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Uno bravo tra i migliori psicologi : come sceglierlo

SCEGLIERE UNO BRAVO TRA I MIGLIORI PSICOLOGI

Il bisogno di psicologia è molto cresciuto nella società moderna e l’assistenza psicologica è divenuta una conquista sociale. L’aspetto Psicologico è attualmente riconosciuto come un ingrediente necessario della salute della persona, indispensabile nella cura e nella riabilitazione delle persone con problemi mentali ma anche delle persone con malattie fisiche. Eventi come la pandemia da Covid 19, eventi catastrofici come l’ultima grave alluvione in Emilia Romagna, o come la guerra in Ucraina, a due passi da casa aumentano lo stato d’incertezza e di insicurezza evidenziando nelle persone le fragilità personali. Considerare l’aspetto psicologico facilita la promozione di comportamenti positivi e lo sviluppo della resilienza permettendo di superare il dolore.

Trovare uno bravo psicologo oggi

Molto frequentemente gestire le relazioni personali, le comunicazioni tra le persone nei vari luoghi di vita quotidiana diventa difficile e provoca un profondo stress tanto da rendere necessario l’aiuto psicologico immediato e a lungo termine. Le improvvise difficoltà mettono di fronte alle fragilità tenute sotto controllo per tanto tempo e che in determinati momenti fanno sentire il bisogno di essere emotivamente sostenuti. Prevenire le molteplici forme di disagio psicologico e sociale che influenzano la vita delle persone, fino a farle ammalare, diventa essenziale e l’elevata consapevolezza raggiunta dalle persone su questi temi ha fatto si che l’offerta di psicologia in termini di operatori specializzati sia divenuta notevolmente alta. È facile rivolgersi ad uno psicologo oggi! Molti studi di psicologi sono a disposizione di chi ritiene di poterne usufruire. Basta andare su internet e se ne trovano così tanti che potrebbe essere difficile scegliere tra i migliori psicologi o trovarne uno bravo. Chi sono i migliori psicologi? come si fa ad identificarne uno bravo?

Come scegliere uno bravo psicologo

Sceglierne uno bravo psicologo richiede avere delle conoscenze di base sulle caratteristiche dello psicologo come professionista e cioè sulla sua formazione teorica, sulle qualità delle sue esperienze di lavoro, sulla modalità di svolgimento del suo lavoro, sulla capacità di esposizione al pubblico e al confronto scientifico con i colleghi, sulla sua capacità di apertura al sociale e sui riconoscimenti ottenuti.

Tali caratteristiche di solito non sono evidenti in quei professionisti che sono inseriti in grandi circuiti telematici o network, in cui ciò che appare importante è la prestazione professionale gratuita e a basso costo, in cui il professionista per essere soddisfatto del proprio lavoro deve esporsi ad un alto quantitativo di prestazioni: uno bravo a fare numeri! i migliori psicologi a trasmettere l’idea di una psicologia povera di contenuti.

Il bisogno di psicologia, purtroppo, è talmente alto che la società in mancanza di un adeguata offerta pubblica ottenuta tramite il Sistema Sanitario Nazionale è costretta a rivolgersi maggiormente ai suddetti network psicologici a scapito di un reale beneficio delle prestazioni.

I contesti telematici ad esempio non permettono una relazione terapeutica solida tra lo psicologo o psicoterapeuta e il paziente, che è uno degli elementi fondamentali nella pratica clinica che permette di differenziare uno psicologo bravo da uno meno bravo.

Rapporto tra uno bravo psicologo e il paziente

Sempre più evidenze, infatti, suggeriscono che una salda relazione terapeutica e un’alleanza terapeutica positiva possono influenzare significativamente i risultati della cura o trattamento psicologico. L’accordo collaborativo tra il terapeuta e il paziente sugli obiettivi e le attività terapeutiche, insieme alla presenza di un rapporto di fiducia, del rispetto reciproco e la possibilità di comunicazione aperta stabilisce una connessione empatica tra i due poli del rapporto che diventa curativo in virtù di quella capacità dello psicologo di mettersi nei panni dell’altro perché solo calandosi nella vita interiore di un’altra persona si può usare questa comprensione perseguendo uno scopo specifico. Attraverso quella che Kohut definisce “Introspezione vicariante” lo psicologo può ascoltare il paziente, cercando di ricordare le analoghe esperienze personali e se non le trova nel proprio repertorio di ricordi può persino immaginarle. Da questa esperienza emotiva che lo psicologo ricrea volutamente in se stesso, può formulare una risposta per il paziente che potrà sentirsi così pienamente compreso. C’è bisogno della presenza di entrambi gli attori del rapporto terapeutico per poter condividere questa profonda esperienza emotiva.

Le qualità di uno bravo psicologo

Le qualità dei migliori psicologi o di uno bravo psicologo possono ricercarsi per esempio da quanto viene suggerito da studi condotto sulla relazione terapeuta paziente. Un gruppo di lavoro dell’APA ha evidenziato come fattori relazionali, del tipo: concordare gli obiettivi della terapia, ottenere il feedback del paziente e riparare le rotture nella relazione, siano cruciali per il successo del trattamento quanto il metodo di trattamento utilizzato.

La mutualità

La relazione terapeutica è stata considerata tanto potente quanto, se non più potente, del metodo di trattamento specifico e la mutualità si è rivelata un aspetto fondamentale della psicoterapia moderna, promuovendo l’idea della terapia come una relazione bilaterale tra terapeuta e paziente.

La flessibilità

La ricerca ha dimostrato i benefici di questa mutualità, ad esempio, condividendo le riflessioni sulla spontaneità dei terapeuti. La flessibilità e la capacità del terapeuta di adattare il trattamento alle caratteristiche individuali dei pazienti, come il background culturale, le preferenze personali, l’attaccamento, le convinzioni religiose o spirituali, l’identità di genere e l’orientamento sessuale. Essere flessibili e responsivi facilita l’adesione e la partecipazione del paziente al trattamento.

Il feedback del paziente

L’utilizzo del feedback del paziente. L’utilizzo di strumenti come il Questionario di Esito-45.2 consentono ai pazienti di valutare i loro sintomi psicologici e problemi nel funzionamento interpersonale e nei ruoli sociali. Il terapeuta che raccoglie e incorpora il feedback del paziente nel trattamento può portare a miglioramenti significativi e ridurre il tasso di abbandono prematuro della terapia.

Risoluzione rotture

La capacità di risolvere le rotture che possono esserci nella terapia, come la discrepanza sugli obiettivi del trattamento o una cattiva interpretazione da parte del paziente di ciò che il terapeuta ha detto, che possono compromettere l’alleanza terapeutica. Le rotture possono essere suddivise in rotture di confronto, caratterizzate da espressioni esterne di rabbia da parte dei pazienti, e rotture di ritiro, quando i pazienti si allontanano emotivamente. Affrontare e risolvere queste rotture può favorire la crescita sia del paziente che del terapeuta.

I terapeuti dovrebbero anche essere consapevoli delle loro reazioni emotive e dei contro-transfert durante la terapia. Prestare attenzione ai propri sentimenti e alle espressioni non verbali può aiutare a gestire le emozioni negative dei pazienti e a coltivare una maggiore compassione.

Conclusioni

In conclusione,  i  migliori  psicologi  e psicoterapeuti sono quelli che riescono a sviluppare e nutrire una relazione terapeutica  solida  con i propri  pazienti,  ponendo una base sicura per il successo del trattamento psicologico riconoscerne uno  bravo richiede da parte dei potenziali pazienti la capacità di documentarsi e di non risparmiare sul proprio benessere psicofisico.

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: Bonus Psicologo 2022 al via – Psicologo Psicoterapeuta Avezzano (studiopsicologiaabruzzo.it)

Bibliografia

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La psicologia dell’ansia (dal Seminario ad Avezzano, 25 maggio 2005)

Cosa è l’ansia ?

L’ansia è l’emozione sicuramente più diffusa e conosciuta dalle persone al giorno d’oggi. Un esame, un incontro di lavoro, l’attesa di una notizia, un cambiamento, un ritardo, ma anche solo una telefonata basta per far sperimentare questo stato d’animo particolare.

L’ansia è un emozione che si instaura dentro di noi lentamente e in maniera silenziosa fino a diventare forte e assolutamente insopportabile. Ci fa sentire spesso “rabbiosi”. Ma la sensazione più comune è quella dell’apprensione, della paura, fino al vero e proprio terrore.

Di conseguenza ci sentiamo bloccati e non riusciamo a fare le cose che ci piacerebbe fare.

Ci sentiamo vulnerabili e portati a sottovalutare le nostre capacitàa fare pensieri disastrosi, catastrofici sulle situazioni che viviamo. Ad avere attacchi di panico veri e propri o a deprimerci in modo significativo. Oppure a somatizzare ammalandoci , così, nell’organismo.

Eppure è proprio l’ansia che, in condizioni normali, ci consente di affrontare le sfide della quotidianità manifestandosi innanzitutto come tensione positiva e carica psicologica.

Quando e perchè l’ansia si trasforma nella nostra peggiore nemica?

Attualmente si contano a milioni le persone che soffrono di attacchi di panico o che lamentano anche solo alcune delle duecentosettanta fobie conosciute.

C’è una ragione se accade proprio a noi oppure è solo un caso?

Si può ritrovare l’equilibrio perduto e come si può fare?

L’etimologia della parola ansia ci dice che essa deriva dal latino anxius la cui radice significa “Soffocare, strangolare”e Freud usa il termine tedesco Angst (Angoscia). Questo termine  in italiano viene tradotto indifferentemente col termine di ansia o di angoscia. Esso sta ad  indicare nel linguaggio della psicoanalisi le reazioni d’allarme della persona di fronte ai pericoli provenienti dalle esperienze esterne o dai propri turbamenti psichici.

L’ “angoscia” freudiana

Freud precisa che è possibile distinguere il pericolo reale , che è una minaccia proveniente da un oggetto esterno, dal pericolo nevrotico, che scaturisce da un’esigenza pulsionale legata cioè ad un bisogno interiore.

L’ angoscia è dovuta alla disperazione che si prova di fronte al pericolo. Egli chiama traumatica una situazione di disperazione realmente vissuta. Chiama situazione di pericolo una situazione che ricorda l’evento traumatico. Questo perché  permette al soggetto di prevedere il pericolo e prepararsi.

a) Angoscia automatica

L’angoscia o l’ansia che si prova è, allora, di due tipi. Un primo tipo è detta ansia o angoscia automatica provocata dall’afflusso, dall’esterno o dall’inconscio, di eccitazioni traumatiche, che il soggetto non riesce a dominare.

b) Angoscia segnale

Inoltre c’è un angoscia o ansia segnale , che si produce quando la situazione che crea disperazione continua ad incombere. Essa assume una funzione di difesa dell’io. E’  come un meccanismo d’allarme che avverte l’io dell’avvicinarsi di una minaccia grave per il proprio equilibrio, identificata con il male , il brutto, l’ignoto.

La situazione che crea disperazione è una situazione traumatica ed è la rappresentazione della nascita (O. Rank) in quanto ripetizione di un avvenimento importante appartenente al passato del soggetto.

Il trauma della nascita e la paura di perdere il sostentamento

Alla nascita, a seguito della separazione fisica dalla madre, il neonato è posto in una situazione di stimolazione massima, internamente ed esternamente. Egli non possiede la struttura e la capacità adattiva di rispondere con azioni difensive.

Durante gran parte dell’infanzia (come vedremo anche in seguito) il bambino non è attrezzato per affrontare le stimolazioni a cui e’ sottoposto. Pertanto si trova in uno stato di estrema vulnerabilità. Le risposte che vengono provocate quando un individuo è sottoposto a stimoli che non può padroneggiare e integrare nella sua Personalità , perchè vanno al di là delle sue capacità, daranno forma alla Situazione traumatica.

Nello sviluppo più avanzato , dice Freud, il neonato deve affrontare una minaccia diversa , legata alla paura di perdere gli oggetti importanti da cui dipendono il suo sostentamento e lenimento delle tensioni interne: in poche parole sua madre.

Angoscia di separazione del bambino

Tale paura è giustificata dalla sua estrema dipendenza da lei e l’angoscia che ne deriva.  Freud in questo caso chiama angoscia di separazione, è basata su considerazioni reali, sulla realtà.

Nel bambino, dice Freud, non c’è la capacità di valutare il pericolo. Per cui la produzione d’angoscia non è legata al pericolo reale. Il bambino reagisce alla perdita della madre e cioè riproduce l’angoscia che accompagna l’atto della nascita, la separazione da lei. Questa separazione , secondo Freud, lascia la libido o carica affettiva, inutilizzata , ferma, inattiva in quanto manca l’oggetto su cui appoggiarsi.

Egli sottolinea che questa perdita dell’oggetto amato può essere sostituito da una situazione che abbia lo stesso significato. Per esempio,il bambino che nel buio non vede più sua madre crede di averla perduta e reagisce con angoscia ogni volta che si ritrova al buio.

L’angoscia negli adulti : I nevrotici di Freud

Una cosa simile succede agli adulti che soffrono di ansia (nevrotici di Freud) con una differenza rispetto ai bambini, per cui la carica affettiva legata alla situazione traumatica viene staccata da essa , o rimossa. In teoria la rimozione crea l’angoscia, e si trasforma direttamente in angoscia. Altre volte , però, accade che in sostituzione dell’angoscia si formano dei sintomi tipo fobie e ossessioni. Queste  impediscono la percezione del dolore dovuta all’emozione di angoscia.

L’angoscia diventa così una funzione reale dell’io. E’ cioè  come un segnale di dispiacere che permette di mobilitare tutte le energie disponibili dell’io contro la pulsione o carica affettiva che proviene dall’ego dall’inconscio. Essa si origina in ogni caso dalla perdita o dalla minaccia della perdita dell’oggetto.

A sostegno di questa teoria attualmente sono gli studi di psico-neuro-biologia che descrivono le funzioni psico-mentali dell’uomo in tre attività, che si influenzano reciprocamente, ma che hanno tempi e modi propri di manifestarsi.

Esse sono : l’emotività, l’affettività, l’attività intellettivo-cognitiva.

Emotività ed Ansia

In questo momento ci soffermiamo sull’emotività perché è ciò che spiega il funzionamento dell’ansia.

L’emotività nello sviluppo filogenetico è presente in tutti i livelli del regno animale. Essa rappresenta un modello reattivo, istintivo, difensivo ed adattivo, attraverso il quale l’individuo risponde agli stimoli del mondo esterno.

Sembra, quindi, che ci sia un sistema adattivo-difensivo molto primitivo e comune a tutte le specie.  Essa  fa capo ai circuiti (neuroni, sinapsi, assoni e dendriti) che compongono il sistema limbico o cervello limbico o cervello del serpente.

Emozioni

Le emozioni si organizzano a vari livelli per cui riconosciamo le seguenti.

  1. attenzione e allerta
  2. tensione
  3. ansia
  4. angoscia

Queste possono evolversi in processi più complessi tra i quali si riconoscono le seguenti.

  1. l’ansia libera
  2. la paura
  3. ansia
  4. il terrore

La funzione che riunisce e rende simili tutti gli individui del regno animale è la capacità di reagire agli stimoli che giungono dal mondo esterno. Ciò avviene in un modo rapido (basso tempo di latenza), istintivo (cioè non mediato da altre funzioni e quindi strutture), automatico (senza la necessità di una speciale elaborazione).

Questi meccanismi però, portano a reazioni molto semplici che, negli animali (vedi serpenti) si limitano all’attacco o alla fuga.

Risposte emotive adattive e difensive

Nel caso specifico umano, invece, le risposte emotive vengono dette adattive, oltre che difensive, in quanto si organizzano come un sistema efficace per la difesa dell’individuo attraverso risposte che, seppure a volte non siano perfettamente adeguate, sono immediate (quasi del tipo tutto o nulla) e quindi permettono una difesa quasi sempre efficace.

Nell’uomo, infatti, il sistema emotivo è particolarmente efficiente ed attivo. Esso  è già presente nel neonato, nel quale una quantità notevole di risposte automatiche assumono proprio un valore difensivo ed adattivo. A questo punto cerchiamo di definire i vari stati delle emozioni.

Stati emotivi
Stato di allerta

Stato di allerta: E’  una risposta di preparazione per la quale il soggetto sposta rapidamente l’attenzione sulla qualità dello stimolo, sulla sua origine e sulla intensità. In un secondo tempo, se si attivano funzioni superiori che giustificano e/o tolgono significato all’input, l’allerta sfuma e si esaurisce. Si torna così al lo stato psichico in quiete.

Stato di tensione

Stato di tensione: E’  una risposta più intensa dell’allerta perché con questa il soggetto si prepara ad analizzare le componenti dello stimolo in entrata. Queste vengono  distinte in qualità, pericolosità, intensità. La tensione porta il soggetto a predisporre varie risposte possibili spostando l’attenzione in modo continuo dallo stimolo al “soggetto attore”.

Stato di ansia

Stato di ansia: E’ una risposta intensa, più o meno giustificata, ma sempre legata ad uno stimolo e/o ad una situazione determinata. L’ansia può diventare anormale o decisamente patologica quando dura a lungo nel tempo. Non viene cioè controllata dai sistemi specifici. Soprattutto, diventa invasiva, andando ad occupare gli spazi dell’affettività e dell’attività cognitiva, simbolica, razionale.

Stato di ansia libera

Stato di ansia libera: E’  uno stato patologico nel quale l’ansia fluisce in continuazione, senza freni e, soprattutto, senza giustificazioni logiche. E’ cioè svincolata dall’esperienza sensibile e determinata da vissuti profondi e personali.

Stato di angoscia

Stati d’ angoscia: E’ un’ansia, ma di grado molto elevato per cui i sistemi di controllo non riescono a contrastarla. Si parla di angoscia conscia e di angoscia inconscia. Ma, per lo più, si tratta di questo secondo tipo, dato che viene attivata da stimoli anche insignificanti se considerati dal di fuori. L’angoscia è una esperienza molto disturbante. Ciò anche perché il soggetto non riesce a trovare il modo di contenerla. Quindi, vive un sentimento come di essere in balia di qualcosa di troppo poderoso e distruttivo.

Stato di paura

Stato di paura: E’  una reazione non automatica, non così diretta come l’ansia e l’angoscia. Quindi, più elaborata , più determinata e legata all’esperienza sensibile o a situazioni ben definite.

Stato di terrore

Stato di terrore: E’  una paura molto accentuata e viene riconosciuto come risposta a qualcosa che non può essere controllato. E che genera situazioni dalle quali non si può sfuggire. Quindi, entra in gioco un sentimento di impotenza e di aver perso ogni possibilità di autodifesa. Il  soggetto non trova vie di scampo possibili.  Quindi, vive violente sensazioni di essere in balia dell’altro o di qualcosa che genera uno stato di morte imminente e, dunque, di invincibile e catastrofico.

Il sistema limbico e le emozioni

Da un punto di vista neurobiologico le emozioni sono il risultato dell’entrata in funzione del sistema limbico. Esso  è formato da diverse strutture centro-encefaliche situate sia a destra che a sinistra nel tronco encefalico.

Queste si articolano direttamente con le vie sensoriali e sensitive che giungono anche al talamo per poi raggiungere le aree corticali specifiche. Tale organizzazione spiega il perché della bassa latenza delle risposte emotive.

Le più importanti strutture del sistema limbico sono:

  • amigdala: che partecipa all’organizzazione del sistema mnesico.
  • ipotalamo: che attiva le risposte vegetative che accompagnano le emozioni (vasocostrizione, ipertensione, rossore alle gote, tachicardia, sudorazione delle mani, senso di sudorazione fredda dietro la schiena).

Incontenibilità dell’Ansia

Ci sono situazioni patologiche complesse come l’ x-fragile nelle quali l’impossibilità di contenere le risposte emotive è veramente imponente ed il soggetto somatizza l’iperattività dell’ipotalamo con varie sintomatologie.

lacrimazione, rinorrea, scialorrea, tachicardia, iperventilazione, midriasi ed un quadro psico-espressivo di angoscia incontenibile.

Questa osservazione ci porta a pensare all’impossibilità di attivare mezzi contenitivi nei confronti dell’ansia con la conseguente presenza di ansia libera e di crisi violente di angoscia.

Il meccanismo d’azione di questa particolare risposta (esagerata) è ancora poco conosciuto.

E’ espansione e si manifesta in contesti variabili e dinamici. Uno speciale contesto ambientale, di estrema importanza per l’uomo, è quello delle relazioni intime.

Freud , come ho già detto, sostiene che le emozioni sono segnali, situati nell’io ed afferma anche che le emozioni funzionano automaticamente ed hanno un ruolo regolatore.

Vediamo come.

Regolazione delle emozioni secondo Freud

Sebbene le emozioni abbiano una funzione integrativa in tutto l’arco della vita, nella prima infanzia si hanno gli esempi più drammatici.

Renè Spitz descrive tre stadi nei primi due anni di vita del bambino, ciascuno associato a nuovi pattern di emozioni. Afferma che il lattante può percepire solo degli stati di tensione, al massimo di allarme di fronte ad uno squilibrio interno (fame, replezione vescicale o intestinale).

Attualmente si possono rilevare sei periodi di transizione durante i primi quattro anni di vita.

Queste transizioni costituiscono dei periodi evolutivi dove i cambiamenti sono pervasivi, durevoli ed implicano un grande ri-orientamento nelle relazioni tra persona e ambiente. Compaiono nuovi pattern di processi emozionali e nuovi segnali emozionali e questi permettono altri cambiamenti nel bambino e nel suo ruolo in famiglia.

Le transizioni evolutive del bambino

Vediamo rapidamente quali sono queste transizioni.

Da 0 a 2 mesi di vita

La prima (0-2 m di vita) segue la nascita e gli adattamenti regolatori post-nascita che avvengono nel neonato. L’espressione emozionale predominante è il pianto, che comunica il malessere ed è diretta ai genitori che devono intervenire . Soprattutto, le espressioni emozionali di pianto, allerta/vigilanza e quiescenza sono usate per definire stati di bisogno e motivazione per i genitori. Queste espressioni emozionali sono anche indici di processi di segnalazione interna. Questo perchè  il bambino acquisisce esperienza e confidenza nella capacità di essere consolato dagli altri. In altre parole, il neonato incomincia ad esperire e ad esprimere una personalità nel mezzo di intime relazioni con il genitore.

Da 2 a 3 mesi di vita

La comparsa del sorriso sociale, primo organizzatore di Spitz, cioè del sorriso di fronte alla maschera (se si mette davanti al bambino una figura che rappresenta il viso di una persona egli sorride senza distinguerlo dal volto della madre) definisce una transizione che va dai due ai tre mesi.

La nuova espressione emozionale, comunica lo stato di benessere del bambino ed è accompagnata da altri segnali emotivi, indici di cambiamenti interni che includono la sorpresa di fronte a nuove esperienze piacevoli e le espressioni di allerta, di sostenuto interesse.

Questi ultimi pattern emozionali, combinati con una maggior capacità per il contatto diretto, consentono nuove opportunità per l’impegno e l’apprendimento sociale e influenzano le aspettative sul ruolo familiare del bambino. I genitori rispondono aumentando le loro interazioni sociali col piccolo, portandolo sempre più spesso fuori casa e mostrandolo agli altri.

In questo periodo, si presenta un abbozzo della paura di fronte all’oggetto sconosciuto. M. klein colloca qui l’angoscia schizzo paranoide.

Tale angoscia sembra costituirsi tramite due meccanismi di difesa. La separazione dell’oggetto e dell’io o meglio la loro non riunione (seno buono e seno cattivo). Il fenomeno emotivo è l’angoscia di frantumazione e l’identificazione proiettiva. Per cui tutto ciò che c’ è di cattivo nell’io è contemporaneamente proiettato fuori e messo nell’oggetto.

L’identificazione con l’oggetto avviene solo dopo la separazione e la proiezione del cattivo oggetto parziale. In questo modo si può prendere le distanze nei confronti delle pulsioni distruttive e, così, tenere a bada l’angoscia.

Da 6 a 8 mesi di vita

Tra la fine del sesto mese e l’ ottavo mese compare il distress esterno e il profondo turbamento dovuto alla separazione dai genitori che comporterà nuove configurazioni emozionali.

I familiari rispondono ai cambiamenti interni del bambino con ulteriori modifiche nelle aspettative. Infatti, in questo periodo compaiono altri cambiamenti nella segnalazione emotiva. Essi sono conseguenti alle modifiche nell’organizzazione cognitiva e socio emozionale , dovute anche ai nuovi ruoli familiari.

I bambini, quando incontrano situazioni di incertezza, cominciano a cercare all’esterno espressioni emozionali, i cui referenti sono solitamente il padre e la madre. Quindi a seconda delle emozioni viste o sentite in altri, egli può avvicinare o evitare una persona estranea o un giocattolo nuovo (vedi il resoconto degli studi in Emde, 1992).

E’ il periodo in cui compare Perm. Klein, l’angoscia depressiva, il secondo organizzatore per Spitz. I due autori sostengono in questo momento l’apparizione del primo abbozzo totale dell’io, cioè della persona del bambino, dell’oggetto, cioè della persona dell’altro, la madre, dell’angoscia.

L’angoscia depressiva è la paura di perdere l’oggetto percepito come intero le cui parti sono riunite ed incorporate.

Il viso della madre a questo punto non viene più confuso con la maschera, la madre è percepita come esterna e se si assenta il bambino prova angoscia (paura dell’estraneo). Questa angoscia depressiva viene anche detta da Bowlby angoscia di separazione ed è l’angoscia della perdita dell’oggetto orale che è la prima angoscia di colpevolezza.

Da 10  a 13 mesi di vita

Il periodo compreso tra i dieci e i tredici mesi è caratterizzato dall’apprendimento della deambulazione e le sue conseguenze socio emozionali.

M. Mahler sostiene che in questo periodo il bambino aumenta le sue emozioni positive. Egli manifesta  quelle che comunicano un certo sentimento di esaltazione e di orgoglio (Mahler et al.,1975).

Un distress intermittente è sentito come conseguenza degli urti legati al camminare.

Più spesso, comunque, il bambino sperimenta stati di incertezza dovuti a un allargamento del mondo fisico e alle proibizioni genitoriali.

Il bambino necessita, perciò, di maggior “rifornimento emozionale” da parte dei genitori. Questi  aumentano le comunicazioni emotive, al fine di favorire l’esplorazione, trasmettendo rassicurazione e sicurezza.

In questa fase si sviluppa maggiore autonomia, ma nello stesso tempo i legami diventano più forti.

Da 18 a 22 mesi di vita

Il periodo tra il diciottesimo e il ventiduesimo mese , è quello della “transizione dal periodo neonatale all’infanzia”. Questo poiché si intravede l’inizio di una consapevolezza auto-riflessiva e la capacità di usare più parole per articolare un discorso (Fenson et al., 1994; Kagan, 1981; Lewis & Brooks-Gunn, 1979).

a) Il pattern emozionale: empatia

I nuovi pattern emozionali e le loro connessioni hanno a che fare con le prime istanze etiche, come l’empatia.

Il bambino non solo risponde al distress esterno con evidenti sentimenti di autodifesa, ma può impegnarsi in azioni prosociali quali la cura, la consolazione e l’aiuto rivolto agli altri (Radke-Yarrow et al.,1983; Zahn-Waxler et al., 1992).

b) Il pattern emozionale : distress

Un altro pattern emozionale è il distress dovuto alla violazione della norma ( Jerome Kagan 1981). Talvolta il bambino si altera notevolmente quandosi imbatte in una bambola rotta o in un giocattolo sporco o nella sostituzione della persona che solitamente si prende cura di lui, segni di una deviazione da ciò che si aspettava.

In questo periodo possono anche comparire le espressioni di vergogna.

Altra caratteristica importante è l’acquisizione del ” no semantico” (Spitz, 1957) ed un apparente negatività e malumore, con particolari conseguenze per le interazioni con i genitori ( Sandler 1962 e Mahler et al. 1975).

Il bambino manifesta maggior intenzionalità (per es. dove cammina), e maggior controllo delle emozioni (per es. pochi accessi di collera, più tolleranza per la frustrazione), aumenta la domanda di socializzazione.

E’ questo il periodo dell’angoscia anale. Questo è il primo tipo di angoscia legato contemporaneamente ad una pulsione , ad un divieto e ad un rischio di perdere l’oggetto. Le reazioni alle raccomandazioni e ai divieti dei genitori nel periodo dell’educazione sfinterica, la paura di perdere l’oggetto anale, il salame fecale, è parte del proprio corpo, che è io e non io, la cui separazione può essere pericolosa. Le oscillazioni fra reattività e passività, la paura di invadere l’altro con i propri escrementi portano alla scoperta dell’aggressività e al timore proiettivo di vendetta dell’altro.

Da. 36  a 48  mesi di vita

Dai tre ai quattro anni (periodo prescolastico) il bambino manifesta una certa competenza verbale. La capacità di fornire un’ organizzazione narrativa alle esperienze emotive costituisce un’ altra monumentale acquisizione evolutiva.

Il bambino   può rappresentare le esperienze passate e le aspettative future in modo coerente. E  può esprimerle col linguaggio e condividerle con altri. Quindi può parlare alla madre.  La comprensione delle situazioni familiari, dei conflitti, delle possibilità e dei ruoli è spesso legata alla competenza verbale e alla capacità di raccontare storie.

In questo periodo c’è ancora un’ angoscia di perdita al momento della scoperta delle differenze sessuali. Perdita del fallo a cui si attribuisce la massima potenza e a cui si reagisce con il diniego della differenza dei sessi. Ma è questo  il periodo che evolve poi nell’angoscia di castrazione che segna l’accesso al desiderio genitale e alla legge, alla relazione triangolare (complesso edipico).

Forme patologiche dell’Ansia

Dunque abbiamo visto come i processi emotivi accompagnano il cambiamento evolutivo e lo sviluppo cognitivo. Le emozioni di sorpresa, interesse, ansia per un impegno sociale. Il piacere di controllare le situazioni e la sua tendenza biologica a trovare nuove informazioni e categorizzarle secondo ciò che gli è familiare, caratterizzano l’attività del bambino che dà un significato al mondo circostante.

Esse continuano nell’intera vita dell’individuo e proprio quando questo processo di “assimilazione cognitiva” come lo definisce J. Piaget non avviene che il soggetto vive la situazione di ansia patologica.

Vediamo ora le forme patologiche che l’ansia può assumere. Esse normalmente si manifestano con gli stessi sintomi, ma si presentano di fronte a situazioni diverse o hanno cause scatenanti diverse.Ma sempre comportano gravi problemi in ambito lavorativo e sociale.

Sintomatologia degli attacchi di panico

Gli attacchi di panico sono considerati un disturbo a se stante anche se si ritrovano tutti i sintomi dell’ansia. Essi in genere, sono attacchi di ansia acuta e durano solo pochi minuti. Nondimeno  vengono vissuti dalla persona in modo, così intenso, da pensare di essere sul punto di morire. I sintomi più comuni sono i seguenti.

  1. il soffocamento.
  2. le vertigini.
  3. la sudorazione.
  4. il battito del cuore molto accelerato.
  5. il tremore.
  6. un’ intensa sensazione di morte imminente.

Gli attacchi di panico sono un disturbo molto frequente, soprattutto,tra la popolazione femminile Nel 75% dei casi si verifica agorafobia o comportamenti di evitamento verso luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile allontanarsi in caso di panico. Molto frequente è la comparsa di fobie, per esempio la fobia sociale. In tali casi  la persona è esposta al pubblico in certe situazioni che sente come pericolose.

La prima volta che si ha un attacco di panico generalmente ci si ritrova al pronto soccorso pensando di aver avuto un infarto o qualcosa di simile. Spesso l’attacco di panico non è riconosciuto come tale e ciò finisce di spaventare ancora di più il paziente che non capisce il perchè del suo malessere . Nasce quindi la paura che si possa ripresentare di nuovo creando, così, una forma di ansia anticipatrice.

Il soggetto che soffre da tempo del disturbo sa, in maniera precisa, quando l’attacco di panico sta arrivando e sa che non esiste una situazione sicura, un ambiente capace di proteggerlo e quindi finisce coll’imitare al massimo le uscite o farsi costantemente accompagnare da qualcuno, creando dei legami morbosi con le persone che gli stanno accanto .

Il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo post-traumatico da stress, l’ansia generalizzata

L’ossessione è un’ idea o un immagine che passa in continuazione nella mente. E’ un’idea che disturba molto, perché non si riesce a controllare. Si sente come estranea a se , cioè si presenta come una spinta a ripetere un determinato comportamento per quanto esso sia assurdo.

Alcuni comportamenti ossessivi

Degli esempi di ossessione  possono essere quelli riportati più avanti. Continuare a lavarsi le mani, chiudere e richiudere a chiave la stessa porta, controllare e spegnere più volte il gas, camminare senza calpestare le righe sulla strada e cose simili.

L’ossessione si manifesta attraverso un comportamento ripetitivo e costante chiamato compulsione.

Spesso esse diventano così elaborate da diventare veri e propri rituali.

Le persone in preda alle compulsioni pensano che se non faranno quel gesto potrebbe succedere loro qualcosa di male.

Il disturbo post – traumatico da stress è un disturbo che aggiunge all’ansia uno stato di depressione.

Ha un incidenza dell’ 1% della popolazione . Esso è la diretta conseguenza di un evento traumatico reale verificatosi nel passato. E’  come se fosse una reazione a scoppio ritardato , che si compie di fronte ad un evento attuale, potenzialmente non pericoloso.

Eventi che possono causare il disturbo post traumatico da stress

Eventi che possono far insorgere questo disturbo sono i seguenti.

  1. la guerra.
  2. l’abuso sessuale.
  3. subire violenza fisica.
  4. incidenti che compromettono la funzionalità fisica del soggetto.
  5. assistere alla morte dei genitori.
  6. essere soggetto a continui e prolungati eventi traumatici ( tipo il mobbing).
Insorgenza dell’ansia generalizzata

L’ ansia generalizzata può comparire già durante l’infanzia ed è caratterizzato da ansia e preoccupazione eccessive presenti durante tutto l’anno o comunque almeno sei mesi. Sii manifesta soprattutto nell’approssimarsi di determinati eventi o attività che si devono affrontare.

Oltre alla tensione si presentano sintomi fisici come tensione muscolare, insonnia, stanchezza.

Ha un’ incidenza del 5% della popolazione generale,colpisce soprattutto le donne.

L’ansia si manifesta ad livello elevato, in modo molto frequente ed incontrollabile concentrandosi su determinate attività o eventi. Tale situazione determina uno stress significativo nella vita quotidiana. La qualità della vita delle persone è decisamente compromessa, a causa della loro perenne apprensione riguardo al futuro, alla situazione finanziaria, alla possibilità che qualche loro parente o persona cara possa morire o farsi male.

Si ritrovano tutti i sintomi fisici più frequenti, ma senza che si arrivi ad uno stato di forte malessere fisico.

Ansia con somatizzazione

Alcuni sintomi dell’ansia si manifestano senza che nel paziente ci sia una vera e propria patologia.

Questi sintomi somatici sono gli stessi dei disturbi sopra citati, ma non c’è nel paziente alcuna patologia di tipo organico.

Per questo non è possibile stimare l’incidenza del disturbo, ma si possono descrivere bene i sintomi del disturbo a seconda dell’apparato interessato.

Apparato circolatorio

apparato circolatorio: tachicardia, extrasistolia, dolore precordiale, palpitazioni, lipomie, polso irregolare, ipertensione, disturbi vasomotori alle estremità apparato gastroenterico: difficoltà a deglutire, eruttazioni, bruciori e senso di pesantezza gastrica, nausea, vomito, borborigmi, flatulenza, diarrea, stipsi.

Apparato respiratorio

apparato respiratorio: senso di oppressione o di costrizione toracica, sensazione di soffocamento, iperventilazione, sospiri, dispnea.

Apparato urogenitale

apparato urogenitale: minzione frequente, dolore alla minzione, amenorrea,m enorragia, frigidità, disturbi dell’erezione o dell’eiaculazione, impotenza.

Il caso clinico di Marco

Marco è un giovane di 21 anni, che soffre di uno stato di acuto di ansia. Egli  risponde abbastanza bene ad un periodo breve di psicoterapia. Ha infatti iniziato il trattamento solo da quattro mesi ma il suo stato di ansia si è notevolmente ridotto.

E’ stato inizialmente accompagnato nel mio studio dai suoi genitori. Non era assolutamente in grado di parlare dei suoi sentimenti. I genitori raccontavano delle sue crisi rivolgendosi a lui ogni tanto così.  ”Di alla dr.ssa quello che ti senti, raccontalo tu !” . E lamentandosi di non sapere più come fare per aiutare il figlio.

I sintomi di Marco

Erano un paio di mesi che il giovane viveva in preda all’angosciaNon usciva più di casa, non dormiva più , non mangiava quasi più, aveva la paura d’impazzire. Si era attaccato in modo morboso al padre per qualsiasi attività dovesse fare. Per esempio  è stato suo il desiderio di rivolgersi ad uno specialista per farsi curare. Ma è il padre che ha chiamato, ha preso appuntamento e parlava per lui durante il primo colloquio.

Sentiva di non farcela più da quando, qualche mese prima, iscrittosi all’università doveva frequentare le lezioni. Contemporaneamente aveva intrapreso una relazione amorosa con una ragazza molto più giovane di lui.

Marco è un ragazzo socievole

Marco è stato adottato all’età di due anni circa. I suoi genitori sono stati ed attualmente sono ancora persone molto protettive, hanno sempre desiderato che il figlio si laureasse.

La madre è un insegnante e il padre, attualmente in pensione, è un ex funzionario presso un ministero. Marco in realtà ha avuto diversi problemi con la scuola. Si è diplomato molto tardi , soltanto dopo aver frequentato una scuola privata.

I genitori dicevano di aver speso molto denaro per questo, comunque non se ne lamentavano. Anzi erano disposti a spendere altro denaro. Ad es . per l’acquisto di una moto dal figlio tanto desiderata, pur di vederlo tornare alla normalità.

Marco desidera  uscire dal disagio

Iniziata la terapia mi rendo subito conto che il paziente è un giovane molto socievole, desideroso di uscire dal suo disagio.

Egli comincia a raccontare i suoi problemi. Espone  così come i fatti causa della sua angoscia avevano a che fare con l’assunzione di responsabilità più adulte. Essi riguardavano  la separazione affettiva dai suoi , vissuta come un abbandono. E a tutto ciò  reagiva con un attaccamento morboso, richiamando così alla memoria un antica situazione affettiva vissuta.

Marco viene a sapere della sua adozione

In realtà Marco aveva saputo per caso, pur avendolo sempre intuito, di essere un figlio adottivo mentre frequentava la terza media.

Allora si limitò a chiederne conferma alla madre e la sua reazione fu di assoluta normalità nel senso che sembrava accettare le spiegazioni e le ragioni di quella situazione date dalla madre.

Marco, però, dimostrò di volersi allontanare di casa immediatamente. Infatti, dovendo frequentare una scuola di grado superiore si trasferì a Roma, per andare a frequentare una scuola di aeronautica come piaceva al padre .

In questo momento il ragazzo vuole accontentare suo padre dimostrando di essere un bravo figlio. Ma lui , in verità, è molto arrabbiato con i suoi. Purtroppo non può dimostrarlo perchè si sentirebbe cattivo e negativo due volte. La prima perchè inconsciamente lo è dato che è stato abbandonato. La seconda perchè non sa essere grato ai genitori che l’hanno accolto, come dovrebbe essere.

Marco inizia a mostrare problemi

Il ragazzo cominciò ad avere problemi di studio che lui attribuiva, infatti, alla sua cattiva volontà e alla voglia di fare niente. Ancora oggi, almeno in parte, questo è il suo atteggiamento verso l’università.

Di fatto, cominciò a fare uso di droghe e a frequentare ambienti pericolosi.

Racconta nel corso della terapia che le prime occasioni in cui ha sentito un forte stato d’ansia fino a spaccargli il cuore, è stato quando una volta, per caso, in metropolitana si trovava con un amico.  Questi, d’improvviso senza che lui ne sapesse nulla, scippò una donna e fuggì via.

Lui rimase fermo lì senza rendersi conto subito della situazione, ma capì in quel momento che rischiava molto se qualcuno si fosse reso conto che lo scippatore era in sua compagnia.

In un’ altra occasione simile, gli fu chiesto di fare il palo all’ultimo momento e non fu capace di tirarsi indietro.

Poi semplicemente evitò l’amico, ma cominciò a vivere pericolosamente per un ragazzo della sua età.

Andò a convivere con una donna più grande di lui per circa tre anni. Assunse l’aspetto di un “metallaro”, che ancora conserva un pò a causa dei piercing e i tatuaggi eccessivi. Ma che attualmente si preoccupa di coprire perchè si vergogna di mostrarli.

Attraverso queste attività si mise in contrasto con i genitori ed i loro rapporti sono diventati aggressivi a volte addirittura violenti.

Il ragazzo   costringe a farsi accettare dai suoi. Questi  invece vorrebbero appunto che lui studiasse. Attraverso una  ribellione inconscia egli  mette in mostra la sua parte cattiva.

Marco viene preso da una improvvisa e forte ansia

Ad un certo punto, però, Marco comincia a sentire a volte improvvisamente una paura improvvisa che non sa spiegarsi. Lui si  vergogna di fronte ai suoi amici che non capiscono. Comincia ad evitare i luoghi affollati. Sente un malessere che non sa definire e che attribuisce all’uso di droghe.

Quindi smette persino di fumare. Ma la paura non passa, sente il bisogno di tornare a casa nella speranza che i suoi lo aiutino.

In effetti, loro, si danno molto da fare e giungono a dare una ragione a questo stare così male di Marco , al quale viene diagnosticata una intolleranza a quasi tutti gli alimenti.

La sua relazione con una giovane ragazza

Nel frattempo si diploma e conosce questa giovane ragazza. A questa  si attacca moltissimo dimostrando una gelosia esagerata. Contrariamente a quanto provava nei confronti della sua convivente. Pensate che persino durante la terapia si scambiano diversi squilli di telefono! Con lei ha un rapporto molto conflittuale. Non riesce a fare a meno di fare cose e raccontarle cose che scatenano la sua gelosia. Come se volesse continuamente provocarla e correre il rischio di essere lasciato.

Lui sa che lei potrebbe lasciarlo e non vuole ma non riesce a fare a meno di farla ingelosire. Si dispiace e si deprime quando lei, per es., piange a causa dei suoi comportamenti. Ma lo stesso non riesce a non raccontargli cose che potrebbe non raccontare. Lui ha necessità quasi ossessiva di farlo rispondendo così ad uno stimolo interiore di pericolo. L’abbandono.

Via via che nella terapia si affrontano tutti i problemi della sua vita di oggi, attraverso le difficoltà che vive.  Marco ha dei ricordi circa la sua sensazione di aver sempre saputo di non essere figlio naturale e circa le emozioni provate nel momento in cui lo ha confermato scoprendolo per caso, che hanno rimesso in atto una sensazione di abbandono già vissuta in modo traumatico molto precocemente vista la tenera età in cui è stato messo in istituto e poi adottato.

Marco proprio martedì scorso ha fatto il suo primo esame all’università con un buon risultato….ma ancora mi fa chiamare dal padre per chiedermi un appuntamento in più in caso di necessità.

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Farmacoterapia o Psicoterapia : confronto tra le due cure.

La cura dello psicologo e dello psichiatra

Spesso la scelta di una persona può consistere nello scegliere se ricorrere alla farmacoterapia o psicoterapia. Gli operatori che si occupano di salute mentale in Italia, sono diversi e di diversa estrazione scientifico culturale. I disturbi mentali generalmente sono oggetto di cura, a vario titolo, da parte degli psichiatri, degli psicologi, dei medici generici, neurologi, infermieri, professionisti della riabilitazione psichiatrica, educatori, ergoterapeuti, assistenti sociali, e, talvolta, anche da rappresentanti di organizzazioni religiose (questo è più diffuso in paesi stranieri) e dai cosiddetti guaritori tradizionali.

Bisogna subito dire che la pratica di guaritori tradizionali è ormai quasi scomparsa e rimane in alcune zone dell’appennino parmense e spesso è stata confusa con la magia ed è una pratica spesso illogica e basata su credenze popolari.

Ergoterapia

L’ergoterapia, o terapia occupazionale, invece, è un approccio terapeutico consistente nel trattamento del soggetto teso a mantenere le capacità attuali nella vita lavorativa. Oppure  a recuperare e a sviluppare nuove capacità, utilizzando a questo scopo, varie attività compreso il gioco. Considerando le disabilità cognitive (temporanee o permanenti) del soggetto sottoposto a questa terapia. Chi si occupa di questa terapia è un laureato abilitato a questo lavoro, prevalentemente di prevenzione. Il trattamento sicuramente non può essere unico, ma il professionista che lo pratica dovrà inserirsi in un lavoro di equipe con altri operatori della salute mentale quali neuropsicomotricista, fisioterapista, logopedista, infermiere, assistente sociale, psicologo, medico.

Il medico nella tradizione italiana

Nella maggioranza dei casi della cultura e tradizione italiana, si può dire che un medico rappresenti il punto di riferimento per la diagnosi. Nonchè per indirizzare le cure nei casi dei disturbi mentali e per individuare precocemente i disturbi dovuti alle dipendenze (dal tabacco, dall’alcol, dalle droghe). Il medico  realizza così un sistema di gestione essenzialmente centralizzato delle salute mentale. L’introduzione di una decentralizzazione nella cura potrebbe portare ad alcune conflittualità tra le figure professionali che si occupano di salute mentale.  Questo a causa di  un sistema sanitario organizzato verticalmente in cui potrebbe mancare la pari dignità delle professioni che collaborano dimenticando che al centro della cura c’è il paziente e la sua famiglia.

La cura dei disordini mentali

Si può affermare che, attualmente, la cura dei disordini mentali e del comportamento è soggetta ad un approccio integrato tra farmacoterapia o  psicoterapia. La prima praticata da uno psichiatra , la seconda  praticata da uno psicologo psicoterapeuta. Infine vi è anche la riabilitazione psicosociale (praticata da uno psicologo e dall’ergoterapeuta). I gradi con cui ciascun approccio viene messo in atto deve dipendere dalla diagnosi, dall’età, dallo stadio del disturbo mentale e l’intervento terapeutico. Non deve eccedere nel dosaggio, in proporzione alla gravità del disordine, e per una durata strettamente necessaria al ristabilirsi delle condizioni di normalità e di inserimento nella normale vita del paziente.

Questo sottintende che, in funzione della guaribilità del paziente, il trattamento venga monitorato e verificato attentamente per tutto il suo corso sin dall’inizio. Che inoltre  i condizionamenti che creano patologia e dipendenza vengano progressivamente attenuati e terminati, a meno di condizioni di cronicità, caso in cui la cura dovrà proseguire probabilmente per tutto l’arco vitale del paziente.

Farmacoterapia

Molti dei comuni psicofarmaci sono stati utilizzati, per la prima volta, meno di un secolo fa e cioè intorno alla metà del XX secolo. Circa qualche decennio dopo la scoperta da parte di Freud dell’inconscio e della psicoanalisi, e certo hanno sconvolto non poco il mondo della salute mentale.

I farmaci esistenti tendono alla remissione dei sintomi e non mirano la causa della malattia (l’effetto e non tanto la malattia in se stessa). I farmaci possono essere classificati in quattro categorie principali a seconda del disturbo che curano. 1) antipsicotici . 2) antidepressivi. 3) antiepilettici. 4) ansiolitici. Poi ci sono farmaci specifici che possono curare le dipendenze (da alcol, droga, ecc.) che servono a prevenire che si ricada nella dipendenza e quindi presuppongono una forte motivazione e partecipazione mentale da parte del paziente. Questi quindi, deve essere in qualche modo in grado di gestire le proprie emozioni e sensazioni per cui è necessario un percorso psicoterapeutico.

Psicoterapia

A differenza della farmacoterapia, la psicoterapia non utilizza sostanze biochimiche nella cura dei disordini mentali, ma esclusivamente mezzi psicologi, per modificare il comportamento e l’umore.

L’approccio dello psicoterapeuta è conseguente all’indirizzo teorico formativo, per cui vi sono diversi indirizzi psicoterapeutici. Terapia psicodinamica e terapia interpersonale, terapia comportamentale, terapia cognitiva, tecniche di rilassamento e tecniche di terapia supportive (counseling).

Terapia psicodinamica

La terapia psicodinamica che si basa sul postulato teorico freudiano per cui il comportamento appare determinato da pulsioni e dall’inconscio e si considera il metodo analitico basato sull’attività interpretativa del transfert e controtransfert, all’interno della relazione terapeutica. Inoltre, come scrive Nicola Lalli, la metapsicologia analitica, per l’osservazione del comportamento umano utilizza punti di vista particolari. “Economico” per osservare la distribuzione delle energie nell’apparato psichico. “Dinamico” per osservare il gioco delle forze pulsionali e le dinamiche tra le distinte componenti dell’apparato psichico. “Topico” per osservare la relazione tra dimensioni consce e inconsce. “Genetico”per l’osservazione dei fenomeni psichici in termini di sviluppo.

Terapia interpersonale

La terapia interpersonale che si concentra sul presente del paziente, piuttosto che sul passato, derivando da un modello incentrato su quattro problemi comuni. Dolore, Dispute dei ruoli interpersonali, Transizione di ruolo e Deficit interpersonali, e risulta una psicoterapia di breve durata (4 o 5 mesi).

Terapia di sostegno

La terapia di sostegno, basata sulla relazione medico-paziente, è una forma molto semplice di psicoterapia, nella quale si utilizzano incoraggiamenti, spiegazioni, abreazioni (scarica di antichi traumi dell’inconscio), consigli, suggerimenti e insegnamento.

Terapia comportamentale

La Terapia Comportamentale: è stata la prima forma di psicoterapia sperimentata e verificata e che osserva il “comportamento” del paziente in riferimento ad un ambiente, che è la fonte dei suoi problemi e disordini. Spesso la si applica assieme ad interventi cognitivo-comportamentali che si basano su esercizi di comportamento di tipo differente. Questi sono : l’esposizione, l’autoistruzione, il rilassamento e la perdita del controllo, lo stop del pensiero. Infine vi sono tecniche di rilassamento, come il training autogeno, lo Yoga, la meditazione, per ottenere rilassamento muscolare e ridurre l’ansia, flooding, diversione dell’attenzione, de-condizionamento e condizionamento.

Farmacoterapia o Psicoterapia ? 

Allora quale scegliere ? Farmacoterapia o psicoterapia ? Spesso si ricorre alla cura dei farmaci quando si hanno dei problemi imminenti di salute mentale, trascurando di focalizzare bene il problema. A cosa serve mitigare gli effetti di un disturbo se la causa permane? Il farmaco non può guarire il nostro disordine mentale. Inoltre la probabilità di recidiva è altissima, perché non avremo cambiato nulla del nostro comportamento. La psicoterapia, il faccia a faccia con un buon psicologo, attraverso l’autosservazione e l’analisi dei propri comportamenti e della propria interiorità, permette di risolvere problemi ambientali nonché l’ansia e lo stress che ne derivano. Permette ai pazienti di affrontare crisi depressive e attacchi di panico e trattare efficacemente fobie, dipendenze da alcol, droga, tabacco, per la psicosi, i deliri, le allucinazioni.

Quale è il costo di una psicoterapia ?

Sono stati fatti degli studi sull’efficacia dei costi affrontati per una psicoterapia e sono stati molto incoraggianti, in quanto è emerso chiaramente che il paziente che partecipa alla cura ed osserva il trattamento è più soddisfatto e ciò contribuisce a ridurre i tassi di recidive, di ospedalizzazione e di disoccupazione. L’extra-costo dei trattamenti psicologici è compensato dal fatto che è meno necessario ricorrere ad altri servizi di sanità (The World Health Report 2001: Mental Health: New Understanding, New Hope).

Citazione : La persona cinica è colei che conosce il prezzo di ogni cosa ma il valore di nessuna (Oscar Wilde)

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