Categoria: <span>rabbia</span>

cervo ferito paura rabbia aggressività

Paura, rabbia, aggressività e Coronavirus

In questo particolare momento storico che il genere umano si trova costretto ad affrontare, l’attenzione è rivolta all’emergenza Coronavirus spesso in un clima di paura, rabbia ed aggressività crescente.  Agli effetti consequenziali della pandemia ed ai notevoli mutamenti sul piano emozionale di cui essa è portatrice.

È oramai assodato che la situazione Covid-19 ha lasciato e continua a lasciare segni profondi sulla psiche e sul modo di vivere delle persone. Sul loro essere, come individui sociali e come singoli. Innescando reazioni psicopatologiche che potrebbero permanere anche quando la situazione sarà superata.

La paura degli untori

Diverse sono state le sfumature osservabili in questo periodo così caotico e disorientante. Primo fra tutti l’aspetto misantropico, ovvero l’atteggiamento di quasi disprezzo e mancanza di fiducia nel genere umano, caratterizzato dall’isolamento sia materiale che morale. Ciò che a tratti si è manifestato sotto forma di un razzismo sconfinante nell’odio verso il prossimo, più precisamente verso i cosiddetti “untori”:

L’altro diverso da sé viene oramai percepito come un pericolo.

Conducendo un’analisi accurata del fenomeno sul piano emozionale, si può osservare che una delle maggiori cause all’origine dei comportamenti disfunzionali è stato il passaggio repentino da una routine movimentata, caotica, al passo con una società altrettanto veloce ed esigente. Al dover restare obbligatoriamente in casa, fatta eccezione per le strette necessità, come l’andare in farmacia oppure a fare la spesa. In modo da evitare gli assembramenti e rinunciando, quindi, all’aria aperta in compagnia e ad ogni forma di contatto fisico.

La restrizione e la convivenza forzata

Si è passati dall’essere individui liberi, senza alcuna restrizione, ad una convivenza forzata, anomala e senza precedenti. Questo ha avuto conseguenze allarmanti sul singolo e ripercussioni sulle relazioni tra le persone conviventi.

Sono aumentati i problemi di coppia, poiché l’invasione dello spazio più intimo della persona o la paura di perdere il lavoro, portatore dell’affermazione del sé, hanno condotto inevitabilmente ad incomprensioni continue.  Queste hanno creato conseguenze emozionali inibitorie, inoltre sono aumentate le problematiche legate alla gestione dell’ansia e dello stress.

A seguire, l’influenza mediatica, con la divulgazione di notizie allarmanti e a volta discordanti, il terrore del contagio, la disinformazione e l’isolamento forzato hanno contribuito ad incrementare una forma d’isteria collettiva, dettata dal non sapere e dal sentirsi persi ed in gabbia.

Coronavirus è  importante emergenza psichiatrica: la paura

Osservando da vicino le emozioni emergenti maggiormente riscontrate, prima fra tutte c’è la paura. Questa generalmente non è definita come proprietà negativa della persona, bensì come emozione primaria utile, imprescindibile, con funzione adattiva per l’essere umano.

La paura appare come potente meccanismo autoprotettivo, una risposta di difesa, che, attivando specifici sistemi organici, dà luogo ad un determinato comportamento, identificato come reazione di evitamento e fuga.

La paura funziona bene se è proporzionata al pericolo, se protratta nel tempo ed ingigantita da pensieri disadattivi, potrebbe diventare un apprendimento strumentale. Una tendenza a sovrastimare il fenomeno e a generalizzare la portata del pericolo.

L’ansia , l’angoscia, il panico

In questo scenario dove la rappresentazione soggettiva della realtà è caratterizzata da immagini e pensieri ricorrenti di fronte alla minaccia incombente del Covid-19, la paura si trasforma e può degenerare in ansia, allarmismo e panico.

Le persone si sentono vulnerabili e quindi impotenti, insicure, irrequiete, spesso in preda ad un senso di perdita, smarrimento.

Quest’emozione primaria con funzione adattiva può così tramutarsi in angoscia. Un sentimento che tende ad insorgere proprio quando i valori individuali si presentano fragili, incoerenti con il concetto di esistenza stessa. Questa condizionata da conflitti interni ed esterni, e quindi con il concetto di benessere della persona.

Anche i cosiddetti “pantofolai”, ovvero i soggetti più introversi o solitari, nonostante la maggiore elasticità nell’adattamento e la capacità di equilibrio nel superare le limitazioni forzate sono esausti. Dopo oltre un mese dalla prima ordinanza emanata, risentono della reclusione, non trattandosi più di una libera scelta ma di un’imposizione. Perché l’uomo di per sé è un essere sociale e, come tale, ha bisogno del contatto con gli altri per vivere bene ed in modo equilibrato.

Si sono palesati maggiormente a rischio gli individui più fragili mentalmente, affetti già da psicopatologie o inclini a processi cognitivi disfunzionali come il rimuginio. Vale a dire tutte quelle persone con problemi di gestione dell’ansia, stati depressivi, disturbo post traumatico da stress, attacchi di panico, stati maniacali.  Problematiche queste legate alla paranoia, alla malinconia, alla solitudine e con disturbi di tipo ossessivo compulsivo.

L’insorgere della rabbia ed aggressività

Un ulteriore importante aspetto su cui soffermarsi è la rabbia,  altra emozione primaria istintuale a valenza negativa. Essa, come la paura, ha una funzione adattiva che risiede nell’istinto del soggetto di difendersi dalla minaccia.

Per la maggior parte delle teorie, la rabbia rappresenta la tipica reazione alla frustrazione e alla costrizione, sia fisica che psicologica. E’ una risposta ad uno stimolo che viene percepito ed interpretato dall’individuo come ingiusto e provocatorio, quest’esperienza vissuta viene descritta dal soggetto spesso come sgradevole e problematica.

Più in generale, l’emozione della rabbia può essere quindi definita come la reazione che consegue una precisa serie di eventi.  In una situazione di isolamento e restrizione come quella che dai primi giorni di Marzo si sta vivendo a livello internazionale, il distress e le scarse strategie di coping giocano un ruolo primario nelle manifestazioni d’ira e collera.

Spesso nella quotidianità il termine rabbia e quello di aggressività vengono utilizzati in modo interscambiabile, ma non sempre coincidono. Ciò perchè  il primo termine si riferisce ad uno stato emotivo, mentre il secondo, facendo riferimento all’aggressività ostile. Questo è un comportamento risultante dalla collera, volto all’etero o all’autodistruzione, potendo esitare in atteggiamenti devianti evidenti.

Quando si può perdere il controllo

L’emozione dell’ira, sia che sfoci in azioni aggressive, sia che permanga a livello soggettivo come esperienza emotiva, duratura e persistente, si associa spesso a conseguenze avverse. L’esempio più drammatico delle conseguenze negative della rabbia, del risentimento e della paura è la violenza. Questa va  intesa come tendenza all’azione, sia essa diretta verso se stessi o verso l’altro diverso da sé.

Le persone irritate e frustrate sono più irrazionali e propense ad esercitare una scarsa capacità di giudizio, di conseguenza sono propense a comportarsi in modo rischioso ed imprevedibile.

Si pensi a come vive nel contesto di restrizione ed isolamento sociale chi è incline a stati isterici, non conforme, quindi, a seguire le regole. Tali individui sono  esposti alla perdita di controllo e ad attacchi di aggressività e violenza, che, in una situazione come quella attuale, possono amplificarsi e diventare innumerevoli. È ancor più dura per chi ha problemi di dipendenza, dall’alcool, all’abuso di sostanze stupefacenti fino a giungere alla ludopatia o ad altre new addictions. Ciò poiché l’effetto della quarantena potrebbe portare ad un peggioramento della condizione patologica e gravare inevitabilmente sul rischio di ricaduta. E  proprio perché aumenta la sensazione di perdita di controllo ed i conseguenti comportamenti disfunzionali di compensazione.

… E Confluiscono nella violenza domestica

Prosperano la frustrazione, la rabbia, l’insofferenza e crescono statisticamente i casi di violenza domestica.

Di solito l’atteggiamento aggressivo, pensato anche come risultante dell’alto livello di testosterone, pur subendo l’influenza di diversi fattori, tra cui l’esperienza personale ed il contesto sociale di riferimento, è associato soprattutto al genere maschile.  I casi che si vengono a manifestare ogni giorno ne danno la conferma. Secondo quanto riportato nell’articolo di The Post Internazionale Srl (TPI.it), del 16 Aprile 2020, i casi di violenza di genere sul territorio italiano sono aumentati del 74,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Dal 2 Marzo al 5 Aprile sono state 2.867 le donne che hanno contattato i centri antiviolenza Donne in Rete (D.i.re.), di cui 806 non avevano mai fatto prima una richiesta di supporto, a conferma di quanto la convivenza forzata abbia ulteriormente intensificato le situazioni maltrattanti che le vittime si trovano costrette a vivere.

Le donne maltrattate in dipendenza affettiva

Ciò non considerando il numero esponenziale di donne che, invece, non denunciano, che subiscono abusi e violenze in una dimensione di totale dipendenza affettiva, tipica della coppia patologica. Tali donne vivono in una condizione di sottomissione al partner, nel terrore di essere abbandonate e di rimanere sole. Va reso noto però che la violenza non è un unidirezionale, anzi, al contrario, viene presentata come un fenomeno trasversale e marcatamente diffuso. Anche le donne, se pur in forma ridotta, possono manifestare aggressività e possono violentare, in maniera più subdola, i propri compagni. Ne è un esempio la violenza psicologica, di cui sono vittime circa 5.000.000 di uomini ogni anno.

Molti mariti, succubi delle proprie mogli, vengono denigrati, umiliati davanti ai propri figli ed occasionalmente anche aggrediti fisicamente con schiaffi, graffi o morsi. Semplicemente non se ne parla. Dunque, in termini di manifestazioni di violenza, le differenze di genere vanno ad attenuarsi, soprattutto in presenza di una situazione causa di stress o provocatoria, come la restrizione o l’isolamento sociale.

Il ruolo dello psicologo

In un contesto emergenziale come quello attuale, il ruolo dello psicologo resta quello di offrire ascolto, consulenza, rispetto, accoglienza e soprattutto comprensione ed empatia.

L’obiettivo è creare una relazione di fiducia con chi fa richiesta di supporto psicologico, è importante abbattere le barriere che si frappongono tra chi aiuta e chi è aiutato, per guidare il paziente verso il proprio benessere psicofisico.

La terapia online segue le stesse regole del classico percorso terapeutico, ma naturalmente le dinamiche cambiano, prima fra tutte c’è la modificazione del setting. Si è passati dal vis a vis psicologo-paziente ad un confronto filtrato dallo schermo. La relazione terapeutica manca della presenza fisica dei due interlocutori e viene effettuata in uno spazio virtuale, veicolata da strumentazioni tecnologiche.

Skype, WhatsApp ed altre app con finalità simili diventano il nuovo setting all’interno del quale lavorare.

Problematiche della psicoterapia on line

Questi cambiamenti hanno portato molte problematiche. Prima fra tutte la mancanza di privacy. Diversi pazienti hanno abbandonato i rispettivi precorsi terapeutici, temendo di essere ascoltati durante gli incontri dai familiari o conviventi. Altri, a causa delle difficoltà finanziarie legate al lockdown nazionale, non hanno voluto proseguire con le sedute, per risparmiare ed affrontare il momento critico. Altri ancora non hanno riposto fiducia nella buona riuscita della nuova modalità online.

D’altro canto, nonostante i dati d’abbandono, c’è invece chi ha avvertito l’effettivo bisogno di un supporto psicologico, per fronteggiare al meglio l’emergenza, la reclusione e la gestione emozionale. Usufruendo così di tutte le risorse messe a disposizione dal sistema.

Le iniziative di cura e tutela online

A tal proposito, il Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi (Cnop) ha promosso le iniziative #psicologionline e #psicologicontrolapaura, attraverso cui si può prenotare un tele-consulto sul territorio regionale, per via telefonica o in videochiamata.

La Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva (SITCC) ha creato, attraverso il progetto “Amicopsicologo”, una rete di sostegno online. La Società psicanalitica italiana (Spi), invece, ha messo a disposizione un servizio di ascolto e consulenza di psicologia psicanalitica gratuito.

Inoltre, sempre il Cnop ha messo a disposizione un servizio  d’aiuto e d’orientamento psicologico, a portata di tutti i cittadini, fornendolo anche alle farmacie, questo prevede indicazioni per prevenire e gestire l’ansia e pratiche per affrontare l’emergenza e le situazioni stressanti.

Per quanto riguarda la violenza domestica è stata lanciata anche una campagna informativa sui social dal ministro alle Pari Opportunità e alla Famiglia Elena Bonetti con l’intento di rassicurare le vittime ed informarle che i centri antiviolenza e le case rifugio sono sempre attivi e si sta contribuendo anche ad ampliare il numero di nuovi alloggi, richiesta sollecitata dall’associazione Donne in Rete (D.i.re).

Dunque, attraverso un approccio psico-educativo, veicolato da smartphone, PC o tablet, e il più possibile vicino alle esigenze delle persone. L’obiettivo generale è quello di evitare che le paure diventino panico e contribuiscano all’aumentare dello stress e dei consecutivi comportamenti distruttivi e disfunzionali.

La resilienza.

Un aspetto chiave su cui bisogna lavorare, per fronteggiare le emozioni primarie a valenza negativa, di cui si è parlato precedentemente,  per evitare l’incremento di aggressività e forme di violenza, è la resilienza. Questa va intesa come adattamento alle avversità e quindi come la capacità di opposizione alle pressioni provenienti dall’ambiente.

La resilienza implica una serie di pensieri, atteggiamenti e comportamenti che possono essere appresi, sviluppati e migliorati in base al cambiamento di ogni persona. E’ una funzione psichica che si modifica con il tempo in rapporto all’esperienza, ai fattori emozionali e familiari, al bagaglio personale, ai fattori di sviluppo e al cambiamento degli schemi mentali.

Essere resilienti non vuol dire non provare emozioni negative quali rabbia, paura e tristezza, al contrario vuol dire saperle riconoscere per accoglierle, accettarle ed andare avanti. Si possono controllare ed incoraggiare l’impegno, il controllo e l’assertività, bisogna essere consapevoli di sbagliare.  Poter modificare quel comportamento che porta all’errore, bisogna essere disposti al cambiamento per vivere in modo più equilibrato.

La resilienza delle persone in psicoterapia

Si sta dimostrando, infatti, che le persone già inserite in percorsi di psicoterapia, con una maggiore consapevolezza di sé e con maggiori capacità di riorganizzazione positiva della propria vita, si sono palesate ancor più resilienti. Esse sono  pronte ad affrontare il futuro in un’ottica di dignità della persona e di rispetto del prossimo, facendo appello all’altruismo come valore del singolo inserito nel contesto sociale.

Bisogna lavorare sull’autocontrollo, sulla competenza sociale e comunicativa e sulla fiducia nelle proprie capacità. Solo così si può imparare a gestire al meglio tutte le emozioni che continuano ad affiorare in questo particolare momento critico. A tramutarle in energia positiva da investire nelle attività quotidiane o ricreative.

Bibliografia

• Bagnato K. “Aggressività e intelligenza emotiva: quale relazione?”, Pensa MultiMedia Editore srl, ISSN 2038-9748, Giornale Italiano della Ricerca Educativa, anno VI – n. 10, 2013.

• Mondani M. “Percorsi di criminologia”, 2011, Libreriauniversitaria.it edizioni, ISBN 9788862921633.

A cura della Tirocinante Gina Ragusa – Tutor Dott.ssa Floriana De Michele

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: Prevenzione della Violenza Domestica : Ruolo del consultorio.

Chiamami con Whatsapp

rabbia

Rabbia: Fuoco dell’anima. Caso clinico 2.

Rabbia: Fuoco dell’anima. Caso Clinico 2, dal Seminario del 7 maggio 2006

Come sempre, da qualche anno a questa parte, questo momento del seminario, è un’importante occasione per me di riflessione ed approfondimento teorico di problematiche che maturano o si sviluppano nell’ambito della pratica clinica e, perciò, lo dedico ai miei pazienti , che ringrazio molto per l’aiuto personale che loro danno a me.

In questo seminario in particolare ho voluto affrontare il tema della “Rabbia”, perché molti dei miei pazienti soffrono per essa: per quella che li sommerge con la sua forza (caso n.1), ma soprattutto quella che non è espressa ( caso n.2).

La rabbia “E’ un segnale emotivo istintivo che si genera in noi ogni volta che qualcuno o qualcosa invade il campo invisibile del nostro equilibrio psicologico e ci fa sentire attaccati nel profondo del nostro Sé ”. ( M. Morganti ).

Caso 2: M.R. e l’angoscia narcisistica

M.R. è un giovane uomo di 29 anni. Persona dall’aspetto tranquilla e curata, di bell’aspetto anche se un po’ su di peso. Lavora par-time presso un azienda e studia scienze investigative all’università. Viene in terapia non per un reale bisogno (dice lui), ma perché vuole capire alcuni aspetti della sua personalità, stimolato da una lezione di psicologia dinamica all’università. In questo momento della sua vita è innamorato e fidanzato con una ragazza, studentessa pure lei. Il problema sta nel fatto che lui non ha fiducia in questa ragazza, nonostante non ci fosse alcun motivo di dubitare di lei, M.R. pensa che possa tradirlo, che prima o poi sicuramente lo farà! Bisogna dire che prima di fidanzarsi con lei qualche difficoltà l’ha avuta perché lei faceva un tipo di vita un po’ “sregolata” essendo la sua famiglia non molto dignitosa: i suoi erano separati e suo padre oltre ad avere problemi psichiatrici aveva anche problemi con la giustizia.

Per certi versi lei rappresentava il suo opposto! M.R. si preoccupava di come potevano reagire i suoi familiari a questo fidanzamento. Lui è sempre stato bene in casa e non voleva dare problemi.

M.R. è il terzo figlio di un poliziotto molto geloso della moglie e di una madre molto infantile, che si lamenta sempre, ma due genitori molto bravi e attenti alle esigenze dei figli , fin troppo, al punto che “non ti fanno muovere per paura che possa succederti qualcosa “… dice M.R.. Il fratello piu grande è diventato poliziotto come il padre ed anzi il padre lo ha aiutato per questo, M.R. non ci riesce , viene scartato in due concorsi. Veramente, non riesce nemmeno ad arruolarsi nei paracadutisti perché ha paura di lanciarsi col paracadute nonostante lo abbia desiderato tanto e non riesce nemmeno a prendere il diploma di scuola superiore prima del militare! Eppure anche studiare gli piaceva tanto e non sopportava l’idea di non aver almeno un diploma, come suo padre e suo fratello ! Farà queste cose successivamente perché il paziente è motivato da una grande volontà di migliorarsi e questo è ciò che lo porta anche in terapia!

Di suo padre dice che è un uomo insopportabile perché ha sempre ragione lui e non dà mai la soddisfazione di riconoscere ai figli una qualsiasi cosa. Della madre dice che è una povera donna che ha dovuto sopportare il marito geloso e perciò non la faceva muovere così l ei ha riversato tutte le attenzioni sui figli, ma lo giustifica sempre agli occhi dei figli pur lamentandosene continuamente, soprattutto col paziente che invece è una persona comprensiva ed equilibrata, che tiene molto al dialogo. Queste caratteristiche gli vengono riconosciute da sempre anche dal gruppo di amici che lo hanno come riferimento (organizza vita del gruppo).

Un buon rapporto psico-terapeutico

Con me M.R. stabilisce subito un buon rapporto, comincia ad affrontare le cose piano piano , ma già dopo alcune settimane di terapia invita la sua ragazza a casa e inizia questo fidanzamento con molta gioia. Comincia a confrontarsi più direttamente col padre opponendosi a lui qualche volta anche se molto ragionevolmente e comincia a fare richieste affettive alla madre.

Al rientro delle ferie pasquali, durante le quali mi chiama per accertarsi dell’appuntamento successivo, a soli tre mesi dell’inizio della terapia , M.R. porta questo sogno: passeggiavo in bicicletta quando davanti a me compare una scena orribile: un coniglietto bianco è aggredito, azzannato al collo da due faine. Io mi sono subito fermato per aiutare il coniglietto e le faine, vigliacche, appena mi hanno visto sono fuggite . Io allora ho preso il coniglietto che respirava ancora e l’ho portato da Federica un amica della mia fidanzata in quanto una volta la mia fidanzata mi aveva detto che la sua amica si prendeva cura degli animali abbandonati e feriti. Stranamente Federica però era lei ( cioè io la terapeuta) che per curare il coniglietto lo doveva mettere sulla sua scrivania . La cosa che devo dirle anche essendone imbarazzato, è che lei ha dovuto togliere dalla scrivania biancheria intima femminile, per poterci poggiare su il coniglietto. Nel fare questo però lei non era più lei ma la mia fidanzata!

La rabbia: precursore dell’odio

L’odio deriva dalla rabbia, l’affetto in cui spesso viene canalizzata la pulsione aggressiva, e che spesso si manifesta attraverso comportamenti violenti contro il Sé o contro l’Altro. Otto Kernberg (1992) definisce l’odio come “l’affetto nucleare di gravi stati psicopatologici, in particolare i gravi disturbi di personalità, le perversioni e le psicosi funzionali”. Talvolta, infatti,l’odio può essere talmente forte da oscurare gli altri affetti legati all’aggressività, quali l’ invidia e il disgusto. E’ proprio questo il processo che si è osservato nel caso di M.R. e nel sogno riportato il paziente si rappresenta a livello simbolico istintuale come un coniglietto che viene azzannato al collo dalle due faine (la coppia genitoriale).

Come ci insegna Kernber, con la sua revisione della teoria psicoanalitica delle pulsioni, la struttura della personalità si costruisce attraverso delle unità di base fatte dal Sé, dall’altro e dall’affetto che li unisce, che viene chiamata diade relazionale oggettuale. Nel corso dello sviluppo individuale si costituiscono le molteplici diadi relazionali interiorizzate con il succedersi delle esperienze affettive più o meno intense e in base alla presenza dei bisogni e alla possibilità della loro soddisfazione che conduce al piacere, o insoddisfazione che conduce al dolore.

La rabbia si manifesta nel bambino con una funzione biologica specifica:segnalare al caregiver uno stato di disagio al fine di sollecitare l’eliminazione di una fonte di dolore o di irritazione. Successivamente la sua funzione si evolve nell’eliminazione dell’ostacolo alla gratificazione, così l’originaria funzione biologica si trasforma nella ricerca della gratificazione stessa. In una fase ancora più avanzata avviene un ulteriore cambiamento e la rabbia può rappresentare il disperato tentativo di ristabilire il senso di autonomia minacciato dagli eventi frustranti.

A livello inconscio, come ci ha mostrato il sogno di M.R., la rabbia è legata alle rappresentazioni di relazioni oggettuali buone e cattive, e la sua funzione può essere quindi interpretata come il tentativo di ripristinare una relazione oggettuale completamente buona e di sopprimere quella cattiva persecutoria. In altre parole la rabbia è un atto di autoaffermazione che rappresenta l’identificazione con un oggetto buono idealizzato e pertanto agisce col fine di ristabilire l’equilibrio narcisistico. Quando, però, il tentativo fallisce cosa succede?

La dinamica dell’Odio

Ognuno di noi nella vita può fare l’esperienza di provare un odio profondo per qualcuno! L’odio è un affetto aggressivo complesso, cronico e stabile che implica forti razionalizzazioni e distorsioni delle funzioni dell’Io e del Super-io. Il suo scopo primario consiste nella distruzione dell’ oggetto esterno, rappresentazione di una fantasia inconscia. L’odio non sempre è patologico, esso infatti, qualora risponda ad una reale minaccia di distruzione fisica o psicologica, o di sopravvivenza di se stessi o di altri significativi, diviene una normale elaborazione della rabbia. Quando, però, vi è una predisposizione caratteriale cronica all’odio esso riflette sempre la psicopatologia dell’aggressività, ed implica comportamenti aggressivi verso il Sé, identificato con l’oggetto odiato, come il suicidio, e verso l’altro come l’omicidio (che mira all’eliminazione dell’oggetto stesso) o tendenze sadiche (che tendono a mantenere una relazione con l’oggetto di tipo onnipotente: vittima-aggressore). E’ questo il caso di individui che presentano una sindrome di narcisismo maligno. Fondamentale per quel che riguarda la psicodinamica dell’odio è il grado di integrazione del Super-io: soggetti che presentano un Super-io scarsamente integrato sono più inclini a commettere azioni aggressive violente.

Il reato criminale nasce come angoscia narcisistica

In soggetti con una grave patologia narcisistica diviene essenziale comprendere come l’odio origini da ciò che Melanie Klein (1957) definì “invidia dell’oggetto buono”.

A livello superficiale l’odio per l’oggetto invidiato viene razionalizzato nella paura del potenziale distruttivo dell’oggetto, derivato sia dalla reale aggressione inflitta nel passato, sia dalla proiezione delle propria rabbia e del proprio odio.

Le strutture narcisistiche sono dominate da disturbi caratterizzati da angosce e temi di tipo pre-Edipico, profonde ed esistenziali, che originano da livelli arcaici e primitivi dello sviluppo libidico e pulsionale dell’individuo, che possono essere, per esempio, la perdita dell’oggetto d’amore (ansia di separazione), l’angoscia persecutoria e l’angoscia di disintegrazione.

Ferite narcisistiche, provocate da frustrazioni ambientali (relazionali e non) provocano il riemergere di queste angosce arcaiche e primitive che irrompono nell’individuo e che possono portare ad un episodio psicotico o alla frammentazione del Sé (psicosi conclamata di tipo depressivo) e quindi a comportamenti istintuali e pulsionali non più mediati da strutture quali Io e Super-io. E’ proprio questo il passaggio all’interno del quale può collocarsi il fatto reato, in cui un’azione criminale che trae origine dalla pulsione aggressiva sollecitata da una ferita narcisistica, può rappresentare un tentativo di fronteggiare l’angoscia profonda di frammentazione del Sé, ed un tentativo di affermarsi, di sentirsi vivo e di poter dire “esisto ancora”.

A cura della Dott.ssa Floriana De Michele

Psicologa Psicoterapeuta

Se hai trovato interessante l’articolo o se vuoi contattarmi per un consulto, un incontro o una psicoterapia compila il form oppure clicca il bottone ‘whatsapp’ ?

Puoi leggere anche: Il ruolo del padre tra normalità e patologia.

Chiamami con Whatsapp

La psicologia dell’ansia (dal Seminario ad Avezzano, 25 maggio 2005)

Cosa è l’ansia ?

L’ansia è l’emozione sicuramente più diffusa e conosciuta dalle persone al giorno d’oggi. Un esame, un incontro di lavoro, l’attesa di una notizia, un cambiamento, un ritardo, ma anche solo una telefonata basta per far sperimentare questo stato d’animo particolare.

L’ansia è un emozione che si instaura dentro di noi lentamente e in maniera silenziosa fino a diventare forte e assolutamente insopportabile. Ci fa sentire spesso “rabbiosi”. Ma la sensazione più comune è quella dell’apprensione, della paura, fino al vero e proprio terrore.

Di conseguenza ci sentiamo bloccati e non riusciamo a fare le cose che ci piacerebbe fare.

Ci sentiamo vulnerabili e portati a sottovalutare le nostre capacitàa fare pensieri disastrosi, catastrofici sulle situazioni che viviamo. Ad avere attacchi di panico veri e propri o a deprimerci in modo significativo. Oppure a somatizzare ammalandoci , così, nell’organismo.

Eppure è proprio l’ansia che, in condizioni normali, ci consente di affrontare le sfide della quotidianità manifestandosi innanzitutto come tensione positiva e carica psicologica.

Quando e perchè l’ansia si trasforma nella nostra peggiore nemica?

Attualmente si contano a milioni le persone che soffrono di attacchi di panico o che lamentano anche solo alcune delle duecentosettanta fobie conosciute.

C’è una ragione se accade proprio a noi oppure è solo un caso?

Si può ritrovare l’equilibrio perduto e come si può fare?

L’etimologia della parola ansia ci dice che essa deriva dal latino anxius la cui radice significa “Soffocare, strangolare”e Freud usa il termine tedesco Angst (Angoscia). Questo termine  in italiano viene tradotto indifferentemente col termine di ansia o di angoscia. Esso sta ad  indicare nel linguaggio della psicoanalisi le reazioni d’allarme della persona di fronte ai pericoli provenienti dalle esperienze esterne o dai propri turbamenti psichici.

L’ “angoscia” freudiana

Freud precisa che è possibile distinguere il pericolo reale , che è una minaccia proveniente da un oggetto esterno, dal pericolo nevrotico, che scaturisce da un’esigenza pulsionale legata cioè ad un bisogno interiore.

L’ angoscia è dovuta alla disperazione che si prova di fronte al pericolo. Egli chiama traumatica una situazione di disperazione realmente vissuta. Chiama situazione di pericolo una situazione che ricorda l’evento traumatico. Questo perché  permette al soggetto di prevedere il pericolo e prepararsi.

a) Angoscia automatica

L’angoscia o l’ansia che si prova è, allora, di due tipi. Un primo tipo è detta ansia o angoscia automatica provocata dall’afflusso, dall’esterno o dall’inconscio, di eccitazioni traumatiche, che il soggetto non riesce a dominare.

b) Angoscia segnale

Inoltre c’è un angoscia o ansia segnale , che si produce quando la situazione che crea disperazione continua ad incombere. Essa assume una funzione di difesa dell’io. E’  come un meccanismo d’allarme che avverte l’io dell’avvicinarsi di una minaccia grave per il proprio equilibrio, identificata con il male , il brutto, l’ignoto.

La situazione che crea disperazione è una situazione traumatica ed è la rappresentazione della nascita (O. Rank) in quanto ripetizione di un avvenimento importante appartenente al passato del soggetto.

Il trauma della nascita e la paura di perdere il sostentamento

Alla nascita, a seguito della separazione fisica dalla madre, il neonato è posto in una situazione di stimolazione massima, internamente ed esternamente. Egli non possiede la struttura e la capacità adattiva di rispondere con azioni difensive.

Durante gran parte dell’infanzia (come vedremo anche in seguito) il bambino non è attrezzato per affrontare le stimolazioni a cui e’ sottoposto. Pertanto si trova in uno stato di estrema vulnerabilità. Le risposte che vengono provocate quando un individuo è sottoposto a stimoli che non può padroneggiare e integrare nella sua Personalità , perchè vanno al di là delle sue capacità, daranno forma alla Situazione traumatica.

Nello sviluppo più avanzato , dice Freud, il neonato deve affrontare una minaccia diversa , legata alla paura di perdere gli oggetti importanti da cui dipendono il suo sostentamento e lenimento delle tensioni interne: in poche parole sua madre.

Angoscia di separazione del bambino

Tale paura è giustificata dalla sua estrema dipendenza da lei e l’angoscia che ne deriva.  Freud in questo caso chiama angoscia di separazione, è basata su considerazioni reali, sulla realtà.

Nel bambino, dice Freud, non c’è la capacità di valutare il pericolo. Per cui la produzione d’angoscia non è legata al pericolo reale. Il bambino reagisce alla perdita della madre e cioè riproduce l’angoscia che accompagna l’atto della nascita, la separazione da lei. Questa separazione , secondo Freud, lascia la libido o carica affettiva, inutilizzata , ferma, inattiva in quanto manca l’oggetto su cui appoggiarsi.

Egli sottolinea che questa perdita dell’oggetto amato può essere sostituito da una situazione che abbia lo stesso significato. Per esempio,il bambino che nel buio non vede più sua madre crede di averla perduta e reagisce con angoscia ogni volta che si ritrova al buio.

L’angoscia negli adulti : I nevrotici di Freud

Una cosa simile succede agli adulti che soffrono di ansia (nevrotici di Freud) con una differenza rispetto ai bambini, per cui la carica affettiva legata alla situazione traumatica viene staccata da essa , o rimossa. In teoria la rimozione crea l’angoscia, e si trasforma direttamente in angoscia. Altre volte , però, accade che in sostituzione dell’angoscia si formano dei sintomi tipo fobie e ossessioni. Queste  impediscono la percezione del dolore dovuta all’emozione di angoscia.

L’angoscia diventa così una funzione reale dell’io. E’ cioè  come un segnale di dispiacere che permette di mobilitare tutte le energie disponibili dell’io contro la pulsione o carica affettiva che proviene dall’ego dall’inconscio. Essa si origina in ogni caso dalla perdita o dalla minaccia della perdita dell’oggetto.

A sostegno di questa teoria attualmente sono gli studi di psico-neuro-biologia che descrivono le funzioni psico-mentali dell’uomo in tre attività, che si influenzano reciprocamente, ma che hanno tempi e modi propri di manifestarsi.

Esse sono : l’emotività, l’affettività, l’attività intellettivo-cognitiva.

Emotività ed Ansia

In questo momento ci soffermiamo sull’emotività perché è ciò che spiega il funzionamento dell’ansia.

L’emotività nello sviluppo filogenetico è presente in tutti i livelli del regno animale. Essa rappresenta un modello reattivo, istintivo, difensivo ed adattivo, attraverso il quale l’individuo risponde agli stimoli del mondo esterno.

Sembra, quindi, che ci sia un sistema adattivo-difensivo molto primitivo e comune a tutte le specie.  Essa  fa capo ai circuiti (neuroni, sinapsi, assoni e dendriti) che compongono il sistema limbico o cervello limbico o cervello del serpente.

Emozioni

Le emozioni si organizzano a vari livelli per cui riconosciamo le seguenti.

  1. attenzione e allerta
  2. tensione
  3. ansia
  4. angoscia

Queste possono evolversi in processi più complessi tra i quali si riconoscono le seguenti.

  1. l’ansia libera
  2. la paura
  3. ansia
  4. il terrore

La funzione che riunisce e rende simili tutti gli individui del regno animale è la capacità di reagire agli stimoli che giungono dal mondo esterno. Ciò avviene in un modo rapido (basso tempo di latenza), istintivo (cioè non mediato da altre funzioni e quindi strutture), automatico (senza la necessità di una speciale elaborazione).

Questi meccanismi però, portano a reazioni molto semplici che, negli animali (vedi serpenti) si limitano all’attacco o alla fuga.

Risposte emotive adattive e difensive

Nel caso specifico umano, invece, le risposte emotive vengono dette adattive, oltre che difensive, in quanto si organizzano come un sistema efficace per la difesa dell’individuo attraverso risposte che, seppure a volte non siano perfettamente adeguate, sono immediate (quasi del tipo tutto o nulla) e quindi permettono una difesa quasi sempre efficace.

Nell’uomo, infatti, il sistema emotivo è particolarmente efficiente ed attivo. Esso  è già presente nel neonato, nel quale una quantità notevole di risposte automatiche assumono proprio un valore difensivo ed adattivo. A questo punto cerchiamo di definire i vari stati delle emozioni.

Stati emotivi
Stato di allerta

Stato di allerta: E’  una risposta di preparazione per la quale il soggetto sposta rapidamente l’attenzione sulla qualità dello stimolo, sulla sua origine e sulla intensità. In un secondo tempo, se si attivano funzioni superiori che giustificano e/o tolgono significato all’input, l’allerta sfuma e si esaurisce. Si torna così al lo stato psichico in quiete.

Stato di tensione

Stato di tensione: E’  una risposta più intensa dell’allerta perché con questa il soggetto si prepara ad analizzare le componenti dello stimolo in entrata. Queste vengono  distinte in qualità, pericolosità, intensità. La tensione porta il soggetto a predisporre varie risposte possibili spostando l’attenzione in modo continuo dallo stimolo al “soggetto attore”.

Stato di ansia

Stato di ansia: E’ una risposta intensa, più o meno giustificata, ma sempre legata ad uno stimolo e/o ad una situazione determinata. L’ansia può diventare anormale o decisamente patologica quando dura a lungo nel tempo. Non viene cioè controllata dai sistemi specifici. Soprattutto, diventa invasiva, andando ad occupare gli spazi dell’affettività e dell’attività cognitiva, simbolica, razionale.

Stato di ansia libera

Stato di ansia libera: E’  uno stato patologico nel quale l’ansia fluisce in continuazione, senza freni e, soprattutto, senza giustificazioni logiche. E’ cioè svincolata dall’esperienza sensibile e determinata da vissuti profondi e personali.

Stato di angoscia

Stati d’ angoscia: E’ un’ansia, ma di grado molto elevato per cui i sistemi di controllo non riescono a contrastarla. Si parla di angoscia conscia e di angoscia inconscia. Ma, per lo più, si tratta di questo secondo tipo, dato che viene attivata da stimoli anche insignificanti se considerati dal di fuori. L’angoscia è una esperienza molto disturbante. Ciò anche perché il soggetto non riesce a trovare il modo di contenerla. Quindi, vive un sentimento come di essere in balia di qualcosa di troppo poderoso e distruttivo.

Stato di paura

Stato di paura: E’  una reazione non automatica, non così diretta come l’ansia e l’angoscia. Quindi, più elaborata , più determinata e legata all’esperienza sensibile o a situazioni ben definite.

Stato di terrore

Stato di terrore: E’  una paura molto accentuata e viene riconosciuto come risposta a qualcosa che non può essere controllato. E che genera situazioni dalle quali non si può sfuggire. Quindi, entra in gioco un sentimento di impotenza e di aver perso ogni possibilità di autodifesa. Il  soggetto non trova vie di scampo possibili.  Quindi, vive violente sensazioni di essere in balia dell’altro o di qualcosa che genera uno stato di morte imminente e, dunque, di invincibile e catastrofico.

Il sistema limbico e le emozioni

Da un punto di vista neurobiologico le emozioni sono il risultato dell’entrata in funzione del sistema limbico. Esso  è formato da diverse strutture centro-encefaliche situate sia a destra che a sinistra nel tronco encefalico.

Queste si articolano direttamente con le vie sensoriali e sensitive che giungono anche al talamo per poi raggiungere le aree corticali specifiche. Tale organizzazione spiega il perché della bassa latenza delle risposte emotive.

Le più importanti strutture del sistema limbico sono:

  • amigdala: che partecipa all’organizzazione del sistema mnesico.
  • ipotalamo: che attiva le risposte vegetative che accompagnano le emozioni (vasocostrizione, ipertensione, rossore alle gote, tachicardia, sudorazione delle mani, senso di sudorazione fredda dietro la schiena).

Incontenibilità dell’Ansia

Ci sono situazioni patologiche complesse come l’ x-fragile nelle quali l’impossibilità di contenere le risposte emotive è veramente imponente ed il soggetto somatizza l’iperattività dell’ipotalamo con varie sintomatologie.

lacrimazione, rinorrea, scialorrea, tachicardia, iperventilazione, midriasi ed un quadro psico-espressivo di angoscia incontenibile.

Questa osservazione ci porta a pensare all’impossibilità di attivare mezzi contenitivi nei confronti dell’ansia con la conseguente presenza di ansia libera e di crisi violente di angoscia.

Il meccanismo d’azione di questa particolare risposta (esagerata) è ancora poco conosciuto.

E’ espansione e si manifesta in contesti variabili e dinamici. Uno speciale contesto ambientale, di estrema importanza per l’uomo, è quello delle relazioni intime.

Freud , come ho già detto, sostiene che le emozioni sono segnali, situati nell’io ed afferma anche che le emozioni funzionano automaticamente ed hanno un ruolo regolatore.

Vediamo come.

Regolazione delle emozioni secondo Freud

Sebbene le emozioni abbiano una funzione integrativa in tutto l’arco della vita, nella prima infanzia si hanno gli esempi più drammatici.

Renè Spitz descrive tre stadi nei primi due anni di vita del bambino, ciascuno associato a nuovi pattern di emozioni. Afferma che il lattante può percepire solo degli stati di tensione, al massimo di allarme di fronte ad uno squilibrio interno (fame, replezione vescicale o intestinale).

Attualmente si possono rilevare sei periodi di transizione durante i primi quattro anni di vita.

Queste transizioni costituiscono dei periodi evolutivi dove i cambiamenti sono pervasivi, durevoli ed implicano un grande ri-orientamento nelle relazioni tra persona e ambiente. Compaiono nuovi pattern di processi emozionali e nuovi segnali emozionali e questi permettono altri cambiamenti nel bambino e nel suo ruolo in famiglia.

Le transizioni evolutive del bambino

Vediamo rapidamente quali sono queste transizioni.

Da 0 a 2 mesi di vita

La prima (0-2 m di vita) segue la nascita e gli adattamenti regolatori post-nascita che avvengono nel neonato. L’espressione emozionale predominante è il pianto, che comunica il malessere ed è diretta ai genitori che devono intervenire . Soprattutto, le espressioni emozionali di pianto, allerta/vigilanza e quiescenza sono usate per definire stati di bisogno e motivazione per i genitori. Queste espressioni emozionali sono anche indici di processi di segnalazione interna. Questo perchè  il bambino acquisisce esperienza e confidenza nella capacità di essere consolato dagli altri. In altre parole, il neonato incomincia ad esperire e ad esprimere una personalità nel mezzo di intime relazioni con il genitore.

Da 2 a 3 mesi di vita

La comparsa del sorriso sociale, primo organizzatore di Spitz, cioè del sorriso di fronte alla maschera (se si mette davanti al bambino una figura che rappresenta il viso di una persona egli sorride senza distinguerlo dal volto della madre) definisce una transizione che va dai due ai tre mesi.

La nuova espressione emozionale, comunica lo stato di benessere del bambino ed è accompagnata da altri segnali emotivi, indici di cambiamenti interni che includono la sorpresa di fronte a nuove esperienze piacevoli e le espressioni di allerta, di sostenuto interesse.

Questi ultimi pattern emozionali, combinati con una maggior capacità per il contatto diretto, consentono nuove opportunità per l’impegno e l’apprendimento sociale e influenzano le aspettative sul ruolo familiare del bambino. I genitori rispondono aumentando le loro interazioni sociali col piccolo, portandolo sempre più spesso fuori casa e mostrandolo agli altri.

In questo periodo, si presenta un abbozzo della paura di fronte all’oggetto sconosciuto. M. klein colloca qui l’angoscia schizzo paranoide.

Tale angoscia sembra costituirsi tramite due meccanismi di difesa. La separazione dell’oggetto e dell’io o meglio la loro non riunione (seno buono e seno cattivo). Il fenomeno emotivo è l’angoscia di frantumazione e l’identificazione proiettiva. Per cui tutto ciò che c’ è di cattivo nell’io è contemporaneamente proiettato fuori e messo nell’oggetto.

L’identificazione con l’oggetto avviene solo dopo la separazione e la proiezione del cattivo oggetto parziale. In questo modo si può prendere le distanze nei confronti delle pulsioni distruttive e, così, tenere a bada l’angoscia.

Da 6 a 8 mesi di vita

Tra la fine del sesto mese e l’ ottavo mese compare il distress esterno e il profondo turbamento dovuto alla separazione dai genitori che comporterà nuove configurazioni emozionali.

I familiari rispondono ai cambiamenti interni del bambino con ulteriori modifiche nelle aspettative. Infatti, in questo periodo compaiono altri cambiamenti nella segnalazione emotiva. Essi sono conseguenti alle modifiche nell’organizzazione cognitiva e socio emozionale , dovute anche ai nuovi ruoli familiari.

I bambini, quando incontrano situazioni di incertezza, cominciano a cercare all’esterno espressioni emozionali, i cui referenti sono solitamente il padre e la madre. Quindi a seconda delle emozioni viste o sentite in altri, egli può avvicinare o evitare una persona estranea o un giocattolo nuovo (vedi il resoconto degli studi in Emde, 1992).

E’ il periodo in cui compare Perm. Klein, l’angoscia depressiva, il secondo organizzatore per Spitz. I due autori sostengono in questo momento l’apparizione del primo abbozzo totale dell’io, cioè della persona del bambino, dell’oggetto, cioè della persona dell’altro, la madre, dell’angoscia.

L’angoscia depressiva è la paura di perdere l’oggetto percepito come intero le cui parti sono riunite ed incorporate.

Il viso della madre a questo punto non viene più confuso con la maschera, la madre è percepita come esterna e se si assenta il bambino prova angoscia (paura dell’estraneo). Questa angoscia depressiva viene anche detta da Bowlby angoscia di separazione ed è l’angoscia della perdita dell’oggetto orale che è la prima angoscia di colpevolezza.

Da 10  a 13 mesi di vita

Il periodo compreso tra i dieci e i tredici mesi è caratterizzato dall’apprendimento della deambulazione e le sue conseguenze socio emozionali.

M. Mahler sostiene che in questo periodo il bambino aumenta le sue emozioni positive. Egli manifesta  quelle che comunicano un certo sentimento di esaltazione e di orgoglio (Mahler et al.,1975).

Un distress intermittente è sentito come conseguenza degli urti legati al camminare.

Più spesso, comunque, il bambino sperimenta stati di incertezza dovuti a un allargamento del mondo fisico e alle proibizioni genitoriali.

Il bambino necessita, perciò, di maggior “rifornimento emozionale” da parte dei genitori. Questi  aumentano le comunicazioni emotive, al fine di favorire l’esplorazione, trasmettendo rassicurazione e sicurezza.

In questa fase si sviluppa maggiore autonomia, ma nello stesso tempo i legami diventano più forti.

Da 18 a 22 mesi di vita

Il periodo tra il diciottesimo e il ventiduesimo mese , è quello della “transizione dal periodo neonatale all’infanzia”. Questo poiché si intravede l’inizio di una consapevolezza auto-riflessiva e la capacità di usare più parole per articolare un discorso (Fenson et al., 1994; Kagan, 1981; Lewis & Brooks-Gunn, 1979).

a) Il pattern emozionale: empatia

I nuovi pattern emozionali e le loro connessioni hanno a che fare con le prime istanze etiche, come l’empatia.

Il bambino non solo risponde al distress esterno con evidenti sentimenti di autodifesa, ma può impegnarsi in azioni prosociali quali la cura, la consolazione e l’aiuto rivolto agli altri (Radke-Yarrow et al.,1983; Zahn-Waxler et al., 1992).

b) Il pattern emozionale : distress

Un altro pattern emozionale è il distress dovuto alla violazione della norma ( Jerome Kagan 1981). Talvolta il bambino si altera notevolmente quandosi imbatte in una bambola rotta o in un giocattolo sporco o nella sostituzione della persona che solitamente si prende cura di lui, segni di una deviazione da ciò che si aspettava.

In questo periodo possono anche comparire le espressioni di vergogna.

Altra caratteristica importante è l’acquisizione del ” no semantico” (Spitz, 1957) ed un apparente negatività e malumore, con particolari conseguenze per le interazioni con i genitori ( Sandler 1962 e Mahler et al. 1975).

Il bambino manifesta maggior intenzionalità (per es. dove cammina), e maggior controllo delle emozioni (per es. pochi accessi di collera, più tolleranza per la frustrazione), aumenta la domanda di socializzazione.

E’ questo il periodo dell’angoscia anale. Questo è il primo tipo di angoscia legato contemporaneamente ad una pulsione , ad un divieto e ad un rischio di perdere l’oggetto. Le reazioni alle raccomandazioni e ai divieti dei genitori nel periodo dell’educazione sfinterica, la paura di perdere l’oggetto anale, il salame fecale, è parte del proprio corpo, che è io e non io, la cui separazione può essere pericolosa. Le oscillazioni fra reattività e passività, la paura di invadere l’altro con i propri escrementi portano alla scoperta dell’aggressività e al timore proiettivo di vendetta dell’altro.

Da. 36  a 48  mesi di vita

Dai tre ai quattro anni (periodo prescolastico) il bambino manifesta una certa competenza verbale. La capacità di fornire un’ organizzazione narrativa alle esperienze emotive costituisce un’ altra monumentale acquisizione evolutiva.

Il bambino   può rappresentare le esperienze passate e le aspettative future in modo coerente. E  può esprimerle col linguaggio e condividerle con altri. Quindi può parlare alla madre.  La comprensione delle situazioni familiari, dei conflitti, delle possibilità e dei ruoli è spesso legata alla competenza verbale e alla capacità di raccontare storie.

In questo periodo c’è ancora un’ angoscia di perdita al momento della scoperta delle differenze sessuali. Perdita del fallo a cui si attribuisce la massima potenza e a cui si reagisce con il diniego della differenza dei sessi. Ma è questo  il periodo che evolve poi nell’angoscia di castrazione che segna l’accesso al desiderio genitale e alla legge, alla relazione triangolare (complesso edipico).

Forme patologiche dell’Ansia

Dunque abbiamo visto come i processi emotivi accompagnano il cambiamento evolutivo e lo sviluppo cognitivo. Le emozioni di sorpresa, interesse, ansia per un impegno sociale. Il piacere di controllare le situazioni e la sua tendenza biologica a trovare nuove informazioni e categorizzarle secondo ciò che gli è familiare, caratterizzano l’attività del bambino che dà un significato al mondo circostante.

Esse continuano nell’intera vita dell’individuo e proprio quando questo processo di “assimilazione cognitiva” come lo definisce J. Piaget non avviene che il soggetto vive la situazione di ansia patologica.

Vediamo ora le forme patologiche che l’ansia può assumere. Esse normalmente si manifestano con gli stessi sintomi, ma si presentano di fronte a situazioni diverse o hanno cause scatenanti diverse.Ma sempre comportano gravi problemi in ambito lavorativo e sociale.

Sintomatologia degli attacchi di panico

Gli attacchi di panico sono considerati un disturbo a se stante anche se si ritrovano tutti i sintomi dell’ansia. Essi in genere, sono attacchi di ansia acuta e durano solo pochi minuti. Nondimeno  vengono vissuti dalla persona in modo, così intenso, da pensare di essere sul punto di morire. I sintomi più comuni sono i seguenti.

  1. il soffocamento.
  2. le vertigini.
  3. la sudorazione.
  4. il battito del cuore molto accelerato.
  5. il tremore.
  6. un’ intensa sensazione di morte imminente.

Gli attacchi di panico sono un disturbo molto frequente, soprattutto,tra la popolazione femminile Nel 75% dei casi si verifica agorafobia o comportamenti di evitamento verso luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile allontanarsi in caso di panico. Molto frequente è la comparsa di fobie, per esempio la fobia sociale. In tali casi  la persona è esposta al pubblico in certe situazioni che sente come pericolose.

La prima volta che si ha un attacco di panico generalmente ci si ritrova al pronto soccorso pensando di aver avuto un infarto o qualcosa di simile. Spesso l’attacco di panico non è riconosciuto come tale e ciò finisce di spaventare ancora di più il paziente che non capisce il perchè del suo malessere . Nasce quindi la paura che si possa ripresentare di nuovo creando, così, una forma di ansia anticipatrice.

Il soggetto che soffre da tempo del disturbo sa, in maniera precisa, quando l’attacco di panico sta arrivando e sa che non esiste una situazione sicura, un ambiente capace di proteggerlo e quindi finisce coll’imitare al massimo le uscite o farsi costantemente accompagnare da qualcuno, creando dei legami morbosi con le persone che gli stanno accanto .

Il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo post-traumatico da stress, l’ansia generalizzata

L’ossessione è un’ idea o un immagine che passa in continuazione nella mente. E’ un’idea che disturba molto, perché non si riesce a controllare. Si sente come estranea a se , cioè si presenta come una spinta a ripetere un determinato comportamento per quanto esso sia assurdo.

Alcuni comportamenti ossessivi

Degli esempi di ossessione  possono essere quelli riportati più avanti. Continuare a lavarsi le mani, chiudere e richiudere a chiave la stessa porta, controllare e spegnere più volte il gas, camminare senza calpestare le righe sulla strada e cose simili.

L’ossessione si manifesta attraverso un comportamento ripetitivo e costante chiamato compulsione.

Spesso esse diventano così elaborate da diventare veri e propri rituali.

Le persone in preda alle compulsioni pensano che se non faranno quel gesto potrebbe succedere loro qualcosa di male.

Il disturbo post – traumatico da stress è un disturbo che aggiunge all’ansia uno stato di depressione.

Ha un incidenza dell’ 1% della popolazione . Esso è la diretta conseguenza di un evento traumatico reale verificatosi nel passato. E’  come se fosse una reazione a scoppio ritardato , che si compie di fronte ad un evento attuale, potenzialmente non pericoloso.

Eventi che possono causare il disturbo post traumatico da stress

Eventi che possono far insorgere questo disturbo sono i seguenti.

  1. la guerra.
  2. l’abuso sessuale.
  3. subire violenza fisica.
  4. incidenti che compromettono la funzionalità fisica del soggetto.
  5. assistere alla morte dei genitori.
  6. essere soggetto a continui e prolungati eventi traumatici ( tipo il mobbing).
Insorgenza dell’ansia generalizzata

L’ ansia generalizzata può comparire già durante l’infanzia ed è caratterizzato da ansia e preoccupazione eccessive presenti durante tutto l’anno o comunque almeno sei mesi. Sii manifesta soprattutto nell’approssimarsi di determinati eventi o attività che si devono affrontare.

Oltre alla tensione si presentano sintomi fisici come tensione muscolare, insonnia, stanchezza.

Ha un’ incidenza del 5% della popolazione generale,colpisce soprattutto le donne.

L’ansia si manifesta ad livello elevato, in modo molto frequente ed incontrollabile concentrandosi su determinate attività o eventi. Tale situazione determina uno stress significativo nella vita quotidiana. La qualità della vita delle persone è decisamente compromessa, a causa della loro perenne apprensione riguardo al futuro, alla situazione finanziaria, alla possibilità che qualche loro parente o persona cara possa morire o farsi male.

Si ritrovano tutti i sintomi fisici più frequenti, ma senza che si arrivi ad uno stato di forte malessere fisico.

Ansia con somatizzazione

Alcuni sintomi dell’ansia si manifestano senza che nel paziente ci sia una vera e propria patologia.

Questi sintomi somatici sono gli stessi dei disturbi sopra citati, ma non c’è nel paziente alcuna patologia di tipo organico.

Per questo non è possibile stimare l’incidenza del disturbo, ma si possono descrivere bene i sintomi del disturbo a seconda dell’apparato interessato.

Apparato circolatorio

apparato circolatorio: tachicardia, extrasistolia, dolore precordiale, palpitazioni, lipomie, polso irregolare, ipertensione, disturbi vasomotori alle estremità apparato gastroenterico: difficoltà a deglutire, eruttazioni, bruciori e senso di pesantezza gastrica, nausea, vomito, borborigmi, flatulenza, diarrea, stipsi.

Apparato respiratorio

apparato respiratorio: senso di oppressione o di costrizione toracica, sensazione di soffocamento, iperventilazione, sospiri, dispnea.

Apparato urogenitale

apparato urogenitale: minzione frequente, dolore alla minzione, amenorrea,m enorragia, frigidità, disturbi dell’erezione o dell’eiaculazione, impotenza.

Il caso clinico di Marco

Marco è un giovane di 21 anni, che soffre di uno stato di acuto di ansia. Egli  risponde abbastanza bene ad un periodo breve di psicoterapia. Ha infatti iniziato il trattamento solo da quattro mesi ma il suo stato di ansia si è notevolmente ridotto.

E’ stato inizialmente accompagnato nel mio studio dai suoi genitori. Non era assolutamente in grado di parlare dei suoi sentimenti. I genitori raccontavano delle sue crisi rivolgendosi a lui ogni tanto così.  ”Di alla dr.ssa quello che ti senti, raccontalo tu !” . E lamentandosi di non sapere più come fare per aiutare il figlio.

I sintomi di Marco

Erano un paio di mesi che il giovane viveva in preda all’angosciaNon usciva più di casa, non dormiva più , non mangiava quasi più, aveva la paura d’impazzire. Si era attaccato in modo morboso al padre per qualsiasi attività dovesse fare. Per esempio  è stato suo il desiderio di rivolgersi ad uno specialista per farsi curare. Ma è il padre che ha chiamato, ha preso appuntamento e parlava per lui durante il primo colloquio.

Sentiva di non farcela più da quando, qualche mese prima, iscrittosi all’università doveva frequentare le lezioni. Contemporaneamente aveva intrapreso una relazione amorosa con una ragazza molto più giovane di lui.

Marco è un ragazzo socievole

Marco è stato adottato all’età di due anni circa. I suoi genitori sono stati ed attualmente sono ancora persone molto protettive, hanno sempre desiderato che il figlio si laureasse.

La madre è un insegnante e il padre, attualmente in pensione, è un ex funzionario presso un ministero. Marco in realtà ha avuto diversi problemi con la scuola. Si è diplomato molto tardi , soltanto dopo aver frequentato una scuola privata.

I genitori dicevano di aver speso molto denaro per questo, comunque non se ne lamentavano. Anzi erano disposti a spendere altro denaro. Ad es . per l’acquisto di una moto dal figlio tanto desiderata, pur di vederlo tornare alla normalità.

Marco desidera  uscire dal disagio

Iniziata la terapia mi rendo subito conto che il paziente è un giovane molto socievole, desideroso di uscire dal suo disagio.

Egli comincia a raccontare i suoi problemi. Espone  così come i fatti causa della sua angoscia avevano a che fare con l’assunzione di responsabilità più adulte. Essi riguardavano  la separazione affettiva dai suoi , vissuta come un abbandono. E a tutto ciò  reagiva con un attaccamento morboso, richiamando così alla memoria un antica situazione affettiva vissuta.

Marco viene a sapere della sua adozione

In realtà Marco aveva saputo per caso, pur avendolo sempre intuito, di essere un figlio adottivo mentre frequentava la terza media.

Allora si limitò a chiederne conferma alla madre e la sua reazione fu di assoluta normalità nel senso che sembrava accettare le spiegazioni e le ragioni di quella situazione date dalla madre.

Marco, però, dimostrò di volersi allontanare di casa immediatamente. Infatti, dovendo frequentare una scuola di grado superiore si trasferì a Roma, per andare a frequentare una scuola di aeronautica come piaceva al padre .

In questo momento il ragazzo vuole accontentare suo padre dimostrando di essere un bravo figlio. Ma lui , in verità, è molto arrabbiato con i suoi. Purtroppo non può dimostrarlo perchè si sentirebbe cattivo e negativo due volte. La prima perchè inconsciamente lo è dato che è stato abbandonato. La seconda perchè non sa essere grato ai genitori che l’hanno accolto, come dovrebbe essere.

Marco inizia a mostrare problemi

Il ragazzo cominciò ad avere problemi di studio che lui attribuiva, infatti, alla sua cattiva volontà e alla voglia di fare niente. Ancora oggi, almeno in parte, questo è il suo atteggiamento verso l’università.

Di fatto, cominciò a fare uso di droghe e a frequentare ambienti pericolosi.

Racconta nel corso della terapia che le prime occasioni in cui ha sentito un forte stato d’ansia fino a spaccargli il cuore, è stato quando una volta, per caso, in metropolitana si trovava con un amico.  Questi, d’improvviso senza che lui ne sapesse nulla, scippò una donna e fuggì via.

Lui rimase fermo lì senza rendersi conto subito della situazione, ma capì in quel momento che rischiava molto se qualcuno si fosse reso conto che lo scippatore era in sua compagnia.

In un’ altra occasione simile, gli fu chiesto di fare il palo all’ultimo momento e non fu capace di tirarsi indietro.

Poi semplicemente evitò l’amico, ma cominciò a vivere pericolosamente per un ragazzo della sua età.

Andò a convivere con una donna più grande di lui per circa tre anni. Assunse l’aspetto di un “metallaro”, che ancora conserva un pò a causa dei piercing e i tatuaggi eccessivi. Ma che attualmente si preoccupa di coprire perchè si vergogna di mostrarli.

Attraverso queste attività si mise in contrasto con i genitori ed i loro rapporti sono diventati aggressivi a volte addirittura violenti.

Il ragazzo   costringe a farsi accettare dai suoi. Questi  invece vorrebbero appunto che lui studiasse. Attraverso una  ribellione inconscia egli  mette in mostra la sua parte cattiva.

Marco viene preso da una improvvisa e forte ansia

Ad un certo punto, però, Marco comincia a sentire a volte improvvisamente una paura improvvisa che non sa spiegarsi. Lui si  vergogna di fronte ai suoi amici che non capiscono. Comincia ad evitare i luoghi affollati. Sente un malessere che non sa definire e che attribuisce all’uso di droghe.

Quindi smette persino di fumare. Ma la paura non passa, sente il bisogno di tornare a casa nella speranza che i suoi lo aiutino.

In effetti, loro, si danno molto da fare e giungono a dare una ragione a questo stare così male di Marco , al quale viene diagnosticata una intolleranza a quasi tutti gli alimenti.

La sua relazione con una giovane ragazza

Nel frattempo si diploma e conosce questa giovane ragazza. A questa  si attacca moltissimo dimostrando una gelosia esagerata. Contrariamente a quanto provava nei confronti della sua convivente. Pensate che persino durante la terapia si scambiano diversi squilli di telefono! Con lei ha un rapporto molto conflittuale. Non riesce a fare a meno di fare cose e raccontarle cose che scatenano la sua gelosia. Come se volesse continuamente provocarla e correre il rischio di essere lasciato.

Lui sa che lei potrebbe lasciarlo e non vuole ma non riesce a fare a meno di farla ingelosire. Si dispiace e si deprime quando lei, per es., piange a causa dei suoi comportamenti. Ma lo stesso non riesce a non raccontargli cose che potrebbe non raccontare. Lui ha necessità quasi ossessiva di farlo rispondendo così ad uno stimolo interiore di pericolo. L’abbandono.

Via via che nella terapia si affrontano tutti i problemi della sua vita di oggi, attraverso le difficoltà che vive.  Marco ha dei ricordi circa la sua sensazione di aver sempre saputo di non essere figlio naturale e circa le emozioni provate nel momento in cui lo ha confermato scoprendolo per caso, che hanno rimesso in atto una sensazione di abbandono già vissuta in modo traumatico molto precocemente vista la tenera età in cui è stato messo in istituto e poi adottato.

Marco proprio martedì scorso ha fatto il suo primo esame all’università con un buon risultato….ma ancora mi fa chiamare dal padre per chiedermi un appuntamento in più in caso di necessità.

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: Ansia: cos’è e quando bisogna curarla.

Chiamami con Whatsapp

Gelosia e tradimento in psicoanalisi

Gelosia e tradimento

Quando ho deciso di approfondire il tema del tradimento e della gelosia mi sono trovata in una seria difficoltà perché pensavo alle storie dei miei pazienti. Al motivo per cui si erano rivolti a me e avevano scelto di fare una psicoterapia. Ebbene nel tempo ho trovato rari casi in cui effettivamente loro soffrissero per questo! Ripensando meglio, ho dovuto prendere atto che ognuno di loro aveva avuto a che fare con tale problematica perché qualunque sia stata la causa della loro sofferenza o disagio, sempre avevano dovuto confrontarsi con le loro storie d’amore e principalmente con il loro modello comportamentale del vissuto d’amore. Che tipo di relazione avevano in mente? Come avevano appreso ad amare e da chi? Cosa cercassero e volessero realizzare nel loro incontro d’amore? Tutto ciò li ha messi nella necessità di ripetere ancora una volta l’esperienza , secondo il noto meccanismo della “coazione a ripetere” (O. Rank). L’esperienza di un nuovo rapporto affettivo, attraverso il rapporto terapeutico, che li ha condotti o li sta conducendo al chiarimento e alla ricostruzione del vero rapporto d’amore, quello originario.

Caso Clinico : La storia di Elena

Voglio, allora, cominciare a raccontarvi subito di Elena.

La ragazza venne da me per volere della madre, una bella signora poco più che quarantenne all’epoca. Soffriva di attacchi di panico per i quali si era curata con farmaci, purtroppo, senza risolvere nulla. La donna preoccupatissima per la figlia diciannovenne che, da qualche mese aveva sviluppato una sindrome panica, proprio come la sua. Non voleva assolutamente che la ragazza, sua unica figlia alla quale aveva dedicato la sua esistenza, soffrisse come lei già faceva da tempo. La donna, infatti, aveva ridotto notevolmente la sua indipendenza in quanto, ormai, gli attacchi di panico quasi non la facevano più uscire di casa se non accompagnata da qualcuno. In verità, la donna è rimasta incinta di Elena a circa 20 anni. Quindi si è sposata, ha partorito, ma, aveva  un rapporto negativo col padre autoritario e una madre apparentemente passiva verso il padre. Ha vissuto dedicandosi completamente alla famiglia. Il marito, suo coetaneo, nel frattempo, è diventato un professionista molto impegnato e spesso assente da casa per il lavoro. Il quale trova sempre il tempo per andare dalla madre per la quale dimostra un forte attaccamento.

Il primo colloquio psicoterapeutico

Il primo colloquio lo ebbi con la coppia genitoriale e quando conobbi Elena lei semplicemente si affidò: d’allora la terapia procede molto bene.

Ho scelto di parlarvi di questa storia perché spero di riuscire a dimostrarvi  le varie fasi di crescita della ragazza, che ormai è una giovane donna. Voglio mostrare come il diventare adulti significhi passare da una storia d’amore all’altra, assimilando i processi affettivi elaborati a livello cognitivo nella terapia e accomodandoli, come direbbe J. Piaget, nella realtà affettiva ed ambientale. Insomma ricostruendo l’ affettività, definendo la personalità, chiarendo l’ identità.

Le Fasi  di sviluppo di Elena

Sulle varie sfaccettature che la gelosia può assumere e del rapporto con le teorie psicoanalitiche freudiane vi invito a leggere l’articolo.

E’ tipico dello sviluppo psicofisico che nella fase puberale ed adolescenziale i ragazzi sperimentino nelle relazioni affettivo-sessuali con i pari la propria identità. Perciò una delle loro maggiori preoccupazioni consiste proprio nel volersi trovare un partner, cominciando così l’eterna prova. Sostituire l’amore di mamma e poi quello di papà con l’amore di una persona uguale o pari a sè.

Freud insegna che nella fase adolescenziale si ripete a livello psicologico ciò che si è strutturato a livello Edipico. Affermando addirittura che, se in questa fase di sviluppo la struttura Edipica risulta fragile e non tiene alla forza pulsionale dell’età puberale, ci sarà la formazione della nevrosi.

I sintomi di soffocamento

Elena mi raccontò dei suoi sintomi di soffocamento. Sentiva la gola stringersi e il fiato mancare fino ad avere una folle paura di rimanere soffocata. Ciò le accadeva, soprattutto, la notte dopo essersi messa a letto e in altri momenti di difficoltà. Per es. aveva preso la patente di guida ed aveva un’auto tutta sua, ma non riusciva a guidare. Durante la giornata se pensava che avrebbe dovuto trasferirsi all’Aquila per studiare, essendosi iscritta all’Università, si sentiva soffocare. Soffocante era diventato anche il rapporto con il suo ragazzo di sempre, col quale stava insieme dalla terza media. Lui era sempre lì, non la lasciava mai, dovevano fare tutte le cose insieme. Elena per questo aveva interrotto il rapporto con lui, ma aveva paura di non farcela a stare sola e cedere alle sue insistenze per tornare insieme.

La simbiosi con il compagno di scuola

La ragazza aveva stabilito un rapporto di dipendenza simbiotica con il suo compagno di scuola. Questo   iniziato in una fase in cui il cambiamento è fisiologico (terza media, pubertà), quando cioè il bisogno d’indipendenza spinge i ragazzi a fare da sé e a criticare, se è possibile, il modello familiare. Un rapporto che l’ha accompagnata fino alla fase fisiologica del cambiamento (ingresso all’università o meglio alla giovinezza). Che l’ha poi  introdotta nella vita adulta.

La fase di maturità

Elena è ora alle prese con la sua coscienza e con il suo senso di responsabilità, purtroppo non ce la fa ed inizia la sua sofferenza, ma perché? Elena racconta come il ragazzo la accusasse di essersi sicuramente innamorata di qualcun altro. Non crede assolutamente al bisogno di lei di voler stare sola, anzi insisteva nel dirle che se solo lei lo ammetteva lui poteva rassegnarsi. Elena si sentiva molto in colpa per la forte sofferenza che questo ragazzo provava. Si domandava se fosse il caso di dirgli quello che lui voleva sentirsi dire, cioè che lei era innamorata di un altro. In fondo lei doveva essere proprio cattiva nel rifiutare il grande amore che lui le dimostrava, infatti era molto geloso. La colpa era sua se lui soffriva cosi! Tuttavia, pur essendo trattata da traditrice si sentiva veramente tradita da lui. Elena, infatti, non riusciva a credere che lui, al quale aveva svelato i segreti della sua famiglia, lui che sapeva quanto lei soffrisse per quelle cose, potesse considerarla una bugiarda. Lui era la sola persona fidata con la quale ha sostituito la fiducia della madre. E per questo Elena non potendo più confidarsi totalmente con sua madre si sentiva molto sola e vuota. Fu così che cominciò la notte a svegliarsi senza fiato!

L’affezione nostalgica dell’Io

Margaret Mahler, nei suoi studi sui processi di separazione ed individuazione in relazione ai disturbi di personalità parla dello struggimento per l’assenza dell’oggetto amato e il desiderio di riaverlo. La studiosa nota che tale affetto manca nei bambini che hanno vissuto una fase simbiotica troppo prolungata o disturbata con la madre. La Malher definisce questa condizione “affezione nostalgica dell’Io” (1971,409). Questi soggetti crescono senza la capacità di provare desiderio e quindi senza speranza, senza una capacità di progettare il proprio futuro. Al contrario si immergono in un’apatia , sviluppano un senso di solitudine che nel tempo può portare alla disperazione.

La comparsa della “solitudine”

La solitudine è un affetto il cui contenuto mentale deriva non solo dalla mancanza di qualcosa considerata perduta , ma anche la speranza di riaverlo. Anna Freud, nel suo scritto “Perdersi ed esser persi” (in Solitudine e Nostalgia, AA.VV. Boringhieri 2002) dice: “il vissuto della solitudine si lega sempre a quello della perdita, in un mancato raggiungimento di una soddisfacente rielaborazione del lutto. Che il lutto sia effettivo non ha importanza. Il bambino lo percepisce come tale e, attraverso lo smarrimento, egli simula sia il proprio vissuto di abbandono (identificandosi con l’oggetto smarrito) che il sentimento della perdita (identificandosi con il genitore che lo abbandona negligentemente).”

Il processo di separazione è naturale ed essenziale nel bambino che come tutti ormai sappiamo, è l’unico organismo vivente che nasce, ovvero, si separa dal corpo materno in modo traumatico, mentre è fisicamente immaturo, per cui necessita di cure continue e protratte da parte della madre biologica o dei suoi sostituti. Il bambino, però, passa gran parte del tempo della prima e della seconda infanzia solo con se stesso, in una condizione di tranquillo benessere. Questa solitudine fornisce lo spazio e il tempo necessario per individuarsi come persona imparando ad apprezzare la capacità di stare solo creando il presupposto del buon rapporto con se stessi e il mondo esterno.

La capacità di tollerare la solitudine

Lo spazio solitario, infatti, generalmente abitato da fantasmi che possono rappresentare un felice rapporto fusionale. Oppure un rapporto insoddisfacente e terrificante. Esso fa superare la fase simbiotica del rapporto e introduce nella fase di individuazione-separazione, dove ci si rende conto dell’assenza della madre e si sviluppa un atteggiamento di fiduciosa attesa , di conforto.

La tensione che accompagna questa esperienza si trasforma in desiderio, il desiderio nella fiducia della soddisfazione e la soddisfazione nella capacità di tollerare la frustrazione. La capacità di tollerare la solitudine sicuramente è proporzionata alla capacità di sentire la mancanza di qualcuno, di ricordarlo, di sperare che torni e di provare dolore per la sua assenza .

Harry Stack Sullivan nello scritto “L’esperienza della solitudine” (in Solitudine e Nostalgia, AA.VV., 20-22, Boringhieri 2002) afferma : “La solitudine – e con ciò si intenda quell’esperienza così terribile da sfuggire in pratica a un chiaro ricordo – è un fenomeno che di solito si incontra solo a partire dalla preadolescenza”. Sullivan spiega come l’esperienza della solitudine si costruisce dal fondamentale bisogno di contatto e di tenerezza fino al periodo della fanciullezza. In questo momento, tramite un processo di “validazione consensuale”, cioè tramite l’accordo su ciò che è reale, inteso come il risultato dal consenso dell’altro e i ricordi fantasmatici del soggetto, il bisogno del contatto diventa il vissuto di solitudine, lo stimolo alla partecipazione delle attività della vita adulta e alla ricerca degli altri.

L’amico intimo di Elena allontana la solitudine dell’adolescenza.

Torniamo ad Elena seguendo sempre le parole di Sullivan: “Nella preadolescenza troviamo la componente finale di questa esperienza, veramente terribile, della solitudine: il bisogno di scambi intimi con un proprio simile, che possiamo chiamare o identificare come amico, amico intimo o prediletto; il bisogno, insomma, del genere più intimo di scambio, in relazione alle soddisfazioni e alla sicurezza”. Elena nel suo giovane partner aveva trovato dunque “l’amico intimo” col quale soddisfare una relazione affettiva che la mettesse al riparo dal senso di solitudine e che le permettesse di riempire quel vuoto lasciato dalla separazione o meglio dalla rottura della simbiosi con la madre, è la realizzazione della notte, ” luogo per eccellenza identificato con il silenzio, con il vuoto e con la morte”, che “anima inevitabilmente nell’individuo un terrore atavico, conosciuto come horror vacui” (orrore del vuoto) A. Carotenuto ( op. cit.).

La terapia rinsalda la psiche e colma il senso di solitudine.

La gelosia del ragazzo che le impedisce di andare via è la forza dell’attrazione o legame che non la fa stare sola con la sua paura, almeno fino a che non ha iniziato la terapia.

Il racconto di Elena continua e via via che il rapporto terapeutico diventa sicuro anche lei diventa più forte, si distacca totalmente dal ragazzo, rivela alla terapia il segreto precedentemente condiviso solo col suo ex, anche se ha ancora paura di distruggere la sua famiglia. Proprio nel periodo in cui si era fidanzata col suo ex aveva scoperto nel cellulare del padre un messaggi d’amore rivolti e ricevuti da una donna diversa dalla madre. Il padre ad un certo punto blocca l’accesso al suo telefono, intuendo che la figlia potesse scoprire qualcosa e lei non può più leggere i messaggi, ma questo le conferma il suo atteggiamento traditore, anche se lei non dirà mai nulla al padre.

Lei non sa cosa fare, il suo amico l’aiuta a mantenere il segreto del tradimento del padre perché con lui può parlare dei problemi familiari, ma da quel momento le cose cominciano a cambiare la sua realtà interiore e i suoi sentimenti. Elena protegge sua madre dalla conoscenza del tradimento del padre affinchè non senta il dolore della ferita che la separazione ha già fatto sentire a lei.

Inizia ad osservare il comportamento del padre controllando tutti i suoi comportamenti per fare in modo che la madre non scoprisse cose. Questa situazione però la fa sentire in colpa: anche lei tradisce la madre ed è complice del padre che così può continuare a tradirla. Elena non sa più che fare. Sta molto male ormai. E’ il Panico!

Comincia una fase di critica silenziosa del padre e una difesa convinta della madre. In tutta la scena descritta si sta ancora ripetendo il vecchio copione della costruzione dell’amore attraverso l’apprendimento che i modelli genitoriali trasmettono; la storia affettiva di Elena è la stessa della madre e del padre. Elena vive un amore non autentico, si sacrifica per la madre e per il padre, è imprigionata dai sensi di colpa. Il suo sacrificio è però anche un modo per nascondere il suo egoismo per non sentire la colpa e per mantenere un potere sull’oggetto d’amore (la madre).

La terapia rinforza l’autostima a superare il senso di colpa.

La terapia, rafforzando la stima di sé, le permette di diventare sempre più coraggiosa e più reattiva verso il padre che inizia a sfidare con comportamenti di ribellione.

Il senso di colpa, cioè la colpa nevrotica, quella che non fa muovere, che paralizza e intimorisce, scaturisce da un Super-io rigido e oppressivo, è radicato e si ripete inconsciamente. Il senso di colpa è differente dalla colpa reale che, invece, scaturisce dal Sé e la riconosce come tale, in quanto ostacola la sua realizzazione, per cui vuole liberarsene. Il Sé spinge a ri-vivere le fasi del bambino e a superarle per diventare adulti, ma ogni passaggio è vissuto come una “morte” perciò puntualmente si vuole rifiutare, ma anche questo è una colpa perché così si disprezza l’amore per se stessi.

Altre volte il senso di colpa viene fatto vivere dai genitori, che non favoriscono, anzi impediscono al figlio di separarsi, facendogli vivere la sua libertà o autonomia come colpa. In questo caso, si proietta il Super-io ovvero il genitore interno sui figli, ai quali viene fatto recitare il ruolo della figura sostitutiva genitoriale con conseguente ribaltamento dei rispettivi ruoli: non è più la paura del genitore, ma la paura dei figli che abbandonano e giudicano. E’ necessario che i genitori siano capaci di badare a loro stessi così che i figli possano imparare a farlo. Come dice C.G.Jung (1929) i genitori devono farlo per Sé, cercare la felicità per Sé, sacrificarsi per Sé, torturarsi per Sé e devono farlo” qui e ora “, avere il coraggio di compiere la propria vita e non correre il rischio di lasciare : ”meno che nulla ai figli, soltanto un cattivo esempio”.

La vita mancata dei genitori equivale ad un vero e proprio tradimento per i figli stessi, che così non riescono ad imparare ad amare in maniera autentica.

Il cambiamento di Elena

Ritorniamo nuovamente ad Elena. Sta cambiando molto, riesce a relazionarsi in modo realistico, difendendo i suoi bisogni-diritti, con le ragazze coinquiline della casa universitaria, dalle quali subiva molto, iniziando un confronto serrato, superando la sua timidezza e riuscendo a far valere gradualmente le sue ragioni nella difficile convivenza.

Contemporaneamente s’innamora appassionatamente di un ragazzo un po’ più grande di lei, che frequenta poco perché lui ha un lavoro in una città del nord, col quale, però, non riesce ad approfondire il rapporto essendo lui un po’ troppo indipendente. Elena non si sente al sicuro con lui, non è pronta ad avere un rapporto alla pari: è gelosa, comincia a soffrire molto per questo, fino al punto di rifiutarsi di frequentarlo perché non tollera la paura di essere tradita.

Inizia un balletto di allontanamento e avvicinamento continuo anche se solo a livello ideativo; lei penserà continuamente: mi vuole, non mi vuole, mi ha guardato, mi ha parlato, ha parlato alle mie amiche, ma senza mai avere un contatto fisico con lui. Gelosia e paura tradimento. Vive ossessivamente la fase dell’avvicinamento e dell’allontanamento. Sviluppa una forte gelosia alla base della quale c’è il bisogno del possesso che serve a combattere la solitudine e la tristezza depressiva che ne consegue.

La persona gelosa è colei che teme la perdita, che ha difficoltà a ri-vivere la separazione, a ri-nascere: è colei che controlla e opprime, che passa, ad un certo momento, da un rapporto di dipendenza a due, nel quale l’innamorato ha riposto nelle mani di una sola persona il proprio valore e il senso stesso della propria vita, ad un rapporto a tre.

L’ingresso del Rivale contrassegna la rivelazione non solo del tradimento e della perdita dell’amore, ma anche della propria nullità.

La manifestazione della gelosia.

Perché la gelosia si manifesti, dunque, c’è bisogno di una struttura triangolare i cui protagonisti sono: il soggetto geloso, tradito nella sua fiducia, vulnerabile, isolato, ferito a morte in ogni relazione umana, ossessionato, fragile e furioso come se il fatto fosse realmente accaduto; l’oggetto amato, di cui si teme o si accerta il tradimento. Figura ambigua percepito a volte come freddo persecutore, insensibile, crudele, derisorio, altre volte come persona amata, che torna ad essere quella nota e familiare. Se in un certo momento si crede di conoscerlo e si ama in un altro momento, quello tormentoso della gelosia, diventa un volto estraneo, sconosciuto, pericoloso; infine, l’oggetto del tradimento, il rivale, che umilia il soggetto innamorato e geloso, che non potrà mai sentirsi alla sua altezza, che fa percepire come crudele l’oggetto amato col suo improvviso voltafaccia.

La gelosia, però, è un sentimento generalmente normale consistente in una reazione naturale utile alla stabilità della coppia e alla conservazione della specie, è dimostrata anche nel comportamento animale. Essa diventa un problema quando è eccessiva, si trasforma in una patologia che può essere inquadrata in tre grandi gruppi distinti in base alle caratteristiche formali delle idee di gelosia.

La gelosia ossessiva tra normalità e patologia.

La Gelosia Ossessiva in cui le tematiche di gelosia hanno caratteristiche che possono rientrare in quelle che il DSM-IV ha indicato per il Disturbo Ossessivo Compulsivo; l’ idea fissa dell’ infedeltà del partner si manifesta con il dubbio lacerante che non si riesce ad eliminare. Chi ne soffre è alla ricerca incessante di segnali e di prove che possano confermarlo o smentirlo. I gelosi ossessivi riconoscono l’infondatezza dei loro sospetti, arrivano anche a vergognarsene, ma il dubbio malgrado loro li trascina e sommerge nel tormento. Il partner è sottoposto a martellanti interrogatori e a minuziosi controlli sulla castità dei suoi comportamenti alla ricerca di attività sessuali illecite. Il soggetto geloso soffre il fatto di provare tali sentimenti e ancora di più di dove ubbidire in modo incondizionato alle conseguenti condotte comportamentali. Certe volte è incomprensibile come il partner accetti per anni tutto la pesante situazione, suggerendo come nello sviluppo di simili patologie il partner sia corresponsabile e la coppia risulta per ovi motivi disturbata.

La Sindrome di Mairet in cui le tematiche di gelosia hanno le caratteristiche formali delle idee prevalenti; chi ne è affetto vive in un clima pervaso di vissuti di gelosia non solo di tipo amorosa, tanto è vero che se ne parla anche come «Iperestesia Gelosa». Il quadro clinico di confine tra normalità e patologia è caratterizzato da idee di gelosia in gran quantità e perciò occupano gran parte del campo esperenziale della persona costituendo a volte un vero e proprio doloroso stile di vita a causa della loro persistenza. Diventano cioè compagne insostituibili di ogni relazione umana significativa, soprattutto se sentimentale. Le tematiche di gelosia assumono la struttura formale di idee prevalenti, e spingono fortemente ad agiti frequentemente sentiti, dal contesto socio-culturale, come abnormi e patologici.

La gelosia delirante o sindrome di Otello.

La Gelosia Delirante o Disturbo Delirante di tipo Geloso secondo il DSM IV, detta anche «Sindrome di Otello», nella quale la persona è convinta dell’infedeltà del partner trovando conferme del tradimento dappertutto. Il soggetto in questo caso cerca di ottenere la confessione del partner in tutti i modi. Il suo comportamento è teso a far ammettere all’altro la colpa. La continua richiesta, a volte subdola, a volte tramite ricatti o ricorrendo di confessioni assillanti, alla coercizione e alla violenza fisica, altre volte con l’arma del ricatto dell’ammissione del tradimento viene presentata sempre come la risoluzione magica per la fine dei tormenti e dei dubbi che ne conseguono. Il partner accusato, nella speranza di porre fine ad una situazione insostenibile, può cedere ed ammettere un inesistente tradimento. Il delirante avendo avuto finalmente la conferma delle sue certezze, intensifica la sua aggressività e tenta di far ammettere ulteriori infedeltà . Si costruisce, così, un circolo vizioso che può arrivare ad atti violenti nei confronti del partner.

I soggetti appartenenti a queste tipologie di gelosia patologica difficilmente arrivano in terapia proprio della loro incapacità di vivere il rapporto dovuto ad un deficit dell’empatia, cioè della capacità di mettersi nei panni dell’altro ed intuirne i bisogni .

La gelosia cede alla nevrosi

La strategia affettiva sviluppata da Elena per superare il dolore dell’amore tormentato dalla sua gelosia è di carattere ancora nevrotico. Essa consiste consiste nell’ accettare di fidanzarsi con un altro ragazzo. Questo  secondo il noto meccanismo del “chiodo schiaccia chiodo”. Ma ciò determina il tipo di partner che sceglie. E che tipo di partner si sceglie in casi come questo? Guarda caso, un tipo gelosissimo, che rasenta la persecuzione, tanto è vero che ancora dopo un anno di separazione la spia, la segue nonostante l’intervento della madre presso i genitori di lui.

Ecco che chi è troppo geloso finisce con il tradire. Sembra prendere forma l’idea che i traditori sono anche gelosi. Anzi che la gelosia porta proprio al tradimento. Val la pena di esaminare la psicologia di come la gelosia ossessiva porti al tradimento. E direi di più come anche il tradimento possa portare alla gelosia.

Tradimento in simbiosi con gelosia

Siamo, dunque, al punto. Tradimento e gelosia, gelosia e tradimento il circolo vizioso di due sentimenti, che diventano forme di comportamento per le persone malate di mal d’amore. Persone che come dice un proverbio dalle mie parti sono “ gelose e dannatare ”. Persone che hanno un grandissimo bisogno d’amore, persone dipendenti dall’amore, che soffrono di una specie d’ingordigia orale e che spesso associano al mal d’amore anche altri comportamenti tipici della dipendenza. Mangiano troppo, bevono troppo, fumano come ciminiere oppure rifiutano ostinatamente tutto, vomitano insomma. Questo tipo di amore soffoca, strumentalizza, distrugge il Sé. La persona rimane intrappolata nella sua onnipotenza narcisistica perché non riesce a distinguere l’amore di sé e l’amore per l’altro. Non da spazio alla libertà e alla differenziazione. Se l’altro si rifiuta di essere usato come un oggetto, crea inevitabilmente una frustrazione intollerabile e la necessità di affermare il proprio potere tramite un’ aggressività comportamentale finalizzata al calo della tensione interna e alla punizione dell’altro evitante, sfuggente.

Il rapporto con Mario

Il rapporto di Elena con quest’ultimo ragazzo, che chiamerò Mario, sarà caratterizzato dai frequenti litigi a causa del comportamento di lui. La ha  picchiata, isolata dagli amici, svalutata e continuamente offesa con parole bruttissime in ogni occasione. Elena per ben 2 anni è stata fidanzata con Mario. All’inizio del loro rapporto lui era pieno d’attenzioni, conosceva bene lo stato d’animo di lei rispetto al precedente ragazzo e faceva di tutto per farglielo dimenticare. Elena sembrava lasciarsi coinvolgere sempre di più ed aveva smesso di pensare all’altro. Voleva però continuare a studiare, ad uscire normalmente con Mario e con le amiche. Non voleva avere un rapporto d’amore troppo tradizionale e chiuso. Riteneva di non essere pronta a coinvolgere le famiglie. Tutto questo scatenò la folle gelosia di Mario. Lui  cominciò a rimproverarle di essere sempre innamorata dell’altro. Non credeva assolutamente che lei potesse innamorarsi davvero di lui.

La  rabbia, il rancore, la vendetta

Elena prese a reagire con molta rabbia e con un forte desiderio di vendetta. Era consapevole della pericolosità di quel rapporto. Ma lei voleva assolutamente rendere Mario inoffensivo, voleva dominarlo e costringerlo ad accettare la sua libertà. Come lui aveva la sua, voleva avere il suo stesso potere di decidere e voleva vincere assolutamente questa battaglia! Di questo rapporto ne parlava al padre desiderando la sua protezione. Invece il padre in qualche modo giustificava sempre i comportamenti aggressivi di Mario e rimproverava la figlia di essere troppo ostinata a fare quello che diceva lei. Insomma le rimproverava la sua ribellione al padre stesso. Nello stesso tempo, la madre con il suo atteggiamento passivo, confermava la posizione del padre contro il riconoscimento della posizione e l’affermazione della ragazza come donna.

La depressione seguente alla rabbia distruttiva è riparazione

I sentimenti di rabbia, rancore, vendetta e le fantasie distruttive di Elena ne ricordano l’origine. Quella della fase schizzo paranoide che secondo M. Klein caratterizzano il rapporto con l’oggetto parziale. Fa pensare a come sia significativo il livello di regressione di Elena. Eppure è necessario ripercorrerla se si vuole riconquistare l’oggetto intero e ritornare alla fase depressiva. Il sentimento di colpa provocherà un angoscia depressiva che permetterà la riparazione dell’oggetto distrutto dall’odio e dalla rabbia . Ciò attraverso i sentimenti di protezione e di amore e finalmente si poterà riconoscere nella madre donna.

Elena cominciò a paragonare Mario al padre. Farla pagare a Mario significava farla pagare al padre, perché lei non era certo scema come sua madre, lei avrebbe dimostrato di essere migliore e più forte!

Il rapporto con Mario tra vendetta e masochismo

Elena sognò di essere nel salone di casa con sua madre quando dalla porta del bagno esce il padre che, pur indossando l’accappatoio, lasciava intravedere la sua nudità di maschio. E quando lei gli disse che doveva coprirsi, dalla porta della camera matrimoniale venne fuori un grande fascio di luce. Questo come nei film di fantascienza, sbatteva il padre da una parete all’altra del salone, per fortuna venne la nonna materna che aprendo la porta principale della casa lo salvò.

Elena col progredire della terapia si rende conto bene di quell’ aspetto vendicativo, masochistico nel voler conservare il rapporto con Mario. Comincia a guardarsi attorno alla ricerca di un nuovo sostituto che però questa volta non trova pur essendo una bella ragazza ed essendo molto corteggiata. Quando lascia Mario è sola ed è capace di fare una cosa che pensava fosse impossibile.

Tradimento è ingannare ma anche rivelare

Tradire vuol dire travisare, ingannare, falsare, ma anche svelare, far conoscere, palesare. Questi due significati antitetici rappresentano anche l’ambivalenza e l’indecisione che ogni traditore vive.

“Cosa significa essere traditi dal proprio padre? E per un padre, per un uomo, che cosa significa tradire qualcuno che si fida di lui? James Hillman se lo chiede nel suo scritto “ Puer Aeternus” (Adelphi, 1999) e trova una risposta nell’immagine archetipica dell’Eden che si riproduce nella vita individuale di ogni bambino e ogni genitore. Dove si vive una situazione di fiducia originale, fino alla comparsa nel Giardino dell’Eden di Eva. Adamo si fida di Dio come il bambino si fida di papà. “Dio e Papà incarnano l’imago paterna: affidabile, salda, stabile, giusta, quella “ Roccia dei Tempi” la cui parola è vincolante”.

L’ immagine paterna è Il Logos, l’immutabile potenza e sacralità della parola maschile, che esprime la sicurezza attraverso la promessa, il patto, la parola. E’ una sicurezza maschile, simile a quella materna, ma fondata sulla parola invece che sulla carne. Dice Hillman: ” Il bisogno di sicurezza può bensì riflettere il bisogno di cure materne. Ma nel contesto paterno all’interno del quale ci stiamo muovendo   è bisogno di intimità con Dio, come sapevano Adamo, Abramo, Mosè e i patriarchi”

Il tradimento della fiducia per fame di conoscenza

Si ritorna nel Giardino attraverso l’esperienza dei rapporti di intimità. Per es. l’amore, l’amicizia, o il rapporto analitico, nei quali viene ricostruita una situazione di fiducia originaria denominata da Hillman “tèmenos” cioè recinto sacro, vaso analitico, simbiosi madre-figlio. Allora il ritorno nell’unità originaria del Logos, dove “io e il Padre siamo una cosa sola, senza interferenza di Anima è tipica del Puer Aeternus. Colui che sta dietro a tutti gli atteggiamenti adolescenziali”. La realtà interna, la coscienza o Anima, come viene chiamata dalla psicologia junghiana, è rappresentata dalla forza vitale di Eva. Questa  spinge ( il serpente) al tradimento della fiducia verso Dio per fame di conoscenza (la mela). La rottura della promessa ovvero della fiducia rappresenta “un’irruzione della vita nel mondo sicuro del Logos, dove si può contare sull’ordine di tutte le cose e il passato si fa garante del futuro”. E’ una breccia verso un altro livello di coscienza e di conoscenza. Fiducia e tradimento, tradimento e perdono, sono il contenuto reciproco dell’uno verso l’altro.

Il tradimento svilisce l’amore

Il tradimento è un esperienza sempre dolorosa, alla quale si può reagire con vendetta. “Occhio per occhio, male per male, dolore per dolore”, non conduce a niente di nuovo è solo un abberrazione della tensione. Oppure con un atto di negazione col quale si cerca di annullare una realtà che provoca il dolore. O anche  col cinismo, ma  questa reazione è immatura perché provoca spesso nella persona tradita un cambiamento di atteggiamento. Atteggiamento  che non solo nega il valore della persona o di quel rapporto particolare, ma fa dire che l’amore è sempre una fregatura. E che  ogni forma di idealismo è una fregatura perché tutto diventa rifiuto. Infine, si può reagire col tradimento di sé ed è la cosa più grave poiché si arriva ad una sorta di alienazione di se stessi. Non si trova più il coraggio di essere e di vivere, ci si annulla, ci si lascia vivere.

La pretesa della fedeltà assoluta

Infine, c’è la scelta paranoide, in cui si pretenderà con l’esercizio del potere la fedeltà assoluta ed è senz’altro la più grave. Ma si può uscire dalla sofferenza del tradimento col “formarsi di una posizione paterna più solida, dove colui che è stato tradito potrà a sua volta tradire in modo meno inconscio. Questo  significa, da parte di un uomo, avere integrato la propria natura inaffidabile. L’integrazione definitiva dell’esperienza del tradimento può sfociare nel perdono da parte del tradito. Nell’espiazione da parte del traditore e in una forma di riconciliazione. Non necessariamente dell’uno verso l’altro, ma di ciascuno dei due con l’evento del tradimento” (op. cit). Per cui tale esperienza, come scrive J. Hillman, è solo uno stadio dello sviluppo dell’Anima.

La guarigione di Elena tramite la terapia psicoanalitica

Il sogno di Elena è la rappresentazione che viene costruendo nel corso della terapia del suo cammino verso l’individuazione o differenziazione dalle figure genitoriale. Attraverso la terapia (la nonna materna salvifica), contro l’immobilità della madre e il narcisismo del padre che esibisce la sua nudità ( l’inaffidabilità) di cui ora lei ha piena consapevolezza e vuole contrastare, liberandosene a sua volta.

Il rapporto di Elena con la madre ed il padre

Si vede qui come proprio nel momento in cui la ragazza prende atto del tradimento del padre, quello affettivo verso di lei, comincia anche a proiettarsi alla vita cercando una soluzione ai suoi problemi. Anche il rapporto con la madre cambia. Questo porterà la madre dapprima ad approfittare della forza interiore che Elena ha sviluppato. Fino a ricattare lei stessa il marito, pretendendo da lui il controllo sulla figlia. Una figlia  che stava diventando troppo indipendente e la lasciava sola quando lui non era a casa. In questo modo la donna richiamava l’uomo agli obblighi, apparentemente, di padre, in realtà, del marito. Il loro rapporto affettivo infatti, era pressoché inesistente e ciò era abbastanza visibile a tutti già a prima vista.

Il padre bell’uomo che tradisce la madre dimessa

Lui si presentava come un uomo bello, prestante fisicamente, begli abiti e bell’automobile. Lei bella donna, ma dimessa, un po’ trascurata fisicamente senza interessi al di fuori della casa e della famiglia. La donna appoggiandosi ai cambiamenti della figlia, cambia lei stessa e scopre il tradimento del marito. Ciò è possibile  semplicemente perché è lei ora ad essere più attenta ai comportamenti di lui. Finalmente, mettendosi in gioco nel rapporto, ricominciano a confrontarsi su un piano più concreto ed affettivamente più evoluto.

Gli attacchi di panico di Elena sono scomparsi

Gli attacchi di panico di Elena da tempo sono scomparsi ed attualmente non è innamorata di nessuno anche se lo desidera tanto. Nel frattempo ha rifiutato il corteggiamento di diversi ragazzi interessati solo alla sua bellezza fisica e che molto sbrigativamente la invitano “a prendere un caffè” o “ a cena con la speranza del dopo cena”, per usare le sue stesse parole. Ha ancora qualche difficoltà perché teme di non riuscire a trovare un partner che la scelga per tutte le sue qualità, ma di una cosa è sicura. Pensa che saprà riconoscerlo dal modo in cui lui l’approccerà e la corteggerà.

Elena fa un sogno

La scorsa settimana Elena racconta questo sogno.  “Stavo vivendo nel periodo in cui c’era il cambio di un era geologica e si dovevano estinguere i dinosauri. Un grosso dinosauro stava dietro casa che non so come fa ma si trasforma in una tigre che si accovaccia sul tappeto che sta sulla porta e si affaccia alla porta di casa. Riesco a rientrare in casa dove c’erano mamma e papà e chiedo a loro.

“Mamma , papà c’è una tigre , urla Elena”!

Come facciamo, c’è la tigre che questa notte può entrare! Il padre le risponde di non preoccuparsi perché non entrerà. La tigre invece entra e il padre cerca di combatterla con un manico di scopa e quindi non ci riesce. Lei allora ha aperto una porta e cercava di mettersi in salvo dalla nonna materna, ma la tigre con una zampa le impediva di chiudere la porta poi, però, la situazione si calma. Lei esce di nuovo e la tigre sdraiata sul tappeto è diventata come il suo gatto. Ma poi scompare e sul tappeto lascia scritta una parola di cui la prima lettera è la V, purtroppo non riesce a leggere la parola intera perché la madre la sveglia proprio in quel momento. Le chiedo cosa potesse essere quella parola e lei di getto dice: VITA , VITTORIA.

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: Gelosia: svantaggio o risorsa per la vita coniugale?.

Se sei interessato ai problemi delle coppie vi consiglio un interessante pagina

Chiamami con Whatsapp

Rabbia in psicoanalisi è fuoco dell’anima.

Tratto  dal Seminario del 7 maggio 2006

Premessa

Come sempre, da qualche anno a questa parte, questo momento del seminario, è un’importante occasione per me di riflessione ed approfondimento teorico di problematiche che maturano o si sviluppano nell’ambito della pratica clinica. E perciò, lo dedico ai miei pazienti , che ringrazio molto per l’aiuto personale che loro danno a me. In questo seminario in particolare ho voluto affrontare il tema della “Rabbia”. Perché molti dei miei pazienti soffrono per essa: per quella che li sommerge con la sua forza (caso n.1), ma soprattutto quella che non è espressa ( caso n.2).

Cosa è la rabbia?

La rabbia è un’ emozione difficilmente riconosciuta dagli individui come determinante del proprio comportamento perché è associata alla parte aggressiva della personalità e solitamente è interpretata come cattiva e negativa.

“E’ un segnale emotivo istintivo che si genera in noi ogni volta che qualcuno o qualcosa invade il campo invisibile del nostro equilibrio psicologico e ci fa sentire attaccati nel profondo del nostro Sé ”. ( M. Morganti ).

La rabbia è la reazione all’ incapacità di rendere legittimi e di soddisfare i propri bisogni fisici, emotivi, sessuali. Di influenzare gli eventi della propria vita nella direzione voluta e giusta per noi. Aprendo, la porta alla coscienza del dolore , della disistima , della mancanza di rispetto, dell’abuso fisico e psicologico. Provocando, così, un senso di impotenza, di sfiducia e di spersonalizzazione .

Ogni individuo ha il bisogno di esprimere la propria rabbia

Ogni individuo, infatti, ha il bisogno e può esprimere la propria personalità pienamente e autenticamente. Ciò  nella completa soddisfazione di se e può farlo solo rispettando i suoi desideri e bisogni emotivi . A volte però non è possibile e l’aggressività diventa indispensabile per un adeguato funzionamento della persona , per la sua capacità di relazionarsi e per la sua capacità di amare.

Capita a tutti di trovarsi in delle situazioni , anche semplici da un punto di vista razionale, anche abituali, di vita giornaliera, che sembrano normalmente sotto controllo e che invadono la nostra interiorità.

Bisogna manifestare la rabbia?

Pensiamo alla nostra ultima settimana di vita, quante rabbie ci siamo presi in famiglia, con gli amici, collaboratori o colleghi, nella vita sociale in generale. Oppure onfrontandoci con un compito esclusivamente nostro? D’improvviso ci si trova travolti da una emozione molto forte , una sensazione di pienezza di sentimenti, pronti a straboccare. Che fanno sentire come un fuoco interiore e sembra che si possa esplodere da un momento all’altro.

Eppure si continua a resistere pur di non manifestare la rabbia: normalmente si è addestrati o educati così dai genitori, almeno nelle società occidentali!

Possiamo capire la rabbia?

Si genera così il senso di impotenza e di spersonalizzazione, dovuto alla sensazione di essere diventati incapaci di affermarsi, di farsi vedere e sentire, di farsi riconoscere, apprezzare, amare dagli altri.

Si diventa realisticamente incapaci di legittimare e soddisfare i propri bisogni fisici, emotivi, sessuali o di influenzare positivamente gli eventi della propria vita.

Si sviluppa un senso di vuoto o di assenza che si vive nel rapporto emotivamente distaccato dagli altri, senso di solitudine.

Quando ci si sente molto impotenti, si sviluppa rabbia repressa. Si può essere travolti da una grande collera a cui si accompagnano fantasie di distruzione, che permettono al nostro Io di riscattarsi, sentendosi attivo e forte, onnipotente.

La sensazione di distruzione rabbiosa

La sensazione di distruzione rabbiosa , ed è l’unica cosa possibile, è ciò che fa sentire vivi in quel momento di annullamento del Sé. Purtroppo l’effetto di compensazione dura poco e molto spesso provoca un senso di vergogna e quindi ci si sente di nuovo feriti nel Sé.

Circolo vizioso della rabbia

Si innesca un circolo vizioso , per cui si parte dalla rabbia e lì si ritorna. La rabbia distruttiva porta ad un “escalation” in cui ogni dolore deve essere affrontato con una nuova ondata di aggressività. In un processo che potrebbe non avere mai fine. Per poterne uscire, bisogna osservare e capire il funzionamento dei nostri meccanismi psicologici ripetitivi. A partire dal momento in cui è necessario riconoscere il sentimento di collera. Poi i tentativi di cancellare la distanza emotiva che percepiamo negli altri e che genera delusione. Infine, il desiderio , pieno di risentimento, di essere per l’altro il centro del suo mondo affettivo.

La rabbia trova radici nel nostro passato.

La rabbia spesso è antica. Il senso di vuoto e di assenza sono il risultato delle relazioni genitoriali imperfette. Relazioni  in cui siamo stati , in qualche modo, deprivati dell’amore che serve a nutrire e strutturare la personalità.

Succede così che i rapporti di amicizia e di amore vissuti successivamente vengano scelti ed agiti nel tentativo di riparare magicamente questa ferita. Ma, proprio per questo, sono relazioni destinate a deludere inevitabilmente.

Il vuoto interiore delle relazioni genitoriali imperfette

Il vuoto interiore è ciò che terrorizza ed è alla base dell’aspettativa che l’altro, con la sua assoluta presenza, ripari la nostra ferita profonda e antica.

Allora, diventa un esperienza fondamentale sentire questo vuoto interiore. E solo dopo aver imparato a riconoscere e ad accettare la nostra rabbia per questo vuoto, solo allora, si potrà vivere il lutto , il dolore, dovuto alla perdita dell’infanzia innocente in realtà mai vissuta.

Significa, in sostanza, venire in contatto con ciò che ci ha ferito e non fermarsi ai sentimenti che suscitano la ferita, riconoscere cioè di essere diventati adulti ed indipendenti.

Caso Clinico.

La rabbia nasce da un rapporto distorto con il genitore

D.M. è un paziente in cura da alcuni anni, che a causa di un disturbo fisico è costretto da due mesi circa ad interrompere terapia. Egli proveniva da una separazione coniugale a cui non riusciva ad adattarsi ed in seguito alla quale aveva manifestato o sviluppato un carattere paranoico. Nonostante fosse stato sposato alcuni anni e dopo un lungo fidanzamento, non aveva figli .

Pochi amici

Aveva pochissimi amici. Anche al lavoro viveva un isolamento straordinario e pur avendo una qualifica dignitosissima svolgeva funzioni tipo usciere. Dai colleghi si teneva alla larga perché lo facevano innervosire e temeva di poter perdere il controllo e reagire molto aggressivamente verso loro.

Pochi parenti

Unici parenti una madre ed un fratello molto piu’ grande di lui. D.M. sentiva per la madre un odio profondo, da lei si era sempre sentito rifiutato. Sicuramente perché preferiva il fratello molto palesemente. E poi perché il paziente aveva sempre avuto il sospetto che lui fosse nato da una relazione extraconiugale di lei. Per tutti questi motivi con lei non riusciva ad avere rapporti e le rare visite che le faceva erano caratterizzate da forti litigi.

L’importanza della terapia per D.M.

All’inizio della terapia manifestava atteggiamenti aggressivi anche verso di me . La terapia gli ha fatto recuperare il legame importante con la madre , di cui il paziente si prende cura in modo molto amorevole. Purtroppo l’anziana signora nell’ultimo anno ha molti problemi di salute e spesso il figlio ha avuto il timore che potesse morire .

La terapia è per lui una cosa molto importante perché gli ha permesso di cambiare molto positivamente la sua vita. Anche se non ancora definitivamente visto che è ancora il solo legame significativo che ha.

La grande importanza della terapia per D.M.

Pensate che D.M. al fine di garantirsi le sedute ha preso l’abitudine di pagare il mese in anticipo anche se poi spesso non viene! Questi ultimi due mesi è stato impossibilitato fisicamente a causa degli altri problemi a venire. Per questo motivo  telefonicamente abbiamo deciso che non era necessario pagare terapia durante sua assenza. Lui tra l’altro doveva affrontare maggiori spese, quindi appena lui si fosse ristabilito io gli avrei restituito i suoi soliti appuntamenti senza problemi!

Alcune volte lui mi chiamava per farmi sapere come stava e devo dire che anch’io l’ho fatto. Ma poi ho lasciato che vivesse la sua vita visto che mi sembrava andasse tutto bene nonostante i problemi fisici.

Alcune difficoltà di salute di D.M.

D.M. ha iniziato ad avere serie difficoltà a causa di calcoli alle ghiandole salivari, che lui sapeva di avere da molti anni. Negli ultimi mesi si era rivolto all’ospedale perché era arrivato al punto di dover risolvere quel problema. Purtroppo non era rimasto soddisfatto della soluzione. Lì gli avevano prospettato  un intervento chirurgico col quale togliere le ghiandole lasciandogli una cicatrice sotto la gola. Si era rivolto ad un altro specialista il quale gli aveva prospettato un altro tipo di soluzione: togliere direttamente i calcoli dall’interno della bocca.

La rabbia riaffiora

D.M. era molto contento di questa ultima soluzione , ed era anche molto contento della professionalità del secondo specialista, che aveva trovato davvero molto gentile e disponibile. L’ intervento, dolorosissimo a suo dire, è stato fatto per due volte.

Quindi andando a fare una ecografia di controllo scopre che ci sono ancora tre calcoli molto grossi da togliere ancora.

La notizia che ha scatenato la rabbia

D.M. reagisce a questa notizia con molta rabbia. Comincia a chiedere spiegazioni al chirurgo in modo pressante, vuole indietro le cartelle cliniche , che pure ci vuole tempo per averle. Interpreta tutte le cose in modo persecutorio e minaccia di denunciare l’ospedale. Mi chiama proprio prima di andare da un avvocato e anzi non può venire da me proprio per ché aveva appuntamento con lui. Quindi, abbiamo occasione di elaborare appena un pò la situazione per telefono.

Tra l’altro D.M. è una persona sola. Egli  viveva da un anno circa con una donna straniera e lei proprio in questi giorni importanti per lui lo lascia per trasferirsi in una città del nord.

La rabbia accecante e distruttiva

Questo è quindi il caso in cui la rabbia è accecante e distruttiva al massimo.

Il sentimento di rabbia, nel caso di D.M. è riconoscibile immediatamente dalla sua reazione distruttiva e vendicativa. Ma è del tutto inconsapevole per il paziente, anche se apparentemente la sua reazione sembra molto razionale e dovuta ad un grave torto subito.

Le cause della sua rabbia interiore

In effetti, dal suo punto di vista, egli ha ricevuto oggettivamente un danno, una ferita psicologica difficile da perdonare!

Nella sua realtà psicologica D.M. non ha sopportato l’idea di dover affrontare di nuovo un grande dolore, attraverso un successivo intervento (sicuramente avvilente). Per cui chi non fosse riuscito ad evitarglielo (per es. il chirurgo togliendo tutti i calcoli) si trasformava nel suo persecutore (cioè colui che gli procurava il danno). Il suo persecutore che  soprattutto era colui cui lui aveva affidatola sua vita, contando molto sul suo aiuto.

In questo caso l’unico modo di riappropriarsene e risentire la propria vita è proprio quello di affermare la propria persona. Facendosi inevitabilmente vedere e sentire, attraverso un atto vendicativo: la denuncia del chirurgo o ospedale.

Soffre veramente tanto questo paziente, ma perché?

Io sono portata a pensare che il paziente si sentisse molto solo, abbandonato. Per dirla con un termine bioniano (Wilfred Ruprecht Bion, è stato uno psicoanalista britannico). Senza più il suo contenitore, rappresentato dalla terapia e il forte sostegno emotivo della sua amica intima che l’ha lasciato, in questo momento di sofferenza oggettiva, fisica, del corpo.

Il ricordo di un bambino rifiutato dalla madre

Questo momento richiamava una stessa sofferenza, più lontana, infantile, mai superata. Una sofferenza in cui il suo corpo era l’ unica sede delle sue emozioni. Probabilmente in un epoca pre-edipica , in cui non c’era la sensazione di se come altro separato.

La sensazione era, invece, quella di essere un tutt’uno con il corpo della madre , di cui lui, bambino, era solo un appendice. Un appendice improvvisamente staccata e perciò rifiutata. Fa veramente male questa cosa! La madre che presto lo abbandonerà di nuovo come si può capire data l’età!

L’isolamento emotivo, l’angoscia e poi la rabbia

La solitudine in cui viveva D.M. nel momento in cui gli viene comunicato che il suo problema non è risolto. Rimettendolo così  in contatto col suo dolore in modo completamento estraneo , freddo, tramite una ecografia fatta in una struttura diversa. Lo rimette in contatto col vuoto affettivo e l’isolamento emotivo originario.

L’angoscia lo sovrasta e lo destabilizza , la rabbia lo invade nel tentativo di cancellare la distanza emotiva che percepisce nella figura del medico: Quel medico  che prima aveva idealizzato e poi aveva trasformato in una fonte di delusione . Per il paziente questo medico era diventato improvvisamente evitante e forse stava facendo in modo di non fargli avere la copia delle cartelle cliniche! Cerca così attraverso l’azione giudiziaria di ristabilire l’equilibrio psichico. In tal modo  soddisfacendo il desiderio pieno di risentimento di rimettere sé stesso al centro dell’attenzione dell’altro.

La ricerca di un contatto terapeutico

Ma lo fa, fortunatamente, anche ricercando il contatto terapeutico nella speranza di placare il suo dolore. Come può accadere una cosa simile? Per poterlo capire dobbiamo guardare allo sviluppo del Sé durante la prima infanzia.

Lo psicoanalista inglese, Winnicott afferma. ”Non esiste niente come il bambino” , il bambino in sé non esiste, esiste il bambino e l’ambiente in cui egli cresce, composto principalmente dalle cure materne. Allora, è essenziale considerare centrale per la crescita sana del bambino il ruolo della madre. Ma anche  di tutte quelle figure deputate all’educazione e allo sviluppo psicofisico del bambino stesso.

Il rapporto tra madre e bambino

Il rapporto con la madre deve assolvere ad una duplice funzione: sostenere il bambino ed introdurlo nel mondo reale.

Per Winnicott la madre già nei primi mesi di gravidanza entra in uno stato psicologico di preoccupazione materna primaria. In questo stato  fornisce al bambino un ambiente psichico e fisico di sostegno. Pone in secondo piano i propri bisogni e si sintonizza con quelli del bambino. In questo modo riesce a soddisfare i bisogni del piccolo non appena questi si manifestano (ad esempio allattare il neonato non appena questi percepisce lo stimolo della fame).

Stato di onnipotenza soggettiva e maturazione del bambino

In questa fase dello sviluppo il bambino attraversa uno stato di onnipotenza soggettiva in cui, essendo ancora un tuttuno con la madre, crede di poter soddisfare da solo i propri bisogni. Successivamente quando la madre esce dallo stato di preoccupazione materna primaria e inizia a “riattivare” i propri bisogni e desideri, il bambino sperimenta le prime frustrazioni. Ad esempio l’allattamento arriva un po’ in ritardo rispetto alla sensazione di fame. Ed è proprio attraverso queste frustrazioni che il bambino inizia a percepire la realtà esterna e, uscendo dallo stato di onnipotenza soggettiva, attraverso una fase di transizione – in cui si relaziona con il cosiddetto oggetto transazionale (ad esempio l’orsacchiotto di peluche o la famigerata “copertina di Linus”) – raggiunge la maturità psicologica.

Il sistema di attaccamento madre-bambino per Bowlby

E Bowlby sostiene che in tutte le specie in cui si sviluppa attaccamento tra il neonato e la madre, quest’ultima dimostra un comportamento di cura verso il piccolo che è complementare alle risposte di attaccamento del neonato.

Bowlby scardinando il primato delle pulsioni freudiano (libido o pulsione di vita e aggressività o pulsione di morte) pone al centro del comportamento e della psiche umana il sistema d’attaccamento, che diviene quindi il sistema motivazionale principale del comportamento.

Integra il modello psicoanalitico classico con le osservazioni comportamentali del mondo animale di stampo etologico di Lorenz, soprattutto riguardo le interazioni madre-cucciolo e madre-bambino.

La solitudine , l’angoscia e infine la rabbia di D.M.

La solitudine in cui viveva D.M. nel momento in cui gli viene comunicato che il suo problema non è risolto, rimettendolo in contatto col suo dolore in modo completamento estraneo , freddo, tramite una ecografia fatta in una struttura diversa, lo rimette in contatto col vuoto affettivo e l’isolamento emotivo originario.

L’angoscia lo sovrasta e lo destabilizza , la rabbia lo invade nel tentativo di cancellare la distanza emotiva che percepisce nella figura del medico, che prima aveva idealizzato e poi aveva trasformato in una fonte di delusione . Per il paziente questo medico era diventato improvvisamente evitante e forse stava facendo in modo di non fargli avere la copia delle cartelle cliniche! Cerca così attraverso l’azione giudiziaria di ristabilire l’equilibrio psichico, soddisfacendo il desiderio pieno di risentimento di rimettere sé stesso al centro dell’attenzione dell’altro.

Il sistema di attaccamento e lo sviluppo del bambino

Lo psicoanalista britannico riprende le osservazioni di Harlow sul comportamento delle scimmie. In una situazione sperimentale di laboratorio un cucciolo di scimmia veniva collocato di fronte a una scimmia meccanica che forniva latte e una scimmia di pezza. Harlow osservò che il cucciolo, dopo un breve periodo in cui volgeva l’attenzione alla scimmia meccanica che forniva il nutrimento, si rivolgeva esclusivamente alla scimmia di pezza, cercando contatto e calore. La motivazione primaria non era più la nutrizione, ma il contatto fisico con un corpo accogliente.

Le interazioni tra madre e bambino (che iniziano già durante la gravidanza, e che vanno dall’abbraccio allo scambio di sguardi, alla nutrizione, alla consolazione ecc.). Strutturano ciò che viene definito sistema d’attaccamento, il sistema che guiderà (anche nella vita adulta) le interazioni e gli scambi relazionali affettivi.

La base sicura della madre

La funzione principale della madre è quella di fornire al bambino una base sicura. Fargli sentire che esiste ed è protetto. La funzione di base sicura, nei primi anni di vita viene assolta fisicamente dalla mamma, poi diviene una struttura interna capace di consolare e proteggere durante tutto l’arco della vita, attraverso l’interiorizzazione dei comportamenti e degli affetti suscitati dalla mamma stessa.

Partendo dalla base sicura il bambino può iniziare a muovere i primi passi lontano dalla mamma e cominciare ad esplorare il mondo esterno e a stimolare lo sviluppo delle funzioni cognitive. In tal modo sarà certo di poter tornare in qualsiasi momento dalla mamma stessa.

In questo modo il bambino, e poi l’adulto, può sentirsi libero di allontanarsi e differenziarsi gradualmente dalla mamma, senza dover temere l’allontanamento.

La struttura dei Modelli Operativi Interni

Attraverso le interazioni bambino-figure d’attaccamento (scambi affettivi, abbracci, dialoghi, accudimento durante periodi di malattia, ecc. ) il bambino struttura dei Modelli Operativi Interni (MOI), cioè rappresentazioni di interazioni che guideranno lo stile d’attaccamento.

Quest’ultimo caratterizza le interazioni affettive (relazioni di coppia, relazioni intime, ecc.) ed è a sua volta predittivo dello stile d’attaccamento del proprio figlio.

Figure di attaccamento e Stili di attaccamento

E’ importante sottolineare che Bowlby parla di figure d’attaccamento e non solo di madre. Egli, infatti, è convinto che dove le figure d’attaccamento primarie (i genitori e la madre in primis) falliscono, altre figure d’attaccamento significative (zii, parenti, amici, nonni, addirittura animali domestici, ecc.) possono fornire al bambino quei pattern di interazione “sani”. Tali pattern  gli consentono di interiorizzare la funzione di base sicura e di poter esplorare l’ambiente liberamente.

Il modello di Bowlby, infatti, ritiene importantissimo per lo sviluppo sano del bambino la presenza di almeno una figura d’attaccamento in grado di fornire al bambino il senso di protezione e di consolazione. Ossia il porto sicuro (“safe harbour”) dove poter tornare dopo l’allontanamento esplorativo e su cui poter fare affidamento. In un primo momento fisicamente e successivamente psichicamente (la funzione psichica interiorizzata di base sicura).

La fiducia nella disponibilità da parte delle figure di attaccamento è alla base della stabilità emotiva, mentre l’angoscia e la sofferenza sono determinate massimamente da disturbi nel primo attaccamento alla madre e ai successivi oggetti.

Lo stile d’attaccamento può comunque modificarsi nel corso della vita attraverso relazioni affettive significative in grado di fornire “sicurezza” (come relazioni di coppia, relazioni con analisti/terapeuti, ecc.).

Classificazione degli stili d’attaccamento

Bowlby classifica gli stili d’attaccamento in quattro categorie principali che possono essere rilevate nei bambini attraverso la strange situation, creata dalla Ainsworth e collaboratori, e nell’adulto tramite l’Adult Attach ment Interview, costruita dalla Main e collaboratori. Esse sono le seguenti.

Sicuro
  • sicuro: L’individuo ha fiducia nella disponibilità e nel supporto della figura di attaccamento, nel caso si verifichino condizioni avverse o di pericolo. In tal modo, si sente libero di poter esplorare il mondo. Tale stile è promosso da una figura sensibile ai segnali del bambino, disponibile e pronta a dargli protezione nel momento in cui il bambino lo richiede. I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: sicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di essere amabile, capacità di sopportare distacchi prolungati, nessun timore di abbandono, fiducia nelle proprie capacità e in quelle degli altri, Sé positivo e affidabile, altro positivo e affidabile. L’emozione predominante è la gioia.
Insicuro distanziante/evitante
  • insicuro distanziante/evitante: Questo stile è caratterizzato dalla convinzione dell’individuo che, alla richiesta d’aiuto, non solo non incontrerà la disponibilità della figura di attaccamento, ma addirittura verrà rifiutato da que sta. Così facendo, il bambino costruisce le proprie esperienze facendo esclusivo affidamento su se stesso, senza l’amore ed il sostegno degli altri, ricercando l’autosufficienza anche sul piano emotivo, con la possibilità di arrivare a costruire un falso Sé. Questo stile è il risultato di una figura che respinge costantemente il figlio ogni volta che le si avvicina per la ricerca di conforto o protezione. I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: insicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di non essere amato, percezione del distacco come “prevedibile”, tendenza all’evitamento della relazione per convinzione del rifiuto, apparente esclusiva fiducia in se stessi e nessuna richiesta di aiuto, Sé positivo e affidabile, altro negativo e inaffidabile. Le emozioni predominanti sono tristezza e dolore.
Insicuro preoccupato/ansioso ambivalente
  • insicuro preoccupato/ansioso ambivalente: Non vi è nell’individuo la certezza che la figura di attaccamento sia disponibile a rispondere ad una richiesta di aiuto. Per questo motivo l’esplorazione del mondo è incerta, esitante, connotata da ansia ed il bambino è incline all’angoscia da separazione. Questo stile è promosso da una figura che è disponibile in alcune occasioni ma non in altre e da frequenti separazioni. Se non addirittura da minacce di abbandono, usate come mezzo coercitivo. I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono. Insicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di non essere amabile, incapacità di sopportare distacchi prolungati, ansia di abbandono, sfiducia nelle proprie capacità e fiducia nelle capacità degli altri. Sé negativo e inaffidabile (a causa della sfiducia verso di lui percepita nella figura di attaccamento). Altro positivo e affidabile. L’emozione predominante è la colpa;

Disorientato/disorganizzato

  • disorientato/disorganizzato:  Bambini che appaiono apprensivi, piangono e si buttano sul pavimento o portano le mani alla bocca con le spalle curve in risposta al ritorno dei genitori dopo una breve separazione. O bambini che manifestano comportamenti conflittuali, come girare in tondo mentre simultaneamente si avvicinano ai genitori. Altri ancora appaiono disorientati, congelati in tutti i movimenti (freezing), mentre assumono espressioni simili alla trance. Sono anche da considerarsi casi di attaccamento disorganizzato quelli in cui i bambini si muovono verso la figura di attaccamento con la testa girata in altra direzione, in modo da evitarne lo sguardo. Gli adulti con questo stile d’attaccamento risulteranno spaventati/spaventanti con il proprio bambino, in altre parole non solo non saranno in grado di proteggere il bambino, ma addirittura lo spaventeranno.

La rabbia narcisistica (Heinz Kohut)

Heinz Kohut, lo studioso del narcisismo e il padre dell’importante movimento della Psicologia del Sé (la cui cornice teorica ha fatto poi da sfondo a tutta la recente infant research) , è stato sempre attento alle dinamiche dell’aggressività, in particolare della “rabbia narcisistica”.

Kohut, nel saggio “Pensieri sul narcisismo e sulla rabbia narcisistica”, del 1972 (ibid., p. 136) ricorda che una volta Freud (1932, p. 177) criticò la tesi di un biografo di Guglielmo II che aveva seguito le idee di Adler nell’interpretare la sua tendenza ad offendersi e a ricorrere alla guerra. Guglielmo II era nato con un braccio deforme, e quel biografo ipotizzò una sua ferita narcisistica cronica come reazione a un senso di “inferiorità d’organo”, reazione responsabile del suo carattere vendicativo e possibilmente anche dello scoppio della prima guerra mondiale.

L’importanza di un sano sviluppo emotivo

Secondo Freud invece questa interpretazione non era assolutamente corretta, poiché la ferita narcisistica non era il trauma di nascere con un braccio deforme, ma il rifiuto di lui da parte della sua orgogliosa madre che non poteva tollerare di avere un figlio imperfetto.

Kohut concordando con questa osservazione di Freud, approfondisce il tema affermando che un sano sviluppo emotivo dipende esclusivamente dal rispecchiamento empatico della madre (che è l’oggetto-Sé [self-object]) nei confronti del bambino : “Io credo che la distruttività umana, come fenomeno psicologico, sia secondaria; che essa sorga originariamente come fallimento da parte dell’ambiente oggetto-Sé di venire incontro ai bisogni empatici ottimali da parte del bambino” (Kohut, 1977, p. 116 ed. or.).

L’importanza dell’approvazione della madre

L’ approvazione ed ammirazione della madre costituiscono i fattori che permettono la trasformazione dell’investimento narcisistico del Sé grandioso ed esibizionistico arcaico (tramite quella che lui chiama “internalizzazione trasmutante”) in modo tale da poter integrare la grandiosità e l’esibizionismo arcaici nel resto della organizzazione psichica.

Se vi è dunque un mancato rispecchiamento empatico da parte dell’oggetto-Sé, si crea una “scissione verticale” nella psiche, per cui il Sé arcaico grandioso-esibizionistico rimarrà latente e potrà a tratti rompere le difese e paralizzare l’Io con sensi di vergogna e rabbia intense.

Questi sentimenti arcaici che permangono in settori scissi della psiche sono responsabili, secondo Kohut, di altrettanto arcaiche e primitive manifestazioni difensive di odio, aggressività o rabbia in occasione di determinate ferite narcisistiche.

Il bambino narcisista secondo Kohut

Kohut pensa che i primi bisogni del bambino non sono pulsionali, bensì narcisistici. Il bambino si propone e si afferma “con richieste di ammirazione onnipotenza che hanno bisogno di essere rispecchiate e restituite”. Il bambino, cioè, ha bisogno di essere accettato incondizionatamente per come egli è, si trova ad essere e si sta disgelando; contemporaneamente ha bisogno di un interesse, di un’attenzione viva ed empatica, che dia immediata risposta alle sue necessità primarie, ma anche a quelle di calore, sostegno, conforto, rassicurazione, di accettazione gioiosa dei propri movimenti evolutivi.

Un inadeguata risposta empatica dei genitori ai bisogni del bambino porterà ad uno sviluppo dell’autostima difettoso.

Inadeguata empatia causa  mancanza di autostima del bambino

La mancanza di autostima, quindi, non è legata ad una frustrazione o ad un evento traumatico in se, sostanzialmente al sesso (complesso edipico, angoscia di castrazione, invidia del pene, “genitalità“ non raggiunta). Ma le sue origini genetiche sono individuabili ad una serie ripetuta di risposte inadeguate degli adulti ai bisogni del bambino che comporta per lui una serie ripetuta di eventi traumatizzanti, responsabili dei disturbi emotivi.

La formazione nel bambino di un Sé solido e armonico, per Kohut riprendendo le ipotesi di Sullivan sull’esistenza di un legame empatico tra madre e bambino. Attraverso questo legame vengono trasmesse influenze reciproche e il flusso di vissuti di soddisfacimento di angoscia dipendeva dalla capacità innata della madre di entrare in sintonia con lui. Nonché  dalla sua sensibilità affettiva.

Inadeguata sensibilità affettiva causa angoscia del bambino

Viceversa, qualora queste stesse capacità della madre fossero difettose, sarebbero responsabili del determinarsi nel bambino di un Sé colmo di angoscia e predisposto alla scissione.

L’empatia materna implica, oltre all’identificazione e alla comunione di sentimenti con il bambino, anche la sensazione di separazione da lui. La madre deve avere sul bambino pensieri e progetti coerenti con ciò che il bambino sta svelando di sè , che gli consentirà la separazione da lei attraverso una progettualità propria ed individuale.

La trasformazione del sistema disdico madre-bambino

Infatti, il tipo di relazione simbiotica deve necessariamente trasformarsi man mano che il neonato cresce, in modo graduale e armonico, in modo da poter contenere l’onnipotenza trasmessa al bambino tramite l’indifferenziazione tra sé e l’adulto accuditivo.

La matrice dell’esperienza psicologica è, dunque, la madre e le origini dei disturbi del Sé, le future patologie psichiche a livello di vulnerabilità emotiva e di disturbi narcisistici sono da rinvenire nel sistema diadico madre-bambino.

La crescente esperienza, da parte dei due soggetti della relazione, che l’oggetto d’amore ha desideri che non coincidono automaticamente con i propri, mette infatti fortemente in discussione l’onnipotenza simbiotica in cui è immerso il bambino, fornendogli la cognizione altrettanto crescente che l’altro è un individuo a sé stante.

Esibizione grandiosa del Sé ossia bisogno di essere riconosciuto

Di solito, in un ambiente adeguatamente rispondente, tali bisogni primari perdono spontaneamente in intensità e urgenza anche grazie ad una dinamica complementare, alla cosiddetta “esibizione grandiosa del Sé” che rientra nel bisogno innato di essere riconosciuti, accettati e apprezzati da un’altra persona significativa per la nostra unicità ed esclusività: Questa  consiste, secondo Kohut, nel bisogno di idealizzazione di una figura parentale (generalmente la madre, ma anche il padre) e questo accade perché, ad arginare l’onnipotenza del bambino, saranno intervenuti “naturalmente” i limiti della figura di accudimento che, per quanto empatica, difetterà inevitabilmente nel tentativo di corrispondere ai suoi bisogni.

L’identificazione del bambino con a madre

Infatti i limiti dell’oggetto-Sé saranno in fase precoce percepiti dal bambino come limiti propri. Constaterà che il proprio desiderare non comporterà inevitabilmente l’accadere di quanto desiderato. Idealizzerà allora l’adulto attribuendogli una onnipotente perfezione irrealistica, dovuta al fatto che è in grado di soddisfargli ogni esigenza. In questa fase il bambino ha necessità di percepire dall’adulto quella calma, forza e benevolenza. Doti queste  che gli permetteranno sia di sentirsi sicuro che di potersi identificare con la persona che può ammirare.

Successivamente, gli stessi inevitabili limiti genitoriali, percepiti come non traumatici, saranno sentiti dal bambino realisticamente come tali, permettendogli un ritiro di investimenti affidandosi a se stesso nell’esercizio di funzioni che gli consentiranno gradatamente il cammino verso l’autonomia , avvalendosi di strutture nel frattempo metabolizzate e costituite proprie.

Frustrazione ottimale cioè modulare l’onnipotenza del sé

E’ necessario che i genitori in questa fase sappiano contenere le richieste del bambino dando un limite all’iniziativa. Si tratta di modulare, con le richieste, la sua onnipotenza e di non lasciarlo in preda a sentimenti e sensazioni che per quanto piacevoli, o spiacevoli, non è in grado di sostenere per qualità e livello rischiando di esser e sopraffatto.

E’ la cosiddetta frustrazione ottimale, che interverrà in modo contenitivo ed armonico, senza traumi, così come la dilatazione dell’inspirazione sarà con tenuta dall’espirazione, la sistole dalla diastole.

La madre è la figura che influisce sulla percezione di sé

La madre è pertanto quella prima figura (Oggetto-Sé) che viene recepita, vissuta, esperita dal bambino come capace – o meno – di offrire in modo sufficientemente stabile e duraturo. Funzioni di cui pian piano si approprierà, entro una relazione che lo conserva, lo contiene, lo protegge, lo rassicura, lo tranquillizza, lo sostiene e lo stimola. Influendo così, positivamente, sulla percezione di sé.

Il legame con l’oggetto-Sé che è stato interiorizzato in condizioni generalmente buone è disponibile ad essere evocato quando necessario, quale fonte propria di tranquillità, sostegno e accrescimento di autostima.

Infatti, l’esperienza dell’offerta di funzioni di oggetto-Sé da parte di un altro, relativamente differenziato, è esigenza normale e sana. E’ sano anche il senso di possesso presente nel bambino verso l’oggetto-Sé, possesso meglio inteso come presunzione al diritto della sua presenza. Anche se la percezione di possederlo e di aver diritto alle sue funzioni è del tutto inconsapevole.

Il danneggiamento del Sè e la ferita narcisistica

La rabbia ha una duplice origine. Da un lato scaturisce da un danneggiamento della grandiosità. Dall’altro deriva dalla perdita del controllo e dalla rottura della fusione con l’oggetto idealizzato onnipotente . E dunque deriva sia da una ferita narcisistica che da un tentativo di ristabilire l’integrità del Sé. Ed è finalizzata a rendere disponibile incondizionatamente un oggetto-Sé ammirante e di fondersi con un oggetto-Sé idealizzato.

Esser capaci di farsi valere, di esprimere i propri punti di vista o desideri, di opporsi in forma assertiva è segno della presenza di un Sé integro. In questo senso, l’esperienza della rispondenza dell’ “ambiente oggetto-Sé” precoce è l’indispensabile punto di partenza normale del bambino. Ciò in quanto solo la solida interiorizzazione di tale esperienza pone le basi per un’attesa fiduciosa di un’adeguata rispondenza di altri “oggetti” nel corso dell’esistenza.

Il fallimento della rispondenza materna

Se, invece, il bambino sperimenta ripetutamente il fallimento della rispondenza materna, stabilisce un legame con la propria esperienza interna negativo e alla fine sarà costretto a sviluppare meccanismi di autoconservazione fragili e spesso coatti. Un Sé deficitario o frammentato ha difficoltà a far fluire le proprie potenzialità o a mobilizzare adeguatamente l’aggressività.

Quando il Sé ha subìto precocemente un indebolimento, o non ha mai raggiunto un’integrazione soddisfacente e stabile perché la “figura materna oggetto-Sé”, non è stata in grado di offrire le funzioni relazionali necessarie al bambino, questi sarà predisposto alle tensioni derivanti dalla propria vulnerabilità. Vivrà spesso situazioni esistenziali come ripetizione del trauma subito. E sarà incapace di rispondere assertivamente agli eventi. Il fallimento della relazione primaria determinerà un senso di vergogna e di umiliazione.

La rabbia che scaturisce dall’oggetto frustrante

E questo e per la loro intollerabilità verranno cancellate dalla consapevolezza, innescando rabbia nei confronti dell’oggetto frustrante.

In queste condizioni il Sè reagirà con una forma distorta di rabbia (narcisistica), associata di solito ad un senso continuo di danno subito: ciò non costituisce un’espressione della natura della personalità (pulsione), ma uno stato affettivo conseguente ad un’esperienza patogena. Gli psicologi del Sé ne parlano come di un prodotto derivato.

Si possono sviluppare comportamenti patologici che vanno dalla sofferenza lieve.  Per es. problemi di attaccamento e dell’affettività.  Ad una gravità importante per es., alcune depressioni gravi, tentativi di suicidio, oppure episodi antisociali di varia gravità ( furti, persecuzioni, violenze varie). Queste ultime  hanno un valore difensivo per il Sé , nel tentativo di riparare o ricucire una grave ferita dell’immagine di Sè. In realtà si diventa vendicativi verso gli altri , subdolamente aggressivi, lamentosi.

A cura della Dott.ssa Floriana De Michele

Psicologa Psicoterapeuta

Se hai trovato interessante l’articolo e se vuoi contattarmi per un consulto, un incontro o una psicoterapia compila il form oppure clicca il bottone ‘whatsapp’ ?

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: Il ruolo del padre tra normalità e patologia.

Chiamami con Whatsapp

far cambiare idea

È possibile far cambiare idea ?

La Sfida del Cambiamento di Opinione Ad ognuno di noi probabilmente è capitato di voler convincere qualcuno che la …

empatia

L’Empatia: Il Collante Sociale per un Mondo Migliore

Introduzione Nell’era delle divisioni e dei conflitti, la ricerca psicologica sottolinea l’importanza cruciale …

amicizia platonica

L’importanza delle amicizie platoniche

Introduzione Nella nostra cultura, il romanticismo è spesso considerato l’apice delle relazioni umane. Tuttavia, …