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La psicologia dell’ansia (dal Seminario ad Avezzano, 25 maggio 2005)

Cosa è l’ansia ?

L’ansia è l’emozione sicuramente più diffusa e conosciuta dalle persone al giorno d’oggi. Un esame, un incontro di lavoro, l’attesa di una notizia, un cambiamento, un ritardo, ma anche solo una telefonata basta per far sperimentare questo stato d’animo particolare.

L’ansia è un emozione che si instaura dentro di noi lentamente e in maniera silenziosa fino a diventare forte e assolutamente insopportabile. Ci fa sentire spesso “rabbiosi”. Ma la sensazione più comune è quella dell’apprensione, della paura, fino al vero e proprio terrore.

Di conseguenza ci sentiamo bloccati e non riusciamo a fare le cose che ci piacerebbe fare.

Ci sentiamo vulnerabili e portati a sottovalutare le nostre capacitàa fare pensieri disastrosi, catastrofici sulle situazioni che viviamo. Ad avere attacchi di panico veri e propri o a deprimerci in modo significativo. Oppure a somatizzare ammalandoci , così, nell’organismo.

Eppure è proprio l’ansia che, in condizioni normali, ci consente di affrontare le sfide della quotidianità manifestandosi innanzitutto come tensione positiva e carica psicologica.

Quando e perchè l’ansia si trasforma nella nostra peggiore nemica?

Attualmente si contano a milioni le persone che soffrono di attacchi di panico o che lamentano anche solo alcune delle duecentosettanta fobie conosciute.

C’è una ragione se accade proprio a noi oppure è solo un caso?

Si può ritrovare l’equilibrio perduto e come si può fare?

L’etimologia della parola ansia ci dice che essa deriva dal latino anxius la cui radice significa “Soffocare, strangolare”e Freud usa il termine tedesco Angst (Angoscia). Questo termine  in italiano viene tradotto indifferentemente col termine di ansia o di angoscia. Esso sta ad  indicare nel linguaggio della psicoanalisi le reazioni d’allarme della persona di fronte ai pericoli provenienti dalle esperienze esterne o dai propri turbamenti psichici.

L’ “angoscia” freudiana

Freud precisa che è possibile distinguere il pericolo reale , che è una minaccia proveniente da un oggetto esterno, dal pericolo nevrotico, che scaturisce da un’esigenza pulsionale legata cioè ad un bisogno interiore.

L’ angoscia è dovuta alla disperazione che si prova di fronte al pericolo. Egli chiama traumatica una situazione di disperazione realmente vissuta. Chiama situazione di pericolo una situazione che ricorda l’evento traumatico. Questo perché  permette al soggetto di prevedere il pericolo e prepararsi.

a) Angoscia automatica

L’angoscia o l’ansia che si prova è, allora, di due tipi. Un primo tipo è detta ansia o angoscia automatica provocata dall’afflusso, dall’esterno o dall’inconscio, di eccitazioni traumatiche, che il soggetto non riesce a dominare.

b) Angoscia segnale

Inoltre c’è un angoscia o ansia segnale , che si produce quando la situazione che crea disperazione continua ad incombere. Essa assume una funzione di difesa dell’io. E’  come un meccanismo d’allarme che avverte l’io dell’avvicinarsi di una minaccia grave per il proprio equilibrio, identificata con il male , il brutto, l’ignoto.

La situazione che crea disperazione è una situazione traumatica ed è la rappresentazione della nascita (O. Rank) in quanto ripetizione di un avvenimento importante appartenente al passato del soggetto.

Il trauma della nascita e la paura di perdere il sostentamento

Alla nascita, a seguito della separazione fisica dalla madre, il neonato è posto in una situazione di stimolazione massima, internamente ed esternamente. Egli non possiede la struttura e la capacità adattiva di rispondere con azioni difensive.

Durante gran parte dell’infanzia (come vedremo anche in seguito) il bambino non è attrezzato per affrontare le stimolazioni a cui e’ sottoposto. Pertanto si trova in uno stato di estrema vulnerabilità. Le risposte che vengono provocate quando un individuo è sottoposto a stimoli che non può padroneggiare e integrare nella sua Personalità , perchè vanno al di là delle sue capacità, daranno forma alla Situazione traumatica.

Nello sviluppo più avanzato , dice Freud, il neonato deve affrontare una minaccia diversa , legata alla paura di perdere gli oggetti importanti da cui dipendono il suo sostentamento e lenimento delle tensioni interne: in poche parole sua madre.

Angoscia di separazione del bambino

Tale paura è giustificata dalla sua estrema dipendenza da lei e l’angoscia che ne deriva.  Freud in questo caso chiama angoscia di separazione, è basata su considerazioni reali, sulla realtà.

Nel bambino, dice Freud, non c’è la capacità di valutare il pericolo. Per cui la produzione d’angoscia non è legata al pericolo reale. Il bambino reagisce alla perdita della madre e cioè riproduce l’angoscia che accompagna l’atto della nascita, la separazione da lei. Questa separazione , secondo Freud, lascia la libido o carica affettiva, inutilizzata , ferma, inattiva in quanto manca l’oggetto su cui appoggiarsi.

Egli sottolinea che questa perdita dell’oggetto amato può essere sostituito da una situazione che abbia lo stesso significato. Per esempio,il bambino che nel buio non vede più sua madre crede di averla perduta e reagisce con angoscia ogni volta che si ritrova al buio.

L’angoscia negli adulti : I nevrotici di Freud

Una cosa simile succede agli adulti che soffrono di ansia (nevrotici di Freud) con una differenza rispetto ai bambini, per cui la carica affettiva legata alla situazione traumatica viene staccata da essa , o rimossa. In teoria la rimozione crea l’angoscia, e si trasforma direttamente in angoscia. Altre volte , però, accade che in sostituzione dell’angoscia si formano dei sintomi tipo fobie e ossessioni. Queste  impediscono la percezione del dolore dovuta all’emozione di angoscia.

L’angoscia diventa così una funzione reale dell’io. E’ cioè  come un segnale di dispiacere che permette di mobilitare tutte le energie disponibili dell’io contro la pulsione o carica affettiva che proviene dall’ego dall’inconscio. Essa si origina in ogni caso dalla perdita o dalla minaccia della perdita dell’oggetto.

A sostegno di questa teoria attualmente sono gli studi di psico-neuro-biologia che descrivono le funzioni psico-mentali dell’uomo in tre attività, che si influenzano reciprocamente, ma che hanno tempi e modi propri di manifestarsi.

Esse sono : l’emotività, l’affettività, l’attività intellettivo-cognitiva.

Emotività ed Ansia

In questo momento ci soffermiamo sull’emotività perché è ciò che spiega il funzionamento dell’ansia.

L’emotività nello sviluppo filogenetico è presente in tutti i livelli del regno animale. Essa rappresenta un modello reattivo, istintivo, difensivo ed adattivo, attraverso il quale l’individuo risponde agli stimoli del mondo esterno.

Sembra, quindi, che ci sia un sistema adattivo-difensivo molto primitivo e comune a tutte le specie.  Essa  fa capo ai circuiti (neuroni, sinapsi, assoni e dendriti) che compongono il sistema limbico o cervello limbico o cervello del serpente.

Emozioni

Le emozioni si organizzano a vari livelli per cui riconosciamo le seguenti.

  1. attenzione e allerta
  2. tensione
  3. ansia
  4. angoscia

Queste possono evolversi in processi più complessi tra i quali si riconoscono le seguenti.

  1. l’ansia libera
  2. la paura
  3. ansia
  4. il terrore

La funzione che riunisce e rende simili tutti gli individui del regno animale è la capacità di reagire agli stimoli che giungono dal mondo esterno. Ciò avviene in un modo rapido (basso tempo di latenza), istintivo (cioè non mediato da altre funzioni e quindi strutture), automatico (senza la necessità di una speciale elaborazione).

Questi meccanismi però, portano a reazioni molto semplici che, negli animali (vedi serpenti) si limitano all’attacco o alla fuga.

Risposte emotive adattive e difensive

Nel caso specifico umano, invece, le risposte emotive vengono dette adattive, oltre che difensive, in quanto si organizzano come un sistema efficace per la difesa dell’individuo attraverso risposte che, seppure a volte non siano perfettamente adeguate, sono immediate (quasi del tipo tutto o nulla) e quindi permettono una difesa quasi sempre efficace.

Nell’uomo, infatti, il sistema emotivo è particolarmente efficiente ed attivo. Esso  è già presente nel neonato, nel quale una quantità notevole di risposte automatiche assumono proprio un valore difensivo ed adattivo. A questo punto cerchiamo di definire i vari stati delle emozioni.

Stati emotivi
Stato di allerta

Stato di allerta: E’  una risposta di preparazione per la quale il soggetto sposta rapidamente l’attenzione sulla qualità dello stimolo, sulla sua origine e sulla intensità. In un secondo tempo, se si attivano funzioni superiori che giustificano e/o tolgono significato all’input, l’allerta sfuma e si esaurisce. Si torna così al lo stato psichico in quiete.

Stato di tensione

Stato di tensione: E’  una risposta più intensa dell’allerta perché con questa il soggetto si prepara ad analizzare le componenti dello stimolo in entrata. Queste vengono  distinte in qualità, pericolosità, intensità. La tensione porta il soggetto a predisporre varie risposte possibili spostando l’attenzione in modo continuo dallo stimolo al “soggetto attore”.

Stato di ansia

Stato di ansia: E’ una risposta intensa, più o meno giustificata, ma sempre legata ad uno stimolo e/o ad una situazione determinata. L’ansia può diventare anormale o decisamente patologica quando dura a lungo nel tempo. Non viene cioè controllata dai sistemi specifici. Soprattutto, diventa invasiva, andando ad occupare gli spazi dell’affettività e dell’attività cognitiva, simbolica, razionale.

Stato di ansia libera

Stato di ansia libera: E’  uno stato patologico nel quale l’ansia fluisce in continuazione, senza freni e, soprattutto, senza giustificazioni logiche. E’ cioè svincolata dall’esperienza sensibile e determinata da vissuti profondi e personali.

Stato di angoscia

Stati d’ angoscia: E’ un’ansia, ma di grado molto elevato per cui i sistemi di controllo non riescono a contrastarla. Si parla di angoscia conscia e di angoscia inconscia. Ma, per lo più, si tratta di questo secondo tipo, dato che viene attivata da stimoli anche insignificanti se considerati dal di fuori. L’angoscia è una esperienza molto disturbante. Ciò anche perché il soggetto non riesce a trovare il modo di contenerla. Quindi, vive un sentimento come di essere in balia di qualcosa di troppo poderoso e distruttivo.

Stato di paura

Stato di paura: E’  una reazione non automatica, non così diretta come l’ansia e l’angoscia. Quindi, più elaborata , più determinata e legata all’esperienza sensibile o a situazioni ben definite.

Stato di terrore

Stato di terrore: E’  una paura molto accentuata e viene riconosciuto come risposta a qualcosa che non può essere controllato. E che genera situazioni dalle quali non si può sfuggire. Quindi, entra in gioco un sentimento di impotenza e di aver perso ogni possibilità di autodifesa. Il  soggetto non trova vie di scampo possibili.  Quindi, vive violente sensazioni di essere in balia dell’altro o di qualcosa che genera uno stato di morte imminente e, dunque, di invincibile e catastrofico.

Il sistema limbico e le emozioni

Da un punto di vista neurobiologico le emozioni sono il risultato dell’entrata in funzione del sistema limbico. Esso  è formato da diverse strutture centro-encefaliche situate sia a destra che a sinistra nel tronco encefalico.

Queste si articolano direttamente con le vie sensoriali e sensitive che giungono anche al talamo per poi raggiungere le aree corticali specifiche. Tale organizzazione spiega il perché della bassa latenza delle risposte emotive.

Le più importanti strutture del sistema limbico sono:

  • amigdala: che partecipa all’organizzazione del sistema mnesico.
  • ipotalamo: che attiva le risposte vegetative che accompagnano le emozioni (vasocostrizione, ipertensione, rossore alle gote, tachicardia, sudorazione delle mani, senso di sudorazione fredda dietro la schiena).

Incontenibilità dell’Ansia

Ci sono situazioni patologiche complesse come l’ x-fragile nelle quali l’impossibilità di contenere le risposte emotive è veramente imponente ed il soggetto somatizza l’iperattività dell’ipotalamo con varie sintomatologie.

lacrimazione, rinorrea, scialorrea, tachicardia, iperventilazione, midriasi ed un quadro psico-espressivo di angoscia incontenibile.

Questa osservazione ci porta a pensare all’impossibilità di attivare mezzi contenitivi nei confronti dell’ansia con la conseguente presenza di ansia libera e di crisi violente di angoscia.

Il meccanismo d’azione di questa particolare risposta (esagerata) è ancora poco conosciuto.

E’ espansione e si manifesta in contesti variabili e dinamici. Uno speciale contesto ambientale, di estrema importanza per l’uomo, è quello delle relazioni intime.

Freud , come ho già detto, sostiene che le emozioni sono segnali, situati nell’io ed afferma anche che le emozioni funzionano automaticamente ed hanno un ruolo regolatore.

Vediamo come.

Regolazione delle emozioni secondo Freud

Sebbene le emozioni abbiano una funzione integrativa in tutto l’arco della vita, nella prima infanzia si hanno gli esempi più drammatici.

Renè Spitz descrive tre stadi nei primi due anni di vita del bambino, ciascuno associato a nuovi pattern di emozioni. Afferma che il lattante può percepire solo degli stati di tensione, al massimo di allarme di fronte ad uno squilibrio interno (fame, replezione vescicale o intestinale).

Attualmente si possono rilevare sei periodi di transizione durante i primi quattro anni di vita.

Queste transizioni costituiscono dei periodi evolutivi dove i cambiamenti sono pervasivi, durevoli ed implicano un grande ri-orientamento nelle relazioni tra persona e ambiente. Compaiono nuovi pattern di processi emozionali e nuovi segnali emozionali e questi permettono altri cambiamenti nel bambino e nel suo ruolo in famiglia.

Le transizioni evolutive del bambino

Vediamo rapidamente quali sono queste transizioni.

Da 0 a 2 mesi di vita

La prima (0-2 m di vita) segue la nascita e gli adattamenti regolatori post-nascita che avvengono nel neonato. L’espressione emozionale predominante è il pianto, che comunica il malessere ed è diretta ai genitori che devono intervenire . Soprattutto, le espressioni emozionali di pianto, allerta/vigilanza e quiescenza sono usate per definire stati di bisogno e motivazione per i genitori. Queste espressioni emozionali sono anche indici di processi di segnalazione interna. Questo perchè  il bambino acquisisce esperienza e confidenza nella capacità di essere consolato dagli altri. In altre parole, il neonato incomincia ad esperire e ad esprimere una personalità nel mezzo di intime relazioni con il genitore.

Da 2 a 3 mesi di vita

La comparsa del sorriso sociale, primo organizzatore di Spitz, cioè del sorriso di fronte alla maschera (se si mette davanti al bambino una figura che rappresenta il viso di una persona egli sorride senza distinguerlo dal volto della madre) definisce una transizione che va dai due ai tre mesi.

La nuova espressione emozionale, comunica lo stato di benessere del bambino ed è accompagnata da altri segnali emotivi, indici di cambiamenti interni che includono la sorpresa di fronte a nuove esperienze piacevoli e le espressioni di allerta, di sostenuto interesse.

Questi ultimi pattern emozionali, combinati con una maggior capacità per il contatto diretto, consentono nuove opportunità per l’impegno e l’apprendimento sociale e influenzano le aspettative sul ruolo familiare del bambino. I genitori rispondono aumentando le loro interazioni sociali col piccolo, portandolo sempre più spesso fuori casa e mostrandolo agli altri.

In questo periodo, si presenta un abbozzo della paura di fronte all’oggetto sconosciuto. M. klein colloca qui l’angoscia schizzo paranoide.

Tale angoscia sembra costituirsi tramite due meccanismi di difesa. La separazione dell’oggetto e dell’io o meglio la loro non riunione (seno buono e seno cattivo). Il fenomeno emotivo è l’angoscia di frantumazione e l’identificazione proiettiva. Per cui tutto ciò che c’ è di cattivo nell’io è contemporaneamente proiettato fuori e messo nell’oggetto.

L’identificazione con l’oggetto avviene solo dopo la separazione e la proiezione del cattivo oggetto parziale. In questo modo si può prendere le distanze nei confronti delle pulsioni distruttive e, così, tenere a bada l’angoscia.

Da 6 a 8 mesi di vita

Tra la fine del sesto mese e l’ ottavo mese compare il distress esterno e il profondo turbamento dovuto alla separazione dai genitori che comporterà nuove configurazioni emozionali.

I familiari rispondono ai cambiamenti interni del bambino con ulteriori modifiche nelle aspettative. Infatti, in questo periodo compaiono altri cambiamenti nella segnalazione emotiva. Essi sono conseguenti alle modifiche nell’organizzazione cognitiva e socio emozionale , dovute anche ai nuovi ruoli familiari.

I bambini, quando incontrano situazioni di incertezza, cominciano a cercare all’esterno espressioni emozionali, i cui referenti sono solitamente il padre e la madre. Quindi a seconda delle emozioni viste o sentite in altri, egli può avvicinare o evitare una persona estranea o un giocattolo nuovo (vedi il resoconto degli studi in Emde, 1992).

E’ il periodo in cui compare Perm. Klein, l’angoscia depressiva, il secondo organizzatore per Spitz. I due autori sostengono in questo momento l’apparizione del primo abbozzo totale dell’io, cioè della persona del bambino, dell’oggetto, cioè della persona dell’altro, la madre, dell’angoscia.

L’angoscia depressiva è la paura di perdere l’oggetto percepito come intero le cui parti sono riunite ed incorporate.

Il viso della madre a questo punto non viene più confuso con la maschera, la madre è percepita come esterna e se si assenta il bambino prova angoscia (paura dell’estraneo). Questa angoscia depressiva viene anche detta da Bowlby angoscia di separazione ed è l’angoscia della perdita dell’oggetto orale che è la prima angoscia di colpevolezza.

Da 10  a 13 mesi di vita

Il periodo compreso tra i dieci e i tredici mesi è caratterizzato dall’apprendimento della deambulazione e le sue conseguenze socio emozionali.

M. Mahler sostiene che in questo periodo il bambino aumenta le sue emozioni positive. Egli manifesta  quelle che comunicano un certo sentimento di esaltazione e di orgoglio (Mahler et al.,1975).

Un distress intermittente è sentito come conseguenza degli urti legati al camminare.

Più spesso, comunque, il bambino sperimenta stati di incertezza dovuti a un allargamento del mondo fisico e alle proibizioni genitoriali.

Il bambino necessita, perciò, di maggior “rifornimento emozionale” da parte dei genitori. Questi  aumentano le comunicazioni emotive, al fine di favorire l’esplorazione, trasmettendo rassicurazione e sicurezza.

In questa fase si sviluppa maggiore autonomia, ma nello stesso tempo i legami diventano più forti.

Da 18 a 22 mesi di vita

Il periodo tra il diciottesimo e il ventiduesimo mese , è quello della “transizione dal periodo neonatale all’infanzia”. Questo poiché si intravede l’inizio di una consapevolezza auto-riflessiva e la capacità di usare più parole per articolare un discorso (Fenson et al., 1994; Kagan, 1981; Lewis & Brooks-Gunn, 1979).

a) Il pattern emozionale: empatia

I nuovi pattern emozionali e le loro connessioni hanno a che fare con le prime istanze etiche, come l’empatia.

Il bambino non solo risponde al distress esterno con evidenti sentimenti di autodifesa, ma può impegnarsi in azioni prosociali quali la cura, la consolazione e l’aiuto rivolto agli altri (Radke-Yarrow et al.,1983; Zahn-Waxler et al., 1992).

b) Il pattern emozionale : distress

Un altro pattern emozionale è il distress dovuto alla violazione della norma ( Jerome Kagan 1981). Talvolta il bambino si altera notevolmente quandosi imbatte in una bambola rotta o in un giocattolo sporco o nella sostituzione della persona che solitamente si prende cura di lui, segni di una deviazione da ciò che si aspettava.

In questo periodo possono anche comparire le espressioni di vergogna.

Altra caratteristica importante è l’acquisizione del ” no semantico” (Spitz, 1957) ed un apparente negatività e malumore, con particolari conseguenze per le interazioni con i genitori ( Sandler 1962 e Mahler et al. 1975).

Il bambino manifesta maggior intenzionalità (per es. dove cammina), e maggior controllo delle emozioni (per es. pochi accessi di collera, più tolleranza per la frustrazione), aumenta la domanda di socializzazione.

E’ questo il periodo dell’angoscia anale. Questo è il primo tipo di angoscia legato contemporaneamente ad una pulsione , ad un divieto e ad un rischio di perdere l’oggetto. Le reazioni alle raccomandazioni e ai divieti dei genitori nel periodo dell’educazione sfinterica, la paura di perdere l’oggetto anale, il salame fecale, è parte del proprio corpo, che è io e non io, la cui separazione può essere pericolosa. Le oscillazioni fra reattività e passività, la paura di invadere l’altro con i propri escrementi portano alla scoperta dell’aggressività e al timore proiettivo di vendetta dell’altro.

Da. 36  a 48  mesi di vita

Dai tre ai quattro anni (periodo prescolastico) il bambino manifesta una certa competenza verbale. La capacità di fornire un’ organizzazione narrativa alle esperienze emotive costituisce un’ altra monumentale acquisizione evolutiva.

Il bambino   può rappresentare le esperienze passate e le aspettative future in modo coerente. E  può esprimerle col linguaggio e condividerle con altri. Quindi può parlare alla madre.  La comprensione delle situazioni familiari, dei conflitti, delle possibilità e dei ruoli è spesso legata alla competenza verbale e alla capacità di raccontare storie.

In questo periodo c’è ancora un’ angoscia di perdita al momento della scoperta delle differenze sessuali. Perdita del fallo a cui si attribuisce la massima potenza e a cui si reagisce con il diniego della differenza dei sessi. Ma è questo  il periodo che evolve poi nell’angoscia di castrazione che segna l’accesso al desiderio genitale e alla legge, alla relazione triangolare (complesso edipico).

Forme patologiche dell’Ansia

Dunque abbiamo visto come i processi emotivi accompagnano il cambiamento evolutivo e lo sviluppo cognitivo. Le emozioni di sorpresa, interesse, ansia per un impegno sociale. Il piacere di controllare le situazioni e la sua tendenza biologica a trovare nuove informazioni e categorizzarle secondo ciò che gli è familiare, caratterizzano l’attività del bambino che dà un significato al mondo circostante.

Esse continuano nell’intera vita dell’individuo e proprio quando questo processo di “assimilazione cognitiva” come lo definisce J. Piaget non avviene che il soggetto vive la situazione di ansia patologica.

Vediamo ora le forme patologiche che l’ansia può assumere. Esse normalmente si manifestano con gli stessi sintomi, ma si presentano di fronte a situazioni diverse o hanno cause scatenanti diverse.Ma sempre comportano gravi problemi in ambito lavorativo e sociale.

Sintomatologia degli attacchi di panico

Gli attacchi di panico sono considerati un disturbo a se stante anche se si ritrovano tutti i sintomi dell’ansia. Essi in genere, sono attacchi di ansia acuta e durano solo pochi minuti. Nondimeno  vengono vissuti dalla persona in modo, così intenso, da pensare di essere sul punto di morire. I sintomi più comuni sono i seguenti.

  1. il soffocamento.
  2. le vertigini.
  3. la sudorazione.
  4. il battito del cuore molto accelerato.
  5. il tremore.
  6. un’ intensa sensazione di morte imminente.

Gli attacchi di panico sono un disturbo molto frequente, soprattutto,tra la popolazione femminile Nel 75% dei casi si verifica agorafobia o comportamenti di evitamento verso luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile allontanarsi in caso di panico. Molto frequente è la comparsa di fobie, per esempio la fobia sociale. In tali casi  la persona è esposta al pubblico in certe situazioni che sente come pericolose.

La prima volta che si ha un attacco di panico generalmente ci si ritrova al pronto soccorso pensando di aver avuto un infarto o qualcosa di simile. Spesso l’attacco di panico non è riconosciuto come tale e ciò finisce di spaventare ancora di più il paziente che non capisce il perchè del suo malessere . Nasce quindi la paura che si possa ripresentare di nuovo creando, così, una forma di ansia anticipatrice.

Il soggetto che soffre da tempo del disturbo sa, in maniera precisa, quando l’attacco di panico sta arrivando e sa che non esiste una situazione sicura, un ambiente capace di proteggerlo e quindi finisce coll’imitare al massimo le uscite o farsi costantemente accompagnare da qualcuno, creando dei legami morbosi con le persone che gli stanno accanto .

Il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo post-traumatico da stress, l’ansia generalizzata

L’ossessione è un’ idea o un immagine che passa in continuazione nella mente. E’ un’idea che disturba molto, perché non si riesce a controllare. Si sente come estranea a se , cioè si presenta come una spinta a ripetere un determinato comportamento per quanto esso sia assurdo.

Alcuni comportamenti ossessivi

Degli esempi di ossessione  possono essere quelli riportati più avanti. Continuare a lavarsi le mani, chiudere e richiudere a chiave la stessa porta, controllare e spegnere più volte il gas, camminare senza calpestare le righe sulla strada e cose simili.

L’ossessione si manifesta attraverso un comportamento ripetitivo e costante chiamato compulsione.

Spesso esse diventano così elaborate da diventare veri e propri rituali.

Le persone in preda alle compulsioni pensano che se non faranno quel gesto potrebbe succedere loro qualcosa di male.

Il disturbo post – traumatico da stress è un disturbo che aggiunge all’ansia uno stato di depressione.

Ha un incidenza dell’ 1% della popolazione . Esso è la diretta conseguenza di un evento traumatico reale verificatosi nel passato. E’  come se fosse una reazione a scoppio ritardato , che si compie di fronte ad un evento attuale, potenzialmente non pericoloso.

Eventi che possono causare il disturbo post traumatico da stress

Eventi che possono far insorgere questo disturbo sono i seguenti.

  1. la guerra.
  2. l’abuso sessuale.
  3. subire violenza fisica.
  4. incidenti che compromettono la funzionalità fisica del soggetto.
  5. assistere alla morte dei genitori.
  6. essere soggetto a continui e prolungati eventi traumatici ( tipo il mobbing).
Insorgenza dell’ansia generalizzata

L’ ansia generalizzata può comparire già durante l’infanzia ed è caratterizzato da ansia e preoccupazione eccessive presenti durante tutto l’anno o comunque almeno sei mesi. Sii manifesta soprattutto nell’approssimarsi di determinati eventi o attività che si devono affrontare.

Oltre alla tensione si presentano sintomi fisici come tensione muscolare, insonnia, stanchezza.

Ha un’ incidenza del 5% della popolazione generale,colpisce soprattutto le donne.

L’ansia si manifesta ad livello elevato, in modo molto frequente ed incontrollabile concentrandosi su determinate attività o eventi. Tale situazione determina uno stress significativo nella vita quotidiana. La qualità della vita delle persone è decisamente compromessa, a causa della loro perenne apprensione riguardo al futuro, alla situazione finanziaria, alla possibilità che qualche loro parente o persona cara possa morire o farsi male.

Si ritrovano tutti i sintomi fisici più frequenti, ma senza che si arrivi ad uno stato di forte malessere fisico.

Ansia con somatizzazione

Alcuni sintomi dell’ansia si manifestano senza che nel paziente ci sia una vera e propria patologia.

Questi sintomi somatici sono gli stessi dei disturbi sopra citati, ma non c’è nel paziente alcuna patologia di tipo organico.

Per questo non è possibile stimare l’incidenza del disturbo, ma si possono descrivere bene i sintomi del disturbo a seconda dell’apparato interessato.

Apparato circolatorio

apparato circolatorio: tachicardia, extrasistolia, dolore precordiale, palpitazioni, lipomie, polso irregolare, ipertensione, disturbi vasomotori alle estremità apparato gastroenterico: difficoltà a deglutire, eruttazioni, bruciori e senso di pesantezza gastrica, nausea, vomito, borborigmi, flatulenza, diarrea, stipsi.

Apparato respiratorio

apparato respiratorio: senso di oppressione o di costrizione toracica, sensazione di soffocamento, iperventilazione, sospiri, dispnea.

Apparato urogenitale

apparato urogenitale: minzione frequente, dolore alla minzione, amenorrea,m enorragia, frigidità, disturbi dell’erezione o dell’eiaculazione, impotenza.

Il caso clinico di Marco

Marco è un giovane di 21 anni, che soffre di uno stato di acuto di ansia. Egli  risponde abbastanza bene ad un periodo breve di psicoterapia. Ha infatti iniziato il trattamento solo da quattro mesi ma il suo stato di ansia si è notevolmente ridotto.

E’ stato inizialmente accompagnato nel mio studio dai suoi genitori. Non era assolutamente in grado di parlare dei suoi sentimenti. I genitori raccontavano delle sue crisi rivolgendosi a lui ogni tanto così.  ”Di alla dr.ssa quello che ti senti, raccontalo tu !” . E lamentandosi di non sapere più come fare per aiutare il figlio.

I sintomi di Marco

Erano un paio di mesi che il giovane viveva in preda all’angosciaNon usciva più di casa, non dormiva più , non mangiava quasi più, aveva la paura d’impazzire. Si era attaccato in modo morboso al padre per qualsiasi attività dovesse fare. Per esempio  è stato suo il desiderio di rivolgersi ad uno specialista per farsi curare. Ma è il padre che ha chiamato, ha preso appuntamento e parlava per lui durante il primo colloquio.

Sentiva di non farcela più da quando, qualche mese prima, iscrittosi all’università doveva frequentare le lezioni. Contemporaneamente aveva intrapreso una relazione amorosa con una ragazza molto più giovane di lui.

Marco è un ragazzo socievole

Marco è stato adottato all’età di due anni circa. I suoi genitori sono stati ed attualmente sono ancora persone molto protettive, hanno sempre desiderato che il figlio si laureasse.

La madre è un insegnante e il padre, attualmente in pensione, è un ex funzionario presso un ministero. Marco in realtà ha avuto diversi problemi con la scuola. Si è diplomato molto tardi , soltanto dopo aver frequentato una scuola privata.

I genitori dicevano di aver speso molto denaro per questo, comunque non se ne lamentavano. Anzi erano disposti a spendere altro denaro. Ad es . per l’acquisto di una moto dal figlio tanto desiderata, pur di vederlo tornare alla normalità.

Marco desidera  uscire dal disagio

Iniziata la terapia mi rendo subito conto che il paziente è un giovane molto socievole, desideroso di uscire dal suo disagio.

Egli comincia a raccontare i suoi problemi. Espone  così come i fatti causa della sua angoscia avevano a che fare con l’assunzione di responsabilità più adulte. Essi riguardavano  la separazione affettiva dai suoi , vissuta come un abbandono. E a tutto ciò  reagiva con un attaccamento morboso, richiamando così alla memoria un antica situazione affettiva vissuta.

Marco viene a sapere della sua adozione

In realtà Marco aveva saputo per caso, pur avendolo sempre intuito, di essere un figlio adottivo mentre frequentava la terza media.

Allora si limitò a chiederne conferma alla madre e la sua reazione fu di assoluta normalità nel senso che sembrava accettare le spiegazioni e le ragioni di quella situazione date dalla madre.

Marco, però, dimostrò di volersi allontanare di casa immediatamente. Infatti, dovendo frequentare una scuola di grado superiore si trasferì a Roma, per andare a frequentare una scuola di aeronautica come piaceva al padre .

In questo momento il ragazzo vuole accontentare suo padre dimostrando di essere un bravo figlio. Ma lui , in verità, è molto arrabbiato con i suoi. Purtroppo non può dimostrarlo perchè si sentirebbe cattivo e negativo due volte. La prima perchè inconsciamente lo è dato che è stato abbandonato. La seconda perchè non sa essere grato ai genitori che l’hanno accolto, come dovrebbe essere.

Marco inizia a mostrare problemi

Il ragazzo cominciò ad avere problemi di studio che lui attribuiva, infatti, alla sua cattiva volontà e alla voglia di fare niente. Ancora oggi, almeno in parte, questo è il suo atteggiamento verso l’università.

Di fatto, cominciò a fare uso di droghe e a frequentare ambienti pericolosi.

Racconta nel corso della terapia che le prime occasioni in cui ha sentito un forte stato d’ansia fino a spaccargli il cuore, è stato quando una volta, per caso, in metropolitana si trovava con un amico.  Questi, d’improvviso senza che lui ne sapesse nulla, scippò una donna e fuggì via.

Lui rimase fermo lì senza rendersi conto subito della situazione, ma capì in quel momento che rischiava molto se qualcuno si fosse reso conto che lo scippatore era in sua compagnia.

In un’ altra occasione simile, gli fu chiesto di fare il palo all’ultimo momento e non fu capace di tirarsi indietro.

Poi semplicemente evitò l’amico, ma cominciò a vivere pericolosamente per un ragazzo della sua età.

Andò a convivere con una donna più grande di lui per circa tre anni. Assunse l’aspetto di un “metallaro”, che ancora conserva un pò a causa dei piercing e i tatuaggi eccessivi. Ma che attualmente si preoccupa di coprire perchè si vergogna di mostrarli.

Attraverso queste attività si mise in contrasto con i genitori ed i loro rapporti sono diventati aggressivi a volte addirittura violenti.

Il ragazzo   costringe a farsi accettare dai suoi. Questi  invece vorrebbero appunto che lui studiasse. Attraverso una  ribellione inconscia egli  mette in mostra la sua parte cattiva.

Marco viene preso da una improvvisa e forte ansia

Ad un certo punto, però, Marco comincia a sentire a volte improvvisamente una paura improvvisa che non sa spiegarsi. Lui si  vergogna di fronte ai suoi amici che non capiscono. Comincia ad evitare i luoghi affollati. Sente un malessere che non sa definire e che attribuisce all’uso di droghe.

Quindi smette persino di fumare. Ma la paura non passa, sente il bisogno di tornare a casa nella speranza che i suoi lo aiutino.

In effetti, loro, si danno molto da fare e giungono a dare una ragione a questo stare così male di Marco , al quale viene diagnosticata una intolleranza a quasi tutti gli alimenti.

La sua relazione con una giovane ragazza

Nel frattempo si diploma e conosce questa giovane ragazza. A questa  si attacca moltissimo dimostrando una gelosia esagerata. Contrariamente a quanto provava nei confronti della sua convivente. Pensate che persino durante la terapia si scambiano diversi squilli di telefono! Con lei ha un rapporto molto conflittuale. Non riesce a fare a meno di fare cose e raccontarle cose che scatenano la sua gelosia. Come se volesse continuamente provocarla e correre il rischio di essere lasciato.

Lui sa che lei potrebbe lasciarlo e non vuole ma non riesce a fare a meno di farla ingelosire. Si dispiace e si deprime quando lei, per es., piange a causa dei suoi comportamenti. Ma lo stesso non riesce a non raccontargli cose che potrebbe non raccontare. Lui ha necessità quasi ossessiva di farlo rispondendo così ad uno stimolo interiore di pericolo. L’abbandono.

Via via che nella terapia si affrontano tutti i problemi della sua vita di oggi, attraverso le difficoltà che vive.  Marco ha dei ricordi circa la sua sensazione di aver sempre saputo di non essere figlio naturale e circa le emozioni provate nel momento in cui lo ha confermato scoprendolo per caso, che hanno rimesso in atto una sensazione di abbandono già vissuta in modo traumatico molto precocemente vista la tenera età in cui è stato messo in istituto e poi adottato.

Marco proprio martedì scorso ha fatto il suo primo esame all’università con un buon risultato….ma ancora mi fa chiamare dal padre per chiedermi un appuntamento in più in caso di necessità.

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Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS)

Il mio interesse per il Disturbo Post Traumatico da Stress

Lʼinteresse per il disturbo post traumatico da stress  è nato in me dalla necessità personale di organizzare il servizio di Psicologia dellʼ Emergenza. Era  il 6 aprile 2009, durante il terremoto dellʼ Aquila. Ero presso lʼospedale pubblico di Avezzano e di Sulmona,  per conto della asl, allʼepoca Avezzano-Sulmona-Castel di Sangro, e dellʼOPA. Attualmente, l’interesse è mantenuto vivo dal mio lavoro di psicologa clinica presso la casa di reclusione di Sulmona. Sono anche  di perito tecnico per il tribunale penale e civile di Avezzano. Negli ultimi anni si discute molto delle gravi conseguenze traumatiche, sia sulla strutturazione della personalità, sia sullo sviluppo psicopatologico, sia sulla psico-biologia, per esempio nello studio dei processi della memoria e della coscienza.

La psicologia dell’Emergenza

Si parla dello stress e dei disturbi post traumatici ad esso collegati e ciò è derivato dallʼattenzione riservata alla dimensione psicologica e relazionale posta alle situazioni di crisi. In questo campo, infatti, le conoscenze acquisite, da moltissimo tempo ormai, dalla psicologia, sono diventate altamente operative e organizzate nella specializzazione della Psicologia dellʼ Emergenza. Il Disturbo Post traumatico da Stress è lʼunica malattia psichiatrica in cui il fattore causale, cioè il trauma, appare nei criteri diagnostici del DSM. Questo accade  proprio perchè derivante dallo sviluppo della psicologia applicata agli eventi dolorosi dellʼumanità, pertanto è utile ricordare brevemente la storia di tale concetto.

Origini del termine “Disturbo Post Traumatico da Stress”

Nel 1892, Oppenheim, coniò il termine di “nevrosi post traumatica”. Questo concetto   fu ripreso da Kraepelin nel suo Trattato di Psichiatria del 1896 introducendo lʼentità clinica della “nevrosi da spavento”. Fu, però, Simmel che definì la psicogenesi delle “nevrosi da guerra” alla fine della prima guerra mondiale. Le guerre mondiali, infatti, fecero balzare prepotentemente lʼattenzione della clinica sul trauma. La causa fu data dalla vastità numerica dei casi, derivati soprattutto dal cambiamento delle tecniche di combattimento.

Lo shock da granata

Si passò  dagli scontri di fanteria o cavalleria alle tecniche della guerra in trincea, con le estenuanti attese sotto il pericolo dei bombardamenti per mesi. Ciò creava disagi psichici più gravi e nuovi, tanto che i soldati, colti da tali sintomi venivano trattati da disertori. Inizialmente si parlò di “shock da granata”, ma poi si notò che anche i soldati non esposti a queste esplosioni manifestavano sintomi analoghi. Freud mise in evidenza il ruolo patogeno del trauma nellʼambito della teoria psicoanalitica.  Ebbe inizio proprio come teoria del trauma, dallʼelaborazione del concetto di “trauma” e di “nevrosi traumatica”.

Il “Trauma” per Freud: seduzione sessuale infantile

Nella prima teoria psicoanalitica il trauma rappresenta una reazione ad un trauma reale ed ha a che fare con le “sensibilità individuali”.  Vale a dire con lʼintrapsichico. Secondo questa teoria detta “teoria della seduzione” la causa dellʼisteria è da ricercarsi in una seduzione sessuale subita da parte di un adulto durante lʼinfanzia. Il  ricordo rimosso non è elaborato psicologicamente. Scrive Freud:” contenuto del ricordo è, di solito, o il trauma psichico che, per la sua intensità, era atto a provocare lʼinsorgere dellʼisteria nel malato. Oppure lʼevento che, per essere occorso in un determinato momento si è trasformato in trauma”. (Dagli Studi sullʼisteria del 1892-95, scritti con Breuer).

La pulsione di morte e la nevrosi da guerra

Successivamente, le conseguenze disastrose del conflitto mondiale riattivò in lui lʼinteresse per le nevrosi traumatiche. Egli  affermò che la “nevrosi da guerra” “sarebbe sganciata da legami con il passato infantile e interamente dipendente da un trauma esterno capace di sommergere e disorganizzare lʼIo”. La pulsione di morte diventa il fondamento del conflitto psichico e consiste in una forza oppositiva, che separa. La  sede è interna al corpo e si orienta innanzitutto verso l’interno, senza essere immediatamente percepita come distruttiva (la Negazione). La sua funzione principale di dividere si manifesta attraverso i meccanismi psichici della tendenza a ripetersi (coazione a ripetere), la regressione e la fissazione. Nel 1926, in “Inibizione, sintomo e angoscia”, il concetto di trauma acquista la sua forma definitiva di “situazione traumatica”. Questa è in rapporto all’angoscia, che dà contemporaneamente ragione dell’interazione di situazioni interne ed esterne. Nonchè del carattere interstrutturale di tutte le situazioni traumatiche.

Le esperienze di  perdita ed impotenza

In questo scritto le situazioni traumatiche sono legate principalmente a delle esperienze di perdita. Perdita  della madre, dell’affetto e dell’amore della madre, dell’amore degli oggetti, dell’amore del Super-Io , esperienze che mettono l’individuo in uno stato di impotenza psichica e fisica davanti l’inondazione di stimoli di origine interna ed esterna. La situazione traumatica fondamentale è quella dell’impotenza a cui tutte le altre fanno seguito. ”Chiamiamo traumatica una simile situazione vissuta di impotenza”.

La situazione di pericolo

Abbiamo allora un buon motivo per distinguere la situazione traumatica dalla situazione di pericolo. La situazione di pericolo è la situazione riconosciuta, ricordata, attesa, d’impotenza. L’angoscia è la reazione originaria all’impotenza vissuta nel trauma, reazione la quale, in seguito, è riprodotta nella situazione di pericolo come segnale di allarme. L’Io, che ha vissuto passivamente il trauma, ripete ora attivamente una riproduzione attenuata dello stesso, nella speranza di poterne orientare autonomamente lo sviluppo”.

Gli effetti del trauma

Effetti positivi

…Gli effetti del trauma sono di due tipi: positivi e negativi. I primi (positivi) sono sforzi di rimettere in vigore il trauma, cioè di ricordare l’esperienza dimenticati. O meglio ancora di renderla reale, di viverne di nuovo una ripetizione. Oppure, anche se si trattava solo di una relazione affettiva da lungo tempo trascorsa, di farla rivivere in una relazione analoga con un’altra persona. Questi sforzi vengono catalogati insieme come fissazioni al trauma e coazione a ripetere” .

Effetti negativi

Gli effetti negativi sono invece quelli che fanno si che il trauma non sia né ricordato né ripetuto. Sono le così dette reazioni di difesa, le quali concorrono più di ogni altra cosa alla determinazione del carattere. Fondamentalmente sono fissazioni al trauma, proprio come il loro opposto. Solo che sono fissazioni con un intento contrastante, sono le elusioni, che possono accrescersi fino a diventare delle inibizioni e delle fobie.

I sintomi della nevrosi

I sintomi della nevrosi in senso stretto sono formazioni di compromesso tra queste due tendenze del trauma. Bleuler, nella sua classificazione delle malattie mentali, fu il primo ad introdurre come categoria diagnostica distinta. “Le reazioni psicologiche” definite anche come “disturbi psicoreattivi o psicogeni”.

Negli Stati Uniti, nello stesso periodo, si diffondeva lʼapproccio psicobiologico di Meyer, secondo il quale i disturbi mentali derivavano dallʼinterazione tra fattori psicologici, sociali e biologici. Egli introdusse un metodo, la “psychobiological life history”, per indagare adeguatamente le relazioni tra esperienza di vita e manifestazioni psicopatologiche.

Reazione ad eventi e situazioni stressanti

Tra il 1940/50, Jaspers e Schneider, sottolinearono lʼimportanza della “reazione ad eventi a situazioni stressanti” quale possibile causa di manifestazioni psicopatologiche. Le loro osservazioni hanno costituito le basi per la comprensione del ruolo degli eventi stressanti nella patologia psichiatrica e per lʼattuale inquadramento dei disturbi correlati a stressor. Il sanguinoso conflitto vietnamita, combattuto tra il 1960 (data di costituzione del Fronte di Liberazione Nazionale filo-comunista FLN) e il 30 aprile 1975 (caduta di Saigon), infine, focalizzò lʼattenzione della psichiatria statunitense sui devastanti effetti della guerra sulla salute mentale dei reduci americani. Si iniziò a parlare, proprio a questo punto, di DPTS (Figley,1978).

Disturbo Post Traumatico da Stress nel DSM

Gli studi cognitivistici di Horowitz contribuirono enormemente allʼevoluzione scientifica della patologia. Dal 1980, con il termine Disturbo Post traumatico da Stress (DPTS) essa è stata proposta dallʼAmerican Psychiatric Association. Al momento della stesura del DSM-III (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder), per indicare tutti i quadri patologici successivi allʼesposizione a traumi, shock, eventi e situazioni non usuali, che erano seguiti da una sofferenza psichica protratta. Successivamente inserita nella versione del DSM III R, DSM IV(1994) e IV TR(2002), nellʼ ICD 10(Diagnostic Criteria for Research) dellʼOMS(1992). Con la definizione di DPTS, i curatori del DSM-III, dunque, affermano lʼesistenza di una patologia psichica che insorge in individui sani a seguito di un evento traumatizzante. Si va così a colmare una lacuna nel panorama diagnostico e ad individuare lʼesistenza di un disturbo cronico, che può insorgere come processo adattivo in seguito a gravi traumi, in individui senza alcuna predisposizione, introducendo una novità assoluta nellʼambito della psichiatria medica.

Manifestazione e diagnosi del DPTS

In generale le persone si confrontano con eventi altamente stressanti direttamente o indirettamente, che possono rappresentare veri e propri traumi e ciò può lasciare ferite che, sembra, nella maggior parte dei casi, si rimarginano, ma allʼincirca nel 5%-10% dei casi si manifesta il DPTS. Esso, certamente, non è lʼunica conseguenza dellʼesposizione al trauma, al contrario, restano segni indelebili che possono cronicizzarsi, compromettendo la normale funzionalità dellʼindividuo. La diagnosi di DPTS, apparentemente facile da farsi, in realtà è molto complicata poichè i criteri che la caratterizzano subiscono continue modificazioni, a seconda del significato che acquisisce nel tempo il concetto di trauma.

Quando si parla di trauma ci si riferisce generalmente ad un evento della vita del soggetto caratterizzato dallʼintensità del suo impatto. Inoltre dallʼincapacità del soggetto a rispondervi adeguatamente. Dalla viva agitazione e dagli affetti patogeni durevoli che esso provoca nellʼorganizzazione psichica del soggetto stesso. In termini economici, il trauma è caratterizzato da un afflusso di eccitazioni eccessivo rispetto alla tolleranza del soggetto. Nonché  alla sua capacità di dominarlo e di elaborarlo psichicamente ( Laplanche e Pontalis,1981). Gli aspetti soggettivi ed individuali del trauma permettono di comprendere meglio il potenziale patologico soggettivo dellʼevento. Questo  perchè spesso i sintomi di un DPTS possono comparire anche in seguito “a situazioni naturalmente presenti nella vita umana, quali malattie o lutti, nel corso delle quali la percezione soggettiva può diventare traumatizzante” ( March J.S.,1993).

Cronicizzazione del Disturbo Post Traumatico da Stress

Ci sono, conseguentemente, diverse possibilità di reagire al trauma e diversi esiti post traumatici. Il soggetto, infatti, ha insite in sè delle vulnerabilità che lo predispongono al tipo di impatto che lʼevento traumatico avrà su di sè.  Più intenso, scioccante e grave sarà il fattore scatenante, più la persona vivrà sensazioni di impotenza, di terrore, dʼangoscia. Più è probabile che si sviluppino stati psicopatologici. Se allʼevento traumatico sopraggiungono anche altre condizioni sfavorevoli il quadro psichico del soggetto può aggravarsi ulteriormente. Predisponendo allʼinsorgenza e alla cronicizzazione del DPTS.

Fattori aggravanti del DPTS

Esaminiamo quelli che sono considerati fattori aggravanti. Le caratteristiche dellʼevento traumatico in sè, ad esempio il prolungamento dellʼesposizione al trauma. La sua gravità, la sua presenza in concomitanza di altri problemi personali. Le caratteristiche della persona colpita dal trauma, ad esempio la struttura della personalità, il pessimismo, la bassa autostima, una difficile storia personale. La presenza di perdite precoci, condizioni di salute negative e basse risorse cognitive. I fattori ambientali, ad esempio la scarsa presenza di risorse amicali, di possibilità di ricorrere a supporti professionali adeguati per il trattamento immediato dei sintomi più acuti.

La reazione al DPTS e la resilienza

La persona può reagire agli eventi critici in molteplici modi. Con reazioni di tolleranza, mantenendo lʼautocontrollo, la lucidità e lʼadeguatezza dei comportamenti e delle reazioni emotive. In questi casi, lʼapparato psichico del soggetto ha sostenuto lʼimpatto con lʼevento e non ha riportato particolari danni. Tuttavia, può accadere che alcune persone, con il trascorrere dei giorni possono sviluppare reazioni inadeguate ovviamente collegate allʼevento. Lʼesito favorevole è rappresentato dalla resilienza, cioè la capacità di riprendere la ripresa dello sviluppo dopo la lacerazione traumatica e nonostante la presenza di circostanze avverse. La resilienza non solo è una capacità innata nellʼessere umano, ma si sviluppa in relazione allʼambiente, in un contesto di fattori che contempla la persona, la famiglia, le strutture socio-educative, la comunità e i valori che una società esprime.

Manifestazione del Disturbo Post Traumatico da Stress

Grazie alla società lʼevento traumatico può trasformarsi in motore di un possibile cambiamento. Trasformando lʼesperienza dolorosa in apprendimento e mantenendo la capacità di conservare un certo grado di integrità e salute psicofisica di fronte agli stress e ai traumi. La sua azione positiva, secondo A.Oliviero Ferraris (2003): ”è paragonabile ad una reazione psicologica efficace simile a quella messa in atto fisicamente da parte del sistema immunitario quando il corpo combatte e sconfigge un attacco infettivo”. Ma si possono avere Reazioni iperemotive, anche a carattere dissociativo.

Reazioni psichiche e psicosomatiche

In questo caso, la maggior parte delle persone coinvolte presentano massicce manifestazioni psichiche e psicosomatiche. Ad esempio shock, ansia, depressione, smarrimento, stupore, incredulità, comportamenti automatici, tremori, palpitazioni, nausea. Queste reazioni insorgono immediatamente dopo lʼevento e condizionano fortemente la persona anche nei giorni successivi. Il loro decorso comporta solitamente il graduale dissolvimento della sintomatologia.

Reazioni psicopatologiche

A volte, invece,si assiste ala persistenza della sintomatologia e alla comparsa di veri e propri stati psicopatologici. Ad esempio DPTS, ASD (disturbo acuto da stress), Disturbi dellʼadattamento, Depressione maggiore, Disturbo dʼansia generalizzato, Disturbo dʼattacco di panico, Abuso di sostanze, Disturbi del sonno, Disturbi da somatizzazione, Comportamenti violenti in famiglia, Suicidio.

Caso Clinico: Esame psichico di Maria

Il caso clinico che presenterò questa volta è tratto da una perizia psicologica che ho eseguito, come CTP. Avevo il compito di  provare lʼesistenza del danno biologico psichico in una donna. Questa  a seguito della morte per incidente da lavoro del fratello, per cui riporto direttamente alcuni estratti dalla perizia: “ESAME PSICHICO: DESCRIZIONE CLINICA DELLʼEVENTO STRESSANTE”

Un giorno del 1999 il Sig. Giovanni, fratello della sig.ra Maria (nome di fantasia associato a persone realmente esistenti), muore a seguito di incidente su lavoro, travolto e schiacciato da un muro in calcestruzzo, posizionato a terra, senza armatura ed ancoraggi, su una piattaforma costituita da grosse pietre e calcestruzzo.

Anamnesi Psichica e socio-relazionale di Maria

Relazioni Familiari

Maria ha 55 anni, ha sempre vissuto in una piccolissima frazione del Comune di Balsorano. Attualmente vive con il marito, di anni 60, e lʼanziana madre, di anni 95,. Quest’ultima è cieca e sorda dalla nascita, poichè la figlia Alessandra si è sposata ed è andata a vivere in altra abitazione. Nel 2002 il figlio Giovanni ha perso la vita in un incidente stradale. Fino allʼetà di 21 anni, quando Maria si è sposata, ha vissuto con i suoi genitori e il suo unico fratello Giovanni è più grande di quattro anni. Dopo qualche anno anche il fratello Giovanni si è sposato. La famiglia è sempre stata molto unita ed ha sviluppato un alto senso di solidarietà. Quando la casa paterna è diventata pericolante e i genitori lʼhanno dovuta lasciare, Giovanni li ha portati a vivere con lui. Nel 1990, il padre di Maria muore allʼetà di 75 anni e la madre, anche lei settantacinquenne, si è trasferita stabilmente da Maria.

Attività familiare

Il fratello Giovanni, da quel momento, non dimentica mai di passare a casa di Maria. Tutti i giorni, la mattina o la sera, andava a controllare se tutto andava bene. Se la sorella e la madre avessero bisogno di qualcosa in particolare. Molto spesso Maria e Giovanni, con le loro famiglie, cenavano tutti insieme, soprattutto alle feste come Natale, Pasqua, le feste di paese, i compleanni dei figli. Da piccoli, racconta Maria, i due fratelli non sono andati a scuola oltre le elementari perchè in casa cʼera bisogno del loro lavoro. Lei pascolava le pecore e il fratello le mucche, andavano in campi diversi perchè il padre pensava che insieme potessero distrarsi dal compito e mandare gli animali a fare danni nei campi coltivati dagli altri paesani. Giovanni allora diceva a Maria: ” non ti preoccupare che faccio il giro e poi vengo a riprenderti così torniamo insieme a casa!”.

Il lavoro duro nella famiglia

Allʼetà di 13 anni il fratello è andato a lavorare presso una ditta boschiva. Rimetteva i soldi in casa, mentre Maria è rimasta a lavorare i campi con il padre e a sostenere la madre in casa a causa del suo handicap. Maria allʼetà di 21 anni si è sposata con un uomo di 5 anni più grande di lei, suo compaesano, che conduceva lo stesso tipo di vita. Il marito per tenere la famiglia unita, ha cercato di lavorare come operaio in alcune ditte edili nella zona. Spesso lo facevano lavorare in nero e, quindi, nemmeno lo pagavano, così ha dovuto lasciare Maria da sola con i figli e cominciare a lavorare nelle città del nord Italia, ma anche in Africa. Di tutto questo, tuttavia, Maria non ha mai sofferto, poichè costantemente sostenuta dal fratello Giovanni, moralmente e materialmente.

Il Mutuo appoggio fraterno

Infatti, anche se due anni dopo il matrimonio di Maria il fratello Giovanni si è sposato, lui ha continuato a lavorare i campi, ad allevare gli animali, a raccogliere i frutti della campagna, a procurare la legna per il riscaldamento nei boschi, anche per lei. Maria racconta che tra loro cʼè sempre stato lo stesso legame di quando erano piccoli e stavano a casa. E i suoi due figli lo consideravano come se fosse un altro padre.

Quando la donna si è ammalata di trombosi, per esempio, e stava ricoverata in ospedale il fratello comprò un portavivande e tutti i giorni le portava il cibo di casa. Lui non lʼha mai lasciata sola e lei non ha mai lasciato solo lui.

Il forte rapporto familiare anche nelle traversie

Ad esempio, quando il bambino piccolo del fratello è stato in ospedale allʼetà di 4 anni ,  Giovanni “piangeva…piangeva”, racconta Maria. Piangeva “perchè il figlioletto aveva preso 8 una malattia alle ossa”. Lei intanto  teneva in casa il secondo figlio, suo nipotino e il fratello andava a prenderlo la sera. Questo  perchè la moglie stava col bambino in ospedale. Dice Maria: ” poveri bambini, loro quando Giovanni è morto, stavano in terrazza ad aspettare il padre perchè era ora che tornava, invece è arrivata una macchina e gli hanno dato quella brutta notizia. Loro soffrono molto ancora adesso!”. Quando stava morendo il padre di Maria, suo fratello Giovanni, la notte, ha fatto dormire nel suo letto matrimoniale lei, suo marito e i suoi bambini, mentre lui rimaneva ad assistere il padre. Dopo la morte del padre Giovanni nel dividere la terra del padre le dice :”scegli quella che vuoi”. Maria racconta del rapporto particolare che il fratello Giovanni ha con i suoi due figli, per i quali è sempre stato una guida e un riferimento psicologico. Per esempio, quando i figli di Maria erano piccoli lo zio regalava loro i soldi ai compleanni e alle feste per le loro piccole spese, li rimproverava se era necessario e li consigliava se dovevano fare qualcosa dʼimportante.

Il rapporto del fratello con il figlio di Maria

Maria parla soprattutto del rapporto che il fratello aveva con suo figlio Giovanni. Lo spronava ad andare a scuola e gli fece capire che anche nel lavoro bisognava sapere le cose. Perciò dopo la scuola media lo convinse a frequentare almeno la scuola professionale per imparare il mestiere di idraulico. Il giorno in cui Giovanni è morto, racconta Maria, il figlio Giovanni:” ci rimase molto male, stava finendo il militare e soffrì tantissimo perchè un suo amico che faceva il militare con lui mi disse di stare attento a Giovanni perchè la morte dello zio lʼaveva sconvolto”. Infatti, continua a raccontare Maria, Giovanni comprò due medagliette dʼoro con la foto dello zio in modo che lui e la madre potessero portarlo sempre con sè. Giovanni era molto cambiato e ogni 29 del mese ricordava alla madre la morte dello zio dicendole certe parole . ” Mamma come ti senti…lo so che stai male…anche a me manca zio Giovanni….io sono capace di buttarmi sotto un treno…ci vuole un attimo”.

Il figlio Giovanni, tre anni dopo, le aveva chiesto di aiutarlo a pagare lʼassicurazione della macchina e in quellʼoccasione le disse: ” mamma aiutami a pagare lʼassicurazione della macchina che quando muoio te ne ridaranno tanti”. Il destino ha voluto che dopo aver acquistato la macchina, nel mese di maggio, e aver sottoscritto lʼassicurazione con una clausola per assicurare il guidatore, il 1 novembre, quindi solo cinque mesi dopo, avviene lʼincidente mortale di Giovanni. Maria continua a raccontare, tra le lacrime, che solo poche ore prima dellʼincidente lei era in macchina con il figlio e lui fischiettando le disse: ” mamma ti faccio ascoltare la canzone che cantava sempre zio”.

Lo stravolgimento familiare

Attualmente la vita della donna è molto cambiata. Ha perso ogni contatto con la famiglia del fratello. Questa  si è molto distaccata in quanto non cʼè più nessuna frequentazione, ma solo un rapporto formale. Il motivo è perchè la cognata si è stretta di più alla sua famiglia originaria, aumentando il senso di vuoto e di solitudine della donna. Fortunatamente la figlia Alessandra può tenerla sotto controllo e darle un aiuto quandʼè necessario. Mentre il rapporto con lʼanziana madre, che a causa dei suoi problemi fisici, ha vissuto e vive molto ritirata in sé, limitando allʼessenziale i contatti con gli altri, è diventato molto difficile a seguito della morte di Giovanni. Maria non ha potuto comunicarle la morte di Giovanni perchè lʼemozione per il lutto, sarebbe stato sicuramente troppo devastante per la madre. Temendo per la sua vita preferì dirle che Giovanni aveva avuto un incidente che lo costringeva a vivere attaccato a dei macchinari in un ospedale. Attualmente che la vecchia signora dice “sento che è come se Giovanni fosse morto!”. Ed esprime il desiderio di volerlo toccare, Maria si sente sempre più a disagio nel sostenere una situazione che non sa più come gestire.

Quadro clinico immediatamente successivo all’evento.

Lʼesperienza traumatizzante si è caratterizzata da una prima reazione emotiva dʼintensa paura seguito da un incremento rilevante dello stato di ansia quale diretta reazione allo stress subito. Maria lo descrive così: “Prima mi sono sentita scoppiare, impazzire, non riuscivo a trattenermi e urlavo. Poi ho sentito subito il vuoto ed ho perso il sonno, ero molto agitata, nei giorni successivi ho smesso di cucinare, di fare le faccende di casa, non ho più guidato lʼautomobile perchè prima mi sentivo sicura con mio fratello. Una volta ho spaccato la gomma su una pietra, lui è venuto subito ed ha smontato la gomma, è andato al paese a ricomprarla e mi ha sistemato la macchina; poi non me la sono più sentita di guidare. Ho provato a rivolgermi a specialisti, ma la testa mi dice che non mi fanno niente; dice:“La perdita del fratello non si recupera con le medicine. Con “ ʻno bottigliuccio di E-ENNE ci faccio ʻna settimana! mʼaiutano no pòco dentro… le medicine me le ha date il medico di famiglia”.

Quadro Clinico attuale (alla data di stesura)

La sig.ra Maria vive sentimenti intensi dʼimpotenza, sentimenti dʼintrusione. Questi comprendono ricordi spiacevoli ricorrenti dellʼ esperienza traumatizzante che comprendono immagini, pensieri, incubi e flashback non controllabili. Maria dichiara di non aver mai sofferto così prima della morte del fratello Giovanni. Riferisce una sintomatologia persistente di “iper-arousal”. Ha  difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, dorme un ora a notte, o meglio quando ci riesce si addormenta dalle tre e mezza alle quattro e mezzo del mattino. Presenta irritabilità o scoppi di collera, associata al pensiero della persona che ha fatto il male al fratello. Dice che non riesce a perdonarlo perchè dʼallora tutta la sua vita è distrutta.

Il lutto non risolto

Allʼepoca chiamò tale persona per sapere esattamente cosa fosse successo, lui le raccontò il fatto senza volersi mai prendere la responsabilità dellʼaccaduto per aver guidato male il mezzo che urtò il muro, scaricando, invece, la responsabilità sulla pietra che toccò il muro. Riferisce la persistenza di una sintomatologia insorta pochi giorni dopo il trauma. Frequenti crisi di pianto (piange in continuazione anche durante la prova). Spesso si sente sola e abbandonata, come quando ha realizzato la morte del fratello vedendolo dentro la bara, se pure tenta di evitare tali pensieri non riesce a dimenticare. Prova un senso di vuoto e di colpa che non passa perchè pensa sempre a quando il fratello volesse bene ai suoi figli. Diceva che lei doveva avere tutto quello che aveva lui, invece, lei non sa nemmeno come può fare ad aiutare i suoi nipoti che soffrono tantissimo. Oppure quando va in chiesa e rivede Giovanni nel banco dove lui si metteva di solito e fa di tutto per non guardarci, ma lo rivede lì. Ha sempre la sensazione di essere costantemente minacciata dagli eventi ai quali non riesce a reagire, non riesce a concentrarsi, ha problemi di memoria, dimentica facilmente le cose e si sente costantemente in pericolo. Non solo non guida più lʼautomobile, ma non è più in grado di fare le cose anche semplici, è bloccata in tutto quello che faceva prima, dice “mia figlia litiga sempre con me , ma che ci posso fare?” . Ogni cosa le ricorda il trauma.

Una presenza nei sogni più ricorrenti

Maria racconta che in questi giorni ha sentito cantare la civetta e aveva pensato che la madre potesse morire ed ha ricordato che anche prima della morte del fratello aveva sentito la civetta cantare, ma che non si era spaventata perchè se la madre moriva lei aveva sempre suo fratello, invece due giorni dopo fu proprio lui a morire. Il fratello è costantemente presente nei suoi sogni e nellʼultimo sogno sentiva bussare alla sua camera, allora dice: ”chi bussa a questʼora?” subito dopo sente il fratello chiamare. Secondo il DSM-IV, affinché si possa parlare di DPTS, è necessario che si presenti un quadro sintomatologico ben definito e specifico del disturbo, che prevede la presenza di sintomi relativi a 4 clusters ben precisi e da un punto di vista clinico è lʼunica patologia in cui questi si associano: 1) Ripresentazione del vissuto traumatico: 2) consistenti in ricordi dellʼevento, con carattere invasivo e ricorrente, 3) vissuti con partecipazione affettiva più o meno intensa e 4) reminescenza sensitivo-sensoriale di grado variabile. Il Disturbo Post Traumatico da Stress ha anche sintomi fisici.

I Flashback

Frequentemente lʼesperienza traumatica si ripresenta in forma di “flashback”, episodi dissociativi duranti i quali il paziente sente ed agisce come se stesse rivivendo lʼevento e nel corso dei quali si riattualizza il contesto percettivo ed affettivo dellʼesperienza traumatica. Il soggetto rivive la situazione traumatica come se il tempo non fosse passato, irrompendo con il loro carattere scenico nella sua mente, senza preavviso, anche senza agganci con la realtà circostante, rinnovando costantemente la drammaticità dellʼevento ed impedendo lʼeffetto terapeutico del tempo. Anche i sogni servono a rivivere il trauma; sono angosciosi e incubi notturni nei quali il soggetto rivive lʼevento nel complesso o limitatamente ad alcuni aspetti.

Anticipando tali sogni, molti pazienti vivono con angoscia il momento di coricarsi. Inoltre, in seguito ad esposizione a stimoli collegati al trauma, i pazienti affetti da DPTS sviluppano spesso: 1) intenso disagio psicologico, paura, terrore, accompagnati da importanti manifestazioni neurovegetativi. 2) Aumento dellʼarousal.

I pazienti perdono la capacità di modulare il grado di arousal e, anche di fronte a sollecitazioni ambientali di lieve entità, rispondono con un coinvolgimento ed unʼintensità che sarebbero adeguati a situazioni di emergenza. I soggetti vivono come se fossero minacciati dallo stressor che ha provocato il disturbo; lamentano una tensione continua, sono in uno stato continuo di allarme per lʼattesa continua di minaccioso.

Di fronte a stimoli debolmente ansiogeni, o minime sollecitazioni compaiono manifestazioni neurovegetative e scoppi di collera,insonnia, disturbi della concentrazione e della memoria, in alcuni casi drammaticamente presenti.

Gli episodi di “Evitamento”

I soggetti evitano costantemente le situazioni che risvegliano il ricordo dellʼevento traumatico poichè i sintomi peggiorano di fronte ad una situazione o di una attività che richiama il trauma originario. Ciò causa unʼalterazione della qualità della vita grave. Nellʼambito dei sintomi di evitamento rientra anche lʼincapacità di ricordare qualche aspetto dellʼevento traumatico (amnesia dissociativa) e lʼentità della lacuna mnestica può variare in modo considerevole.

Gli episodi di “Numbing”

Intorpidimento, insensibilità o paralisi emozionale detti numbing.

Da ciò deriva una limitazione della gamma affettiva, disinvestimento della famiglia, ritiro sociale, e senso di distacco ed estraneamento dallʼ ambiente. Sono specialmente le reazioni emozionali normali ad essere intorpidite. I vissuti soggettivi di paura, di orrore, come pure quelli di gioia o di attesa palpitante sono annullati. Si associano a queste caratteristiche altre manifestazioni di tipo somatoforme, quali abuso di alcool, di droghe, come tentativo di automedicazione per mitigare i sintomi del trauma, ed elevato rischio suicidario, particolarmente se i pazienti sono giovani adulti. Si possono manifestare sentimenti di colpa per essere sopravvissuti ad eventi catastrofici in cui altre persone hanno perso la vita. Recentemente, come riportato dal DSM-IV-TR, è stata osservata in pazienti con DPTS, la presenza di manifestazioni psicotiche vere e proprie, quali ideazione paranoide, comportamento bizzarro, allucinazioni visive ed uditive non correlate al rivivere il trauma, che possono essere considerate come una forma estrema di ipervigilanza che include lʼideazione e i deliri di persecuzione e di riferimento.

Sintomi del Disturbo Post Traumatico da Stress

Il quadro del Disturbo Post Traumatico da Stress sui sintomi è dato dai seguenti punti:

A. la persona è stata esposta a un intervento traumatico nel quale erano presenti entrambe le caratteristiche seguenti:
  • 1) la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia allʼintegrità fisica propria o di altri;
  • 2) la risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti dʼimpotenza, o di orrore. (Nei bambini questo può essere espresso con comportamento disorganizzato o agitato. )
B. lʼ evento traumatico è rivissuto persistentemente in uno (o più) dei seguenti modi:
  • 1) ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dellʼevento, che comprendono immagini, pensieri, o percezioni. (Nei 13 bambini piccoli si possono manifestare giochi ripetitivi in cui sono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma; )
  • 2) sogni spiacevoli ricorrenti dellʼevento. (Nei bambini piccoli possono essere presenti sogni spaventosi senza un contenuto riconoscibile; )
  • 3) agire o sentire come se lʼevento traumatico si stesse ripresentando (ciò include sensazioni di rivivere lʼesperienza, illusioni, allucinazioni, ed episodi dissociativi di flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in stato dʼintossicazione). (Nei bambini piccoli può manifestarsi rappresentazioni ripetitive specifiche del trauma;)
  • 4) disagio psicologico intenso allʼesposizione di fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dellʼevento traumatico;
  • 5) reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dellʼevento traumatico.
C. Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale (non presenti prima del trauma), come indicato da tre (o più) dei seguenti punti:
  • 1) sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma;
  • 2) sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma;
  • 3) incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma;
  • 4) riduzione marcata dellʼinteresse o della partecipazione ad attività espressive;
  • 5) sentimenti di distacco ed estraneità verso gli altri;
  • 6) affettività ridotta (per es., incapacità di provare sentimenti di amore);
  • 7) sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es., aspettarsi di non poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli, o una normale durata della vita.)
D. Sintomi persistenti di aumentato arousal (non presenti nel trauma), come indicato da almeno due dei seguenti elementi:
  • 1) difficoltà di addormentarsi o a mantenere sonno;
  • 2) irritabilità o scoppi di collera;
  • 3) difficoltà a concentrarsi;
  • 4) ipervigilanza;
  • 5) esagerate risposte di allarme.
E. La durata del disturbo (sintomi ai Criteri B, C e D) è superiore a un mese.
F. Il disturbo causa disagio clinicamente espressivo o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.

Specificare se: Acuto: se la durata dei sintomi è inferiore a tre mesi; Cronico: se la durata dei sintomi è tre mesi o più. Specificare se: A Esordio Ritardato se lʼesordio dei sintomi avviene almeno sei mesi dopo lʼevento stressante.

Caso Clinico : conclusione

Ritorniamo al caso clinico: Il CTU che aveva avuto il compito dal tribunale di fare diagnosi del danno biologico, nel caso della sig.ra Maria pur riconoscendo una sofferenza psicologica generale nella donna non lʼattribuì al trauma originario, cioè la morte del fratello, ma semmai alla morte del figlio avvenuta tre anni dopo circa. Le sue conclusioni furono da me contestate teoricamente e metodologicamente. Cito dalla perizia di CTP: “In realtà, proprio la presenza di una ulteriore significativa morte come quella di Giovanni, figlio di Maria, avvenuta dopo la morte di Giovanni, andava indagata dal punto di vista psicologico e relazionale. Giovanni è morto all’età di anni 23 in un incidente stradale, successo alle ore 2,30 del mattino, per eccesso di velocità, proprio come accade a tantissimi giovani purtroppo che vivono un disagio psicologico.

I dati dell’Istituto Superiore di Sanità

Riporto alcuni dati dell’Istututo Superiore di Sanità – Osservatorio Nazionale Alcol – CNESPS- Reparto Salute della Popolazione e suoi Determinanti – WORLD HEALTH ORGANIZATION – Collaborating Centre for Health Promotion and Research on Alcohol and Alcohol-related Health problems, presentati nella giornata di studio ( Roma 07 Aprile 2011 ) dedicata alla prevenzione della mortalità per causa di incidenti stradali sui gruppi a maggior rischio. Si è dimostrato, come secondo i dati disponibili (ACI-ISTAT), i decessi dovuti ad incidente stradale, avvengono per tutte le fasce di età, ma i tassi più elevati si registrano tra gli uomini nei giovani di età 15-29, tra le donne di età 15-24, e questo per comportamenti legati per lo più al disagio giovanile.

Giovanni, infatti, dalla morte dello zio Giovanni dimostrava un grosso disagio, che la famiglia non è stata in grado di controllare, in quanto non è stato riconosciuto e quindi impossibile da contenere, perchè come raccontato da Maria , la famiglia era tutta impegnata ad elaborare un trauma per la perdita a causa di incidente sul lavoro di Giovanni.

Il trauma è cumulativo

Il trauma psichico ha un effetto “cumulativo”(Khan M. M. R., lo spazio privato del Sè, Boringhieri, Torino,1974), cioè rende il soggetto particolarmente vulnerabile ed indifeso nei confronti di ogni esperienza potenzialmente traumatica, in tutte le fasi di sviluppo, ed è questa la sua grave patologia: in una frazione di secondo, l’individuo sente che la sua vita finisce; si vede morto o, ancor peggio, “svanito”. Quando la morte non avviene, l’individuo riprende la sua esistenza, si sente sollevato, svolge con regolarità gli impegni, ma nel giro di mesi o di anni si organizza la “sindrome da ripetizione”. Qualsiasi stimolo che faccia ritornare il ricordo dell’esperienza, crea le condizioni per sperimentare nuovamente ed in forma totale, le sensazioni, i vissuti, le reazioni angosciose provate in conseguenza dello stimolo originario. Non tutte le persone sono sottoposte a questa esperienza proprio perché dipende :

  • 1) dal tipo di stimolo, che diventa incisivo a causa della sorpresa e della violenza del confronto,
  • 2) dalla situazione personale del soggetto, che può risultare più o meno resiliente (resilienza = capacità di resistere) o, nel versante opposto, trovarsi in situazione di debolezza psichica (per esempio nei bambini e nelle persone anziane o nelle persone già traumatizzate).

L’effrazione del trauma

Da questo si desume che il trauma produce una effrazione, una rottura nell’apparato psichico che si manifesta come organizzazione di una “traccia mnesica” che resta nella psiche come ” oggetto persecutorio profondo “.(Norma Alberro). Il trauma, quindi, non è solo una rappresentazione, ma un insieme di sentimenti e di vissuti estranei e dolorosi di annichilimento, di frammentazione, di svenimento, che si autoalimenta e si perpetua.

Lo ” stress post-traumatico ” rappresenta il ritorno dell’esperienza che così continua a ripetersi nell’elaborazione inconscia, producendo uno stato di “vulnerabilità” psicofisica.” .E questo è ciò che è successo a Maria e al figlio Giovanni a seguito della morte di Giovanni. Nel caso clinico di Maria il CTU, tra lʼaltro, per negare lʼesistenza del danno biologico, a pag. 11 della relazione peritale scrive, cito testualmente,: ” E’ bene distinguere, nel corso della valutazione medico legale del Disturbo Post TRaumatico da Stress, le caratteristiche del lutto patologico dall’accentuazione del lutto fisiologico.

Osservazioni al Giudice

A questo proposito il criterio cronologico risulta di fondamentale importanza. Per accertare un danno da lutto occorre un periodo di tempo lungo fino a due anni….”. A pag. 12 :”..secondo il DSM V-TR a seguito di un riscontrato lutto patologico è possibile rilevare i seguenti inquadramenti diagnostici.

  • 1) disturbi d’ansia (Disturbo dì Ansia Generalizzato (DAG), Disturbo dell’Adattamento (D d’ A) , Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS), Disturbi da Attacco di Panico (DAP);
  • 2) disturbi deliranti;
  • 3) disturbi dell’umore “. a pag. 15 :” che la psicologia ha da tempo messo in evidenza come, per un particolare meccanismo psicodinamico, l’evento luttuoso più recente riattualizza e riporta alla coscienza dell’individuo (facendolo nuovamente rivivere), il dolore già provato in precedenti simili significative esperienze di perdita”.

In effetti, faccio osservare al giudice, che: “non si può negare l’evidenza di questi enunciati, tuttavia bisogna considerare che proprio il criterio cronologico permette di fare una diagnosi più appropriata. Questa per la sig.ra Maria corrisponde ad un Disturbo Post Traumatico da Stress cronico (DPTS).

Il Lutto non elaborato è cronicizzato in comportamenti disadattavi

Dodici anni di lutto che non è stato elaborato psicologicamente e che hanno cronicizzato comportamenti disadattivi, che si ripetono coattivamente, costituiscono il trauma, la cui patologia è stata accertata tramite psicodiagnosi. L’accertamento del Disturbo Post Traumatico da Stress è con test e diversi colloqui clinici. Tale patologia è stata prevista tra le possibilità di esito del danno da lutto, ma non è stata evidenziata dal CTU per mancato approfondimento clinico ed alcuni studi recenti dimostrano che gli effetti psicologici di un grave trauma possono ripercuotersi sui discendenti delle vittime con effetti lesivi sulla personalità con ricadute trans gerazionali attravero le modalità di attaccamento che si trasmettono da genitore a figlio.

Il DPTS può durare una vita

Quanto dura il Disturbo Post Traumatico da Stress ? “il Disturbo Post Traumatico da Stress può durare una vita: legato alla difesa dissociativa, frattura di Sè e condiziona le modalità di attaccamento con conseguenze devastanti sui propri figli”, De Zuleta F., Dal dolore alla violenza, R. Cortina Ed., Milano 1999.

Per la guarigione, terapia e cura del Disturbo Post Traumatico da Stress, anzichè una terapia farmacologica, è indicata la terapia psicoanalitica.

A Cura della Dott.ssa Floriana De Michele

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: La cura dello psicologo e dello psichiatra.

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