consultori, come funzionino e quali sevizi offrano potrebbe smantellare qualche falsa credenza circa tali servizi e facilitare l’accesso dei giovani ai servizi.

Sicuramente l’intervento che si rileva essere più necessario in questo momento è all’interno degli istituti scolastici.

Essendo la scuola il luogo educativo principale in cui i giovani passano la maggior parte del loro tempo ed in cui hanno la possibilità di confrontarsi sia con i pari che con figure di riferimento adulte diverse dai genitori, è all’interno di questi contesti che bisogna dar vita a spazi all’educazionealla sessualità, sia femminile che maschile, e soprattutto sull’affettività.

Bibliografia

S. Maltese, “Traiettorie underground della Formazione, Franco Angeli editore, 2017, p. 22, p. 27

A. Lotti, Adolescenti e Consultorio, un incontro possibile ?, Altieri, Milano 1998

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Emozioni. Significato nella psicologia generale

Cosa sono le Emozioni ?

Chi ricorda la canzone di Battisti ? “Tu chiamale se vuoi … emozioni”. Cosa sono veramente le emozioni ?

Le emozioni fanno parte della nostra vita psichica, sono determinanti per il nostro benessere e motivano i nostri comportamenti.

La loro espressione rappresenta uno dei canali comunicativi più importanti e ci fa instaurare relazioni più o meno intense in diversi contesti.

Non a caso abbiamo tantissime difficoltà quando ci troviamo di fronte a qualcuno che non esprime ciò che prova. Questo accade  a causa di un malfunzionamento a livello emotivo ( come nel caso di individui che sono stati cresciuti senza affetto) o come nel caso di persone affette da autismo.

Il significato delle emozioni implica inoltrarsi in un vasto territorio. Gli esseri umani, provano emozioni, tante, intense, diverse

Emozioni Primarie

 (La teoria evoluzionista delle emozioni)

I primi studi sull’espressione emotiva e la prova circa l’esistenza di emozioni primarie sono frutto del lavoro di Charles Darwin e a Robert Plutchik. Furono loro i primi ad interessarsi dell’argomento.

Il concetto di base è che popoli diversi provano le medesime emozioni. Cosa ancora piu’ interessante, gli studi di Paul Ekman , hanno dimostrato come tristezza, felicità, rabbia, paura, sorpresa e le espressioni emotive ad esse correlate risulterebbero universalmente riconosciute in ogni cultura. Ossia in ogni parte del mondo.

Come è possibile che popoli diversi riconoscano le medesime emozioni?

E’ possibile perchè l’emozione è qualcosa che la nostra specie possiede ed esprime sin dai primordi.

La paura, ad esempio, è stata fondamentale per la sopravvivenza, perchè senza di essa non avremmo potuto ripararci dagli innumerevoli pericoli che la vita nelle caverne offriva.

La paura è una emozione ancestrale che accomuna ogni individuo ed è una delle emozioni che quindi chiameremo emozioni PRIMARIE.  Pensate alla paura del buio comune a TUTTI i bambini. Essa  rappresenta un’eredità degli uomini delle caverne che, al buio, erano maggiormente esposti al pericolo.

Le emozioni primarie si chiamano così perchè sono INNATE e quindi comuni a tutti gli esseri umani.

L’emozione in sè comporta una serie di modificazioni, sia fisiche sia di alterazione del pensiero, in risposta ad una VALUTAZIONE COGNITIVA di una certa situazione.

Come avviene il processo di innescamento di un’emozione?

Prendiamo in esame di nuovo la paura. Se ci trovassimo di fronte ad una situazione valutata come pericolosa ( per ognuno sarà ” pericoloso o minaccioso” qualcosa di diverso a seconda della prorpia valutazione) a livello fisiologico avremmo: aumento del battito cardiaco, fiato corto, i nostri sensi diventano piu’ acuti per percepire ogni cambiamento ambientale, il nostro corpo comincia a rilasciare ADRENALINA, fondamentale per un eventuale attacco o fuga perchè conferisce al corpo maggiore forza, potenza e velocità.

I nostri pensieri saranno direttamente corrispondenti alla valutazione che abbiamo fatto della situazione, per cui penseremo, in una situazione minacciosa “ho paura”, oppure “voglio scappare” oppure “questa situazione mi fa paura”.

Le reazioni comportamentali saranno, come accennato sopra, di attacco o fuga, potremmo urlare, piangere e così via. Quali sono le emozioni di base? o primarie?

Secondo Ekman sarebbero :

  • RABBIA ( dovuta in genere a situzioni valutate come frustranti )
  • PAURA ( dovuta a situazioni valutate come pericolose per la propria sopravvivenza)
  • TRISTEZZA ( dovuta a situazioni valutate in termini di perdita o non raggiungimento di obiettivi)
  • GIOIA ( situazione valutata in modo assolutamente positivo)
  • SORPRESA ( dovuta ad una situazione inaspettata)
  • DISPREZZO ( disdegno e / o rifiuto verso qualcosa/ qualcuno)
  • DISGUSTO

Emozioni secondarie

Le emozioni che invece vengono classificate come emozioni SECONDARIE hanno origine dalla combinazione delle emozioni primarie .

Le emozioni secondarie secondo la psicologia generale, sono più complesse e infatti implicano il riferirsi a se stessi possono dunque essere provate solo se è presente un certo livello di introspezione.

E’ già a partire dai 2 anni che si sviluppa nel bambino una prima forma di autocoscienza.

Questo gli permette di percepirsi come possibile oggetto delle attenzioni da parte del mondo circostante.

Infatti in questo momento il bambino comincia a riconoscersi allo specchio e, in questo senso questo è un comportamento cruciale del processo evolutivo.

È proprio questo stadio determina lo spartiacque fra emozioni primarie e secondarie.

Essendo emozioni molto piu’ complesse, la loro attivazione dipende da una piu’ complessa e raffinata valutazione situazionale e, sopratutto vengono attivate a seconda del nostro personalissimo e relativo modo di vedere il mondo.

Altrimenti chiamato “filtro”.

Per cui dipendono dalla nostra storia personale, dalla nostra cerchia di appartenenza e, sopratutto dipendono da come siamo stati cresciuti dalla nostra figura di accudimento. Quali sono?

  • ALLEGRIA
  • INVIDIA
  • VERGOGNA
  • ANSIA (si proprio ansia, quella per la quale qualcuno viene dallo psicoterapeuta!)
  • RASSEGNAZIONE
  • GELOSIA
  • SPERANZA (non nel senso cristiano del termine ?)
  • OFFESA
  • NOSTALGIA
  • RIMORSO
  • DELUSIONE

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La psicologia dell’ansia (dal Seminario ad Avezzano, 25 maggio 2005)

Cosa è l’ansia ?

L’ansia è l’emozione sicuramente più diffusa e conosciuta dalle persone al giorno d’oggi. Un esame, un incontro di lavoro, l’attesa di una notizia, un cambiamento, un ritardo, ma anche solo una telefonata basta per far sperimentare questo stato d’animo particolare.

L’ansia è un emozione che si instaura dentro di noi lentamente e in maniera silenziosa fino a diventare forte e assolutamente insopportabile. Ci fa sentire spesso “rabbiosi”. Ma la sensazione più comune è quella dell’apprensione, della paura, fino al vero e proprio terrore.

Di conseguenza ci sentiamo bloccati e non riusciamo a fare le cose che ci piacerebbe fare.

Ci sentiamo vulnerabili e portati a sottovalutare le nostre capacitàa fare pensieri disastrosi, catastrofici sulle situazioni che viviamo. Ad avere attacchi di panico veri e propri o a deprimerci in modo significativo. Oppure a somatizzare ammalandoci , così, nell’organismo.

Eppure è proprio l’ansia che, in condizioni normali, ci consente di affrontare le sfide della quotidianità manifestandosi innanzitutto come tensione positiva e carica psicologica.

Quando e perchè l’ansia si trasforma nella nostra peggiore nemica?

Attualmente si contano a milioni le persone che soffrono di attacchi di panico o che lamentano anche solo alcune delle duecentosettanta fobie conosciute.

C’è una ragione se accade proprio a noi oppure è solo un caso?

Si può ritrovare l’equilibrio perduto e come si può fare?

L’etimologia della parola ansia ci dice che essa deriva dal latino anxius la cui radice significa “Soffocare, strangolare”e Freud usa il termine tedesco Angst (Angoscia). Questo termine  in italiano viene tradotto indifferentemente col termine di ansia o di angoscia. Esso sta ad  indicare nel linguaggio della psicoanalisi le reazioni d’allarme della persona di fronte ai pericoli provenienti dalle esperienze esterne o dai propri turbamenti psichici.

L’ “angoscia” freudiana

Freud precisa che è possibile distinguere il pericolo reale , che è una minaccia proveniente da un oggetto esterno, dal pericolo nevrotico, che scaturisce da un’esigenza pulsionale legata cioè ad un bisogno interiore.

L’ angoscia è dovuta alla disperazione che si prova di fronte al pericolo. Egli chiama traumatica una situazione di disperazione realmente vissuta. Chiama situazione di pericolo una situazione che ricorda l’evento traumatico. Questo perché  permette al soggetto di prevedere il pericolo e prepararsi.

a) Angoscia automatica

L’angoscia o l’ansia che si prova è, allora, di due tipi. Un primo tipo è detta ansia o angoscia automatica provocata dall’afflusso, dall’esterno o dall’inconscio, di eccitazioni traumatiche, che il soggetto non riesce a dominare.

b) Angoscia segnale

Inoltre c’è un angoscia o ansia segnale , che si produce quando la situazione che crea disperazione continua ad incombere. Essa assume una funzione di difesa dell’io. E’  come un meccanismo d’allarme che avverte l’io dell’avvicinarsi di una minaccia grave per il proprio equilibrio, identificata con il male , il brutto, l’ignoto.

La situazione che crea disperazione è una situazione traumatica ed è la rappresentazione della nascita (O. Rank) in quanto ripetizione di un avvenimento importante appartenente al passato del soggetto.

Il trauma della nascita e la paura di perdere il sostentamento

Alla nascita, a seguito della separazione fisica dalla madre, il neonato è posto in una situazione di stimolazione massima, internamente ed esternamente. Egli non possiede la struttura e la capacità adattiva di rispondere con azioni difensive.

Durante gran parte dell’infanzia (come vedremo anche in seguito) il bambino non è attrezzato per affrontare le stimolazioni a cui e’ sottoposto. Pertanto si trova in uno stato di estrema vulnerabilità. Le risposte che vengono provocate quando un individuo è sottoposto a stimoli che non può padroneggiare e integrare nella sua Personalità , perchè vanno al di là delle sue capacità, daranno forma alla Situazione traumatica.

Nello sviluppo più avanzato , dice Freud, il neonato deve affrontare una minaccia diversa , legata alla paura di perdere gli oggetti importanti da cui dipendono il suo sostentamento e lenimento delle tensioni interne: in poche parole sua madre.

Angoscia di separazione del bambino

Tale paura è giustificata dalla sua estrema dipendenza da lei e l’angoscia che ne deriva.  Freud in questo caso chiama angoscia di separazione, è basata su considerazioni reali, sulla realtà.

Nel bambino, dice Freud, non c’è la capacità di valutare il pericolo. Per cui la produzione d’angoscia non è legata al pericolo reale. Il bambino reagisce alla perdita della madre e cioè riproduce l’angoscia che accompagna l’atto della nascita, la separazione da lei. Questa separazione , secondo Freud, lascia la libido o carica affettiva, inutilizzata , ferma, inattiva in quanto manca l’oggetto su cui appoggiarsi.

Egli sottolinea che questa perdita dell’oggetto amato può essere sostituito da una situazione che abbia lo stesso significato. Per esempio,il bambino che nel buio non vede più sua madre crede di averla perduta e reagisce con angoscia ogni volta che si ritrova al buio.

L’angoscia negli adulti : I nevrotici di Freud

Una cosa simile succede agli adulti che soffrono di ansia (nevrotici di Freud) con una differenza rispetto ai bambini, per cui la carica affettiva legata alla situazione traumatica viene staccata da essa , o rimossa. In teoria la rimozione crea l’angoscia, e si trasforma direttamente in angoscia. Altre volte , però, accade che in sostituzione dell’angoscia si formano dei sintomi tipo fobie e ossessioni. Queste  impediscono la percezione del dolore dovuta all’emozione di angoscia.

L’angoscia diventa così una funzione reale dell’io. E’ cioè  come un segnale di dispiacere che permette di mobilitare tutte le energie disponibili dell’io contro la pulsione o carica affettiva che proviene dall’ego dall’inconscio. Essa si origina in ogni caso dalla perdita o dalla minaccia della perdita dell’oggetto.

A sostegno di questa teoria attualmente sono gli studi di psico-neuro-biologia che descrivono le funzioni psico-mentali dell’uomo in tre attività, che si influenzano reciprocamente, ma che hanno tempi e modi propri di manifestarsi.

Esse sono : l’emotività, l’affettività, l’attività intellettivo-cognitiva.

Emotività ed Ansia

In questo momento ci soffermiamo sull’emotività perché è ciò che spiega il funzionamento dell’ansia.

L’emotività nello sviluppo filogenetico è presente in tutti i livelli del regno animale. Essa rappresenta un modello reattivo, istintivo, difensivo ed adattivo, attraverso il quale l’individuo risponde agli stimoli del mondo esterno.

Sembra, quindi, che ci sia un sistema adattivo-difensivo molto primitivo e comune a tutte le specie.  Essa  fa capo ai circuiti (neuroni, sinapsi, assoni e dendriti) che compongono il sistema limbico o cervello limbico o cervello del serpente.

Emozioni

Le emozioni si organizzano a vari livelli per cui riconosciamo le seguenti.

  1. attenzione e allerta
  2. tensione
  3. ansia
  4. angoscia

Queste possono evolversi in processi più complessi tra i quali si riconoscono le seguenti.

  1. l’ansia libera
  2. la paura
  3. ansia
  4. il terrore

La funzione che riunisce e rende simili tutti gli individui del regno animale è la capacità di reagire agli stimoli che giungono dal mondo esterno. Ciò avviene in un modo rapido (basso tempo di latenza), istintivo (cioè non mediato da altre funzioni e quindi strutture), automatico (senza la necessità di una speciale elaborazione).

Questi meccanismi però, portano a reazioni molto semplici che, negli animali (vedi serpenti) si limitano all’attacco o alla fuga.

Risposte emotive adattive e difensive

Nel caso specifico umano, invece, le risposte emotive vengono dette adattive, oltre che difensive, in quanto si organizzano come un sistema efficace per la difesa dell’individuo attraverso risposte che, seppure a volte non siano perfettamente adeguate, sono immediate (quasi del tipo tutto o nulla) e quindi permettono una difesa quasi sempre efficace.

Nell’uomo, infatti, il sistema emotivo è particolarmente efficiente ed attivo. Esso  è già presente nel neonato, nel quale una quantità notevole di risposte automatiche assumono proprio un valore difensivo ed adattivo. A questo punto cerchiamo di definire i vari stati delle emozioni.

Stati emotivi
Stato di allerta

Stato di allerta: E’  una risposta di preparazione per la quale il soggetto sposta rapidamente l’attenzione sulla qualità dello stimolo, sulla sua origine e sulla intensità. In un secondo tempo, se si attivano funzioni superiori che giustificano e/o tolgono significato all’input, l’allerta sfuma e si esaurisce. Si torna così al lo stato psichico in quiete.

Stato di tensione

Stato di tensione: E’  una risposta più intensa dell’allerta perché con questa il soggetto si prepara ad analizzare le componenti dello stimolo in entrata. Queste vengono  distinte in qualità, pericolosità, intensità. La tensione porta il soggetto a predisporre varie risposte possibili spostando l’attenzione in modo continuo dallo stimolo al “soggetto attore”.

Stato di ansia

Stato di ansia: E’ una risposta intensa, più o meno giustificata, ma sempre legata ad uno stimolo e/o ad una situazione determinata. L’ansia può diventare anormale o decisamente patologica quando dura a lungo nel tempo. Non viene cioè controllata dai sistemi specifici. Soprattutto, diventa invasiva, andando ad occupare gli spazi dell’affettività e dell’attività cognitiva, simbolica, razionale.

Stato di ansia libera

Stato di ansia libera: E’  uno stato patologico nel quale l’ansia fluisce in continuazione, senza freni e, soprattutto, senza giustificazioni logiche. E’ cioè svincolata dall’esperienza sensibile e determinata da vissuti profondi e personali.

Stato di angoscia

Stati d’ angoscia: E’ un’ansia, ma di grado molto elevato per cui i sistemi di controllo non riescono a contrastarla. Si parla di angoscia conscia e di angoscia inconscia. Ma, per lo più, si tratta di questo secondo tipo, dato che viene attivata da stimoli anche insignificanti se considerati dal di fuori. L’angoscia è una esperienza molto disturbante. Ciò anche perché il soggetto non riesce a trovare il modo di contenerla. Quindi, vive un sentimento come di essere in balia di qualcosa di troppo poderoso e distruttivo.

Stato di paura

Stato di paura: E’  una reazione non automatica, non così diretta come l’ansia e l’angoscia. Quindi, più elaborata , più determinata e legata all’esperienza sensibile o a situazioni ben definite.

Stato di terrore

Stato di terrore: E’  una paura molto accentuata e viene riconosciuto come risposta a qualcosa che non può essere controllato. E che genera situazioni dalle quali non si può sfuggire. Quindi, entra in gioco un sentimento di impotenza e di aver perso ogni possibilità di autodifesa. Il  soggetto non trova vie di scampo possibili.  Quindi, vive violente sensazioni di essere in balia dell’altro o di qualcosa che genera uno stato di morte imminente e, dunque, di invincibile e catastrofico.

Il sistema limbico e le emozioni

Da un punto di vista neurobiologico le emozioni sono il risultato dell’entrata in funzione del sistema limbico. Esso  è formato da diverse strutture centro-encefaliche situate sia a destra che a sinistra nel tronco encefalico.

Queste si articolano direttamente con le vie sensoriali e sensitive che giungono anche al talamo per poi raggiungere le aree corticali specifiche. Tale organizzazione spiega il perché della bassa latenza delle risposte emotive.

Le più importanti strutture del sistema limbico sono:

  • amigdala: che partecipa all’organizzazione del sistema mnesico.
  • ipotalamo: che attiva le risposte vegetative che accompagnano le emozioni (vasocostrizione, ipertensione, rossore alle gote, tachicardia, sudorazione delle mani, senso di sudorazione fredda dietro la schiena).

Incontenibilità dell’Ansia

Ci sono situazioni patologiche complesse come l’ x-fragile nelle quali l’impossibilità di contenere le risposte emotive è veramente imponente ed il soggetto somatizza l’iperattività dell’ipotalamo con varie sintomatologie.

lacrimazione, rinorrea, scialorrea, tachicardia, iperventilazione, midriasi ed un quadro psico-espressivo di angoscia incontenibile.

Questa osservazione ci porta a pensare all’impossibilità di attivare mezzi contenitivi nei confronti dell’ansia con la conseguente presenza di ansia libera e di crisi violente di angoscia.

Il meccanismo d’azione di questa particolare risposta (esagerata) è ancora poco conosciuto.

E’ espansione e si manifesta in contesti variabili e dinamici. Uno speciale contesto ambientale, di estrema importanza per l’uomo, è quello delle relazioni intime.

Freud , come ho già detto, sostiene che le emozioni sono segnali, situati nell’io ed afferma anche che le emozioni funzionano automaticamente ed hanno un ruolo regolatore.

Vediamo come.

Regolazione delle emozioni secondo Freud

Sebbene le emozioni abbiano una funzione integrativa in tutto l’arco della vita, nella prima infanzia si hanno gli esempi più drammatici.

Renè Spitz descrive tre stadi nei primi due anni di vita del bambino, ciascuno associato a nuovi pattern di emozioni. Afferma che il lattante può percepire solo degli stati di tensione, al massimo di allarme di fronte ad uno squilibrio interno (fame, replezione vescicale o intestinale).

Attualmente si possono rilevare sei periodi di transizione durante i primi quattro anni di vita.

Queste transizioni costituiscono dei periodi evolutivi dove i cambiamenti sono pervasivi, durevoli ed implicano un grande ri-orientamento nelle relazioni tra persona e ambiente. Compaiono nuovi pattern di processi emozionali e nuovi segnali emozionali e questi permettono altri cambiamenti nel bambino e nel suo ruolo in famiglia.

Le transizioni evolutive del bambino

Vediamo rapidamente quali sono queste transizioni.

Da 0 a 2 mesi di vita

La prima (0-2 m di vita) segue la nascita e gli adattamenti regolatori post-nascita che avvengono nel neonato. L’espressione emozionale predominante è il pianto, che comunica il malessere ed è diretta ai genitori che devono intervenire . Soprattutto, le espressioni emozionali di pianto, allerta/vigilanza e quiescenza sono usate per definire stati di bisogno e motivazione per i genitori. Queste espressioni emozionali sono anche indici di processi di segnalazione interna. Questo perchè  il bambino acquisisce esperienza e confidenza nella capacità di essere consolato dagli altri. In altre parole, il neonato incomincia ad esperire e ad esprimere una personalità nel mezzo di intime relazioni con il genitore.

Da 2 a 3 mesi di vita

La comparsa del sorriso sociale, primo organizzatore di Spitz, cioè del sorriso di fronte alla maschera (se si mette davanti al bambino una figura che rappresenta il viso di una persona egli sorride senza distinguerlo dal volto della madre) definisce una transizione che va dai due ai tre mesi.

La nuova espressione emozionale, comunica lo stato di benessere del bambino ed è accompagnata da altri segnali emotivi, indici di cambiamenti interni che includono la sorpresa di fronte a nuove esperienze piacevoli e le espressioni di allerta, di sostenuto interesse.

Questi ultimi pattern emozionali, combinati con una maggior capacità per il contatto diretto, consentono nuove opportunità per l’impegno e l’apprendimento sociale e influenzano le aspettative sul ruolo familiare del bambino. I genitori rispondono aumentando le loro interazioni sociali col piccolo, portandolo sempre più spesso fuori casa e mostrandolo agli altri.

In questo periodo, si presenta un abbozzo della paura di fronte all’oggetto sconosciuto. M. klein colloca qui l’angoscia schizzo paranoide.

Tale angoscia sembra costituirsi tramite due meccanismi di difesa. La separazione dell’oggetto e dell’io o meglio la loro non riunione (seno buono e seno cattivo). Il fenomeno emotivo è l’angoscia di frantumazione e l’identificazione proiettiva. Per cui tutto ciò che c’ è di cattivo nell’io è contemporaneamente proiettato fuori e messo nell’oggetto.

L’identificazione con l’oggetto avviene solo dopo la separazione e la proiezione del cattivo oggetto parziale. In questo modo si può prendere le distanze nei confronti delle pulsioni distruttive e, così, tenere a bada l’angoscia.

Da 6 a 8 mesi di vita

Tra la fine del sesto mese e l’ ottavo mese compare il distress esterno e il profondo turbamento dovuto alla separazione dai genitori che comporterà nuove configurazioni emozionali.

I familiari rispondono ai cambiamenti interni del bambino con ulteriori modifiche nelle aspettative. Infatti, in questo periodo compaiono altri cambiamenti nella segnalazione emotiva. Essi sono conseguenti alle modifiche nell’organizzazione cognitiva e socio emozionale , dovute anche ai nuovi ruoli familiari.

I bambini, quando incontrano situazioni di incertezza, cominciano a cercare all’esterno espressioni emozionali, i cui referenti sono solitamente il padre e la madre. Quindi a seconda delle emozioni viste o sentite in altri, egli può avvicinare o evitare una persona estranea o un giocattolo nuovo (vedi il resoconto degli studi in Emde, 1992).

E’ il periodo in cui compare Perm. Klein, l’angoscia depressiva, il secondo organizzatore per Spitz. I due autori sostengono in questo momento l’apparizione del primo abbozzo totale dell’io, cioè della persona del bambino, dell’oggetto, cioè della persona dell’altro, la madre, dell’angoscia.

L’angoscia depressiva è la paura di perdere l’oggetto percepito come intero le cui parti sono riunite ed incorporate.

Il viso della madre a questo punto non viene più confuso con la maschera, la madre è percepita come esterna e se si assenta il bambino prova angoscia (paura dell’estraneo). Questa angoscia depressiva viene anche detta da Bowlby angoscia di separazione ed è l’angoscia della perdita dell’oggetto orale che è la prima angoscia di colpevolezza.

Da 10  a 13 mesi di vita

Il periodo compreso tra i dieci e i tredici mesi è caratterizzato dall’apprendimento della deambulazione e le sue conseguenze socio emozionali.

M. Mahler sostiene che in questo periodo il bambino aumenta le sue emozioni positive. Egli manifesta  quelle che comunicano un certo sentimento di esaltazione e di orgoglio (Mahler et al.,1975).

Un distress intermittente è sentito come conseguenza degli urti legati al camminare.

Più spesso, comunque, il bambino sperimenta stati di incertezza dovuti a un allargamento del mondo fisico e alle proibizioni genitoriali.

Il bambino necessita, perciò, di maggior “rifornimento emozionale” da parte dei genitori. Questi  aumentano le comunicazioni emotive, al fine di favorire l’esplorazione, trasmettendo rassicurazione e sicurezza.

In questa fase si sviluppa maggiore autonomia, ma nello stesso tempo i legami diventano più forti.

Da 18 a 22 mesi di vita

Il periodo tra il diciottesimo e il ventiduesimo mese , è quello della “transizione dal periodo neonatale all’infanzia”. Questo poiché si intravede l’inizio di una consapevolezza auto-riflessiva e la capacità di usare più parole per articolare un discorso (Fenson et al., 1994; Kagan, 1981; Lewis & Brooks-Gunn, 1979).

a) Il pattern emozionale: empatia

I nuovi pattern emozionali e le loro connessioni hanno a che fare con le prime istanze etiche, come l’empatia.

Il bambino non solo risponde al distress esterno con evidenti sentimenti di autodifesa, ma può impegnarsi in azioni prosociali quali la cura, la consolazione e l’aiuto rivolto agli altri (Radke-Yarrow et al.,1983; Zahn-Waxler et al., 1992).

b) Il pattern emozionale : distress

Un altro pattern emozionale è il distress dovuto alla violazione della norma ( Jerome Kagan 1981). Talvolta il bambino si altera notevolmente quandosi imbatte in una bambola rotta o in un giocattolo sporco o nella sostituzione della persona che solitamente si prende cura di lui, segni di una deviazione da ciò che si aspettava.

In questo periodo possono anche comparire le espressioni di vergogna.

Altra caratteristica importante è l’acquisizione del ” no semantico” (Spitz, 1957) ed un apparente negatività e malumore, con particolari conseguenze per le interazioni con i genitori ( Sandler 1962 e Mahler et al. 1975).

Il bambino manifesta maggior intenzionalità (per es. dove cammina), e maggior controllo delle emozioni (per es. pochi accessi di collera, più tolleranza per la frustrazione), aumenta la domanda di socializzazione.

E’ questo il periodo dell’angoscia anale. Questo è il primo tipo di angoscia legato contemporaneamente ad una pulsione , ad un divieto e ad un rischio di perdere l’oggetto. Le reazioni alle raccomandazioni e ai divieti dei genitori nel periodo dell’educazione sfinterica, la paura di perdere l’oggetto anale, il salame fecale, è parte del proprio corpo, che è io e non io, la cui separazione può essere pericolosa. Le oscillazioni fra reattività e passività, la paura di invadere l’altro con i propri escrementi portano alla scoperta dell’aggressività e al timore proiettivo di vendetta dell’altro.

Da. 36  a 48  mesi di vita

Dai tre ai quattro anni (periodo prescolastico) il bambino manifesta una certa competenza verbale. La capacità di fornire un’ organizzazione narrativa alle esperienze emotive costituisce un’ altra monumentale acquisizione evolutiva.

Il bambino   può rappresentare le esperienze passate e le aspettative future in modo coerente. E  può esprimerle col linguaggio e condividerle con altri. Quindi può parlare alla madre.  La comprensione delle situazioni familiari, dei conflitti, delle possibilità e dei ruoli è spesso legata alla competenza verbale e alla capacità di raccontare storie.

In questo periodo c’è ancora un’ angoscia di perdita al momento della scoperta delle differenze sessuali. Perdita del fallo a cui si attribuisce la massima potenza e a cui si reagisce con il diniego della differenza dei sessi. Ma è questo  il periodo che evolve poi nell’angoscia di castrazione che segna l’accesso al desiderio genitale e alla legge, alla relazione triangolare (complesso edipico).

Forme patologiche dell’Ansia

Dunque abbiamo visto come i processi emotivi accompagnano il cambiamento evolutivo e lo sviluppo cognitivo. Le emozioni di sorpresa, interesse, ansia per un impegno sociale. Il piacere di controllare le situazioni e la sua tendenza biologica a trovare nuove informazioni e categorizzarle secondo ciò che gli è familiare, caratterizzano l’attività del bambino che dà un significato al mondo circostante.

Esse continuano nell’intera vita dell’individuo e proprio quando questo processo di “assimilazione cognitiva” come lo definisce J. Piaget non avviene che il soggetto vive la situazione di ansia patologica.

Vediamo ora le forme patologiche che l’ansia può assumere. Esse normalmente si manifestano con gli stessi sintomi, ma si presentano di fronte a situazioni diverse o hanno cause scatenanti diverse.Ma sempre comportano gravi problemi in ambito lavorativo e sociale.

Sintomatologia degli attacchi di panico

Gli attacchi di panico sono considerati un disturbo a se stante anche se si ritrovano tutti i sintomi dell’ansia. Essi in genere, sono attacchi di ansia acuta e durano solo pochi minuti. Nondimeno  vengono vissuti dalla persona in modo, così intenso, da pensare di essere sul punto di morire. I sintomi più comuni sono i seguenti.

  1. il soffocamento.
  2. le vertigini.
  3. la sudorazione.
  4. il battito del cuore molto accelerato.
  5. il tremore.
  6. un’ intensa sensazione di morte imminente.

Gli attacchi di panico sono un disturbo molto frequente, soprattutto,tra la popolazione femminile Nel 75% dei casi si verifica agorafobia o comportamenti di evitamento verso luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile allontanarsi in caso di panico. Molto frequente è la comparsa di fobie, per esempio la fobia sociale. In tali casi  la persona è esposta al pubblico in certe situazioni che sente come pericolose.

La prima volta che si ha un attacco di panico generalmente ci si ritrova al pronto soccorso pensando di aver avuto un infarto o qualcosa di simile. Spesso l’attacco di panico non è riconosciuto come tale e ciò finisce di spaventare ancora di più il paziente che non capisce il perchè del suo malessere . Nasce quindi la paura che si possa ripresentare di nuovo creando, così, una forma di ansia anticipatrice.

Il soggetto che soffre da tempo del disturbo sa, in maniera precisa, quando l’attacco di panico sta arrivando e sa che non esiste una situazione sicura, un ambiente capace di proteggerlo e quindi finisce coll’imitare al massimo le uscite o farsi costantemente accompagnare da qualcuno, creando dei legami morbosi con le persone che gli stanno accanto .

Il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo post-traumatico da stress, l’ansia generalizzata

L’ossessione è un’ idea o un immagine che passa in continuazione nella mente. E’ un’idea che disturba molto, perché non si riesce a controllare. Si sente come estranea a se , cioè si presenta come una spinta a ripetere un determinato comportamento per quanto esso sia assurdo.

Alcuni comportamenti ossessivi

Degli esempi di ossessione  possono essere quelli riportati più avanti. Continuare a lavarsi le mani, chiudere e richiudere a chiave la stessa porta, controllare e spegnere più volte il gas, camminare senza calpestare le righe sulla strada e cose simili.

L’ossessione si manifesta attraverso un comportamento ripetitivo e costante chiamato compulsione.

Spesso esse diventano così elaborate da diventare veri e propri rituali.

Le persone in preda alle compulsioni pensano che se non faranno quel gesto potrebbe succedere loro qualcosa di male.

Il disturbo post – traumatico da stress è un disturbo che aggiunge all’ansia uno stato di depressione.

Ha un incidenza dell’ 1% della popolazione . Esso è la diretta conseguenza di un evento traumatico reale verificatosi nel passato. E’  come se fosse una reazione a scoppio ritardato , che si compie di fronte ad un evento attuale, potenzialmente non pericoloso.

Eventi che possono causare il disturbo post traumatico da stress

Eventi che possono far insorgere questo disturbo sono i seguenti.

  1. la guerra.
  2. l’abuso sessuale.
  3. subire violenza fisica.
  4. incidenti che compromettono la funzionalità fisica del soggetto.
  5. assistere alla morte dei genitori.
  6. essere soggetto a continui e prolungati eventi traumatici ( tipo il mobbing).
Insorgenza dell’ansia generalizzata

L’ ansia generalizzata può comparire già durante l’infanzia ed è caratterizzato da ansia e preoccupazione eccessive presenti durante tutto l’anno o comunque almeno sei mesi. Sii manifesta soprattutto nell’approssimarsi di determinati eventi o attività che si devono affrontare.

Oltre alla tensione si presentano sintomi fisici come tensione muscolare, insonnia, stanchezza.

Ha un’ incidenza del 5% della popolazione generale,colpisce soprattutto le donne.

L’ansia si manifesta ad livello elevato, in modo molto frequente ed incontrollabile concentrandosi su determinate attività o eventi. Tale situazione determina uno stress significativo nella vita quotidiana. La qualità della vita delle persone è decisamente compromessa, a causa della loro perenne apprensione riguardo al futuro, alla situazione finanziaria, alla possibilità che qualche loro parente o persona cara possa morire o farsi male.

Si ritrovano tutti i sintomi fisici più frequenti, ma senza che si arrivi ad uno stato di forte malessere fisico.

Ansia con somatizzazione

Alcuni sintomi dell’ansia si manifestano senza che nel paziente ci sia una vera e propria patologia.

Questi sintomi somatici sono gli stessi dei disturbi sopra citati, ma non c’è nel paziente alcuna patologia di tipo organico.

Per questo non è possibile stimare l’incidenza del disturbo, ma si possono descrivere bene i sintomi del disturbo a seconda dell’apparato interessato.

Apparato circolatorio

apparato circolatorio: tachicardia, extrasistolia, dolore precordiale, palpitazioni, lipomie, polso irregolare, ipertensione, disturbi vasomotori alle estremità apparato gastroenterico: difficoltà a deglutire, eruttazioni, bruciori e senso di pesantezza gastrica, nausea, vomito, borborigmi, flatulenza, diarrea, stipsi.

Apparato respiratorio

apparato respiratorio: senso di oppressione o di costrizione toracica, sensazione di soffocamento, iperventilazione, sospiri, dispnea.

Apparato urogenitale

apparato urogenitale: minzione frequente, dolore alla minzione, amenorrea,m enorragia, frigidità, disturbi dell’erezione o dell’eiaculazione, impotenza.

Il caso clinico di Marco

Marco è un giovane di 21 anni, che soffre di uno stato di acuto di ansia. Egli  risponde abbastanza bene ad un periodo breve di psicoterapia. Ha infatti iniziato il trattamento solo da quattro mesi ma il suo stato di ansia si è notevolmente ridotto.

E’ stato inizialmente accompagnato nel mio studio dai suoi genitori. Non era assolutamente in grado di parlare dei suoi sentimenti. I genitori raccontavano delle sue crisi rivolgendosi a lui ogni tanto così.  ”Di alla dr.ssa quello che ti senti, raccontalo tu !” . E lamentandosi di non sapere più come fare per aiutare il figlio.

I sintomi di Marco

Erano un paio di mesi che il giovane viveva in preda all’angosciaNon usciva più di casa, non dormiva più , non mangiava quasi più, aveva la paura d’impazzire. Si era attaccato in modo morboso al padre per qualsiasi attività dovesse fare. Per esempio  è stato suo il desiderio di rivolgersi ad uno specialista per farsi curare. Ma è il padre che ha chiamato, ha preso appuntamento e parlava per lui durante il primo colloquio.

Sentiva di non farcela più da quando, qualche mese prima, iscrittosi all’università doveva frequentare le lezioni. Contemporaneamente aveva intrapreso una relazione amorosa con una ragazza molto più giovane di lui.

Marco è un ragazzo socievole

Marco è stato adottato all’età di due anni circa. I suoi genitori sono stati ed attualmente sono ancora persone molto protettive, hanno sempre desiderato che il figlio si laureasse.

La madre è un insegnante e il padre, attualmente in pensione, è un ex funzionario presso un ministero. Marco in realtà ha avuto diversi problemi con la scuola. Si è diplomato molto tardi , soltanto dopo aver frequentato una scuola privata.

I genitori dicevano di aver speso molto denaro per questo, comunque non se ne lamentavano. Anzi erano disposti a spendere altro denaro. Ad es . per l’acquisto di una moto dal figlio tanto desiderata, pur di vederlo tornare alla normalità.

Marco desidera  uscire dal disagio

Iniziata la terapia mi rendo subito conto che il paziente è un giovane molto socievole, desideroso di uscire dal suo disagio.

Egli comincia a raccontare i suoi problemi. Espone  così come i fatti causa della sua angoscia avevano a che fare con l’assunzione di responsabilità più adulte. Essi riguardavano  la separazione affettiva dai suoi , vissuta come un abbandono. E a tutto ciò  reagiva con un attaccamento morboso, richiamando così alla memoria un antica situazione affettiva vissuta.

Marco viene a sapere della sua adozione

In realtà Marco aveva saputo per caso, pur avendolo sempre intuito, di essere un figlio adottivo mentre frequentava la terza media.

Allora si limitò a chiederne conferma alla madre e la sua reazione fu di assoluta normalità nel senso che sembrava accettare le spiegazioni e le ragioni di quella situazione date dalla madre.

Marco, però, dimostrò di volersi allontanare di casa immediatamente. Infatti, dovendo frequentare una scuola di grado superiore si trasferì a Roma, per andare a frequentare una scuola di aeronautica come piaceva al padre .

In questo momento il ragazzo vuole accontentare suo padre dimostrando di essere un bravo figlio. Ma lui , in verità, è molto arrabbiato con i suoi. Purtroppo non può dimostrarlo perchè si sentirebbe cattivo e negativo due volte. La prima perchè inconsciamente lo è dato che è stato abbandonato. La seconda perchè non sa essere grato ai genitori che l’hanno accolto, come dovrebbe essere.

Marco inizia a mostrare problemi

Il ragazzo cominciò ad avere problemi di studio che lui attribuiva, infatti, alla sua cattiva volontà e alla voglia di fare niente. Ancora oggi, almeno in parte, questo è il suo atteggiamento verso l’università.

Di fatto, cominciò a fare uso di droghe e a frequentare ambienti pericolosi.

Racconta nel corso della terapia che le prime occasioni in cui ha sentito un forte stato d’ansia fino a spaccargli il cuore, è stato quando una volta, per caso, in metropolitana si trovava con un amico.  Questi, d’improvviso senza che lui ne sapesse nulla, scippò una donna e fuggì via.

Lui rimase fermo lì senza rendersi conto subito della situazione, ma capì in quel momento che rischiava molto se qualcuno si fosse reso conto che lo scippatore era in sua compagnia.

In un’ altra occasione simile, gli fu chiesto di fare il palo all’ultimo momento e non fu capace di tirarsi indietro.

Poi semplicemente evitò l’amico, ma cominciò a vivere pericolosamente per un ragazzo della sua età.

Andò a convivere con una donna più grande di lui per circa tre anni. Assunse l’aspetto di un “metallaro”, che ancora conserva un pò a causa dei piercing e i tatuaggi eccessivi. Ma che attualmente si preoccupa di coprire perchè si vergogna di mostrarli.

Attraverso queste attività si mise in contrasto con i genitori ed i loro rapporti sono diventati aggressivi a volte addirittura violenti.

Il ragazzo   costringe a farsi accettare dai suoi. Questi  invece vorrebbero appunto che lui studiasse. Attraverso una  ribellione inconscia egli  mette in mostra la sua parte cattiva.

Marco viene preso da una improvvisa e forte ansia

Ad un certo punto, però, Marco comincia a sentire a volte improvvisamente una paura improvvisa che non sa spiegarsi. Lui si  vergogna di fronte ai suoi amici che non capiscono. Comincia ad evitare i luoghi affollati. Sente un malessere che non sa definire e che attribuisce all’uso di droghe.

Quindi smette persino di fumare. Ma la paura non passa, sente il bisogno di tornare a casa nella speranza che i suoi lo aiutino.

In effetti, loro, si danno molto da fare e giungono a dare una ragione a questo stare così male di Marco , al quale viene diagnosticata una intolleranza a quasi tutti gli alimenti.

La sua relazione con una giovane ragazza

Nel frattempo si diploma e conosce questa giovane ragazza. A questa  si attacca moltissimo dimostrando una gelosia esagerata. Contrariamente a quanto provava nei confronti della sua convivente. Pensate che persino durante la terapia si scambiano diversi squilli di telefono! Con lei ha un rapporto molto conflittuale. Non riesce a fare a meno di fare cose e raccontarle cose che scatenano la sua gelosia. Come se volesse continuamente provocarla e correre il rischio di essere lasciato.

Lui sa che lei potrebbe lasciarlo e non vuole ma non riesce a fare a meno di farla ingelosire. Si dispiace e si deprime quando lei, per es., piange a causa dei suoi comportamenti. Ma lo stesso non riesce a non raccontargli cose che potrebbe non raccontare. Lui ha necessità quasi ossessiva di farlo rispondendo così ad uno stimolo interiore di pericolo. L’abbandono.

Via via che nella terapia si affrontano tutti i problemi della sua vita di oggi, attraverso le difficoltà che vive.  Marco ha dei ricordi circa la sua sensazione di aver sempre saputo di non essere figlio naturale e circa le emozioni provate nel momento in cui lo ha confermato scoprendolo per caso, che hanno rimesso in atto una sensazione di abbandono già vissuta in modo traumatico molto precocemente vista la tenera età in cui è stato messo in istituto e poi adottato.

Marco proprio martedì scorso ha fatto il suo primo esame all’università con un buon risultato….ma ancora mi fa chiamare dal padre per chiedermi un appuntamento in più in caso di necessità.

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Psicologia finanziaria: come decidono gli investitori

Gli investitori sono degli audaci, amanti del rischio, lungimiranti. Quello che fanno è, in poche parole, rinunciare a spendere i risparmi nel presente, rinunciare a tenerli ben da parte in caso di un’esigenza futura, per spostarli nel tempo tendando di moltiplicare il loro valore.

Investimenti e psicologia : finanza comportamentale

L’ investimento finanziario è un rischio, sì, ma avendo accanto un buon consulente questo rischio può essere ridotto ai minimi termini. Come? Conoscendo molto bene le tecniche finanziarie, i mercati, i bisogni del cliente, ma soprattutto i processi psicologici che guidano i comportamenti degli investitori.

Sono talmente importanti le motivazioni, le emozioni e le aspettative degli investitori, che i ricercatori – tra cui Psicologi ed Economisti – da molti anni studiano le variabili che influenzano il comportamento dell’investitore finanziario. E’ nata cosìla disciplina della Finanza Comportamentale.

Diversi studi in psicologia hanno dimostrato inoltre che le persone raramente vedono il rischio come qualcosa di oggettivo e misurabile (Mertz, Slovic e Purchase, 1998; Slovic, 2000). Quindi per gli investitori sarebbe impossibile valutare solo da un punto di vista matematico l’entità del rischio, senza ricorrere a ragionamenti soggettivi e personali.

La finanza comportamentale è la psicologia delle scelte e della gestione del risparmio.

Finanza comportamentale

Chi ha detto che il linguaggio dei mercati è fatto solo di numeri, cifre numeriche? Sfatiamo un mito! Alcuni ricercatori hanno dimostrato che è proprio questo il settore in cui vi è un’alta mancanza di razionalità nel prendere decisioni. Basti pensare che proprio l’andamento dei mercati viene descritto utilizzando termini come ‘depressione’, ‘euforia’, ‘irrazionalità’ o ‘disillusione’ (Shiller, 2000).

La finanza comportamentale permette di scoprire gli errori che ci fanno perdere denaro.

L’utilizzo dei test presuppone quindi la somministrazione, la siglatura e la stesura di una relazione finale diagnostica basata sull’interpretazione della batteria di test. Questo è  utile per individuare  le parti sane di un individuo. E sia le aree di conflitto o problematiche e per organizzare un piano terapeutico mirato ed individualizzato. 

Sentimenti , emozioni , comportamento degli investitori 

Sembrerà assurdo a qualcuno, ma i mercati finanziari sono una delle aree professionali in cui è maggiore l’influenza delle emozioni nel prendere decisioni. Gli investitori discutono di numeri, cifre grandi o piccole, ragionano con le calcolatrici e computer. Ma sono le emozioni che guidano i loro comportamenti. Proprio a causa della forte incertezza che contraddistingue i mercati. La psicologia della decisione e la psicologia finanziaria ed economica hanno dimostrato che esistono dei processi mentali. Questi processi  cognitivi  intervengono in modo sistematico nel momento in cui gli investitori devono prendere una scelta. Ad esempio, gli individui non sempre agiscono in modo razionale. Quasi sempre, vengono influenzati dalle proprie esperienze passate, dalle loro credenze, dal contesto e anche dal modo in cui gli vengono presentate e fornite le informazioni (Kahneman e Tversky, 2000).

Come si prendono le decisioni di investimento ?

Il mercato è un ambiente spesso caotico con una quantità di informazioni illimitata, e l’investitore deve prendere la decisione migliore e meno rischiosa nel più breve tempo possibile. Come fa? Semplificando le informazioni ricevute, eliminandone una parte. Quindi, nel momento in cui deve fare una valutazione delle informazioni, l’investitore non applica sempre un ragionamento “matematico”, ma è come se ad ogni informazione assegnasse un valore affettivo che può variare da molto positivo a molto negativo.

Facciamo un altro esempio su come gli investitori prendono decisioni non tanto sulla base di ragionamenti razionali, ma facendo riferimento – inconsapevolmente – alle emozioni. Due studiosi di psicologia finanziaria  (Shapira e Venezia) negli anni 2000 hanno dimostrato che gli investitori professionali si comportano diversamente a seconda di come hanno chiuso le contrattazioni nel giorno precedente. Vengono quindi influenzati dall’euforia o dalla tristezza o anche dalla rabbia. Se l’investitore ha perso tanto, allora il giorno successivo si adopererà per fare un alto numero di scambi. Se invece non ha perso o ha guadagnato, il giorno dopo assumerà un comportamento meno rischioso facendo meno scambi.

Come si deve comportare l’investitore finanziario ?

Chi vuole intraprendere questa professione può scegliere di avere al suo fianco altri professionisti come consulenti o psicologi esperti in materia di psicologia finanziaria, per conoscere tutti i meccanismi che guidano le decisioni e i comportamenti finanziari. Inoltre, conoscere se stessi, il proprio modo di reagire a dei fallimenti o alle vittorie, può essere molto utile per riuscire ad affrontare decisioni importanti e decisive in un mondo così complesso come quello dei mercati finanziari.

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Ansia: cos’è e quando bisogna curarla.

 E’ uno stato mentale

L’ansia è uno stato mentale che fa parte dell’esperienza comune dell’essere umano, ma quando comporta un peggioramento dello stile di vita di chi la prova può andare a configurare un quadro patologico e rendere necessaria una terapia dell’ansia. Il disturbo di ansia sociale è un tipo di ansia ancora più marcata , che ha luogo nell’individuo in un contesto sociale. L’ansia generalizzata è quella che non è relativa ad un motivo specifico ma generale a molteplici e non circoscrivibili circostanze.

E’ diversa dalla paura

E’  quello stato d’animo che proviamo quando sappiamo di andare incontro a un pericolo inevitabile. Può essere assimilata anche alla paura di uno stimolo non ancora presente, ma atteso nel prossimo futuro. Per questo motivo viene anche detta “ansia anticipatoria”. Spesso si parla di ansia e depressione come due sintomi spesso assieme.

Sembra rispondere a delle precise variabili ambientali:

  • la gravità del pericolo
  • la probabilità che esso si verifichi

ed individuali:

  • la capacità di sopportare
  • la percezione di poter rimediare.

Si distingue dalla paura, in quanto lo stimolo ansiogeno non è fisicamente presente.

Più importante è qualitativamente diversa dal panico, poiché mancano i tipici pensieri di morte o perdita di controllo.

Quando  diventa patologica

L’inquietudine è quindi comune nella vita quotidiana di chiunque debba rispettare delle scadenze o affrontare una valutazione. Ma quando si trasforma invece in patologia? Quando si può parlare di ansia forte ?

Il DSM5 come sempre ci viene in soccorso elencando una serie di criteri diagnostici.

Il problema è che la categoria dei disturbi d’ansia è molto vasta e raccoglie al suo interno un lunga serie di disturbi.

Le caratteristiche comuni comunque sono due:

  • il soggetto deve provare senso di apprensione, in qualche situazione specifica o aspecifica
  • quest’apprensione deve causare disagi importanti nella sfera sociale, lavorativa e/o privata del soggetto.

Risulta da quest’ultimo punto come la differenza fra fisiologia e patologia risieda nelle ripercussioni sulla vita del soggetto. In questi casi necessaria una terapia dell’ansia.

I disturbi nel DSM5

I disturbi d’ansia classificati nella quinta versione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali sono:

  • Disturbo d’ansia da separazione
  • Mutismo selettivo
  • Altro Disturbo d’ansia specifico
  • Fobia Specifica
  • Ansia sociale
  • Disturbo di panico
  • Agorafobia
  • Disturbi d’ansia generalizzato
  • Disturbo d’ansia da condizione medica
  • Disturbo d’ansia non altrimenti specificato

Il Disturbo ossessivo-compulsivo e i disturbi stress correlati (disturbo post-traumatico da stress e disturbo da stress acuto), che nel DSM-IV-TR rientravano nel gruppo dei Disturbi d’ansia, in questa nuova versione del DSM sono classificati in altre sezioni.

Ciò riflette la necessità di porre particolare accento sugli aspetti che distinguono questi disturbi da quelli d’ansia e di rendere più simile la classificazione americana a quella dell’ICD (Classificazione Internazionale delle malattie e dei problemi correlati, proposta dall’OMS).

Terapia dell’ansia

Le patologie legate al vissuto ansioso possono essere ricondotte a una o più delle variabili a cui questa sensazione fa capo. Ma quali le cura dell’ansia, quali i rimedi dell’ansia ?

Come detto precedentemente se dovessimo illustrarla con una formula matematica, l’ansia sarebbe all’incirca uguale a:

formula matematica

Ovviamente il compito della psicoterapia sarà quello di lavorare sulla percezione che il soggetto ha di questi dati e sullo sviluppo di nuove strategie di coping, qualora il valore discriminante fosse la capacità carente di far fronte allo stimolo ansiogeno.

In combinazione con la psicoterapia ossia una terapia dell’ansia a livello psicologico il soggetto ansioso può essere sottoposto a una terapia farmacologica, che prevede l’uso di ansiolitici e/o antidepressivi SSRI.

Conclusioni

Vista la tendenza dei soggetti ansiosi a evitare lo stimolo ansiogeno, i disturbi d’ansia possono rivelarsi molto invalidanti. Per questo la terapia deve essere mirata, almeno in un primo stadio, a restituire al paziente la capacità di vivere una vita soddisfacente.

Se anche tu soffri d’ansia e non vuoi più rinunciare a vivere la tua vita contatta subito la dottoressa De Michele attraverso il modulo di contatto per iniziare un percorso di psicoterapia.

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: La psicologia dell’ansia (dal Seminario ad Avezzano, 25 maggio 2005).

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Gelosia svantaggio o risorsa per la vita coniugale?

La gelosia è un’emozione secondaria che affonda le sue radici evolutive nell’antichità. Il suo valore per la sopravvivenza in una specie i cui cuccioli hanno bisogno delle cure di entrambi i genitori è innegabile. A seguito degli stravolgimenti culturali occorsi negli anni della liberazione sessuale ci si interroga, però, sulla sua influenza sui moderni rapporti di coppia.

Il caso

“Carla” è sposata da un anno e non si sente soddisfatta dal punto di vista sessuale. Non trova il coraggio di parlarne con suo marito “Piero”, temendo di essere giudicata una donnaccia. “Piero” è sempre stato molto geloso, persino degli sguardi di uomini che lei non ha mai notato.

La gelosia è svantaggio…

Nell’esempio riportato è evidente come una gelosia eccessiva possa danneggiare il dialogo fra partner e rappresentare così uno svantaggio.

“Carla” riporta casi in cui suo marito è stato geloso di situazioni in cui non sussisteva un motivo oggettivo. Questo può rappresentare un caso di “gelosia patologica” che nasce nella mente di “Piero” senza alcun riscontro nel mondo reale.

L’eccessiva possessività di “Piero” influenza negativamente la sicurezza di “Carla”, che non se la sente di esternare la sua insoddisfazione.

Il deficit di comunicazione che ne scaturisce potrebbe avere conseguenze nefaste sull’intero rapporto.

… o risorsa

La gelosia non è sempre negativa. Come anticipato nell’introduzione, infatti, essa ha un valore evolutivo fondamentale.

Quando nasce dalla volontà di non dare mai per scontato il nostro rapporto. Inoltre, questa emozione ha una forte connotazione positiva. Ci spinge a corteggiare continuamente il partner per non rischiare di perderlo. Ci costringe a metterci costantemente in discussione per non dover rinunciare al nostro bene più prezioso.

Due facce della stessa medaglia? Forse no

Esistono quindi due tipi di gelosia:

  • 1) una che distrugge l’immagine che l’amato ha di sé e del partner e impedisce di vivere il rapporto a cuor leggero
  • 2) l’altra che fa rifiorire continuamente il rapporto attraverso il timore di perdere l’altro

Spesso si sente dire che nel primo caso il problema risiede nella quantità di gelosia. La verità è che c’è una differenza qualitativa fra la gelosia di primo e di secondo tipo e che non sono, quindi, due risvolti della stessa medaglia. E’ inoltre doveroso ricordare che non sembrano esserci differenze tra i sessi rispetto all’intensità della gelosia. Esiste però certamente una diversità rispetto ai comportamenti associati.

Conclusioni

Come tutte le emozioni umane la gelosia ha un’importante funzione per la nostra sopravvivenza e non ha sempre un’accezione negativa. Quando la gelosia di uno dei partner diventa troppo invadente, però, il rapporto può prendere una brutta piega.

Vale la pena spendere due parole in più sul caso di “Carla”. La sua insoddisfazione potrebbe dipendere da svariati fattori tutti meritevoli di attenzione, anche se in questa trattazione ci si è concentrati maggiormente sull’incapacità comunicativa nei confronti di “Piero”.

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: Tradimento e Gelosia : Il caso di Elena.

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