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depressione post partum

La Depressione Post Partum : Cause e Cure.

Cause Depressione Post Partum

Capita spesso alle donne che hanno appena partorito di sentirsi tristi e depresse. Si tratta molto probabilmente  di Depressione Post Partum. I dati pubblicati sul sito del Ministero della Salute (documento C_17_pubblicazioni_2731_allegato.pdf) dicono che il disturbo viene manifestato dall’8-12% delle donne. Tutte neo mamme tra la sesta e dodicesima settimana a seguito della nascita del bambino.

La domanda che ci si pone è come possa succedere un simile fenomeno visto che la nascita del proprio bambino dovrebbe provocare immensa felicità.  Mentre la tristezza è un sentimento che si prova di fronte alle sventure e alle amarezze. La tristezza è qualcosa che nasce da una perdita.

Fisiologicamente la tristezza post-partum viene attribuita agli importanti cambiamenti fisici che la donna subisce, il così detto “baby blues” o “maternity blues” (“blues” ovvero malinconia). Con la nascita del bambino nel corpo della donna si verifica una scarica ormonale per cui, sia il livello degli estrogeni che quello del progesterone, ma anche il livello degli ormoni prodotti dalla ghiandola tiroidea subiscono un abbassamento repentino. Tale abbassamento  si riflette sull’umore e sulla salute della neomamma. Il parto, inoltre, naturale e cesareo che sia, comporta una particolare fatica psicofisica, una spossatezza dovuta al travaglio. Pare che esso  si verifichi nel 70% delle donne, ed affinché la puerpera possa recuperare le forze le occorrono un paio di settimane.

I disturbi post traumatici postnatali

Oltre alla Depressione Post Partum, vi sono, tuttavia, delle importanti sofferenze psicologiche che si possono verificare nel puerperio, come il Disturbo Post Traumatico Postnatale e la Psicosi Puerperale.

Il Disturbo Post Traumatico Post-Natale consiste nel vissuto traumatico dell’esperienza parto che si caratterizza dalla quasi immediata comparsa dei sintomi tipici dei traumi: pensieri intrusivi, flashback, incubi, disturbi del sonno, ipervigilanza, irritabilità, rabbia incontrollata, difficoltà della concentrazione e della memoria.

La Psicosi Puerperale è un disturbo dell’umore molto grave, anche se, pare, poco frequente, che insorge entro i due mesi dal parto e richiede l’ospedalizzazione. La sua caratteristica è data, oltre che dalla depressione, dalla perdita di contatto con la realtà, da episodi deliranti, da allucinazioni, da disturbo della memoria e del pensiero.

Depressione Post Partum nel Manuale dei Disturbi Mentali : sintomi.

La Depressione Post-Partum vera e propria, diversamente dal “baby blues” o “maternity blues” è duratura e si istaura con il proseguire delle sensazioni negative di tristezza profonda e di comportamenti sintomatici tipici . Essa è senz’altro più aggregabile delle sofferenze psicologiche più gravi prima descritte.

Il DSM5(Diagnostic and Statistica Manual of Mental Disorder; American Psychiatric Association) ritiene la depressione post-natale una forma di depressione generale meglio specificata come “depressione postpartum” in quanto ha esordio tra le prime quattro settimane dopo il parto.

Secondo il DSM5 si può fare diagnosi di depressione post-partum se sono presenti, per almeno due settimane consecutive, quasi tutti i giorni:

  • umore depresso, come riferito dalla persona ( si sente triste, vuota, disperata, pianto incontrollato) o come viene osservato dagli altri ( appare lamentoso e sfinito, demotivato stanco e affaticato);
  • marcata diminuzione di interesse o piacere per la maggior parte delle attività normali compresa l’attività sessuale.

E devono essere presenti almeno 5 o più sintomi, anch’essi come i precedenti, per la durata di almeno due settimane, quasi tutti i giorni :

  • perdita di peso significativa in assenza di dieta, oppure aumento di peso, aumento o diminuzione dell’appetito;
  • insonnia o ipersonnia;
  • agitazione o rallentamento psicomotorio;
  • giudizio negativo di sé come cattiva madre;
  • negazione dei vissuti depressivi;
  • sentimenti di autovalutazione o senso di colpa eccessivi o inappropriati;
  • ridotta capacità di pensare, di concentrarsi, di ricordare e di prendere le decisioni;
  • pensieri o idee ricorrenti relative alla morte, compresa quella del proprio bambino; idee suicidarie non strutturate, senza piani specifici, tentativo di suicidio, oppure ideazione di un piano specifico per compiere un suicidio;

Conseguenze familiari della depressione post-partum

La depressione post-natale compromette il benessere non solo della donna ma anche la salute del figlio e la relazione con il partner, quindi, il disturbo si ripercuote in modo significativo nella funzione materna e nello sviluppo di una adeguata relazione madre–bambino. La depressione post-natale, pertanto, si presenta come un fattore di rischio per lo sviluppo del bambino.

Molte ricerche evidenziano come la depressione post-natale abbia degli effetti a lungo termine sul bambino che comprendono disturbi nell’attaccamento, disturbi cognitivi, disturbi sociali e disturbi nello sviluppo. La depressione post-natale ha inoltre un elevato rischio di ricadute e di comorbidità con altre patologie. Questo disturbo compromette anche la relazione di coppia. I partner di donne con depressione postnatale hanno inoltre maggiori possibilità di sviluppare un disturbo dell’umore.

Eziopatogenesi della depressione post partum

La depressione nasce quando l’interiorità della persona si blocca e ci si isola dal mondo esterno, interrompendo quel flusso di pensieri, parole, azioni o sentimenti, fossero anche rabbia, paura o frustrazione, con l’esterno e che dura un periodo più o meno prolungato fino al ristabilirsi della naturale organizzazione mentale tipica della persona. Subito dopo il parto la donna dovrebbe avere un periodo di tempo per pensare e sentire la presenza del nuovo arrivato, il bambino, in un contesto familiare-relazionale positivo. La neo mamma deve imparare a ri-conoscere il bambino reale, partendo dalle fantasie e i pensieri con i quali lo ha immaginato per tutto il tempo che ha aspettato il suo arrivo. Lei deve poter pensare al rapporto che si sta stabilendo tra loro e al ruolo che avranno gli altri componenti della famiglia.  Prima di tutti il padre del bambino, ossia il proprio marito/compagno, ma anche i propri genitori, nonni del bambino.

Il processo di elaborazione porterà ad uscire al più presto dalla depressione, anche rinforzate psicologicamente e ben organizzate mentalmente se si hanno i mezzi interiori per farlo. Ciò è tipico delle persone sane e forti. Partendo da questo punto di vista il parto può costituire un test della salute psicologica della donna.

Il cammino di madre è pieno di difficoltà, e, si sa che essere genitori è la cosa più difficile da fare per gli esseri umani. Attualmente, la maggior parte delle donne ne hanno la consapevolezza, anche se non tutte sono in grado di fare un percorso di crescita che le porti a confrontarsi con la propria interiorità.

Come distinguere tra tristezza de Depressione Post Partum

Bisognerebbe poter comprendere quando la semplice emozione o tristezza, che fa parte della vita di tutti i giorni, possa diventare qualcosa di più. Ossia possa trasformarsi in depressione vera e propria, cosa che bisogna monitorare attentamente nelle situazioni di crisi psicofisica come il parto. Ciò sia per le conseguenze di salute che possono verificarsi, sia per l’impatto nei rapporti cogli altri, sia per la salute e il benessere del bambino che nascerà.

La crisi che la donna attraversa nei giorni e nei mesi successivi al parto può sembrare per certi versi inspiegabile perché il bambino arrivato è una ricompensa della sofferenza sopportata. Ma questa  dovrebbe sparire come d’incanto! Purtroppo non succede così. Alcuni motivi di questo possono consistere nella ragione che la donna si ritrova distaccata da quello che era stato fino allora il proprio feto. Il feto è una parte interna di se che poi diventa qualcosa di esterno, di visibile, di altro da se, e che fa percepire il proprio corpo diverso.  Ci si vede ngrassate, abbruttite, meno attraenti verso il partner, ma anche stanche e provate fisicamente e psichicamente.

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Depressione post-partum : situazione da non sottovalutare!

Anna Freud scrive: “ Un cambiamento in una parte qualunque della vita psichica, sconvolge l’equilibrio raggiunto in precedenza.”

Il distacco del feto dal corpo della donna, da un punto di vista psicoanalitico porta ad individuare un sentimento più simile al lutto che alla nascita. A livello inconscio, infatti, ciò che scompare è l’imago del figlio che si portava in grembo e questo “cambiamento” richiama il cambiamento cui accennava A. Freud. Silvia Vegetti Finzi parlando del sentimento di lutto provato dalla partoriente lo attribuisce a “il bambino della notte”, vale a dire il bambino fantastico, il figlio che ogni bambina porta dentro di sé fin dalla prima infanzia.

Questa immagine corporea, al momento del parto, viene in collisione con il suo doppio, il “bambino reale”, il “figlio vero”. Si crea così il conflitto inevitabile tra imago idealizzata e realtà fattuale, fa trasformare parte di quell’affetto in lutto. La gravidanza non significa maternità e ciò che era prima all’interno del corpo, indistintamente, è dopo, un corpo reale, e non più immaginato.

La simbiosi madre-bambino.

La maternità è un ruolo psicosociale che impone delle regole alla puerpera, soprattutto quello di essere una “Buona madre”, cosa che porterà ad instaurare una “simbiosi” tra la madre e il suo bambino, in totale assorbimento della propria vita in direzione delle necessità del bambino. Questo stato di cose viene definito da D.Winnicott (psicoanalista e pediatra inglese che osservò a lungo il rapporto tra madre e bambino) una “malattia normale”. Una malattia  che pure è connotata da uno stato psichiatrico di completo ritiro e di dissociazione.

La madre si identifica così con il bambino, e nello stesso tempo deve saper regredire allo stato precedente per difendersi da questo stato di completa dipendenza.

Per Helene Deutsch: “ I due massimi compiti della donna, in quanto madre, consistono nel raggiungere armonicamente la sua unità col figlio in primis. E in secundis   nello sciogliere altrettanto armonicamente quest’unità più tardi”. La maternità, quindi, psicologicamente è riconoscibile da stati che si succedono inevitabilmente nel rapporto con il figlio: perdita, disillusione, identificazione simbiosi, regressione.

Il vissuto di lutto che si accompagna alla nascita, può, se non curato, devolvere verso crisi maniaco depressive, la psicosi grave, e nelle forme più estreme, l’omicidio-suicidio.

Riequilibrare l’apparato psichico dopo il parto, dunque, comporta la necessità di elaborare la depressione post-partum nei modi più appropriati possibili. Ciò è possibile  ricorrendo all’aiuto di uno psicologo, anche prima dell’evento, attraverso un lavoro preventivo di accompagnamento al parto.  Ciò per tutto il periodo della gravidanza, e successivamente con un sostegno psicoterapeutico e psicoeducativo alla neo mamma e alla famiglia intera.

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Male di vivere

“Io mi sentivo strano, come se non potessi mai più essere felice.” (tratto dal libro di J.K. Rowling. Harry Potter il prigioniero di Azkaban)

J.K.Rowling, la famosa autrice della saga sul maghetto Harry Potter, usa molto spesso allegorie molto significative per spiegare i diversi stati d’animo umani.

In questo caso la citazione si riferisce ai dissennatori, personaggi malvagi della saga, che rappresentano metaforicamente gli stati depressivi.

Il mal di vivere è decisamente il male del nostro secolo, eppure la nostra è una società caratterizzata dallo sviluppo di tecnologie, è avanzata, ricca di possibilità, insomma non è esattamente il medioevo! Viene da chiedersi come mai il male di vivere oggi sia così diffuso.

E’ vero che la nostra società è caratterizzata dal benessere economico, ma è vero anche che è una realtà consumistica. L’accumulo di oggetti nel tempo sembra aver sostituito lo sviluppo di risorse personali utili a far fronte alle difficoltà ed oggi abbiamo dimenticato l’importanza di allenarsi alla resilienza, oltre che in palestra. Pare che Socrate abbia detto una frase come: ‘Lascia che i tuoi figli abbiano sempre un pò di freddo e un po’ di fame se vuoi che siano felici’. Ma che cos’è di preciso questo male di vivere?

Tristezza e stati depressivi

Intanto facciamo una distinzione fra tristezza e stati depressivi, affinché non si arrivi a pensare che siamo tutti depressi. La tristezza è uno stato emotivo passeggero che tutti noi conosciamo ed è dovuto a determinate situazioni, spesso è un’emozione necessaria, una richiesta di aiuto e anche, a volte, un momento di crescita.

Lo stato depressivo ha i suoi criteri e sono racchiusi nel DSM che spiega come fare la diagnosi di depressione che per essere esatta deve rispettare i seguenti punti:

  • la perdita di interesse per cose o situazioni da cui in passato si ricavava piacere (anedonia)
  • l’insorgenza di pensieri pessimistici
  • Visione pessimistica del futuro
  • la perdita di appetito
  • stati di insonnia,
  • generale rallentamento motorio
  • l’incapacità a concentrarsi e focalizzare il pensiero sulle azioni che si stanno compiendo
  • calo o mancato interesse per il sesso
  • Ricorrenti pensieri di morte
  • Significativa perdita di peso o aumento di peso, perdita o aumento dell’appetito nella quasi totalità dei giorni.

I sintomi, per essere inquadrati in un quadro significativo dal punto di vista patologico devono presentarsi da almeno due settimane e essere presenti per tutto il giorno e senza che ci siano eventi scatenanti.

Quello appena descritto è il disturbo depressivo maggiore, se volete approfondire l’argomento.

Tra le forme depressive, esistono casi anche i casi in cui si alternano stati di depressione a momenti di euforia, la cosiddetta ‘depressione bipolare’ (se vuoi saperne di più clicca qui)

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Le ricerche hanno scoperto due cause principali:

  • il fattore biologico, ovvero la predisposizione genetica verso questa malattia;
  • il fattore psicologico, riguarda la nostra storia, gli eventi che hanno caratterizzato le nostre vite, le nostre esperienze (specie quelle infantili) a volte possono renderci più vulnerabili alla malattia.

I due fattori interagiscono ma in ogni caso non necessariamente sono sufficienti per lo sviluppo della malattia. A volte è necessario un evento scatenante, o una situazione molto stressante, qualcosa di inaccettabile, per arrivare a sviluppare il disturbo. Uscire dallo stato depressivo è certamente possibile, il primo passo e chiedere aiuto e affidarsi a professionisti del settore, psicologi e psicoterapeuti per la cura psicologica e a psichiatri per la cura farmacologica perché le risorse dentro di noi ci sono già, abbiamo bisogno però, di essere orientati e sostenuti certe volte.

“Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.” Kahlil Gibran)

Bibliografia

American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta Edizione. A cura di Biondi M. Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.

Un grazie a tutti che commenteranno e metteranno un “mi piace” ?).

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La psicologia dell’ansia (dal Seminario ad Avezzano, 25 maggio 2005)

Cosa è l’ansia ?

L’ansia è l’emozione sicuramente più diffusa e conosciuta dalle persone al giorno d’oggi. Un esame, un incontro di lavoro, l’attesa di una notizia, un cambiamento, un ritardo, ma anche solo una telefonata basta per far sperimentare questo stato d’animo particolare.

L’ansia è un emozione che si instaura dentro di noi lentamente e in maniera silenziosa fino a diventare forte e assolutamente insopportabile. Ci fa sentire spesso “rabbiosi”. Ma la sensazione più comune è quella dell’apprensione, della paura, fino al vero e proprio terrore.

Di conseguenza ci sentiamo bloccati e non riusciamo a fare le cose che ci piacerebbe fare.

Ci sentiamo vulnerabili e portati a sottovalutare le nostre capacitàa fare pensieri disastrosi, catastrofici sulle situazioni che viviamo. Ad avere attacchi di panico veri e propri o a deprimerci in modo significativo. Oppure a somatizzare ammalandoci , così, nell’organismo.

Eppure è proprio l’ansia che, in condizioni normali, ci consente di affrontare le sfide della quotidianità manifestandosi innanzitutto come tensione positiva e carica psicologica.

Quando e perchè l’ansia si trasforma nella nostra peggiore nemica?

Attualmente si contano a milioni le persone che soffrono di attacchi di panico o che lamentano anche solo alcune delle duecentosettanta fobie conosciute.

C’è una ragione se accade proprio a noi oppure è solo un caso?

Si può ritrovare l’equilibrio perduto e come si può fare?

L’etimologia della parola ansia ci dice che essa deriva dal latino anxius la cui radice significa “Soffocare, strangolare”e Freud usa il termine tedesco Angst (Angoscia). Questo termine  in italiano viene tradotto indifferentemente col termine di ansia o di angoscia. Esso sta ad  indicare nel linguaggio della psicoanalisi le reazioni d’allarme della persona di fronte ai pericoli provenienti dalle esperienze esterne o dai propri turbamenti psichici.

L’ “angoscia” freudiana

Freud precisa che è possibile distinguere il pericolo reale , che è una minaccia proveniente da un oggetto esterno, dal pericolo nevrotico, che scaturisce da un’esigenza pulsionale legata cioè ad un bisogno interiore.

L’ angoscia è dovuta alla disperazione che si prova di fronte al pericolo. Egli chiama traumatica una situazione di disperazione realmente vissuta. Chiama situazione di pericolo una situazione che ricorda l’evento traumatico. Questo perché  permette al soggetto di prevedere il pericolo e prepararsi.

a) Angoscia automatica

L’angoscia o l’ansia che si prova è, allora, di due tipi. Un primo tipo è detta ansia o angoscia automatica provocata dall’afflusso, dall’esterno o dall’inconscio, di eccitazioni traumatiche, che il soggetto non riesce a dominare.

b) Angoscia segnale

Inoltre c’è un angoscia o ansia segnale , che si produce quando la situazione che crea disperazione continua ad incombere. Essa assume una funzione di difesa dell’io. E’  come un meccanismo d’allarme che avverte l’io dell’avvicinarsi di una minaccia grave per il proprio equilibrio, identificata con il male , il brutto, l’ignoto.

La situazione che crea disperazione è una situazione traumatica ed è la rappresentazione della nascita (O. Rank) in quanto ripetizione di un avvenimento importante appartenente al passato del soggetto.

Il trauma della nascita e la paura di perdere il sostentamento

Alla nascita, a seguito della separazione fisica dalla madre, il neonato è posto in una situazione di stimolazione massima, internamente ed esternamente. Egli non possiede la struttura e la capacità adattiva di rispondere con azioni difensive.

Durante gran parte dell’infanzia (come vedremo anche in seguito) il bambino non è attrezzato per affrontare le stimolazioni a cui e’ sottoposto. Pertanto si trova in uno stato di estrema vulnerabilità. Le risposte che vengono provocate quando un individuo è sottoposto a stimoli che non può padroneggiare e integrare nella sua Personalità , perchè vanno al di là delle sue capacità, daranno forma alla Situazione traumatica.

Nello sviluppo più avanzato , dice Freud, il neonato deve affrontare una minaccia diversa , legata alla paura di perdere gli oggetti importanti da cui dipendono il suo sostentamento e lenimento delle tensioni interne: in poche parole sua madre.

Angoscia di separazione del bambino

Tale paura è giustificata dalla sua estrema dipendenza da lei e l’angoscia che ne deriva.  Freud in questo caso chiama angoscia di separazione, è basata su considerazioni reali, sulla realtà.

Nel bambino, dice Freud, non c’è la capacità di valutare il pericolo. Per cui la produzione d’angoscia non è legata al pericolo reale. Il bambino reagisce alla perdita della madre e cioè riproduce l’angoscia che accompagna l’atto della nascita, la separazione da lei. Questa separazione , secondo Freud, lascia la libido o carica affettiva, inutilizzata , ferma, inattiva in quanto manca l’oggetto su cui appoggiarsi.

Egli sottolinea che questa perdita dell’oggetto amato può essere sostituito da una situazione che abbia lo stesso significato. Per esempio,il bambino che nel buio non vede più sua madre crede di averla perduta e reagisce con angoscia ogni volta che si ritrova al buio.

L’angoscia negli adulti : I nevrotici di Freud

Una cosa simile succede agli adulti che soffrono di ansia (nevrotici di Freud) con una differenza rispetto ai bambini, per cui la carica affettiva legata alla situazione traumatica viene staccata da essa , o rimossa. In teoria la rimozione crea l’angoscia, e si trasforma direttamente in angoscia. Altre volte , però, accade che in sostituzione dell’angoscia si formano dei sintomi tipo fobie e ossessioni. Queste  impediscono la percezione del dolore dovuta all’emozione di angoscia.

L’angoscia diventa così una funzione reale dell’io. E’ cioè  come un segnale di dispiacere che permette di mobilitare tutte le energie disponibili dell’io contro la pulsione o carica affettiva che proviene dall’ego dall’inconscio. Essa si origina in ogni caso dalla perdita o dalla minaccia della perdita dell’oggetto.

A sostegno di questa teoria attualmente sono gli studi di psico-neuro-biologia che descrivono le funzioni psico-mentali dell’uomo in tre attività, che si influenzano reciprocamente, ma che hanno tempi e modi propri di manifestarsi.

Esse sono : l’emotività, l’affettività, l’attività intellettivo-cognitiva.

Emotività ed Ansia

In questo momento ci soffermiamo sull’emotività perché è ciò che spiega il funzionamento dell’ansia.

L’emotività nello sviluppo filogenetico è presente in tutti i livelli del regno animale. Essa rappresenta un modello reattivo, istintivo, difensivo ed adattivo, attraverso il quale l’individuo risponde agli stimoli del mondo esterno.

Sembra, quindi, che ci sia un sistema adattivo-difensivo molto primitivo e comune a tutte le specie.  Essa  fa capo ai circuiti (neuroni, sinapsi, assoni e dendriti) che compongono il sistema limbico o cervello limbico o cervello del serpente.

Emozioni

Le emozioni si organizzano a vari livelli per cui riconosciamo le seguenti.

  1. attenzione e allerta
  2. tensione
  3. ansia
  4. angoscia

Queste possono evolversi in processi più complessi tra i quali si riconoscono le seguenti.

  1. l’ansia libera
  2. la paura
  3. ansia
  4. il terrore

La funzione che riunisce e rende simili tutti gli individui del regno animale è la capacità di reagire agli stimoli che giungono dal mondo esterno. Ciò avviene in un modo rapido (basso tempo di latenza), istintivo (cioè non mediato da altre funzioni e quindi strutture), automatico (senza la necessità di una speciale elaborazione).

Questi meccanismi però, portano a reazioni molto semplici che, negli animali (vedi serpenti) si limitano all’attacco o alla fuga.

Risposte emotive adattive e difensive

Nel caso specifico umano, invece, le risposte emotive vengono dette adattive, oltre che difensive, in quanto si organizzano come un sistema efficace per la difesa dell’individuo attraverso risposte che, seppure a volte non siano perfettamente adeguate, sono immediate (quasi del tipo tutto o nulla) e quindi permettono una difesa quasi sempre efficace.

Nell’uomo, infatti, il sistema emotivo è particolarmente efficiente ed attivo. Esso  è già presente nel neonato, nel quale una quantità notevole di risposte automatiche assumono proprio un valore difensivo ed adattivo. A questo punto cerchiamo di definire i vari stati delle emozioni.

Stati emotivi
Stato di allerta

Stato di allerta: E’  una risposta di preparazione per la quale il soggetto sposta rapidamente l’attenzione sulla qualità dello stimolo, sulla sua origine e sulla intensità. In un secondo tempo, se si attivano funzioni superiori che giustificano e/o tolgono significato all’input, l’allerta sfuma e si esaurisce. Si torna così al lo stato psichico in quiete.

Stato di tensione

Stato di tensione: E’  una risposta più intensa dell’allerta perché con questa il soggetto si prepara ad analizzare le componenti dello stimolo in entrata. Queste vengono  distinte in qualità, pericolosità, intensità. La tensione porta il soggetto a predisporre varie risposte possibili spostando l’attenzione in modo continuo dallo stimolo al “soggetto attore”.

Stato di ansia

Stato di ansia: E’ una risposta intensa, più o meno giustificata, ma sempre legata ad uno stimolo e/o ad una situazione determinata. L’ansia può diventare anormale o decisamente patologica quando dura a lungo nel tempo. Non viene cioè controllata dai sistemi specifici. Soprattutto, diventa invasiva, andando ad occupare gli spazi dell’affettività e dell’attività cognitiva, simbolica, razionale.

Stato di ansia libera

Stato di ansia libera: E’  uno stato patologico nel quale l’ansia fluisce in continuazione, senza freni e, soprattutto, senza giustificazioni logiche. E’ cioè svincolata dall’esperienza sensibile e determinata da vissuti profondi e personali.

Stato di angoscia

Stati d’ angoscia: E’ un’ansia, ma di grado molto elevato per cui i sistemi di controllo non riescono a contrastarla. Si parla di angoscia conscia e di angoscia inconscia. Ma, per lo più, si tratta di questo secondo tipo, dato che viene attivata da stimoli anche insignificanti se considerati dal di fuori. L’angoscia è una esperienza molto disturbante. Ciò anche perché il soggetto non riesce a trovare il modo di contenerla. Quindi, vive un sentimento come di essere in balia di qualcosa di troppo poderoso e distruttivo.

Stato di paura

Stato di paura: E’  una reazione non automatica, non così diretta come l’ansia e l’angoscia. Quindi, più elaborata , più determinata e legata all’esperienza sensibile o a situazioni ben definite.

Stato di terrore

Stato di terrore: E’  una paura molto accentuata e viene riconosciuto come risposta a qualcosa che non può essere controllato. E che genera situazioni dalle quali non si può sfuggire. Quindi, entra in gioco un sentimento di impotenza e di aver perso ogni possibilità di autodifesa. Il  soggetto non trova vie di scampo possibili.  Quindi, vive violente sensazioni di essere in balia dell’altro o di qualcosa che genera uno stato di morte imminente e, dunque, di invincibile e catastrofico.

Il sistema limbico e le emozioni

Da un punto di vista neurobiologico le emozioni sono il risultato dell’entrata in funzione del sistema limbico. Esso  è formato da diverse strutture centro-encefaliche situate sia a destra che a sinistra nel tronco encefalico.

Queste si articolano direttamente con le vie sensoriali e sensitive che giungono anche al talamo per poi raggiungere le aree corticali specifiche. Tale organizzazione spiega il perché della bassa latenza delle risposte emotive.

Le più importanti strutture del sistema limbico sono:

  • amigdala: che partecipa all’organizzazione del sistema mnesico.
  • ipotalamo: che attiva le risposte vegetative che accompagnano le emozioni (vasocostrizione, ipertensione, rossore alle gote, tachicardia, sudorazione delle mani, senso di sudorazione fredda dietro la schiena).

Incontenibilità dell’Ansia

Ci sono situazioni patologiche complesse come l’ x-fragile nelle quali l’impossibilità di contenere le risposte emotive è veramente imponente ed il soggetto somatizza l’iperattività dell’ipotalamo con varie sintomatologie.

lacrimazione, rinorrea, scialorrea, tachicardia, iperventilazione, midriasi ed un quadro psico-espressivo di angoscia incontenibile.

Questa osservazione ci porta a pensare all’impossibilità di attivare mezzi contenitivi nei confronti dell’ansia con la conseguente presenza di ansia libera e di crisi violente di angoscia.

Il meccanismo d’azione di questa particolare risposta (esagerata) è ancora poco conosciuto.

E’ espansione e si manifesta in contesti variabili e dinamici. Uno speciale contesto ambientale, di estrema importanza per l’uomo, è quello delle relazioni intime.

Freud , come ho già detto, sostiene che le emozioni sono segnali, situati nell’io ed afferma anche che le emozioni funzionano automaticamente ed hanno un ruolo regolatore.

Vediamo come.

Regolazione delle emozioni secondo Freud

Sebbene le emozioni abbiano una funzione integrativa in tutto l’arco della vita, nella prima infanzia si hanno gli esempi più drammatici.

Renè Spitz descrive tre stadi nei primi due anni di vita del bambino, ciascuno associato a nuovi pattern di emozioni. Afferma che il lattante può percepire solo degli stati di tensione, al massimo di allarme di fronte ad uno squilibrio interno (fame, replezione vescicale o intestinale).

Attualmente si possono rilevare sei periodi di transizione durante i primi quattro anni di vita.

Queste transizioni costituiscono dei periodi evolutivi dove i cambiamenti sono pervasivi, durevoli ed implicano un grande ri-orientamento nelle relazioni tra persona e ambiente. Compaiono nuovi pattern di processi emozionali e nuovi segnali emozionali e questi permettono altri cambiamenti nel bambino e nel suo ruolo in famiglia.

Le transizioni evolutive del bambino

Vediamo rapidamente quali sono queste transizioni.

Da 0 a 2 mesi di vita

La prima (0-2 m di vita) segue la nascita e gli adattamenti regolatori post-nascita che avvengono nel neonato. L’espressione emozionale predominante è il pianto, che comunica il malessere ed è diretta ai genitori che devono intervenire . Soprattutto, le espressioni emozionali di pianto, allerta/vigilanza e quiescenza sono usate per definire stati di bisogno e motivazione per i genitori. Queste espressioni emozionali sono anche indici di processi di segnalazione interna. Questo perchè  il bambino acquisisce esperienza e confidenza nella capacità di essere consolato dagli altri. In altre parole, il neonato incomincia ad esperire e ad esprimere una personalità nel mezzo di intime relazioni con il genitore.

Da 2 a 3 mesi di vita

La comparsa del sorriso sociale, primo organizzatore di Spitz, cioè del sorriso di fronte alla maschera (se si mette davanti al bambino una figura che rappresenta il viso di una persona egli sorride senza distinguerlo dal volto della madre) definisce una transizione che va dai due ai tre mesi.

La nuova espressione emozionale, comunica lo stato di benessere del bambino ed è accompagnata da altri segnali emotivi, indici di cambiamenti interni che includono la sorpresa di fronte a nuove esperienze piacevoli e le espressioni di allerta, di sostenuto interesse.

Questi ultimi pattern emozionali, combinati con una maggior capacità per il contatto diretto, consentono nuove opportunità per l’impegno e l’apprendimento sociale e influenzano le aspettative sul ruolo familiare del bambino. I genitori rispondono aumentando le loro interazioni sociali col piccolo, portandolo sempre più spesso fuori casa e mostrandolo agli altri.

In questo periodo, si presenta un abbozzo della paura di fronte all’oggetto sconosciuto. M. klein colloca qui l’angoscia schizzo paranoide.

Tale angoscia sembra costituirsi tramite due meccanismi di difesa. La separazione dell’oggetto e dell’io o meglio la loro non riunione (seno buono e seno cattivo). Il fenomeno emotivo è l’angoscia di frantumazione e l’identificazione proiettiva. Per cui tutto ciò che c’ è di cattivo nell’io è contemporaneamente proiettato fuori e messo nell’oggetto.

L’identificazione con l’oggetto avviene solo dopo la separazione e la proiezione del cattivo oggetto parziale. In questo modo si può prendere le distanze nei confronti delle pulsioni distruttive e, così, tenere a bada l’angoscia.

Da 6 a 8 mesi di vita

Tra la fine del sesto mese e l’ ottavo mese compare il distress esterno e il profondo turbamento dovuto alla separazione dai genitori che comporterà nuove configurazioni emozionali.

I familiari rispondono ai cambiamenti interni del bambino con ulteriori modifiche nelle aspettative. Infatti, in questo periodo compaiono altri cambiamenti nella segnalazione emotiva. Essi sono conseguenti alle modifiche nell’organizzazione cognitiva e socio emozionale , dovute anche ai nuovi ruoli familiari.

I bambini, quando incontrano situazioni di incertezza, cominciano a cercare all’esterno espressioni emozionali, i cui referenti sono solitamente il padre e la madre. Quindi a seconda delle emozioni viste o sentite in altri, egli può avvicinare o evitare una persona estranea o un giocattolo nuovo (vedi il resoconto degli studi in Emde, 1992).

E’ il periodo in cui compare Perm. Klein, l’angoscia depressiva, il secondo organizzatore per Spitz. I due autori sostengono in questo momento l’apparizione del primo abbozzo totale dell’io, cioè della persona del bambino, dell’oggetto, cioè della persona dell’altro, la madre, dell’angoscia.

L’angoscia depressiva è la paura di perdere l’oggetto percepito come intero le cui parti sono riunite ed incorporate.

Il viso della madre a questo punto non viene più confuso con la maschera, la madre è percepita come esterna e se si assenta il bambino prova angoscia (paura dell’estraneo). Questa angoscia depressiva viene anche detta da Bowlby angoscia di separazione ed è l’angoscia della perdita dell’oggetto orale che è la prima angoscia di colpevolezza.

Da 10  a 13 mesi di vita

Il periodo compreso tra i dieci e i tredici mesi è caratterizzato dall’apprendimento della deambulazione e le sue conseguenze socio emozionali.

M. Mahler sostiene che in questo periodo il bambino aumenta le sue emozioni positive. Egli manifesta  quelle che comunicano un certo sentimento di esaltazione e di orgoglio (Mahler et al.,1975).

Un distress intermittente è sentito come conseguenza degli urti legati al camminare.

Più spesso, comunque, il bambino sperimenta stati di incertezza dovuti a un allargamento del mondo fisico e alle proibizioni genitoriali.

Il bambino necessita, perciò, di maggior “rifornimento emozionale” da parte dei genitori. Questi  aumentano le comunicazioni emotive, al fine di favorire l’esplorazione, trasmettendo rassicurazione e sicurezza.

In questa fase si sviluppa maggiore autonomia, ma nello stesso tempo i legami diventano più forti.

Da 18 a 22 mesi di vita

Il periodo tra il diciottesimo e il ventiduesimo mese , è quello della “transizione dal periodo neonatale all’infanzia”. Questo poiché si intravede l’inizio di una consapevolezza auto-riflessiva e la capacità di usare più parole per articolare un discorso (Fenson et al., 1994; Kagan, 1981; Lewis & Brooks-Gunn, 1979).

a) Il pattern emozionale: empatia

I nuovi pattern emozionali e le loro connessioni hanno a che fare con le prime istanze etiche, come l’empatia.

Il bambino non solo risponde al distress esterno con evidenti sentimenti di autodifesa, ma può impegnarsi in azioni prosociali quali la cura, la consolazione e l’aiuto rivolto agli altri (Radke-Yarrow et al.,1983; Zahn-Waxler et al., 1992).

b) Il pattern emozionale : distress

Un altro pattern emozionale è il distress dovuto alla violazione della norma ( Jerome Kagan 1981). Talvolta il bambino si altera notevolmente quandosi imbatte in una bambola rotta o in un giocattolo sporco o nella sostituzione della persona che solitamente si prende cura di lui, segni di una deviazione da ciò che si aspettava.

In questo periodo possono anche comparire le espressioni di vergogna.

Altra caratteristica importante è l’acquisizione del ” no semantico” (Spitz, 1957) ed un apparente negatività e malumore, con particolari conseguenze per le interazioni con i genitori ( Sandler 1962 e Mahler et al. 1975).

Il bambino manifesta maggior intenzionalità (per es. dove cammina), e maggior controllo delle emozioni (per es. pochi accessi di collera, più tolleranza per la frustrazione), aumenta la domanda di socializzazione.

E’ questo il periodo dell’angoscia anale. Questo è il primo tipo di angoscia legato contemporaneamente ad una pulsione , ad un divieto e ad un rischio di perdere l’oggetto. Le reazioni alle raccomandazioni e ai divieti dei genitori nel periodo dell’educazione sfinterica, la paura di perdere l’oggetto anale, il salame fecale, è parte del proprio corpo, che è io e non io, la cui separazione può essere pericolosa. Le oscillazioni fra reattività e passività, la paura di invadere l’altro con i propri escrementi portano alla scoperta dell’aggressività e al timore proiettivo di vendetta dell’altro.

Da. 36  a 48  mesi di vita

Dai tre ai quattro anni (periodo prescolastico) il bambino manifesta una certa competenza verbale. La capacità di fornire un’ organizzazione narrativa alle esperienze emotive costituisce un’ altra monumentale acquisizione evolutiva.

Il bambino   può rappresentare le esperienze passate e le aspettative future in modo coerente. E  può esprimerle col linguaggio e condividerle con altri. Quindi può parlare alla madre.  La comprensione delle situazioni familiari, dei conflitti, delle possibilità e dei ruoli è spesso legata alla competenza verbale e alla capacità di raccontare storie.

In questo periodo c’è ancora un’ angoscia di perdita al momento della scoperta delle differenze sessuali. Perdita del fallo a cui si attribuisce la massima potenza e a cui si reagisce con il diniego della differenza dei sessi. Ma è questo  il periodo che evolve poi nell’angoscia di castrazione che segna l’accesso al desiderio genitale e alla legge, alla relazione triangolare (complesso edipico).

Forme patologiche dell’Ansia

Dunque abbiamo visto come i processi emotivi accompagnano il cambiamento evolutivo e lo sviluppo cognitivo. Le emozioni di sorpresa, interesse, ansia per un impegno sociale. Il piacere di controllare le situazioni e la sua tendenza biologica a trovare nuove informazioni e categorizzarle secondo ciò che gli è familiare, caratterizzano l’attività del bambino che dà un significato al mondo circostante.

Esse continuano nell’intera vita dell’individuo e proprio quando questo processo di “assimilazione cognitiva” come lo definisce J. Piaget non avviene che il soggetto vive la situazione di ansia patologica.

Vediamo ora le forme patologiche che l’ansia può assumere. Esse normalmente si manifestano con gli stessi sintomi, ma si presentano di fronte a situazioni diverse o hanno cause scatenanti diverse.Ma sempre comportano gravi problemi in ambito lavorativo e sociale.

Sintomatologia degli attacchi di panico

Gli attacchi di panico sono considerati un disturbo a se stante anche se si ritrovano tutti i sintomi dell’ansia. Essi in genere, sono attacchi di ansia acuta e durano solo pochi minuti. Nondimeno  vengono vissuti dalla persona in modo, così intenso, da pensare di essere sul punto di morire. I sintomi più comuni sono i seguenti.

  1. il soffocamento.
  2. le vertigini.
  3. la sudorazione.
  4. il battito del cuore molto accelerato.
  5. il tremore.
  6. un’ intensa sensazione di morte imminente.

Gli attacchi di panico sono un disturbo molto frequente, soprattutto,tra la popolazione femminile Nel 75% dei casi si verifica agorafobia o comportamenti di evitamento verso luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile allontanarsi in caso di panico. Molto frequente è la comparsa di fobie, per esempio la fobia sociale. In tali casi  la persona è esposta al pubblico in certe situazioni che sente come pericolose.

La prima volta che si ha un attacco di panico generalmente ci si ritrova al pronto soccorso pensando di aver avuto un infarto o qualcosa di simile. Spesso l’attacco di panico non è riconosciuto come tale e ciò finisce di spaventare ancora di più il paziente che non capisce il perchè del suo malessere . Nasce quindi la paura che si possa ripresentare di nuovo creando, così, una forma di ansia anticipatrice.

Il soggetto che soffre da tempo del disturbo sa, in maniera precisa, quando l’attacco di panico sta arrivando e sa che non esiste una situazione sicura, un ambiente capace di proteggerlo e quindi finisce coll’imitare al massimo le uscite o farsi costantemente accompagnare da qualcuno, creando dei legami morbosi con le persone che gli stanno accanto .

Il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo post-traumatico da stress, l’ansia generalizzata

L’ossessione è un’ idea o un immagine che passa in continuazione nella mente. E’ un’idea che disturba molto, perché non si riesce a controllare. Si sente come estranea a se , cioè si presenta come una spinta a ripetere un determinato comportamento per quanto esso sia assurdo.

Alcuni comportamenti ossessivi

Degli esempi di ossessione  possono essere quelli riportati più avanti. Continuare a lavarsi le mani, chiudere e richiudere a chiave la stessa porta, controllare e spegnere più volte il gas, camminare senza calpestare le righe sulla strada e cose simili.

L’ossessione si manifesta attraverso un comportamento ripetitivo e costante chiamato compulsione.

Spesso esse diventano così elaborate da diventare veri e propri rituali.

Le persone in preda alle compulsioni pensano che se non faranno quel gesto potrebbe succedere loro qualcosa di male.

Il disturbo post – traumatico da stress è un disturbo che aggiunge all’ansia uno stato di depressione.

Ha un incidenza dell’ 1% della popolazione . Esso è la diretta conseguenza di un evento traumatico reale verificatosi nel passato. E’  come se fosse una reazione a scoppio ritardato , che si compie di fronte ad un evento attuale, potenzialmente non pericoloso.

Eventi che possono causare il disturbo post traumatico da stress

Eventi che possono far insorgere questo disturbo sono i seguenti.

  1. la guerra.
  2. l’abuso sessuale.
  3. subire violenza fisica.
  4. incidenti che compromettono la funzionalità fisica del soggetto.
  5. assistere alla morte dei genitori.
  6. essere soggetto a continui e prolungati eventi traumatici ( tipo il mobbing).
Insorgenza dell’ansia generalizzata

L’ ansia generalizzata può comparire già durante l’infanzia ed è caratterizzato da ansia e preoccupazione eccessive presenti durante tutto l’anno o comunque almeno sei mesi. Sii manifesta soprattutto nell’approssimarsi di determinati eventi o attività che si devono affrontare.

Oltre alla tensione si presentano sintomi fisici come tensione muscolare, insonnia, stanchezza.

Ha un’ incidenza del 5% della popolazione generale,colpisce soprattutto le donne.

L’ansia si manifesta ad livello elevato, in modo molto frequente ed incontrollabile concentrandosi su determinate attività o eventi. Tale situazione determina uno stress significativo nella vita quotidiana. La qualità della vita delle persone è decisamente compromessa, a causa della loro perenne apprensione riguardo al futuro, alla situazione finanziaria, alla possibilità che qualche loro parente o persona cara possa morire o farsi male.

Si ritrovano tutti i sintomi fisici più frequenti, ma senza che si arrivi ad uno stato di forte malessere fisico.

Ansia con somatizzazione

Alcuni sintomi dell’ansia si manifestano senza che nel paziente ci sia una vera e propria patologia.

Questi sintomi somatici sono gli stessi dei disturbi sopra citati, ma non c’è nel paziente alcuna patologia di tipo organico.

Per questo non è possibile stimare l’incidenza del disturbo, ma si possono descrivere bene i sintomi del disturbo a seconda dell’apparato interessato.

Apparato circolatorio

apparato circolatorio: tachicardia, extrasistolia, dolore precordiale, palpitazioni, lipomie, polso irregolare, ipertensione, disturbi vasomotori alle estremità apparato gastroenterico: difficoltà a deglutire, eruttazioni, bruciori e senso di pesantezza gastrica, nausea, vomito, borborigmi, flatulenza, diarrea, stipsi.

Apparato respiratorio

apparato respiratorio: senso di oppressione o di costrizione toracica, sensazione di soffocamento, iperventilazione, sospiri, dispnea.

Apparato urogenitale

apparato urogenitale: minzione frequente, dolore alla minzione, amenorrea,m enorragia, frigidità, disturbi dell’erezione o dell’eiaculazione, impotenza.

Il caso clinico di Marco

Marco è un giovane di 21 anni, che soffre di uno stato di acuto di ansia. Egli  risponde abbastanza bene ad un periodo breve di psicoterapia. Ha infatti iniziato il trattamento solo da quattro mesi ma il suo stato di ansia si è notevolmente ridotto.

E’ stato inizialmente accompagnato nel mio studio dai suoi genitori. Non era assolutamente in grado di parlare dei suoi sentimenti. I genitori raccontavano delle sue crisi rivolgendosi a lui ogni tanto così.  ”Di alla dr.ssa quello che ti senti, raccontalo tu !” . E lamentandosi di non sapere più come fare per aiutare il figlio.

I sintomi di Marco

Erano un paio di mesi che il giovane viveva in preda all’angosciaNon usciva più di casa, non dormiva più , non mangiava quasi più, aveva la paura d’impazzire. Si era attaccato in modo morboso al padre per qualsiasi attività dovesse fare. Per esempio  è stato suo il desiderio di rivolgersi ad uno specialista per farsi curare. Ma è il padre che ha chiamato, ha preso appuntamento e parlava per lui durante il primo colloquio.

Sentiva di non farcela più da quando, qualche mese prima, iscrittosi all’università doveva frequentare le lezioni. Contemporaneamente aveva intrapreso una relazione amorosa con una ragazza molto più giovane di lui.

Marco è un ragazzo socievole

Marco è stato adottato all’età di due anni circa. I suoi genitori sono stati ed attualmente sono ancora persone molto protettive, hanno sempre desiderato che il figlio si laureasse.

La madre è un insegnante e il padre, attualmente in pensione, è un ex funzionario presso un ministero. Marco in realtà ha avuto diversi problemi con la scuola. Si è diplomato molto tardi , soltanto dopo aver frequentato una scuola privata.

I genitori dicevano di aver speso molto denaro per questo, comunque non se ne lamentavano. Anzi erano disposti a spendere altro denaro. Ad es . per l’acquisto di una moto dal figlio tanto desiderata, pur di vederlo tornare alla normalità.

Marco desidera  uscire dal disagio

Iniziata la terapia mi rendo subito conto che il paziente è un giovane molto socievole, desideroso di uscire dal suo disagio.

Egli comincia a raccontare i suoi problemi. Espone  così come i fatti causa della sua angoscia avevano a che fare con l’assunzione di responsabilità più adulte. Essi riguardavano  la separazione affettiva dai suoi , vissuta come un abbandono. E a tutto ciò  reagiva con un attaccamento morboso, richiamando così alla memoria un antica situazione affettiva vissuta.

Marco viene a sapere della sua adozione

In realtà Marco aveva saputo per caso, pur avendolo sempre intuito, di essere un figlio adottivo mentre frequentava la terza media.

Allora si limitò a chiederne conferma alla madre e la sua reazione fu di assoluta normalità nel senso che sembrava accettare le spiegazioni e le ragioni di quella situazione date dalla madre.

Marco, però, dimostrò di volersi allontanare di casa immediatamente. Infatti, dovendo frequentare una scuola di grado superiore si trasferì a Roma, per andare a frequentare una scuola di aeronautica come piaceva al padre .

In questo momento il ragazzo vuole accontentare suo padre dimostrando di essere un bravo figlio. Ma lui , in verità, è molto arrabbiato con i suoi. Purtroppo non può dimostrarlo perchè si sentirebbe cattivo e negativo due volte. La prima perchè inconsciamente lo è dato che è stato abbandonato. La seconda perchè non sa essere grato ai genitori che l’hanno accolto, come dovrebbe essere.

Marco inizia a mostrare problemi

Il ragazzo cominciò ad avere problemi di studio che lui attribuiva, infatti, alla sua cattiva volontà e alla voglia di fare niente. Ancora oggi, almeno in parte, questo è il suo atteggiamento verso l’università.

Di fatto, cominciò a fare uso di droghe e a frequentare ambienti pericolosi.

Racconta nel corso della terapia che le prime occasioni in cui ha sentito un forte stato d’ansia fino a spaccargli il cuore, è stato quando una volta, per caso, in metropolitana si trovava con un amico.  Questi, d’improvviso senza che lui ne sapesse nulla, scippò una donna e fuggì via.

Lui rimase fermo lì senza rendersi conto subito della situazione, ma capì in quel momento che rischiava molto se qualcuno si fosse reso conto che lo scippatore era in sua compagnia.

In un’ altra occasione simile, gli fu chiesto di fare il palo all’ultimo momento e non fu capace di tirarsi indietro.

Poi semplicemente evitò l’amico, ma cominciò a vivere pericolosamente per un ragazzo della sua età.

Andò a convivere con una donna più grande di lui per circa tre anni. Assunse l’aspetto di un “metallaro”, che ancora conserva un pò a causa dei piercing e i tatuaggi eccessivi. Ma che attualmente si preoccupa di coprire perchè si vergogna di mostrarli.

Attraverso queste attività si mise in contrasto con i genitori ed i loro rapporti sono diventati aggressivi a volte addirittura violenti.

Il ragazzo   costringe a farsi accettare dai suoi. Questi  invece vorrebbero appunto che lui studiasse. Attraverso una  ribellione inconscia egli  mette in mostra la sua parte cattiva.

Marco viene preso da una improvvisa e forte ansia

Ad un certo punto, però, Marco comincia a sentire a volte improvvisamente una paura improvvisa che non sa spiegarsi. Lui si  vergogna di fronte ai suoi amici che non capiscono. Comincia ad evitare i luoghi affollati. Sente un malessere che non sa definire e che attribuisce all’uso di droghe.

Quindi smette persino di fumare. Ma la paura non passa, sente il bisogno di tornare a casa nella speranza che i suoi lo aiutino.

In effetti, loro, si danno molto da fare e giungono a dare una ragione a questo stare così male di Marco , al quale viene diagnosticata una intolleranza a quasi tutti gli alimenti.

La sua relazione con una giovane ragazza

Nel frattempo si diploma e conosce questa giovane ragazza. A questa  si attacca moltissimo dimostrando una gelosia esagerata. Contrariamente a quanto provava nei confronti della sua convivente. Pensate che persino durante la terapia si scambiano diversi squilli di telefono! Con lei ha un rapporto molto conflittuale. Non riesce a fare a meno di fare cose e raccontarle cose che scatenano la sua gelosia. Come se volesse continuamente provocarla e correre il rischio di essere lasciato.

Lui sa che lei potrebbe lasciarlo e non vuole ma non riesce a fare a meno di farla ingelosire. Si dispiace e si deprime quando lei, per es., piange a causa dei suoi comportamenti. Ma lo stesso non riesce a non raccontargli cose che potrebbe non raccontare. Lui ha necessità quasi ossessiva di farlo rispondendo così ad uno stimolo interiore di pericolo. L’abbandono.

Via via che nella terapia si affrontano tutti i problemi della sua vita di oggi, attraverso le difficoltà che vive.  Marco ha dei ricordi circa la sua sensazione di aver sempre saputo di non essere figlio naturale e circa le emozioni provate nel momento in cui lo ha confermato scoprendolo per caso, che hanno rimesso in atto una sensazione di abbandono già vissuta in modo traumatico molto precocemente vista la tenera età in cui è stato messo in istituto e poi adottato.

Marco proprio martedì scorso ha fatto il suo primo esame all’università con un buon risultato….ma ancora mi fa chiamare dal padre per chiedermi un appuntamento in più in caso di necessità.

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Depressione: sintomi cause e cura

La depressione o disturbo depressivo è uno dei disturbi psichici più diffusi nella popolazione mondiale. Facciamo chiarezza sulla depressione sintomi cause e cura.

Depressione sintomi

La depressione presenta alcuni sintomi molto specifici che ne permettono una facile diagnosi. I sintomi della Depressione Maggiore così come riportati nel DSM 5 sono:

1) Episodi depressivi maggiori (almeno due settimane), con

  • umore depresso o irritabile
  • ridotto interesse o piacere in attività prima interessanti
  • riduzione (aumento) dell’appetito e/o del peso corporeo
  • disturbo del sonno (riduzione, aumento, inversione, ecc.)
  • agitazione o rallentamento psicomotorio
  • visibile faticabilità, perdita di energia
  • sentimenti di indegnità o colpa
  • difficoltà di concentrazione, pensiero, decisione
  • pensieri di morte ricorrenti, ideazione suicidaria

2) Compromissione funzionale significativa.

Fermo restando i criteri di durata e di compromissione, all’occhio esperto del clinico non sfuggiranno i correlati comportamentali che derivano dai sintomi.

Variazioni improvvise del peso corporeo, interruzione di attività che prima il soggetto trovava stimolanti e visibile faticabilità dovuta anche al sonno disturbato sono importanti campanelli d’allarme.

Tuttavia la Depressione Maggiore va posta in diagnosi differenziale con altre patologie che hanno sintomi simili.

L’episodio depressivo di un Disturbo Bipolare e i sintomi negativi della Schizofrenia sono solo gli esempi più comuni di patologie che possono essere confuse con la Depressione Maggiore.

Esistono inoltre patologie organiche come l’ipotiroidismo o la dieta carente che hanno sintomi molto sovrapponibili a quelli della depressione.

Per questo è fondamentale rivolgersi per la diagnosi a un professionista della salute mentale ed evitare la tentazione di ricorrere agli antidepressivi senza una chiara diagnosi alle spalle.

Depressione: quali cause?

Sebbene negli ultimi anni siano stati associati alla depressione un malfunzionamento neurofisiologico e una ridotta plasticità neuronale le cause effettive del disturbo non sono ancora del tutto chiare.

Sembrerebbe che una ridotta funzionalità del neurotrasmettitore serotonina abbia un ruolo fondamentale, ma un ruolo ancora più importante gioca l’ambiente.

Se è vero che per questo disturbo esiste una predisposizione, testimoniata anche dalla presenza frequente di più casi nella stessa famiglia, deve essere presente nella vita dell’individuo un fattore scatenante, spesso un lutto o una perdita.

Depressione: terapia ed alternative

La terapia per questo disturbo prevede l’azione congiunta di psicoterapia e farmacoterapia.

I farmaci di prima scelta sono gli antidepressivi SSRI, che colmano la lacuna del sistema serotoninergico. Gli effetti collaterali sono ormai molto limitati, ma il paziente può andare incontro ad aumento ponderale e disfunzioni sessuali.

Vista la pericolosità della patologia, che può condurre il paziente al suicidio, la terapia farmacologica è sempre indicata nei casi gravi. Se accompagnata alla psicoterapia però si rivela più efficace nella maggior parte dei casi.

Esistono poi delle terapie alternative utili nei casi che non rispondono alla terapia tradizionale o in quelli ad alto rischio suicidario:

  • la terapia elettroconvulsivante – efficace nel breve termine ma poco diffusa in Italia;
  • la deprivazione parziale di sonno;
  • l’esposizione alla luce;
  • la neurochirurgia.

Ovviamente questi sono rimedi estremi che riguardano la minima parte della popolazione dei depressi e a cui si ricorre quando nient’altro sembra dare risultati.

Se la depressione si presenta in forma lieve, infine, e il rischio di suicidio è molto basso si può intervenire con la sola psicoterapia. Quella più indicata nel breve periodo è la terapia cognitivo-comportamentale basata sul modello di Beck.

Conclusioni

Se ti senti disperato, non hai più interesse nello svolgere attività che prima trovavi piacevoli e sei soggetto a oscillazioni importanti del peso corporeo e disturbi del sonno potresti essere depresso.

Non aspettare oltre e rivolgiti a un professionista. Puoi farlo contattando la dottoressa De Michele tramite l’apposito form.

Quella luce in fondo al tunnel che non riesci a vedere in realtà esiste.

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: La cura dello psicologo, dello psichiatra e degli operatori di salute mentale . Farmacologia e Psicoterapia a confronto.

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Violenza di genere. Le Conseguenze psicologiche

Recentemente ci siamo abituati a sentir parlare di violenza di genere, quasi sempre in riferimento a fatti di cronaca nera.

Esistono però altre strategie di prevaricazione più subdole e che vanno a compromettere la sfera psicologica della donna abusata.

Una di queste crudeli tecniche di manipolazione è il gaslighting  (per conoscere l’origine del termine vedi l’interessante articolo) .

Anatomia di una violenza: cos’è il gaslighting?

Il termine, inizialmente colloquiale, è stato utilizzato recentemente anche nella letteratura clinica sulla violenza contro le donne.

Mutuato dal titolo dell’opera teatrale “Gas Light”, il neologismo si riferisce a una serie di comportamenti subdoli attuati al fine di convincere le vittime di aver perso la ragione.

La trama di “Gas Light” racconta, infatti, di un marito che modifica alcuni elementi ambientali, negando con sua moglie di averlo fatto e attribuendo il tutto all’immaginazione di lei.

Il gaslighting rientra a pieno titolo nella categoria delle violenze domestiche, o violenze di genere, spesso associato ad altri tipi di abuso. È così feroce da spingere le donne che lo subiscono in un vortice di insicurezza e depressione e, in casi estremi, al suicidio.

Il partner abusante che usa il gaslighting per torturare la sua compagna opera un vero e proprio lavaggio del cervello, attuando una violenza gratuita e continua, perpetrata con una lucidità agghiacciante.

Non a caso secondo la psicologa americana Martha Stout questa tattica viene spesso adottata dai sociopatici. Questi soggetti patologici, forti della loro straordinaria abilità nel mentire, sono conosciuti per la loro propensione a manipolare.

Questa forma insidiosa e sottile di violenza domestica può riscontrarsi anche in legami precedentemente solidi e basati sull’affetto. Questo in seguito a difficoltà mai superate, si trasforma in cieca cattiveria da parte dell’uomo verso la partner femminile.

Lo scopo del gaslighter è convincere la vittima del fatto che il suo esame di realtà non è affidabile. Questo la porterà a dubitare di sé e quindi a diventare psicologicamente dipendente dall’abusatore.

Conseguenze psicologiche del gaslighting

Nel suo tragico cammino verso l’abisso la donna vittima di gaslight attraverserà le seguenti tre fasi.

  • 1. Comunicazione distorta. Il perseguitato non riesce più a comprendere il suo aguzzino, che alterna silenzi ostili a esternazioni di stizza apparentemente insensate. Questa fase serve a destabilizzare la vittima, che fatica a spiegarsi le intenzioni e i comportamenti anomali del partner.
  • 2. Tentativo di difesa. La vittima, ancora confusa, tenta strenuamente di far valere le proprie ragioni. Cerca di intavolare un dialogo con il partner abusante, convinta che la situazione dipenda da una propria incapacità comunicativa.
  • 3. Depressione. Fase particolarmente interessante dal punto di vista psicologico: la violenza diventa cronica e la vittima idealizza il manipolatore. La donna è infatti ormai convinta delle ragioni del gaslighter e rassegnata perde sicurezza diventando dipendente.

Per concludere

Il gaslighting è una forma di violenza domestica particolarmente subdola e deleteria.

È quindi fondamentale l’intervento di uno specialista della salute mentale, al fine di prevenire le sue drammatiche conseguenze psicologiche.

Se una tua amica o conoscente subisce questa situazione o altri tipi di violenza domestica consigliale di rivolgersi a un centro antiviolenza territoriale.

Se la tua situazione è simile a quella descritta nell’articolo non aspettare, io posso aiutarti! Contattami immediatamente attraverso la pagina contatti.

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