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Morte e Vita

Lo sviluppo e l’affermarsi della tecnica e della tecnologia hanno garantito nell’essere umano un senso illusorio di onnipotenza. Il modo in cui l’uomo moderno concepisce la morte (e la vita) è frutto di questa tendenza che ha portato ad allontanarla e a contemplarla solo nel momento in cui essa sopraggiunge.

L’individuo è spinto dalla società stessa a inseguire il mito dell’eterna giovinezza e dell’immortalità. Alla fine della corsa, l’immortalità diviene un’idea proiettata e trasferita nel concetto di religione, sul senso dell’infinità dell’anima e della vita eterna (morte e vita).

In alcune culture, infatti, si crede nella reincarnazione, nel rinascere sotto altre forme o personalità, oppure nella vita ultraterrena con la resurrezione dell’anima.

In altre ancora, la morte viene considerata come una festa, un rituale di iniziazione a nuova vita. La religione ridona all’uomo quel perduto senso di onnipotenza, garantendo continuità alla sua storia personale, biologica ed esistenziale.

Freud scrive: “ognuno di noi è inconsciamente convinto della propria immortalità”, sostenendo che le religioni sono illusioni, credenze ideate dalla specie umana per sopportare la propria impotenza di vita, un’impotenza che nell’iper-modernità viene elaborata e superata separando la morte dalla vita stessa.

La morte nella tradizione

Tradizionalmente la morte e lo stesso morente sono integrati come parte attiva nella vita di tutti i giorni; la persona morta è vista nella sua continuità di vita e la morte è considerata un “approssimarsi” attraverso rituali e credenze.

“Tra tutti gli esseri viventi l’uomo rappresenta la sola specie animale in cui la morte è onnipresente durante tutta la sua vita; la sola specie animale che accompagna la morte con un rituale funebre complesso e ricco di simboli; la sola specie animale che ha potuto credere, e spesso ancora crede, alla sopravvivenza, alla rinascita dei defunti: in breve, la sola specie per la quale la morte biologica, fatto di natura, si trova continuamente superata dalla morte come fatto di cultura” (Thomas, ed. it. 1976, p.10 n.11).

Considerare la morte, come atto dell’esistenza, è una condizione naturale che interessa l’intero arco dell’esistere, ed è insita nella cultura. In altre parole, tra morte, morire e vita esiste un legame inscindibile, interpretato a seconda del contesto culturale di appartenenza, e le parole dell’antropologo L.V. Thomas fanno percepire quanto la morte sia, da sempre, oggetto di riflessione dell’uomo e sia radicata nella profondità della sua condizione.

La Morte in Psicoanalisi

In psicoanalisi esistono due principali quadri teorici riguardo la pulsione di morte. Il primo, inaugurato da Freud, la considera una pulsione arcaica, innata e primordiale, che modera e contiene quella di vita, dando origine all’esistenza stessa. Il secondo ritiene che l’aggressività nasca dalle prime esperienze traumatiche, deprivanti e carenziali, che l’individuo incontra nel corso del suo sviluppo.

Anche in questo caso, la tendenza all’autodistruzione non è slegata dalla tendenza a vivere, in quanto rappresenta una sorta di meccanismo difensivo che l’individuo mette in atto per proteggere il proprio “se vitale” da un ambiente violento.

Se è vero che la psicologia riconosce l’importanza della dialettica vita-morte è anche vero che lo smodato potere che il progresso scientifico ha dato all’uomo lo ha portato ad eludere il concetto di morte da quello di vita. Questa scissione ha generato un’incapacità di riflettere sull’atto stesso del morire, che secondo Blandino (1993) potrebbe esser vista come una conseguenza di un atteggiamento disattento e superficiale rispetto alla vita e al mondo, tipico dell’uomo del terzo millennio.

Meccanismi difensivi psicologici

Sono molte le difese psicologiche messe in atto per soffocare l’urlo sordo dell’angoscia, e con esso il pensiero della possibilità della morte (Becker, 1982; Bauman, 1992).

Il meccanismo difensivo che più facilmente viene utilizzato è la negazione, rappresentante anche una delle 5 fasi del lutto, riportate nel “Modello del dolore” (Kubler-Ross,1969).

Per la psichiatra Kubler-Ross il diniego è lo stadio che può inizialmente aiutare il morente, e con esso le persone vicine, a sopravvivere alla perdita. Ciò rafforzerebbe l’ideologia edonista tipica della cultura occidentale.

Nel corso dei secoli, il progresso della medicina ha ingigantito il peso del morire, osservato più come un fallimento della cura, dunque una sconfitta, che come un necessario ed imprescindibile processo del divenire umano. Sotto questo influsso, l’ambiente sanitario, tende a medicalizzare la morte ed a nasconderla allo stesso morente.

La “buona morte” di oggi è quella che non disturba, che non mette in imbarazzo il personale: se un paziente rende manifeste le sue paure e le sue ansie all’approssimarsi della sua fine crea difficoltà indesiderate (Perilli, 2012).

Va da sé che risulta difficile poter considerare la morte come “un sacro trapasso, un passaggio verso un’altra forma di esistenza, essa è solo un buco nero che si apre davanti ai nostri piedi quando meno ce lo aspettiamo: l’unica scappatoia consiste nella sua negazione e nella sua rimozione” (Carotenuto, 1997).

Un nuovo senso di Morte

Bisognerebbe, in tal senso, ripartire dal concetto di morte per poterlo reintegrare nella coscienza individuale e collettiva, in una prospettiva che dà importanza alla cura e all’accudimento. Spesso questo sostegno spetta ai familiari, il cui bisogno di dare affetto ai propri cari è così forte da sconfinare nell’eccesso: “…mio marito pensa che solo lui possa accudirmi nel miglior modo possibile, credo che non capisca fino in fondo la mia sofferenza”; “…mio figlio non capisce da dove deriva la mia volontà di mangiare un panino, io vorrei solo riassaporare la vita prima di andarmene”.

Il ruolo dello psicologo

Il ruolo dello psicologo, in quest’ottica, dovrebbe creare uno spazio che sappia accogliere e contenere i bisogni del morente per favorire il compiersi di una trasformazione, personale e collettiva al tempo stesso, del divenire umano. Dunque, comprendere l’importanza dell’accoglimento della sofferenza è cruciale, il paziente deve essere consapevole di quello che accade dentro ed intorno a sé. Nel libro “On Death and Dying”, la Kubler-Ross (1969) invita ad aprire un dialogo con i malati terminali, descrivendo l’enorme sollievo recato alle persone morenti quando li si invita a far partecipi gli altri delle proprie paure e dei propri bisogni e sostenendo quanto il colloquio faciliti il viaggio verso la morte.

Tra i diversi approcci e strumenti a disposizione dei professionisti sul campo, il contatto potrebbe essere uno dei mezzi più efficaci per un ritorno all’apprezzamento delle cose primarie e necessarie della vita; mangiare un panino, annusare una pianta fiorita e toccare con mano la terra fresca diventano esperienze uniche ed irripetibili, con un carico di significato davvero importante. In questo senso, l’accettazione comporterebbe il ritorno ad essere un tutt’uno con il mondo, con la natura e con l’origine delle cose.

Scrive Muir: “lasciate che i bambini vadano nella natura, lasciate che vedano le meravigliose combinazioni e comunioni di morte e vita, la loro gioiosa, inseparabile unità come insegnata da boschi e prati, pianure, montagne e torrenti della nostra stella benedetta; impareranno che la morte è davvero sprovvista di aculeo, che essa è bella come la vita, è che nel sepolcro non vi è vittoria, poiché non vi è lotta. Tutto è in armonia divina”.

Il senso di morte nei malati terminali

Spesso è proprio questo il bisogno in pazienti terminali, quello di legare la vita alla morte; una comunione che si ritrova nelle loro ultime parole, espressioni del duplice aspetto della natura, nella sua manifestazione regressiva e infantile di Madre buona, che dona la vita, e di Madre cattiva, che la toglie: “…l’acqua in abbondanza che regala frutti, l’acqua che manca e tutto secca”; “…un pianeta esausto da abbandonare e un pianeta nuovo per rinascere”; “…un pugno di terra fresco per poter sentire l’odore della vita mentre sopraggiunge la morte”, sono elementi che spesso ritornano nei colloqui con il paziente al termine della vita.

All’interno del sistema delle cure palliative si concretizza il passaggio da una cultura sanitaria focalizzata sull’ “healing”, appunto cura, a una cultura focalizzata sul “caring”, cura della persona. In italiano spesso si utilizza indifferentemente il termine curare per esprimere concetti eterogenei; in inglese, invece, si distingue nettamente tra lo scopo del guarire una malattia e quello del prendersi cura di un individuo (De Beni, Borella, 2015).

Ecco che la cura diventa un vero e proprio valore, una tendenza all’ “inter-essere” (Thich Nhat Hanh), una necessità dell’essere umano di riconnettersi con la Terra, come i pazienti ci manifestano nell’intenso rapporto con loro: “…essere toccati per sentire ancora il proprio corpo”, “riconoscere l’odore della propria pelle”, “…tendere la mano per mantenere un legame”, “…sostituire una carezza ad un pensiero”.

La filosofa americana Joan Tronto, ha definito la cura come: “una pratica, volta a mantenere, continuare o riparare il mondo”.

La cura è un aspetto universale della vita: tutti gli esseri umani hanno bisogni che possono essere soddisfatti solo mediante l’aiuto degli altri. Chi presta una cura dovrebbe essere consapevole del valore di questa pratica: “…La cura non è semplicemente una preoccupazione mentale o un tratto del carattere, ma la preoccupazione di esseri viventi e attivi impegnati nei processi di vita quotidiana. La cura è sia una pratica che una disposizione” (J. Tronto, 2006).

Bibliografia

1. Bovero A., Torta R., Aspetti profondi della morte: riflessioni sull’esperienza del morire e sugli approcci d’intervento. Anno 4 – n. 1 – Aprile 2010,[32-47] 12-04-2010 9:55.

2. De Beni R., Borelli E., Psicologia dell’invecchiamento e della longevità, II edizione, Il Mulino, 2015.

3. Kranner, I., Minibayeva, F. V., Beckett, R. P., & Seal, C. E. What is stress? Concepts, definitions and applications in seed science, 2010. New Phytologist, 188(3), 655-673.

4. Perilli E., Ombre Iper-moderne, Magi Formazione, 2012.

5. Muir J., Andare in montagna è tornare a casa, 2020.

6. Ripamonti C.A., Manuale di psicologia della salute: prospettive cliniche, dinamiche e relazionali. Il Mulino, 2015.

7. Segerstrom, S. C., & Miller, G. E. Psychological stress and the human immune system: a meta-analytic study of 30 years of inquiry, 2004. Psychological bulletin, 130(4), 601.

8. Thomas L.V., Anthropologie de la mort. Garzanti, 1976.

9. Van der Kolk, B. A., Il disturbo traumatico dello sviluppo: verso una diagnosi razionale per bambini cronicamente traumatizzati. In: Caretti, V., Craparo, G. Trauma e psicopatologia. Un approccio evolutivo-relazionale., 2008.

10. Viorst J., Distacchi, Pickwick, 2014.

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Sesso e Sessualità in psicoanalisi

L’importanza della Sessualità ai giorni nostri

Il Sesso e Sessualità sono cose diverse. Il tema interessa e coinvolge un po’ tutti, ma nello stesso tempo spaventa e intimidisce, anche se apparentemente sembra che le persone in genere lo vivano spontaneamente.

Negli ultimi anni, sembra che la gente dia molto peso al comportamento puramente sessuale, attraverso atteggiamenti che portano, ad esempio, donne e uomini a formare coppie, che non considerano più le barriere della differenza dell’età, abbassano notevolmente la soglia dell’inizio dell’attività sessuale adulta o mettono in atto comportamenti sessuali più spregiudicati ed esibizionisti. In tutto ciò, è come se fosse scomparsa la parte affettiva della sessualità, che mette in condizioni le persone di viverla attraverso i valori che normalmente mediano tutti i comportamenti condivisi con la società.

L’ambiguità, che accompagna la sessualità e che la fa percepire con un senso di imbarazzo, se da un lato porta a viverla in intimità, in spazi privati e protetti, dall’altro spinge ad una sempre più profonda conoscenza e spregiudicatezza.

La sessualità nella psicoanalisi

Tali sentimenti verso la sessualità sono presenti da sempre nell’individuo.

Si deve alla Psicoanalisi la chiarificazione e la diffusione culturale dei segreti del comportamento affettivo e sessuale svelandone il tabù.

Sigmund Freud fondatore della psicoanalisi ha descritto, attraverso le sue opere, le vicissitudini dello sviluppo sessuale fin dalla nascita del bambino, che arrivando allo stato adulto può raggiungere la massima consapevolezza dei propri impulsi sessuali e del comportamento più salutare da attuare.

Il periodo di sviluppo in cui si incomincia a vivere la sessualità da adulti è senz’altro l’adolescenza, in cui le trasformazioni psicofisiche dell’organismo umano raggiungono la maturità che porta alla capacità di procreare, quindi, alla necessità di cambiare il proprio status nel ruolo socio-sessuale che si dovrà assumere da quel momento in poi.

L’adolescente sentirà l’esigenza di raccogliere più informazioni possibili per imparare a conoscere questo suo nuovo comportamento e, prima di ogni altra cosa, si confronterà con i suoi pari, dando luogo ai gruppi di amici che sono tanto importanti in questa fase della vita.

Inizia, dunque, una fase di riorganizzazione del Sè, che porta il ragazzo alla conferma della propria identità di adulto, suscitando in lui complessi stati affettivi, tipici di questa fase del ciclo vitale. La ricerca di Sè continua attraverso le più svariate esperienze che, spesso, mettono a dura prova la struttura psicologica del ragazzo, soprattutto, a causa della mala-informazione sul tema, imperversante nei canali comunicativi di massa come può essere il web o certa carta stampata (pornografia).

Educazione alla sessualità nel Consultorio di Civitella Roveto

Nel Consultorio di Civitella Roveto, in provincia dell’Aquila, da diversi anni è in atto un progetto longitudinale di “Educazione Sessuale”, realizzato nelle scuole medie del territorio “Valle Roveto”, che comprende sette Comuni: Capistrello, Canistro, Civitella Roveto, Civita D’Antino, Morino, San Vincenzo Valle Roveto e Balsorano, nei quali risiedono circa 18.700 abitanti.

La Psicologa Psicoterapeuta Dott.ssa Floriana De Michele, dal 2008 al 2014, ha condotto i gruppi classe, utilizzando la strategia educativa chiamata “peer education”, particolarmente utile a favorire la comunicazione tra i compagni, che possono discutere liberamente e sviluppare momenti di confronto intensi, riattivando lo scambio di informazioni e di esperienze interni al gruppo della classe scolastica. Durante gli incontri della durata di due ore circa, i ragazzi all’inizio della lezione hanno potuto esporre i loro pensieri riguardo a sei tematiche emotive, in particolare: la solitudine, la felicità, la paura, la sessualità, la saggezza e l’amore.

Le risposte dei ragazzi nel descrivere sei tematiche emotive

Le risposte più frequenti sono state:

  • SOLITUDINE: tristezza di restare soli, non avere amici, non essere accettato da nessuno, sentirsi escluso, avere la mancanza di qualcuno con cui parlare.
  • FELICITA’: stare bene con se stessi e con gli altri sia fisicamente che psicologicamente, sensazione di gioia e allegria, soddisfazione di aver raggiunto un obiettivo importante, ricevere belle notizie.
  • PAURA: avere paura di qualcosa, qualcuno, essere spaventati da qualcosa, vivere una condizione di turbamento, essere insicuri nel prendere delle decisioni, brutta emozione, perdere una persona cara.
  • SESSUALITA’: rapporto sessuale tra due persone che si vogliono bene, bisogno fisiologico dell’uomo, attrazione fisica, mantenimento della specie.
  • SAGGEZZA: essere maturi, dare giusti consigli alle persone che abbiamo vicino, saper prendere delle decisioni, sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato, è presente soprattutto nelle persone più adulte.
  • AMORE: sentimento profondo tra due persone, provare qualcosa di più forte dell’amicizia, innamorarsi di qualcuno, condividere con una persona tutti i momenti della vita, sentimento importante che non può mancare, qualcosa di bello che ci rende felici.

Condurre i bambini e i ragazzi alla scoperta delle loro facoltà affettive e sessuali, affinchè possano vivere in età adulta la sessualità in modo consapevole, come dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è compito prima di tutto, della Scuola, degli Psicologi – Psicoterapeuti – Sessuologi e di tutti gli operatori che lavorano con i giovani.

Aiutare i genitori

Aiutare i genitori nel ruolo educativo, dovrebbe essere un’attività fondamentale delle istituzioni pubbliche sanitarie e sociali, come i Consultori Familiari. Spesso i genitori “non si sentono all’altezza del compito”, imbarazzandosi ad affrontare un argomento così scottante con i figli, che risente molto del loro modo di vivere la propria sessualità.

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neuroscienze e psicoanalisi

Neuroscienze e Psicoanalisi

Neuroscienze e Psicoanalisi

«Molta della nostra vita mentale è inconscia: Freud è stato uno dei primi a rendersene conto e sappiamo che non è solo una forma di pensiero, ma definisce la dinamica stessa della mente. Oggi siamo in grado di testare queste caratteristiche sperimentalmente, analizzando le zone del cervello che si attivano».

Eric Kandel, Neuroscienziato (professore di Biochimica alla Columbia University. Nel 2000 ha ricevuto il Premio Nobel per la Medicina).

A Freud dobbiamo riconoscere l’interesse, quasi l’ossessione, per la memoria e i meccanismi che la regolano.

Ed egli non si fermò qui, tentò di spiegare l’inconscio nel cervello, provando ad usare le nozioni che l’epoca forniva, circa il funzionamento cerebrale.

Aver tentato di spiegare il legame fra mente e cervello costituiva per l’epoca un’attività quantomeno pionieristica.

Naturalmente la neurofisiologia dell’epoca non offriva strumenti adatti per proseguire il progetto e così, Freud l’abbandonò.

Sono trascorsi centotrenta anni.

Freud cominciò a studiare “come” il cervello producesse materiale inconscio, fornendo le teorie di cui noi ancora oggi siamo debitori come ad esempio il concetto di pulsioni il concetto di rimozione.

Siamo fatti prima di tutto di ciò che ricordiamo.

Sviluppo della Psicoanalisi

La psicoanalisi negli ultimi decenni si è sviluppata enormemente.

Questo progresso è stato possibile applicando la psicoanalisi allo studio sui bambini e sui genitori circa il periodo perinatale e neonatale. Proprio questo lavoro ha fornito ciò che noi oggi conosciamo come teoria dell’attaccamento.

L’isolamento che la psicoanalisi ha conosciuto per molti anni, oggi sta sfumando grazie alle neuroscienze, nemiche giurate e quasi nemesi della teoria psicoanalitica. Esse  stanno confermando le intuizioni psicoanalitiche più recenti. Stanno inoltre contribuendo così alla formulazione di nuove teorie circa la genesi e sviluppo della mente dell’essere umano.

A partire dagli anni ’50 del 900, le neuroscienze si sono interessate del sonno rem e della capacità del soggetto di narrare e ricordare il sogno.  Il sogno come sappiamo è uno degli argomenti cardine delle teorie freudiane, considerava infatti il sogno come palcoscenico ideale dell’inconscio).

Memoria e psicoanalisi

Ma il punto di incontro che vede questi due mondi avvicinarsi verso una nuova prospettiva riguarda lo “studio della memoria”.

Oggi sappiamo che esistono diversi tipi di memoria che possiamo etichettare e distinguere in più o meno cosciente.

Per cui avremo, una memoria dichiarativa, perfettamente cosciente. Abbiamo  una memoria di riconoscimento (che riguarda ciò che non sappiamo di ricordare). Inoltre  una memoria semantica. Infine una memoria di lavoro, quella procedurale che ci fa eseguire tutte le attività in modo automatico (fare il caffè, camminare, vestirsi ecc. ).

I punti di contatto riguardano inoltre i modelli operativi interni. Questo concetto si è sviluppato grazie allo studio della teoria dell’attaccamento. I modello operativi interni sono modalità di comportamento strutturate che muovono le nostre azioni.

Esiste in ognuno di noi un personalissimo modo di agire e pensare che però non è consapevole, ma implicito.

Già, perché quello che noi chiamiamo comunemente carattere non ci è dato genericamente ma è il risultato di apprendimenti che sono del tutto inconsapevoli, inconsci.

Questa memoria, non la possiamo “ricordare” ma la manifestiamo in modo automatico nelle varie interazioni.

E’ doverosa la distinzione, inoltre, tra il concetto di “memoria” concetto fisiologico, e “ricordo” concetto invece psicologico.

La memoria rappresenta un’attività del cervello, il ricordo ne è un effetto, di coscienza appunto, in continuo cambiamento.

Indipendentemente da cosa ricordiamo tutto il nostro cervello è memoria, i ricordi sono una piccola parte di memoria.

E’ molto interessante la metafora utilizzata da Eagleman (David Eagleman, neuroscienziato del Baylor College of Medicine di Houston) per spiegare il funzionamento della nostra mente in rapporto con il cervello e con tutto ciò di cui non siamo consapevoli. “Consideriamo le attività che caratterizzano una nazione: fattorie, fabbriche, telecomunicazioni, business.

Come lavora il nostro cervello ?

La gente mangia in continuazione. I poliziotti arrestano i delinquenti. Gli amanti si incontrano. I medici operano. I professori insegnano e così via.

Quando apriamo un giornale noi leggiamo solo alcune notizie, ma restiamo completamente ignari di tutto il lavoro frenetico che si svolge nella nazione.

Ora se tu vuoi sapere cosa accade nella tua nazione leggi un quotidiano.

Naturalmente non vi cercherai né vi troverai nel dettaglio tutte le azioni che avvengono nel Paese ma solo le cose più importanti, i fatti salienti come, per esempio, se il Congresso ha introdotto una nuova tassa. La tua mente conscia è quel giornale.

E continua “Il tuo cervello gira a mille tutto il giorno ma, come per la nazione, solo piccole questioni appariranno sul giornale. Il cervello lavora in segreto come in un tremendo rituale magico”.

Oggi sappiamo che la mente ha un’origine inconscia, si sviluppa e funziona in modo inconscio.

Tutto l’encefalo svolge un lavoro di cui noi non siamo consapevoli.

Possiamo desumere il lavoro del nostro cervello solo in parte, dal comportamento ad esempio, ed è la base su cui si costruisce ogni successiva memoria, fino alla costruzione di un qualche ricordo.

Integrando le teorie psicoanalitiche e quelle delle neuroscienze possiamo certamente avere una visione piu’ completa dello sviluppo della mente umana, in cui finalmente si restituisce valore e dignità alle teoria Freudiane, per troppo tempo trascurate.

Se vuoi approfondire puoi leggere qui

Bibliografia

E. R. Kandel, A new intellectual framework for psychiatry. American Journal of Psychiatry, 1998 Apr David Eagleman, In incognito. La vita segreta della mente Mondadori 2012

Un grazie a tutti che commenteranno e metteranno un “mi piace” ?).

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psicoanalisi e comportamentalismo

Psicodinamica o comportamentale: due terapie a confronto

Teoria Psicodinamica o comportamentale ?

Le psicoterapie odierne sono individuali o di gruppo e hanno lo scopo di diminuire, fino a far scomparire, la tensione psichica e i sintomi psicopatologici.

Psicodinamica

La psicoterapia dinamica, deve la sua origine alla psicoanalisi, il cui padre è Sigmund Freud ed è una terapia che può avere una durata variabile.

Le sedute sono settimanali e hanno come scopo ultimo far sì che il paziente divenga più consapevole di sé, che diventi autonomo e libero.

L’analista, così viene chiamato lo psicoanalista o lo psicoterapeuta psicoanalitico, aiuta il paziente o cliente a realizzare ciò che da solo non è riuscito a fare ammalandosi per la sofferenza provata.

Comportamentale

La terapia cognitivo comportamentale ha l’obiettivo di guidare il paziente verso l’apprendimento di schemi nuovi, schemi mentali e pattern comportamentali, che tendono a modificare quelli esistenti, causa di sofferenza, attraverso piani di addestramento comportamentale.

Cosa fa la psicoterapia

Benché esistano tante altre tecniche di psicoterapia conseguenti alle diverse teorie psicologiche, la psicoterapia ovvero tutte le diverse terapie psicologiche hanno come obiettivo comune il favorire una visione sana di sé stessi e del mondo circostante andando a migliorare, con l’intervento dello psicoterapeuta l’elaborazione emotiva e cognitiva.

Naturalmente ognuna ha il focus e un indirizzo diverso, per cui avremo quelle che si pongono l’obiettivo di risolvere il sintomo o il problema attuale oppure un focus più ampio che tende a rimuovere la causa del problema individuata di solito nella storia personale del paziente a partire dall’infanzia e dalla sua storia familiare (come nel caso delle terapie psicodinamiche).

Attualmente la storia delle persone è riconosciuta come fondante della salute di tutti in ogni forma di malattia, anche quella organica, tanto è vero che si parla molto dell’importanza della “narrazione” come fattore terapeutico, metodo principe della psicoanalisi e della psicoterapia psicoanalitica, ma largamente rivalutato è utilizzato ormai da tutti.

Psicoanalisi e cognitivo-comportamentale

La domanda sorge spontanea : è meglio la terapia psicodinamica o  comportamentale ?

Ed inoltre quale differenza tra psicodinamica  e comportamentale  ?

La terapia cognitivo-comportamentale (Tcc) nata negli anni 60 del 900 ad opera di Aaron Beck (per approfondire ), rappresenta il frutto della fusione fra le teorie cognitive e l’orientamento comportamentale.

La Tcc, basa la terapia sulla convinzione che il disagio psicologico sia da attribuire alle distorsioni cognitive che compiamo su noi stessi e sugli eventi e che sia questa distorsione la base dei disturbi emotivi e comportamentali.

Negli anni, ha assunto un ruolo di primo ordine nel trattamento dei disturbi di ansia. Le tecniche che vengono adottate sono diverse, come ad esempio il problem solving, gli esperimenti comportamentali, la rifocalizzazione, le tecniche di rilassamento e molte altre.

Molti usano la terapia cognitiva comportamentale per la depressione.

Il successo avuto da questa forma di psicoterapia si è fondato prima di tutto sulla sua opposizione al metodo psicoanalitico i cui risultati si manifestavano a lungo termine e richiedeva un impegno importante di tempo e costo.

Ciò faceva ritenere anche lecito considera la psicoanalisi come scientificamente infondata, e quindi, di fatto inefficace in quanto difficilmente verificabili i suoi risultati.

Critica, questa, naturalmente molto semplicistica perchè la credenza che fosse impossibile misurare i risultati della psicoanalisi attraverso la misurazione delle evidenze (guarigioni ottenute) doveva considerare la resistenza data dalla cultura sociale in cui si guarda con pregiudizio farsi curare da uno psicologo psicoterapeuta e psicoanalista.

Tale critica se prima era suggerita dai soli cognitivisti, nel tempo si è diffusa a macchia d’olio divenendo di pubblica opinione soprattutto nel campo di una psichiatria arretrata e poco attenta ai bisogni umani del portatore del disagio psichico.

Efficacia della psicoterapia psicodinamica

A lungo termine, tuttavia, i risultati prodotti dalla psicoanalisi e dalla psicoterapia psicoanalitica sulla salute generale delle persone convalidano ampiamente l’efficacia del suo metodo curativo.

La psicoanalisi è, di fatto la matrice della psicoterapia, intesa come ascolto del paziente e comprensione del suo problema.

La terapia psicodinamica come si svolge ?

All’interno di un ambiente sicuro e sereno il paziente rilassato e totalmente a suo agio può permettersi il viaggio verso l’introspezione per arrivare poi, al cambiamento.

Negli anni, come tutte le discipline scientifiche , si è evoluta. Da essa è derivata la psicoterapia analitica e psicodinamica che riduce notevolmente il tempo e il costo di cura.

Il classico divano lascia il posto a colloqui che vengono fatti faccia a faccia.

La psicoanalisi ha oltre un secolo di storia, di ricerca e applicazioni. Ancora oggi viene usata con successo nel trattamento del malessere e della psicopatologia psichiatrica in generale.  Ma viene anche usato come percorso di crescita personale psicoeducativa.

I due approcci seguono strade opposte. La psicoanalisi è tanto complessa e si contrappone alla troppa semplicità della Tcc, come ad esempio nell’idea sull’essere umano.

Per la psicoanalisi le contraddizioni nell’essere umano fanno parte della sua natura. E’ importante mantenerle e sublimarle trasformandole e rendendole la forza dell’essere umano stesso.

Critica del comportamentale

Per la Terapia cognitivo comportamentale le contraddizioni sono l’espressione di quelle convinzioni distorte che vanno a creare tensione psichica e che possono, devono essere eliminate con uno sforzo razionale.

Certamente è lecito chiedersi, per scegliere tra psicodinamica e comportamentale,  come una terapia così riduttiva come la cognitiva comportamentale , che si basa sul qui e ora, e semplicistica rispetto al più complesso mondo psicoanalitico, goda di tanta stima e credibilità.

In primo luogo, la Tcc, promette la risoluzione del disagio psichico con tempistiche brevi. Troppo brevi rispetto alla lunga pratica psicoanalitica.  In un mondo in cui si vuole tutto e subito questo rappresenta un’eccellenza in quanto mima l’azione del farmaco.

In secondo luogo, i sostenitori della Tcc ci tengono a sottolineare l’efficacia dei loro metodi che hanno effetti immediati.  Ed agiscono sulla regressione della sintomatologia senza troppi complimenti e senza incappare in lunghissime regressioni sul vissuto del paziente.

L’affermazione di una pratica più’ ottusa nel campo della cura psichica risponde all’esigenza di tutti, di qualcosa che risolve senza troppi sforzi.

Si crea in questo modo un falso senso di stabilità, che ha un effetto calmante (PLACEBO).

I vantaggi della psicodinamica

Ma allora è meglio la terapia psicodinamica o comportamentale ?

E’ il tipico approccio che oggi riassumiamo in: basta pensare che funzioni. Recentemente, le ricerche di Shedler, (professore di Psichiatria presso l’Università del Colorado direttore del servizio di Psicologia dell’ospedale psichiatrico universitario), hanno riportato l’attenzione sulle terapie psicodinamiche.

Egli sostiene l’importanza di fare studi rigorosi in campo psicodinamico.

In uno studio del 2010 su 1.400 pazienti ha dimostrato la supremazia della terapia psicoanalitica rispetto alle altre.

La psicoanalisi, si è dimostrata persino valida in confronto ad alcuni trattamenti con i farmaci.

In una serie di studi sulla depressione Shedler e i suoi collaboratori, capiscono che quanto più i terapeuti utilizzavano un atteggiamento psicodinamico, più risultava efficace.

Le terapia psicodinamica si dimostra particolarmente efficace nel lungo periodo rispetto ad altre forme di terapia, sia nei disturbi depressivi che nei disturbi d’ansia.

Bibliografia

Schedler J. (2010). The Efficacy of Psychodynamic Psychotherapy. American Psychologist, 65, 98–109.

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epistemologia psicoanalitica

Problemi di Epistemologia psicoanalitica

Introduzione: di Floriana De Michele

raccolta di epistemologia

Nel 1896 Freud, richiamandosi ancora a Charcot e sottolineando la propria divergenza da Janet, delineò la sua nuova classificazione delle nevrosi, distinguendole in nevrosi attuali – che traggono origine dalla vita sessuale presente – e psiconevrosi – che si originano, invece, dalla vita sessuale passata. Fu proprio in questa occasione che Freud non parlò più di analisi psicologica e chiamò, per la prima volta, il proprio metodo “psicoanalisi”. Nell’intenzioni del suo creatore la psicoanalisi voleva essere nient’altro che una scienza; tuttavia, una serie di ambigue affermazioni sulla filosofia ne inquinarono immediatamente lo status epistemologico. La disputa sulla natura e l’estensione della psicoanalisi, creatasi tra i discepoli di Freud, ne dimostrava l’instabilità della struttura e, quindi, poneva la prima fondamentale esigenza: quella di si-stematizzare la disciplina. La psicoanalisi era, forse, una filosofia? Alla risoluzione di questo problema il maestro dedica la trentacinquesima lezione, ed essa rapprsenta il suo tentativo più maturo ed elaborato di dare alla psicoanalisi uno status indipendente dalla filosofia. Per Freud scienza, filosofia e religione sono delle visioni generali del mondo, delle ‘Weltanschauung”; ognuna di esse ha la pretesa dell’esclusività, nell’esposizione della verità e nella proprietà dei mezzi usati per l’acquisizione di questa. Ognuna di esse, quindi, è incompatibile con le altre “Weltanschauung”. La scienza, però, è la sola che possa contenere la verità, in quanto, facendo uso dello “spirito critico”, insieme con lo “spirito scientifico”, è capace di elaborare delle metodologie rigorose e delle procedure di osservazione e di controllo, tali da garantire il raggiungimento della realtà, così come è, e, quindi, della verità. La psicoanalisi “come scienza particolare, come ramo della psicologia – psicologia del profondo – è totalmente inadatta a crearsi una propria weltanschauung: deve accettare quella della scienza” . Scrive ancora Freud concludendo la lezione: “È incapace di crearsi una sua particolare Weltanschauung. Essa non ne ha bisogno, è parte della scienza e può aderire alla Weltanschauung scientifica”. Questo ribadisce che la distinzione tra psico-analisi e filosofia sta nel “metodo”: il metodo filosofico non si preoccupa direttamente del reale, se non per formare il concetto ed integrarlo nel sistema; il metodo scientifico, invece, agisce sul reale e, perciò, col non-integrabile perché discontinuo. E Freud procede, infatti, nella costruzione del sistema psicoanalitico, mettendone in evidenza, ogni qual volta è necessario, i punti oscuri coerentemente con la sua visione di scienza. Da allora non si è risolto il problema di considerare o meno la psicoanalisi come scienza. Esso, anzi, è riemerso costantemente nel dibattito scientifico; oggi, più che in passato, ci si domanda qual è il posto che la psicoanalisi occupa nel campo delle scienze. Sono emersi due tipi di impostazione epistemologica con i quali si affronta la scientificità della psicoanalisi: il positivismo logico e l’ermeneutica. È a questi che la psicoanalisi deve il proprio futuro? Quali altre prospettive sono aperte?

La struttura dell’asserto psicoanalitico: La psicoanalisi non è più solo quella Freudiana

La teoria psicoanalitica riguarda essenzialmente lo sviluppo e il funzionamento mentale dell’uomo ed è ancora indissolubilmente legata al nome di Sigmund Freud, che ne tracciò il corso dello sviluppo e fu l’unico responsabile delle principali revisioni. Nel 1922 Freud scrive in “L’Io e l’Es” che lo “scibbolet” della psicoanalisi, ovvero il suo presupposto fondamentale è: ” la distinzione dello psichico in ciò che è cosciente e ciò che è inconscio” e la coscienza può considerarsi come “una delle qualità dello psichico, che può aggiungersi ad altre qualità ma che può anche rimanere assente”. Oggetto della psicoanalisi è, dunque, l’inconscio. Precedentemente Freud aveva annunciato un altro principio fondamentale, conosciuto come “principio del determinismo psichico, o della causalità” , per il quale nella mente nulla avviene per caso o in modo slegato, ma ogni evento psichico è determinato dagli eventi che lo hanno preceduto. Nel 1901, infatti, Freud aveva scritto: “Certe insufficienze delle nostre prestazioni psichiche e certe azioni che appaiono non intenzionali, risultano, se si applica loro il metodo dell’indagine psicoanalitica, come ben motivate e determinate da motivi ignoti alla coscienza”. Questi due principi sono intimamente interconnessi e tutta l’opera dell’autore – sia la parte dedicata alla clinica, che ha per oggetto un caso presentato sotto forma di resoconto di analisi o di autoanalisi (“Casi Clinici” e “L’interpretazione dei sogni”), sia la parte dedicata alla teoria, che tende ad esibire, illustrare il sistema inconscio – ha l’obbiettivo di dimostrarne le veridicità. In realtà, la contrapposizione tra opere cliniche e opere teoriche è artificiosa, poiché l’opera clinica di Freud non è mai unicamente tale, ma dimostra anche i meccanismi della nevrosi, come fa la cura stessa e l’analisi del nevrotico, del suo transfert e dei suoi sintomi; l’opera teorica, invece, viene illustrata da esempi clinici che dimostrano come il pensiero inconscio giustifica il sintomo. Prassi e teoria si incontrano nel momento scientifico dell’osservazione ed insieme portano Freud alla rielaborazione delle ipotesi che costituiranno il sistema psicoanalitico. “La via maestra che conduce alla conoscenza dell’inconscio” è, secondo Freud, il sogno: Esso, come il sintomo nevrotico, non viene più considerato una produzione difettosa della vita subcosciente, ma un’attività importante della vita psichica. Freud, quindi, rompendo con gli schemi del pensiero scientifico seguito fino ad allora, assegna al sogno uno status scientifico e teorico; conseguentemente, attraverso il riconoscimento di un linguaggio latente dietro un linguaggio manifesto, innalza l’inconscio a sistema. Scrive Freud. “la psicoanalisi è la tecnica che permette “l’interpretazione”. Io sostengo che il sogno ha un significato e che esiste un metodo scientifico per interpretarlo. Studio da parecchi anni, per scopi terapeutici, un certo numero di processi psicopatologici, quali le psicosi isteriche e le ossessioni. Mi ci sono applicato particolarmente da quando una importante comunicazione di S. Breuer ha dimostrato che, per questi fenomeni psicologici considerati sintomi morbosi, la spiegazione coincide con la guarigione”. L’autore sostiene, così, che l’interpretazione del sogno sia analoga a quella del sintomo e che il sogno, in realtà, rappresenta una delle associazioni che ne permette la spiegazione. Freud, infatti, scrive ancora: “durante questi studi psicoanalitici sono stato indotto ad occuparmi dell’interpretazione dei sogni. I malati che obbligavo a comunicarmi tutto ciò che passava loro per la mente su un determinato argomento, mi raccontavano i loro sogni. In tal modo mi hanno insegnato che un sogno può essere inserito nella successione degli stati psichici, ritrovandolo nei nostri ricordi a partire dall’idea patologica”. L’interpretazione del sogno permetterà l’interpretazione del sintomo e la tecnica utilizzata è “l’associazione libera”. Tale tecnica si basa sullo sfruttamento dello “stato di attenzione fluttuante”, il cui risultato è la produzione di “pensieri non voluti” sono come quelli del sogno, o come il sintomo; il paziente tende ad escluderli, ma essi hanno una loro forza e, quindi, s’impongono da soli. Il sintomo, come il sogno, è la realizzazione di un desiderio inconscio: “L’inconscio non ha altro scopo che la realizzazione del desiderio, non ha altre forze che quelle degli impulsi del desiderio”. L’inconscio, dunque, si fonda anche su una energia psichica che introduce la quantità e l’opposizione di forze nello psichismo, la sua esistenza, cioè, è dimostrata anche dal suo funzionamento energetico e dinamico. Il rapporto coscienza-inconscio non consiste soltanto nell’opposizione tra contenuto manifesto e contenuto latente del sogno, tra sintomo e suo significato, ma anche nell’opposizione dinamica tra forze dell’inconscio e quelle della coscienza: “processo primario”, caratterizzato dal flusso libero dell’energia nell’inconscio, della tendenza alla soddisfazione immediata dell’impulso, e “processo secondario”, caratterizzato da energia legata al sistema coscienza-preconscio e che permette il controllo dell’impulso, ne costituiscono il risultato. Tra questi due sistemi opera la rimozione, il meccanismo che trattiene nell’inconscio le rappresentazioni represse, ne sono esempi l’oblio del sogno o/e l’amnesia del sintomo. “L’interpretazione dei sogni” segnerà l’abbandono del periodo cosiddetto prepsicoanalitico e del metodo catartico diventando l’opera centrale di Freud. Il suo settimo capitolo, infatti, è dedicato alla descrizione dello schema topologico dell’apparato psichico, che si ritroverà anche nel saggio su l’inconscio” del 1915. L’idea base di questa prima meta-psicologia è che una maggiore comprensione dei fenomeni psichici può derivare non solo dalla distinzione tra Conscio e Inconscio, ma anche dalla distinzione di questi dal Preconscio. Gli studi sulle perversioni sessuali e, soprattutto, sul narcisismo psicotico (“Introduzione al Narcisismo” 1914) conducono Freud alla ristrutturazione della teoria generale esposta in “Al di là del Principio del piacere” (1920). Questa è la fase della seconda meta-psicologia. Il conflitto intrapsichico è presente come nella prima fase, però non è più attivato dalla contrapposizione della pulsione (libido) agli “Interessi dell’Io” , ma dalla contrapposizione dell’Eros alla “pulsione di morte”. Nel 1923 con “L’Io e l’Es” inizia il periodo della “Psicologia dell’Io”. Nel 1925, in “Inibizione, sintomo e angoscia” , la rimozione non crea più angoscia, ma è l’angoscia di castrazione (angoscia, quindi, reale o comunque giudicata tale dal soggetto) a produrre la rimozione. La fase della seconda meta-psicologia si completerà con gli scritti successivi (“La nuova Serie di Lezioni” 1938 e il “Compendio di Psicoanalisi” , incompleto e postumo, 1938-1940). Con la seconda meta-psicologia i sistemi della prima topica vengono sostituiti con le istanze (Es, Io, Super-Io) della seconda:” L’apparato o il campo psichico è concepito quasi sul modello delle relazioni interpersonali. Questa teoria è quindi più vicina al modello fantasmatico secondo il quale ciascuno percepisce il proprio modo interiore… l’accento non è più posto sulle nozioni di rappresentanti o di tracce mnestiche, ma essenzialmente sulla nozione di conflitti tra istanze, oppure all’interno di una istanza (l’Io, all’occorrenza)” (BergeretJ.). . La teoria psicoanalitica, poi, è stata sviluppata o modificata in diverse direzioni dai discepoli di Freud, soprattutto dopo la morte del Maestro, quando si rese necessario affrontare il difficile compito di decidere circa il futuro sviluppo della disciplina. Attualmente, infatti, sarebbe sterile discutere del suo valore scientifico come sistema integrato: ” Questo sistema letteralmente non esiste, né freudiano né di altra denominazione. La difesa della psicoanalisi come teoria elaborata deduttivamente ed unificata, o il rifiuto totale di essa in quanto mitologica, sono atteggiamenti ugualmente privi di significato”(Grambich E W.) . Bisogna, quindi, tener conto che la teoria classica è strutturata in vari gruppi di ipotesi, varie sezioni o dimensioni teoretiche tutte collegate tra loro da una teoria di “Livello Superiore”: la metapsi cologia. Queste dimensioni teoretiche (teorie delle pulsioni, dei lapsus, dei sogni, dei vuoti di memoria, della psicopatologia, della struttura psichica e dello sviluppo) sono anche la base di un fervente sviluppo di scuole di pensiero psicoanalitico. Precedentemente alla prima guerra mondiale, C. Jung e A. Adler furono i primi a distaccarsi da Freud: Jung dette inizio alla tradizione psicodinamica conosciuta come “psicologia analitica” e Adler alla “psicologia individuale”. Tra le due guerre ebbero un forte sviluppo nuove dottrine e tradizioni psicoanalitiche. Una di esse assunse la posizione adleriana, rifiutando la teoria della libido di Freud e sottolineando, invece, l’importanza dei rapporti interpersonali e i compiti del bambino, dell’adulto rispetto a questi (Hornay e Sullivan ). Un’altra dottrina rimase fedele alla teoria della libido e accentuò l’importanza dell’Io, già, d’altra parte sottolineata dallo stesso Freud in un secondo tempo, per arrivare alla cosiddetta “psicologia dell’Io” (A. Freud e H. Hartmann). Hartmann si è dedicato, in particolar modo, al tentativo di far rientrare le funzioni dell’Io, (il pensiero, la percezione) all’interno di uno schema di tipo freudiano. Altri analisti hanno modificato in direzioni molto diverse la teoria di Freud: O.Rank riandò indietro nella storia, fino al trauma della nascita e ai conseguenti problemi di separazione. M. Klein indietreggiò fino alla primissima esperienza del lattante, quando questi divide mentalmente il seno in due: quello buono, che nutre, e quello cattivo, che frustra, creando un mondo di fantasie inconsce, relative agli oggetti nelle loro componenti e nelle loro interezze. W. Reich, invece, si era dedicato inizialmente a conciliare la teoria di Freud con quella marxista arrivando, per questa via, a rifiutare le opinioni, che riteneva fossero di Freud, riguardo alla rimozione della sessualità come condizione necessaria per lo sviluppo e la conservazione di una cultura civilizzata. Più tardi E. Fromm applico una sociologia di stampo marxista all’esplorazione delle interazioni tra le forze psicologiche dell’individuo e i diversi tipi di struttura sociale, interazioni che sfociano in diversi tipi di personalità. Dopo la seconda guerra mondiale si assiste ad un boom di psicoterapie di vario genere, psicodinamiche e non , e delle relative dottrine. In una ricerca pubblicata nel 1977 in “The American Journal of Psychiatry ” sono state individuate circa cinquanta diverse posizioni teoriche e terapie. Constatare, allora, che la psicoanalisi non è più quella freudiana e che questa non è più quella di Freud, significa riconfermare la grande difficoltà di attribuirle lo status scientifico che le è dovuto. Per chiarire la posizione della psicoanalisi come disciplina scientifica c’è bisogno, prima di tutto, di “una più chiara classificazione… e di un più elevato grado di sistematizzazione (che tengano conto di differenti livelli di elaborazione teorica), di quanto esistano oggi” (Hartmann H.).

La struttura dell’asserto scientifico: Il percorso reversibile tra spiegazione e revisione

Il tentativo di ricondurre tutte le discipline scientifiche al modello delle scienze naturali, in special modo alla fisica e alla matematica, e la particolare concezione della spiegazione scientifica collegano il positivismo alla storia delle idee di tradizione galileiana e ne determinano la fortuna. Infatti, i grandi risultati ottenuti nel campo della ricerca, proprio da quelle scienze che sono poste come modello, stimolano le diverse discipline scientifiche, nonostante la diversità dell’oggetto di ricerca, a misurarsi con esse. La psicoanalisi non ha potuto sottrarsi a questo processo di imitazione positiva delle scienze, soprattutto perché già il suo fondatore ( Freud per l’appunto) si era preoccupato di considerarla una “scienza della natura”. L’impostazione positivistica del pensiero vuole che la psicoanalisi venga intesa nell’unico modo in cui ritiene sia legittimo parlare di scienza, cioè come una scienza sperimentale, suscettibile di conferme o verifiche empiriche. È dubbio, però, fino a che punto questa impostazione di pensiero sia capace di render conto della realtà della psicoanalisi; sembra, infatti, che porti solo a valutazioni negative. Per esempio, Medawar ha affermato che la psicoanalisi, nel suo insieme, non si sostiene e che essa è “come un dinosauro o uno Zeppelin: sulle sue rovine non si potrà mai erigere una migliore teoria, che rimarrà per sempre uno degli eventi più tristi e più strani nella storia del pensiero del secolo ventesimo”; Popper, invece, è arrivato a definirla non controllabile, irrefutabile, non empiricamente falsificabile e, perciò, non scienza, semmai una pseudo scienza; e Nagel ritiene che “la teoria freudiana in generale e la meta-psicologia in particolare rilevino serie deficienze metodologiche” ; per finire, recentemente, Grumbaum afferma che “essa in questo momento non è in salute, almeno per quanto riguarda i suoi fondamenti clinici”. Affrontare il problema dello statuto epistemologico della psicoanalisi, assumendo esclusivamente il punto di vista delle scienze naturali, è, quindi, limitativo, se non altro, perché prevede solo due possibilità: una disciplina o è scienza o non lo è. Per il positivismo logico, dunque, “la scienza si sviluppa in forma organica e non addizionale: la struttura del sapere, conseguito attraverso il metodo scientifico, …consiste in una gerarchia di ipotesi che si assottiglia via via, ove le ipotesi più specifiche, le comuni deduzioni di collegamenti, giungono infine ad una struttura di asserzioni particolari sui dati di fatto. Perciò la struttura del sapere scientifico risulta in fin dei conti logico-deduttiva” (Medawan P.B.). Il possesso di tale scienza, cioè di un sapere così logicamente organizzato, è strumento indispensabile per investigare quei problemi che pongono domande verificabili sul piano empirico; ma, poiché i fenomeni sono concepiti come dipendenti dalle condizioni da cui essi hanno origine e si svolgono, l’indagine scientifica deve mirare alla spiegazione causale dei fenomeni naturali e non limitarsi alla loro descrizione. Popper scrive: ” scopo della scienza è quello di trovare spiegazioni soddisfacenti di tutto ciò che ci colpisce come bisogno di spiegazione”. Il vantaggio delle teorie sta nella possibilità di ricondurre i fatti che interessano entro linee omogenee ed interconnesse, sta, quindi nella possibilità di prevedere l’accadimento di eventi o risultati di esperimenti e di spiegare fatti che sono già stati osservati. Previsioni e spiegazioni possono essere considerate “come processi fondamentalmente identici del pensiero scientifico, e differiscono soltanto, per così dire, nella prospettiva temporale. La previsione è rivolta in avanti, da ciò che è a ciò che accadrà, la spiegazione, normalmente, è volta all’indietro, da ciò che è a ciò che è già accaduto. I termini della teoria previsionale e di quella esplicativa sono simili, come anche la relazione che li collega. I primi sono alcuni fatti, la seconda è una legge” (Whigt G.H.). La scienza si risolve, cosi, nello stabilire e generalizzare leggi, nel ricavarne delle previsioni, da verificare attraverso l’esperienza; nel comprendere (spiegare), quindi, gli eventi come prodotto delle loro cause. Perché si è verificato un evento? A causa di determinati precedenti eventi: è a questo rapporto diretto di causa-effetto che la scienza deve la propria giustificazione di essere. “La ricerca della causalità comporta tre tappe” (Piaget J.). La prima “consiste nello stabilire i fatti le leggi”, la legge esprime una generalità, una regolarità statistica; la seconda “si ha quando si stabiliscono le connessioni, incomincia cioè con la deduzione delle leggi”; la terza consiste nella “costruzione di un “modello” adeguato ai fatti e tale che sia possibile mettere le trasformazioni deduttive in corrispondenza con trasformazioni reali”. Esso corrisponde alla “proiezione dello schema logico-matematico nella realtà, e consiste così in una rappresentazione completa che ritrova nel reale modi di composizione o di trasformazione esprimibili nei termini di questo schema”. In che cosa consiste, dunque, la spiegazione scientifica? Essa può essere descritta seguendo il modello, cosiddetto, Hempel-Oppeneheim :

  • Explanans Ipotesi di legge (una o più) Condizione (i) Antecedente (i) Explanandum Proposizione (i) Esplicata (e).

L’explanandum, cioè le proposizioni da esplicare, deve essere deducibile dall’explanans, cioè dalle proposizioni esplicanti. L’explanans deve contenere le ipotesi di legge e le indicazioni che vengono realizzate antecedentemente e contemporaneamente all’evento da esplicare. Per lo schema Hempel-Oppeneheim, quindi, la spiegazione deve rispettare i seguenti canoni:

  • ‘explanandum deve essere una conseguenza logica dell’explanans;
  • il contenuto dell’explanans e dell’explanandum deve essere di natura empirica;
  • le proposizioni che costituiscono l’explanans devono avere il carattere di ipotesi di legge e devono essere verificate

Questo modello ammette le seguenti variazioni:

  • se le leggi sono costituite da causali rigorose, vuol dire che la spiegazione si deduce dal suo carattere di regolarità (lettura deduttivo-nomologica del procedimento esplicativo). In questo caso il modello ha la funzione di spiegare, prima di tutto, il perché certe cose sono accadute e, secondariamente, perché ci si doveva aspettare che accadessero.
  • se le leggi sono costituite da relazioni di probabilità tra causa ed effetto e sono ricavate statisticamente, la validità della spiegazione dipende dal suo grado di probabilità (lettura induttivo-probabilistica della spiegazione). In questo caso, il modello spiega, prima di tutto, perché ci si doveva aspettare le cose che sono accadute e, secondariamente, perché sono accadute.

Si distingue dalla paura, in quanto lo stimolo ansiogeno non è fisicamente presente.

Hempel scrive che: “possiamo distinguere le spiegazioni nomologiche-deduttive da quelle probabilistiche dicendo che le prime effettuano una sussunzione in base a leggi di forma universale, le altre una sussunzione induttiva in base a leggi di forma probabilistiche”. L’identità strutturale tra spiegazione e previsione, la convinzione, cioè, che una spiegazione scientifica, in generale, corrisponda ad un meccanismo di previsione dei fenomeni spiegati, rappresenta uno dei punti più, discussi della filosofia della scienza. Scrive Wright ” E dubbio che tutte le spiegazioni causali si conformino veramente con lo schema Hempeliano. Ci si potrebbe chiedere, inoltre, se tale schema riesca veramente a sostenere il peso di una spiegazione nel casi in cui le leggi generali non sono causali”. La spiegazione così intesa, certamente, nega il potere previsionale delle spiegazioni che rispondono alla domanda: come? Eppure sono utili per le “retrovisioni”. Questo tipo di spiegazioni possono essere usate a scopi previsionali in modo “indiretto” : “Se conosciamo le condizioni necessarie di un fenomeno, eleminandole o semplicemente osservando che sono assenti, possiamo prevedere che il fenomeno in questione non si ripresenterà” (Whigt G.H.).

La critica di Adolf Grunbaum

Il problema della suggestione è, attualmente, d’importanza decisiva per lo statuto epistemologico della psicoanalisi e rappresenta la punta di diamante della critica positivista. “Anni or sono introdussi l’espressione “effetto Edipo” per descrivere l’influenza che una teoria, un’aspettazione o una previsione esercitano sull’evento che essa prevede o descrive” e da E. Nagel: “V’è comunque qualche fondamento per sospettare che le interpretazioni siano spesso imposte a dati essi stessi prodotti dal metodo psicoanalitico” è diventato il fulcro della critica alla psicoanalisi fatta da A. Grunbaunm: “Quando Popper dice che essa non è scienza vuole sostenere che è empiricamente non falsificabile da qualsiasi comportamento possibile. Ma quando io affermo che, almeno relativamente all’evidenza clinica disponibile, la psicoanalisi è una cattiva scienza, voglio sostenere invece con chiarezza che essa è empiricamente mal suffragata da questa evidenza”. Grunbaum, rovesciando la tesi popperiana del falsificazionismo, che esclude la psicoanalisi dalle scienze empiriche, e ritenendo che l’induttivismo sia regolato da criteri più stretti di quelli popperiani, arriva a sostenere che la psicoanalisi non è “scienza”. Partendo da queste posizioni il filosofo diventa l’acerrimo nemico e, paradossalmente, come Caplan lo definisce, l’amico più utile della psicoanalisi. È opinione di Grunbaum che la considerazione della seduta analitica come arena per eccellenza della ricerca psicoanalitica, ha fatto sì che Freud e i suoi seguaci considerassero superflui i controlli empirici. Tuttavia, la possibilità che i dati ottenuti sul lettino fossero influenzati dalla tendenza del paziente a soddisfare le aspettative dello psicoanalista, che così si autorealizzano, è un problema che Freud aveva considerato. Egli era cioè consapevole della possibilità che “la suggestione costituisca il fattore decisivo della sua terapia e al tempo stesso il difetto fatale del metodo di indagine psicoanalitico” e, per superare tale difficoltà, elaborò un postulato centrale che Graunbaum chiama “argomento della coscienza”. In base a tale argomento, un successo terapeutico effettivo, che consiste nella ristrutturazione intrapsichica della personalità e la completa remissione dei sintomi, è possibile solo se il paziente riesce ad avere una corretta visione delle cause inconsce della sua nevrosi, tramite l’interpretazione ed il trattamento proprio del metodo psicoanalitico. Da ciò, consegue che le interpretazioni psicoanalitiche delle cause inconsce del comportamento dei pazienti guariti non hanno semplicemente suggestionato i soggetti, ma “corrispondono” a ciò che avveniva realmente in essi; consegue, inoltre, che solo il trattamento psicoanalitico può produrre guarigione e non esiste la necessità di fare confronti con gruppi di controllo o con altre scuole psicoterapeutiche. Secondo Grunbaum, però, l’argomento della concordanza non può essere accettato perché numerosi studi extraclinici hanno dimostrato la falsità delle sue premesse, per cui il problema della suggestione resta. I tentativi di dimostrare che i risultati positivi, ottenuti con il trattamento psicoanalitico, siano maggiori rispetto a quelli che si ottengono mediante trattamenti alternativi o, addirittura, senza trattamento, sono falliti. Sono falliti anche i tentativi di dimostrare una qualche superiorità della psicoanalisi rispetto ad altre terapie, nelle quali la presa di coscienza (insight) non riveste alcuna funzione. Ciò ha indotto, di fatto, ad interpretare i risultati terapeutici della psicoanalisi come “effetto placebo” e non come conseguenza della presa di coscienza delle proprie dinamiche inconscie. Grunbaum critica, inoltre, il ruolo eziologico della rimozione: “….. non necessariamente tale eliminazione disgiunta dei sintomi è causata dall’emergere delle rimozioni; essa può essere tutto sommato dovuta all’effetto placebo generato dalla consapevolezza del paziente che il terapeuta sta cercando di scoprire un episodio traumatico connesso al sintomo”. L’irrilevanza causale è confermata anche dall’analisi dei lapsus, delle associazioni libere e dell’interpretazione dei sogni, come fonti di dati clinici. La tesi freudiana dei lapsus, che sono frutto dell’allentarsi delle difese, osserva Grunbaum, è fondata solo sul modello del sintomo come formazione di compromesso e che la scoperta delle rimozioni, attraverso la libera associazione, nell’interpretazione dei lapsus, non può essere considerata come causale fino a quando non viene dimostrata caso per caso. Esistono, infatti, convincenti spiegazioni alternative delle paraprassi. La loro spiegazione freudiana, invece, risulta essere generica e non dimostra alcuna connessione causale. L’interpretazione freudiana dei lapsus, inoltre, si fonda sul metodo delle libere associazioni: “anche se tutti i lapsus fossero realmente causati da rimozioni, tuttavia Freud non ci fornisce buone ragioni per ritenere che i suoi metodi clinici siano idonei ad indentificare e confermare empiricamente tali cause, non importa quanto siano interessanti le associazioni “libere” suscitate”. Ma fino a che punto sono libere le associazioni libere? Il filosofo si chiede: se si consentisse ad un paziente intelligente e ricco di immaginazione di fare associazioni libere per un tempo abbastanza lungo, prima o poi il procedimento associativo potrebbe giungere ad ogni genere di contenuto tematico, del quale egli non è consapevole. Come può, allora, l’analista evitare di fare una selezione di fronte alla varietà tematica delle associazioni? Occorre, evidentemente, rinvenire un criterio che indichi il momento in cui deve essere interrotta la catena associativa. Lo psicoanalista può, addirittura, influenzare le associazioni di idee inconsapevolmente, con atteggiamenti o espressioni che incoraggiano a continuare per una via o per un’altra o ad arrestarlo. Anche l’interpretazione del sogno come le altre fonti di dati clinici non è affidabile. La sua inattendibilità si fonda sull’uso del metodo delle libere associazioni. In conclusione Grunbaum afferma che: “Fintanto che le prove a favore del corpus psicoanalitico dipendono dai dati ricavati nel corso del trattamento, il sostegno è considerevolmente debole. In relazione alle debolezze metodologiche dell’indagine psicoanalitica clinica, un appropriato controllo delle ipotesi centrali di Freud richiede studi extra clinici ben progettati. Malgrado la povertà del suo sostegno clinico, si potrebbe ancora pensare che la brillante immaginazione teorica di Freud sia stata in realtà capace di fare casualmente felici scoperte per qualche aspetto esatte”.

Ermeneutica e Psicoanalisi

Contrapposta alla visione positivistica della scienza, l’ermeneutica si pone come teoria o filosofia dell’interpretazione del significato. Essa respinge il monismo metodologico del positivismo e nega che il modello di comprensione della realtà sia quello fornito dalle scienze esatte, naturali: esiste una dicotomia tra le scienze esatte, come la fisica, che mirano a generalizzazioni riguardo a fenomeni riproducibili, e quelle scienze, come la storia, che mirano, invece, ad individuare le caratteristiche uniche dei propri oggetti. L’ermeneutica attacca, inoltre, la concezione positivistica della spiegazione, alla quale contrappone la comprensione. Scrive Droysen: “La storia porta a coscienza ciò che noi siamo e ciò che possediamo: la nostra esistenza non è un mero “mutamento metabolico”; noi partecipiamo bensì ad una “seconda creazione” quella di un “mondo etico” . Droysen risponde così ai positivisti che cercano di trasformare la storia in scienza attraverso l’introduzione di metodi quantitativi, che vorrebbero ridurre il cambiamento storico ad effetti quasi causale di fattori esterni. Queste idee metodologiche sulla comprensione furono sviluppate sistematicamente da W. Dilthey. Egli usò il termine GEISTESWISSENSCHEFTEN, scienze dello spirito, per indicare l’intero dominio del metodo della comprensione e chiamò “esegesi o interpretazione” la metodologia di quest’attività divenuta famosa come ermeneutica”. Secondo questo metodo, l’analisi dell’intendere (Verstehen) permette di capire come si possono trasporre dei significati creati da altri all’interno della comprensione che si ha di se stessi e del proprio mondo, tendendo alla creazione di una conoscenza oggettiva. Gadamer trasforma l’ermeneutica in filosofia del linguaggio: l’esperienza ermeneutica sarà “dialogica” cioè spiegata sul modello del discorso umano, che può essere interpretato come un testo, poichè in entrambi i casi si ha una “fusione di orizzonti”. Medium di tale fusione è il linguaggio, elemento strutturale dell’interpretazione e, quindi, della stessa comprensione. Le assunzioni di Diltey e di Gadamer riassumono la posizione della teoria “ermeneutica esegetica” e quelle della “filosofia ermeneutica”. Esse sono contestate da Habermas ed Apel perché idealistiche e perché non considerano i fattori extra linguistici, come il lavoro o il dominio, che contribuiscono a formare il contesto del pensiero e dell’azione. Su queste basi, Habermas e Apel teorizzano la cosiddetta “ermeneutica critica”, le cui fondamenta si ritrovano nella combinazione di un approccio metodologico oggettivo con il tentativo di raggiungere una conoscenza dotata di rilevanza pratica. La comprensione e la comunicazione sono possibili soltanto facendo riferimento alle contingenze empiriche che stanno alla base dei processi intellettuali; la realtà va cambiata oltre che interpretata. La critica guidata dal principio della ragione è essenzialmente autoriflessiva e liberatoria. Di questo avviso è anche Lorenzer che, pero, rispetto ad Apel e Habermas, assegna maggiore importanza alla costellazione storico sociale concreta, sotto la quale viene acquisito il significato. La psicoanalisi, per questi teorici, diventa il modello di una scienza emancipatrice, cioè una scienza che sia momento di riflessione dei processi individuali e sociali, e che li renda trasparenti agli attori in essi coinvolti, consentendo, così, il loro ulteriore sviluppo, nel pieno possesso della loro volontà e coscienza. K.O. Apel, in special modo, considera la psicoanalisi come una scienza sociale contenente in sè una duplicità metodologica; il suo oggetto, infatti, è preformato in maniera tale da incorporare momenti esplicativi e momenti interpretativi: la psicoanalisi, cioè, ha il carattere sia di scienza umana sia quello di scienza della natura. Come scienza della natura essa ha una considerazione distaccata dell’oggetto; tuttavia, la valutazione di un qualsiasi sintomo può essere compiuta solo partendo dalla sua “comprensione”: “L'”oggettivizzazione” e la “spiegazione” del suo comportamento (paziente) non erano quindi l’inizio di una scienza naturale del “comportamento” umano, bensì in fin dei conti soltanto una temporanea “estraneazione”, una quasi reificazione del senso comprensibile dell’esistenza, la quale era giustificata esattamente nella misura in cui l’uomo non era ancora trasparente a se stesso nella propria autocomprensione. In breve, la ‘spiegazione’ stava al servizio della ‘comprensione’ “. J. Habermas ritiene che il carattere fondamentale dell’ermeneutica psicoanalitica consiste nel fatto che, per conservare la possibilità della comunicazione intersoggettiva, il paziente manifesta dei sintomi, rendendo inaccessibile a se stesso il linguaggio ed i motivi ad esso legati. Proprio per superare i disturbi della comunicazione con se stesso è necessario un’interprete che insegni al soggetto a comprendere il proprio linguaggio, mediante un processo di autoriflessione. Attraverso l’esperienza dell’autoriflessione, le intenzioni nascoste si trasformano da “motivi consci” in “cause”. L’agire comunicativo viene sottoposto a rapporti di causalità naturali, che Habermas chiama “causalità del destino” poiché “domina con i mezzi simbolici dello spirito” e che perciò è diversa dalla causalità naturale. Di qui nasce “l’autofraintendimento scientistico” della psicoanalisi: Freud pensò di aver fondato una scienza della natura, invece fondò una scienza umana. questo vuole anche dire che le interpretazioni psicoanalitiche non possono essere verificate come quelle delle scienze sperimentali, cioè mediante l’osservazione controllata, ma neanche con il successo della comunicazione, come nell’ermeneutica filosofica; possono esserlo, invece, scrive Habermas “sulla base della riuscita continuazione di un processo di formazione, nel senso però dell’attuata autoriflessione e non inequivocabilmente in ciò che il paziente dice o in come si comporta”. A. Lorenzer, come Habermas, utilizza la psicoanalisi come un modello per una critica del soggetto, trasformandola, pero, da teoria della comunicazione a “teoria materialistica della socializzazione” e come tale si interessa delle forme di interazioni distorte che generano sofferenze agli individui che ne sono affetti. La psicoanalisi è un processo ermeneutico completamente estraneo ad ogni “riconoscimento nomologico” e la comprensione psicoanalitica avviene in tre momenti. Il primo è quello della comprensione logica, che diventa evidente quando l’analista riesce a cogliere la forma linguistica corretta, cioè “significativa”. In un secondo momento l’analista rivolge la propria attenzione alle descrizioni della realtà psicologica del paziente e questo è, appunto, il momento della comprensione psicologica della psicoanalisi. L’analista considera, a questo punto, non solo la comunicazione verbale, ma anche quella non verbale, il cui significato diviene certo quando viene inserito nel contesto di una “azione drammatica” che permette di raggiungere l’evidenza delle emozioni. È solo nell’ultimo momento, quello della “comprensione scenica” che si può arrivare alla realtà dell’inconscio, nel quale la psicoanalisi trova il suo fondamento epistemologico. Lorenzer chiama le rappresentazioni inconsce freudiane “stereotipi” o “clichè” e ritiene che il comportamento da esse determinato può essere compreso soltanto attraverso la partecipazione diretta ad una scena drammatica, nella quale gli individui interagiscono. L’interazione tra paziente ed analista permette la comprensione psicoanalitica, garantita dal transfert e controtransfert: “La comprensione scenica si svolge in modo analogo a quella logica e al rivivere: diviene certa nell’analista mediante un’esperienza vissuta di evidenza. Come la comprensione logica si radica nella ricezione formale della proposizione, così quella scenica si radica nella comprensione della ‘scena’ “. P. Ricoeur, nell’ambito dell’ermeneutica, assume un ruolo di mediatore tra le diverse posizioni, che cerca di integrare in un quadro concettuale più ampio: l’ermeneutica fenomenologica. Lo sforzo unificatore fa riconsiderare anche la psicoanalisi che è vista, così, come discorso “misto”, essa è situata tra ermeneutica ed esegetica: “l’opposizione pura e semplice del motivo e della causa non risolve il problema epistemologico posto dal discorso freudiano: questo è regolato da un tipo d’essere che sta al di fuori di questa serie di concetti che denomino semantica del desiderio; è un discorsi misto, che cade al di fuori dell’alternativa motivo-causa”. Elemento fondamentale dell’esperienza psicoanalitica è la parola. Essa traduce i sintomi, i sogni, le pulsioni, in significati; la parola dà il senso a fatti descrivibili in modo esteriore, ma sempre mediati dai soggetti: “La condotta, quindi, non è per l’analista neppure una variabile dipendente, osservabile dall’esterno, ma l’espressione dei cambiamenti di senso della storia del soggetto, quali riaffiorano nella situazione analitica… in psicoanalisi non vi sono fatti, perchè in essa non si osserva, ma si interpreta” . Nonostante la natura “mista” della psicoanalisi Ricoeur afferma che il suo statuto epistemologico assomiglia più alla storiografia che alle scienze naturali. Scrive l’autore: “L’esperienza analitica assomiglia molto di più alla comprensione storica che alla spiegazione naturale” e ancora “… in psicoanalisi non ci sono i “fatti” nel senso delle scienze sperimentali. Per questo motivo la sua teoria non è una teoria, nel senso in cui lo sarebbe per esempio la teoria cinetica dei gas o la teoria dei geni in biologia”.

Conclusioni.

Il dibattito epistemologico sulla psicoanalisi non è esaurito dall’esistenza delle due prospettive considerate nel corso di questo lavoro, cioè quella neopositivista e quella ermeneutica; esse, infatti, non riescono ad assegnare con sicurezza alla disciplina un posto, nell’ambito della scienza, creando disagio tra gli psicoanalisti e confermando, in qualche modo, quanto Freud scrisse in una lettera a Jung : “ho dei dubbi circa il modo con cui Fraulein Spielrein cerca di sottomettere il materiale psicologico a criteri biologici. Questa subordinazione è altrettanto riprovevole di una sottomissione alla filosofia, alla fisiologia e alla anatomia cerebrale. La psicoanalisi sarà una cosa a sé”. Se si considera, però, che le difficoltà epistemologiche della psicoanalisi derivano, come scrive Schoph, dal fatto che essa è una disciplina collocata “a metà strada tra approccio somatico e approccio psichico, tra medicina e psicologia” e che tali difficoltà sono aggravate dal fatto che “all’interno dello stesso ambito psichico, assume una posizione intermedia tra psicologia dell’esperienza da un lato, e psicologia dell’inconscio dall’altro” si comprende bene come la psicoanalisi possa occupare un posto intermedio tra il positivismo logico e la ermeneutica. Scrive Schoph : “Così come non la si può far coincidere con l’osservazione comportamentale, essa non può nemmeno corrispondere alla semplice comprensione di azioni comunicative secondo il senso dell’ermeneutica. in quanto forma di indagine che è indissolubilmente legata all’attività terapeutica, essa si distingue da un lato per il fatto che tende a cercare di concepire il senso escluso, alternativo. In questo somiglia all’ermeneutica e può essere definita “ermeneutica del profondo”. Ma, poichè d’altro canto questo senso è accessibile solo attraverso il confronto terapeutico con la resistenza e la sua elaborazione effettiva, l’indagine tipica della psicoanalisi differisce dall’ermeneutica e si avvicina per questo aspetto alla concezione behavioristica delle condizioni obbligate del comportamento”. Oppure, si può sostenere che la psicoanalisi non è una scienza naturale, ma “non è neppure una scienza sociale, né una scienza umana, bensì una combinazione delle tre. E questo non perché Freud si sia trovato ad attraversare diversi settori di ricerca intellettuale, ma semplicemente perché egli era uno psicologo: e la psicologia, se l’oggetto della sua indagine è l’uomo e non una serie di variabili isolate, è costretta dai risultati stessi delle sue ricerche, laddove questi siano portati fino alle loro logiche conclusioni, ad impiegare livelli differenti di discorso, anche quando essi non sono compatibili fra loro”. Nella valutazione epistemologica della psicoanalisi è, dunque, impossibile assumere una prospettiva esclusivamente ermeneutica o esclusivamente positivistica, in quanto entrambe contengono motivo di vero, che l’una fa valere dialetticamente sull’altra. È molto importante, invece, considerare e problematizzare questo suo essere “a metà strada” tra le due tendenze. In quest’ottica, la tesi di Grumbaum, considerato come il maggiore esponente del neopositivismo, in base alla quale la psicoanalisi ha la necessità di una giustificazione extra-clinica, e la tesi di Ricoeur, che riassume la posizione ermeneutica, secondo la quale i problemi di verifica della psicoanalisi devono essere impostati come problemi di storiografia o esegesi, allontanandosi il più possibile da ogni impostazione che si ispiri alle scienze naturali, possono rappresentare le “due facce della stessa medaglia”, piuttosto che due tesi escludentesi a vicenda. Un punto di vista simile è sostenuto da M. Buzzoni, per il quale la prospettiva neopositivistica e quella ermeneutica sono viziate da una antinomia interna, che l’autore definisce “antinomia epistemologica della psicoanalisi” (della quale tali prospettive costituiscono i poli). Per quanto riguarda il primo polo, L’autore scrive, riferendosi al Grunbaum: “I principali controlli extra-clinici su cui secondo Grunbaum si fonda la controllabilità empirica (ed eventualmente la dimostrazione della verità) della psicoanalisi presuppongono a ben vedere, paradossalmente, quella stessa attendibilità dei dati cliniche egli ha così decisamente negato, e dalla sua negazione, anzi, egli ha fatto discendere proprio la necessità dei controlli extra-clinici. Il controllo extra-clinico e statistico della efficacia della terapia psicoanalitica e della necessità dell’insight affinché abbia luogo una guarigione effettiva (il controllo cioè delle due fondamentali premesse dell’ “argomento della corrispondenza”) non può certamente avvenire prescindendo completamente dai risultati ottenibili tramite il metodo clinico freudiano, poichè è evidentemente soltanto all’interno della seduta psicoanalitica che può essere accertato se siano o no avvenuti sia la guarigione sia l’insight del paziente”. Ma tale antinomia può anche esprimersi diversamente. Continua a scrivere Buzzoni: ” Il carattere epistecamente contaminato dei dati clinici si fonda sul fatto che le premesse dell’argomento mediante cui Freud ha cercato di negare queste tesi sono state empiricamente dimostrate false da studi che hanno applicato metodi extra-clinici, senonché, paradossalmente proprio questi studi presuppongono, già come condizione della loro possibilità, l’uso e la validità dei metodi clinici. l’asserzione secondo cui soltanto i metodi extra-clinici di controllo sono validi implica insomma l’asserzione, con essa contraddittoria, che anche i metodi clinici sono validi”. Il secondo polo dell’ antinomia epistemologica della psicoanali Extra-clinica; questi due tipi di controllo, collocati in una posizione di “connessione intrinseca e reciproca”, permettono di affermare che la psicoanalisi è tecnicamente ed operativamente controllabile. Buzzoni, però, sottolinea che il suo lavoro rappresenta un momento di riflessione filosofica e che in quanto tale, ha cercato di “porre e di risolvere la questione di diritto delle condizioni di possibilità della psicoanalisi come scienza” e se anche il criterio tecnico operativo ha fornito una risposta affermativa alla suddetta questione ” deve rimanere interamente demandata allo scienziato al lavoro la questione di fatto se tale condizione sia anche effettivamente soddisfatta, in quale misura lo sia eventualmente stata o se potrà esserlo in futuro, a pena di confondere indebitamente questione di fatto, filosofia e scienza”. La connessione tra teoria e applicazione tecnica, requisito fondamentale che attribuisce alle scienze sperimentali il carattere di rigore, d’intersoggettività e di oggettività, in psicoanalisi può essere dimostrata soltanto precisando le condizioni di possibilità del controllo tecnico terapeutico. Nella prassi psicoanalitica è necessario, prima di tutto, fornire una definizione puntuale del concetto “Terapia”. Esso ha, infatti, un carattere generale, che comprende, certamente, una serie di conseguenze pratiche per la vita del paziente, ma che rende difficile definire il suo obiettivo, anche quando quest’ultimo fosse inteso semplicemente come cura dei sintomi. Nel costruire la suddetta definizione bisogna evitare “la confusione tra una questione scientifica e positiva ed una filosofica di principio. Ciò che il nostro discorso deve indicare non è certamente una definizione sotto ogni punto di vista adeguata della terapia psicoanalitica, ma la funzione che essa deve svolgere in un discorso scientifico e le condizioni che essa deve soddisfare per poter appartenere di diritto a questo tipo di discorso. Una delle condizioni di ogni controllo tecnico operativo della realtà è la possibilità di prevedere i fenomeni secondo determinate leggi di comportamento. Ciò per la psicoanalisi è molto importante. La tecnica psicoanalitica è continuamente diretta da tentativi di previsione delle reazioni del paziente; essa consente anche la retrodizione di eventi dimenticati dall’analizzando e comporta la previsione del fatto che, adottando determinati procedimenti, certi disturbi del comportamento vengono eliminati. Condizione scientifica necessaria della previsione, della spiegazione e del controllo tecnico è la repetibilità dei sistemi che le teorie si pongono come loro oggetto; in psicoanalisi può esserlo solo se si assume una connessione intrinseca tra le dinamiche dei sistemi inconsci e le loro manifestazioni oggettive e intersoggettivamente controllabili nei sistemi. La parziale oggettivizzazione dei fenomeni psicoanalitici, ad esempio del transfert, della coazione a ripetere, permette un basso grado di quantificazione, ma sufficiente poiché praticamente inutilizzabile dall’analista per portare avanti la terapia e stabilire quando essa abbia raggiunto la sua meta. Su questo aspetto pubblicamente controllabile dell’oggetto psicoanalitico si fonda la possibilità di applicare in psicoanalisi il controllo tecnico operativo ed è in esso che trovano giustificazione i tentativi di operazionalizzare il linguaggio psicoanalitico. “Se si abbandona il pregiudizio empiristico, inteso nel senso d’una concezione filosofica surrettiziamente presupposta alla ricerca scientifica, non v’è motivo per rifiutare alla psicoanalisi una prospettiva operazionistica la quale richiede che i principi psicoanalitici siano in linea di principio confermabili o verificabili, cioè suscettibili d’esser correlati in modo significativo col controllo tecnico operativo fornito dal comportamento del paziente”. La differenza di statuto tra le proposizioni mediante le quali vengono formulate le spiegazioni o le previsioni nelle scienze naturali, in psicoanalisi e nelle altre scienze dell’uomo è evidente. Come insegna, infatti, la corrente ermeneutica quest’ultime sono caratterizzate da una dimensione culturale e linguistica, che si esprime nella irriducibilità delle intenzioni, dei motivi o dei fini alle cause intese in senso naturalistico e che ha la propria radice nella irriducibilità della libertà umana al mondo naturale. “Dal fatto che in psicoanalisi non sia possibile ammettere forma di spiegazione o di previsione che, nella loro struttura logica, differiscano da quelle delle scienze sperimentali della natura, e dal fatto che è legittimo estendere alla psicoanalisi il loro uso per via dell’esistenza di sistemi ripetitivi, non si può legittimamente concludere che lo statuto epistemologico della psicoanalisi e più in generale delle scienze umane sia identificabile sotto ogni aspetto con quello delle scienze naturali. Anzi, le regolarità accertate nelle scienze umane non sono materialmente visibili, sono, cioè, inesistenti in natura, accertabili empiricamente solo se vi siano persone che ne riattualizzino l’esistenza. La validità delle asserzioni di regolarità concernenti il mondo umano, perciò, a differenza delle leggi naturali, può essere, in linea di principio, in ogni momento posta in discussione, o venire addirittura annullata dai soggetti per cui essa è enunciata. Questo non vuol dire che in psicoanalisi non esistono dei sistemi ripetitivi che consentano l’uso della spiegazione, della previsione e del controllo tecnico operativo come accade nelle scienze naturali, poiché la possibilità che “le regolarità asserite nelle scienze umane siano sospese dal volere delle singole persone è in realtà l’altro aspetto della dipendenza di fatto di queste ultime dalle prime, una dipendenza che è sufficientemente stabile da consentire il formarsi di una scienza sociologica, psicologica, archeologica, etnologica ecc…, ma che, non essendo assoluta, non rende impossibile che gli uomini possono discostarsi in qualche misura dalle regolarità della loro vita culturale e quindi che essi possono costantemente modificarle, migliorale o addirittura in alcuni casi (tra cui rientra senz’altro la psicoanalisi) sospenderne completamente o quasi completamente l’efficacia”. I comportamenti delle persone sono, infatti, il prodotto di azioni anteriori compiute da altri, sono eredità storica, o compiute dalla persona stessa nel momento in cui entra in relazione con gli altri. esiste, quindi, una distinzione tra “realtà naturale, soggettività in atto e soggettività decantata storicamente o culturalmente” ed è in questa divisione che l’individuo regola le proprie decisioni attuali o azioni future, sottraendosi in maniera trascurabile alle regolarità dei comportamenti che gli individui mettono in atto, rendendo possibile la loro sussunzione sotto leggi generali psicologiche, sociologiche etc… Per quanto riguarda la psicoanalisi sono stati proprio i maggiori rappresentanti della tendenza ermeneutica ad individuare nell’inconscio una realtà che, per quanto si comporti in modo analogo agli enti naturali rimane esclusivamente umana. Questi, una volta riconosciuto che l’inconscio è costituito da regolarità, nate dalla stessa attività del soggetto ma sfuggenti al suo diretto controllo, svalorizzano gli argomenti che fanno dedurre la possibilità di estendere i metodi delle scienze naturali alla psicoanalisi perchè fondati su una diversità dell’oggetto di indagine, incorrendo, secondo Buzzoni, in un errore grossolano. Questi non condivide, infatti, l’argomentazione di Lorenzer, secondo la quale è illegittimo estendere metodi delle scienze naturali alla psicoanalisi, in quanto le prime possono procedere in modo ipotetico deduttivo perché isolano un aspetto di un fenomeno dal resto della prassi sociale e possono considerarlo un sistema chiuso al contrario della seconda; in questo senso la psicoanalisi è ermeneutica, poiché i processi ermeneutici non possono essere separati da una prassi comprensiva che istituisce un circolo ermeneutico tra teorie e fatti. Buzzoni, invece, afferma che da un punto di vista epistemologico non c’è differenza tra psicoanalisi e scienze della natura che “non sia una mera differenza di grado: anche in queste ultime, a rigore, è impossibile costruire sistemi perfettamente isolati (o procedere alla quantificazione) senza apportare opportune assunzioni idealizzanti nei confronti della realtà fisica” – continua – “se si ammette che la seduta psicoanalitica può astrarre metodicamente dal momento storico complessivo della società, perchè si danno delle costanti di comportamento che possono essere indagate e sfruttate operativamente come se costituissero un sistema chiuso, allora non v’è più motivo di escludere la possibilità in linea di principio di adottare gli schemi di previsione e spiegazione usati nelle scienze naturali, pur nella consapevolezza che il diverso oggetto cui essi sono applicati comporta una particolare provvisorietà di questa stessa applicazione che si aggiunge in modo qualitativamente a quella propria dell’applicazione di questi schemi al mondo naturale”. Il problema della spiegazione, dunque, riporta immediatamente a quello delle cause. Gli autori della corrente ermeneutica hanno insistito sull’importanza centrale che rivestono concetti quali intenzioni, motivi, scopi, in quanto contrapposti alle cause naturali in psicoanalisi. Questi hanno sostenuto che la comprensione del comportamento umano è stata ampliata dall’estensione dei suddetti termini al comportamento involontario, non cosciente, chiarendo, di fatto, come essi non possono essere impiegati allo stesso modo del comportamento cosciente. Il problema è stato affrontato anche dagli autori di ispirazione positivistica, i quali hanno sottolineato la differenza tra ragioni coscienti e motivazioni inconsce ed hanno creato, così, una contrapposizione epistemica tra comprensione e spiegazione, tra motivo, ragioni, e cause che non risolve il problema dello statuto, del preciso significato che questi termini assumono nel contesto psicoanalitico. Altri autori hanno trovato una via intermedia tra le prime due tendenze cercando di dimostrare come la spiegazione secondo cause si trasformi in comprensione d’intenzioni coscienti. Buzzoni esprime il suo apprezzamento per quest’ultimi autori, ciò nonostante sente l’esigenza di precisare che il problema non si risolve con il passaggio dalla motivazione cosciente a quello della causalità. In questi casi, infatti, “ci si limita o a postulare la trasformazione d’una motivazione inconscia intesa in senso causale e naturalistico (suscettibile come tale di spiegazione), in una ragione intenzionale e pienamente consapevole (oggetto di possibile comprensione) oppure ad assumere sin dal principio l’esistenza d’una terza sfera ontologica, dove questa trasformazione sarebbe possibile ed anzi continuamente compiuta , senza tuttavia porre esplicitamente – com’è invece necessario porre – la questione, decisiva per lo statuto epistemologico della psicoanalisi, di come sia possibile questa trasformazione, di quali siano le sue condizioni di possibilità”. Appena la questione fosse posta ci si accorgerebbe come la riflessione sul problema evidenzi una contraddizione iniziale che si ripercuote poi sui passi successivi dell’argomentazione fino a chiarire che bisogna partire da un punto di vista diverso da quello della trasformazione della causalità naturale in intenzionalità libera. Tutto ciò farebbe presupporre che non c’è nessun passaggio ontologico da una realtà naturale ad una culturale e viceversa, bensì un passaggio da una razionalità vissuta in prima persona ad una razionalità decaduta a ripetizione, a quasi automatismo. Bisogna, allora, chiedersi: “non a quali condizioni un motivo può trasformarsi in una causa e viceversa, bensì a quali condizioni ed entro quali limiti un motivo può agire come se fosse una causa, e dunque, riformulando la stessa domanda a livello epistemologico, a quali condizioni ed entro quali limiti i modelli causali usati nelle scienze della natura possano essere applicati alle motivazioni che guidano l’agire umano”. La risposta al quesito l’autore la trova nel fatto che l’inconscio, in quanto costituito da regolarità prodotte dalle ripercussioni dell’attività umana, da motivazioni che più sono lontane dalla coscienza piena più possono essere considerate come se fossero cause; infatti, la distanza dalla coscienza fa acquisire loro i caratteri propri, appunto, delle cause naturali, della ripetività e della controllabilità intersoggettiva. Seguendo questo ragionamento, l’agire umano guidato da motivi inconsci può essere spiegato mediante gli stessi schemi esplicativi e previsionali delle scienze empiriche, anche se bisogna sempre ricordare che il nesso sussistente tra motivazione inconscia e agire sottoposto a coazione non è identico al nesso naturale causa causa-effetto; esso, infatti, può essere annullato dal soggetto agente che può invalidare le proposizioni inserite nel modello deduttivo e inficiare la relativa previsione o spiegazione. La possibilità di spiegare e di prevedere basata su connessioni di significato analoghe a quelle della realtà naturale presuppone un atto di comprensione fondamentale per la psicoanalisi e in generale per tutte le scienze dell’uomo. “Le regolarità che costituiscono il fondamento delle spiegazioni e delle previsioni, infatti, sono sorte sulla base di motivazioni originariamente vissute in modo cosciente, e benchè queste motivazioni nel comportamento soggetto alla coazione a ripetere siano soddisfatte soltanto in modo indiretto o sostitutivo, esse debbono comunque anzitutto essere comprese in se stesse, nel senso che dobbiamo poterle rappresentare come fini, ragioni o motivazioni possibili per la nostra stessa condotta”. La relativa costanza delle regolarità della vita umana permette una conoscenza di tipo scientifico e rende possibile costruire delle strutture ripetibili, applicando particolari procedimenti d’indagine a quei prodotti dell’attività umana che si contraddistinguono per il fatto di obbedire a connessioni sufficientemente costanti tra significati. I prodotti del fare o del pensare umano, scrive Buzzoni, “possono essere assunti, solo se sono frutto di un progetto, di uno scopo che potremmo fare nostro, se si vuole avere la consapevolezza della natura del proprio oggetto di indagine, e la comprensione rappresenta a rigore soltanto la condizione suprema della costituzione del campo delle scienze umane in quanto tali (…) non costituisce invece un oggetto o un metodo positivamente determinato della ricerca scientifica, che deve all’opposto occuparsi della sua controparte, cioè del fissarsi di questi progetti o scopi in connessioni stabili del pensare e dell’agire- ed in quest’ottica, continua l’autore – “Si potrebbe affermare che nel processo terapeutico si assiste ad un passaggio da un comportamento iniziale che non è né comprensibile né spiegabile ad un comportamento finale che è sia comprensibile sia spiegabile, precisando però che la possibilità di spiegazione /e di previsione) infine raggiunta è soltanto relativa all’esistenza di connessioni di significato che in linea di principio possono essere sospese nella loro validità (o più probabilmente modificate) appena saranno rese note al paziente, anche se di fatto possono continuare per lungo tempo ad esercitare la loro efficacia e consentire (anche allo stesso paziente) spiegazioni e previsioni concernenti i suoi comportamenti”.

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Sessualità e Amore in psicoanalisi

Psicanalisi : teoria della personalità

La psicoanalisi è una teoria della personalità, che spiega l’evoluzione e la crescita degli individui in base allo sviluppo psico sessuale. Questo viene  orientato dall’entrare in gioco progressivo delle diverse zone erogene, e al contestuale stabilirsi della relazione d’oggetto, o relazione oggettuale. Cioè la relazione che il soggetto stabilisce con i suoi “oggetti” così detti “d’amore”, nel corso di questi momenti evolutivi. (J.Bergeret, Psicologia Patologica).

La forza sessuale secondo Freud

Fu S. Freud , a mettere, prepotentemente, in evidenza la forza sessuale. Lo studioso spinse la cultura accademica del suo tempo a non ignorare alcuni fenomeni importanti della vita interiore. Evidenziando come una parte importante dei comportamenti umani sfugge al controllo razionale dell’individuo. Sulla base di questa teoria, che si è andata arricchendo di molti e diversi contributi da parte di altri psicoanalisti importanti, è fondata la tecnica della cura o terapia psicoanalitica. In verità, l’una e l’altra sono indissolubili. Nel senso che non si conosce il limite in cui l’una inizia e l’altra finisce. E che , proprio per questo, dal fondatore ai nostri giorni, diversi processi psicologici sono meglio compresi e diversi cambiamenti sono stati fatti in senso tecnico. Ma questo esula dai nostri interessi attuali, per cui accennerò solamente alla diversità Junghiana del concetto di personalità.

Quali cause dei comportamenti irrazionali?

Nel 1905 Freud pubblica “Tre saggi sulla sessualità” dove sostiene che, accanto all’attrazione fra i due sessi vi sono anche altre forme di attrazione che non vanno occultate. Piuttosto esaminate. La sessualità non si esaurisce nella funzione riproduttiva, essa esprime pulsioni verso il piacere. Pulsioni che sono  complesse e variamente articolate, a seconda dell’età.

Per quali ragioni certe pulsioni vengono respinte ?  Come mai certi ricordi sono a disposizione della coscienza ? Mentre altri possono essere, almeno in apparenza, sottratti ad essa e rimossi nell’inconscio?

Freud ritiene che la ragione sta nel fatto che si tratta di pulsioni e desideri in palese contrasto con i valori e le esigenze etiche proclamate e ritenute valide dall’individuo cosciente.

Quando avviene che c’è contrasto tra l’io cosciente ( i suoi valori e i suoi ideali) e certe pulsioni e certi desideri. E’  allora che entra in azione un meccanismo di “repressione”. Questa  strappa queste cose vergognose e indicibili alla coscienza e le colloca nell’inconscio al fine di non farle riaffiorare alla vita cosciente.

Queste cose vergognose e indicibili sono principalmente di natura sessuale.

Le pulsioni vitali “EROS” e “THANATOS”

Freud riconduce la vita dell’uomo ad una originaria libido. Cioè ad una energia connessa principalmente al desiderio sessuale. “Analoga alla fame in generale, la libido designa la forza con la quale si manifesta l’istinto sessuale. Come la fame designa la forza con la quale si manifesta l’assorbimento del nutrimento”.

Ma mentre la fame o la sete non sono peccaminosi e non vengono rimossi, le pulsioni sessuali vengono rimosse, per poi riaffiorare nei sogni e nelle nevrosi.

Egli scrive: “La prima scoperta alla quale ci conduce la psicoanalisi è che, regolarmente, i sintomi morbosi sono legati alla vita amorosa del malato. Questa scoperta ci obbliga a considerare i disturbi della vita sessuale come una delle cause più importanti della malattia”.

I malati non si rendono conto di questo, in quanto, essi sono costretti a subire e sopportare il pesante fardello delle menzogne con le quali nascondono le cose vergognose. Così la malattia, o meglio , io dico , il disagio, il malessere della malattia, prende il posto del malessere legato direttamente ai contenuti sessuali. Esempio lampante ed immediatamente comprensibile potrebbe essere il classico mal di testa in occasione del praticare di sesso indesiderato. Quello che si fa con una persona, con la quale, in quel momento , non si ha una relazione sintonica.

Nell’ultimo periodo della sua vita ed in antitesi con la prima parte della sua opera, Freud introdusse la nozione di “pulsione di vita”, che chiamò EROS, e la “pulsione di morte”, che definì THANATOS.

La “libido” per Freud e Jung

Inizialmente, quindi , Freud intendeva la libido come l’insieme delle energie vitali. Poi delimitò il riferimento del termine alle sole energie sessuali. Più avanti negli anni descrive la libido come una forza cieca e irrazionale, violenta e incoercibile come la fame; essa nonostante promuova l’incontro tra i sessi, è intimamente asociale, perché spinge l’individuo a ricercare il proprio piacere personale e ad investire cariche energetiche in obiettivi edonistici.

Jung, invece, concepisce la libido come un’energia psichica unitaria , omnicomprensiva, che riguarda molte attività durante l’arco della vita e i cui principi sono fortemente influenzati dagli archetipi. Scrive,infatti: “concepivo la libido come il corrispondente psichico dell’energia fisica, e quindi, più o meno, come un concetto quantitativo, che perciò non avrebbe dovuto essere definito in termini qualitativi … non intendevo più parlare di istinti di fame, aggressivi, sessuali, ma considerare tutti questi fenomeni come manifestazioni diverse dell’energia psichica”.

L’inconscio per Jung

L’inconscio non è, come per Freud, la zona o regione connotata dai contenuti inadeguati e da residui pulsionali obsoleti e conflittuali. Bensì è la fonte primaria, la madre dell’energie, è il luogo dove si svolgono i processi di trasformazione creativa ,che consentono all’individuo di trascendere i limiti del proprio IO ed arricchire la personalità di nuovi modi di essere idonei a fronteggiare le mutevoli esigenze della realtà.

Jung suggerisce di controllare tali forze e integrarle nella coscienza al fine di favorire il doloroso processo d’individuazione della personalità.

Egli scrive:“L’incontro con se stessi è una delle esperienze più sgradevoli alle quali si sfugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante. Chi è in condizione di vedere la propria ombra e di sopportare la conoscenza ha già assolto una piccola parte del compito. In assenza di una adeguata correlazione tra Io e Inconscio non è possibile una vera trasformazione, una crescita individuale e collettiva. L’Io scisso dalle sue radici Inconsce è incapace di autentici rinnovamenti.

Il centro della personalità

Il vero centro della personalità, la vera identità individuale , che Jung chiama il “Sé” si trova proprio là dove l’Io e l’Inconscio riescono ad unirsi, a stare insieme. E continua: “Una psicologia capace di soddisfare soltanto l’intelletto non è mai una psicologia pratica; l’anima nella sua totalità non può mai essere intesa soltanto con l’intelletto. Ci piaccia o no, il momento della visione universale s’impone, perché l’anima cerca un’espressione capace di coglierla in tutta la sua pienezza”.

Come per dire che la libido intesa come sessualità è solo un’ aspetto della vita degli individui e che l’individuazione della personalità è un processo anche di carattere collettivo o sociale.

Le tappe fondamentali dello sviluppo si possono ricondurre a le seguenti fasi o stadi : influenze pre-natali e/o perinatali

Stadio Pre-natale

L’importanza delle esperienze prenatali e la situazione che segue immediatamente la nascita viene evidenziata da P. Greenacre, secondo il quale queste contribuiscono a creare una predisposizione all’angoscia o pre-angoscia, diversa dall’angoscia successiva, in quanto manca di contenuto psicologico e opera a livello riflesso.

O. Rank, invece, sottolinea l’importanza della nascita, che descrive sotto forma di trauma. Infatti, l’afflusso iniziale di eccitazioni provenienti dal mondo esterno, al momento dell’uscita del bambino da un ambiente relativamente calmo e tranquillo, quale può essere l’utero materno, può sopraffarlo. Ogni situazione della nascita diventa il modello o prototipo di ogni angoscia ulteriore, che si esprime dunque all’origine in termini di separazione biologica dalla madre, ma in seguito si manifesta in maniera più psicologica e più simbolica. Ogni piacere avrebbe per scopo finale l’accesso al sentimento di soddisfazione pura e di originaria beatitudine intrauterina, e l’atto sessuale, che rappresenta l’unione simbolica con la madre, è il mezzo più soddisfacente per realizzare questo ritorno alla vita intrauterina.

Significa, in sostanza, venire in contatto con ciò che ci ha ferito e non fermarsi ai sentimenti che suscitano la ferita, riconoscere cioè di essere diventati adulti ed indipendenti.

Stadi pregenitali

Esaminiamo gli Stadi pregenitali. Essi non sono mai completamente delimitati e separati l’uno dall’altro, per cui ognuno passa gradualmente nell’altro e si accavallano.

Lo stadio orale

Lo stadio orale: fase d’organizzazione libidica che va dalla nascita allo svezzamento (1° anno di vita). In questa fase la sessualità inf. è indifferenziata e poco organizzata, diretta sulla zona erogena, la bocca e tutti i sensi ad essa collegati, e perciò è autoerotica.

L’oggetto originario del desiderio sessuale è il seno materno (oggetti parziali) o il suo sostituto. Il piacere sessuale sotteso, inizialmente mediato dalla funzione nutrizionale, dato dall’atto del poppare, si separerà dando piacere di per sé. La relazione è anoggettuale, manca ,cioè, il riconoscimento dell’oggetto da parte dell’Io come cosa differente da sé. L’oggetto in questo momento è parte del bambino e perciò, portando alla bocca tutto quanto lo interessa, egli lo confonde col suo piacere di essere: la paura principale in questo periodo è quella di essere mangiati. La relazione è Anaclitica, cioè il bambino si appoggia sulle persone che lo curano, subendo la dipendenza naturale che lo lega fisicamente alle persone che se ne prendono cura.

La scoperta dell’oggetto avviene poco a poco attraverso i momenti d’assenza dell’oggetto anaclitico ed il bambino incomincia a provare una sensazione nostalgica di qualcosa che può soddisfare i suoi bisogni, ma che al momento è assente (Fenichel). Imparerà poi a differenziare le sue impressioni e a stabilire fiducia negli oggetti conosciuti e amati. Comincerà a comunicare con la madre, in questo momento è molto importante la manipolazione corporea con il bambino. Egli stabilirà una relazione ambivalente, nel momento in cui comincerà a mordere (pulsioni sadiche), il desiderio di distruggere la madre si associa all’unione libidica con lei. Questo è il primo conflitto che minaccia la primitiva unità rassicurante con la madre e in cui la componente aggressiva occupa un posto preponderante.

Infine,lo svezzamento, cioè l’interruzione dell’allattamento (Lacan ne ha sottolineato la dimensione culturale e l’indissociabilità dalla maternità) provoca spesso un trauma quando esso è vissuto come una punizione in conseguenza dell’aggressione.

Lo stadio Anale

Lo stadio anale : Nel 2°, 3° anno le facoltà del camminare, parlare, pensare, controllare gli sfinteri si sviluppano e offrono al bambino una progressiva indipendenza dalla madre. La zona erogena parziale è la mucosa anorettale e tutta la mucosa della zona intestinale di escrezione. L’oggetto è la scibala fecale, intesa come parte del proprio corpo che egli può sia conservare all’interno, che espellere all’esterno , cosa che permetterà la distinzione tra oggetto interno ed oggetto esterno.

La paura anale tipica è essere brutalmente privato del contenuto del corpo, essere letteralmente svuotato. La scibala, o prodotto fecale, diventerà oggetto di scambio con gli adulti: regalo che si offre o si rifiuta.

La relazione oggettuale è sul modello delle relazioni avute con le sue materie fecali e in funzione dei conflitti suscitati dall’educazione alla pulizia. Questo periodo viene descritto bene da Abraham nelle sue componenti erotiche e aggressive, sadiche (Piacere autoerotico sadico se si espelle) e masochistiche (quando si trattiene).

Il bambino attraverso la conquista della disciplina sfinterica scoprirà la nozione della sua proprietà privata, del suo potere affettivo sulla madre che egli può compensare o frustrare a sua volta. Egli proverà un piacere nel controllare, padroneggiare, opponendosi alla madre, in breve a possedere, come succede con le sue materie fecali. L’atteggiamento contraddittorio del dare/avere rispetto alle feci rafforzerà l’atteggiamento ambivalente iniziato nella fase precedente verso gli oggetti amati (madre).

In questa fase origina la bisessualità, che Freud ha messo in evidenza, e si forma la coppia attività-passività, derivata dall’investimento libidico anale; partendo da questo poi il bambino è sensibilizzato, nella sua relazione con gli altri, alla percezione di tutta una serie di coppie antagoniste: buono-cattivo, bello-brutto, ma, soprattutto, la coppia grande–piccolo.

Il bambino di fronte all’adulto si sentirà di essere sia il più piccolo, sia il più grande sia il più forte, basta che egli immagini di essere un leone o un mostro. Quindi, l’apice della relazione d’amore è nella coppia soggiogare – essere soggiogati, dominare-essere dominati.

In questa fase il narcisismo è in primo piano: la conquista dell’indipendenza, soprattutto attraverso il camminare e il controllo sfinterico, la possibilità di opposizione e di contrattazione di fronte all’oggetto materno, il sentimento di onnipotenza e sopravvalutazione ne sono la manifestazione.

La relazione sessuale così caratterizzata è di tipo omosessuale, qualunque sia il sesso reale dell’oggetto, essendo la caratteristica genitale , per ora, accessoria.

Lo stadio fallico (dopo il 3° anno)

E’ il periodo, questo, in cui le pulsioni parziali precedenti si unificano sotto un certo primato degli organi genitali, ma non si tratta ancora di una genitalizzazione della libido. In questo periodo il bambino prende coscienza dell’organo genitale maschile. Compare la masturbazione infantile, il cui determinante occasionale è l’eccitazione naturale della minzione.

Il controllo dello sfintere vescicale maschile comporta fierezza narcisistica che sarebbe dovuta al fatto che i genitori fanno sì che il bimbo si vergogni al momento degli insuccessi di questo controllo.

La masturbazione primaria lascia tracce profonde e inconscie nella memoria e sembra che sia una delle cause principali della forte amnesia infantile, la quale è strettamente collegata all’attività repressiva dei genitori e alle fantasie, ai fantasmi sessuali propri di questa età, il più spesso di natura edipica, quindi angoscianti e colpevolizzanti.

In questa fase, tuttavia, il pene non è percepito come un organo genitale , ma come un organo di potenza o di completezza, cioè come un fallo. I bambini sono diventati capaci di distinguere i sessi, ma lo fanno solo in funzione di una realtà anatomica esterna e falsamente interpretata.

Si tratta della differenza non di un uomo o di una donna, ma della differenza tra la presenza e l’assenza di un solo termine. I due genitori saranno vissuti in funzione della loro potenza o della loro debolezza , simbolizzate da questo possesso o meno. Questo è lo stadio anche del diniego di questa differenza, che consisterà nel negare la castrazione narcisistica con la negazione del sesso femminile per il bambino, mentre per la bambina consiste nel negare la castrazione con la rivendicazione del fallo (narcisistica).

La reazione affettiva che segue alla constatazione dell’assenza del pene nella bambina, comporta nel maschietto la paura di perderlo, nella femmina il desiderio di averlo. Questa angoscia di incompletezza o di carenza determina l’angoscia di morte, contro la quale ci si difende con il fantasma di desiderio di avere un bambino ( una sorta di duplicazione di sé).

Quindi, il bambino sapendosi possessore di un pene lo superinveste, libidicamente (masturbazione), ma soprattutto in quanto simbolo della valorizzazione narcisistica di sé, contrassegnata dalle esigenze esibizionistiche di questo stadio. Si dice che Il bambino si identifica col suo pene.

Nella bambina la vagina viene ignorata e l’attività sessuale è clitoridea, dato che il passaggio dalla clitoride alla vagina, come zona erogena dominante avverrà quando si avvicina la pubertà. Scoprendo la mancanza del pene , dopo un periodo di disconoscimento e di speranza , si vede obbligata ad accettare abbastanza in fretta questa assenza.

Il complesso di Edipo

La bambina entrerà nell’Edipo assumendo in sé una ferita narcisistica profonda, che comporterà sentimenti di inferiorità sul piano corporeo e genitale, complicato e rafforzato da fattori socio culturali. Ella si difenderà dapprima rivendicando l’organo genitale perso (desiderio del pene), sperando di poterlo riacquistare; poi obbligata ad accettare la carenza non la perdonerà a sua madre , della quale diventerà gelosa, e si avvicinerà al padre, sperando di averlo da lui; il desiderio di avere un figlio dal padre si sostituirà al desiderio del pene.

Il complesso d’Edipo ha un ruolo fondamentale, un ruolo di organizzatore centrale nella struttura della personalità. Rappresenta l’asse di maggior riferimento della psicogenetica umana per gli psicoanalisti freudiani, qualsiasi sia la loro appartenenza ad una scuola particolare. Appare tra i 3 e i 5 anni d’età ed è un conflitto sessualmente specificato, giocato in una problematica a tre, i tre personaggi della famiglia : bambino, padre, madre e dà inizio alla genitalizzazione della libido.

Con la risoluzione del complesso di Edipo le scelte oggettuali, cioè il desiderio di possedere sessualmente un individuo, per esempio l’attrazione del maschio per la madre, sono sostituite da identificazioni, che vuol dire il desiderio di assomigliare a qualcuno, per es. il bambino che imita le caratteristiche del padre. L’energia liberata dall’Edipo in una considerevole quantità , generalmente, verrà investita nell’acquisizione di un assetto intellettuale, e pronta per essere più tardi diretta su altri oggetti (identificazione secondaria).

L’Edipo segna l’apice della sessualità infantile facendola pervenire alla genitalità, in cui c’è il primato della zona genitale, il superamento dell’autoerotismo e l’orientamento verso oggetti esterni, a seguito dell’avvenuta costituzione della realtà dell’oggetto, che si definisce come oggetto globale, intero e sessuato, sostituendosi all’oggetto parziale delle pulsioni pregenitali.

Quest’oggetto sessuale , in quanto edipico , è destinato a scomparire: la sua reviviscenza si attua normalmente con lo spostamento dell’immagine parentale su altri oggetti interi determinando la scelta dell’oggetto d’amore definitivo ( partner adulto).

La dissoluzione dell’Edipo lascia il posto a due istanze morali: l’Ideale dell’Io, avviene quando il bambino attribuisce poteri magici ai genitori , erede del narcisismo, ma ora per la prima volta l’idealizzazione riguarda il comportamento morale: fai questo, sii come tuo padre, pensa come lui; e il Super Io, erede dell’Edipo: non fare questo, non fare come tuo padre, sii come lui ma scegli un altro oggetto, rappresenta l’interiorizzazione di tutte le proibizioni passate e presenti, soprattutto riguardo alla pulsione sessuale.

Il bambino non si identifica col genitore reale, ma con quello idealizzato, puro, senza difetti, fedeli ai loro principi. Lo fa così bene che alla fine si identifica con il Super Io proprio dei genitori. Tutti abbiamo tratti dei due genitori nel proprio Super Io, ma come dice Fenichel, nelle nostre condizioni sociali è il Super Io paterno in generale più decisivo tra i sessi, in quanto fonte di maggiori frustrazioni sia per il maschietto che per la femminuccia.

Il periodo della latenza

In questo periodo (5-6 anni d’ètà fino alla pubertà) si assiste ad un arresto nello sviluppo sessuale , è tutto tranquillo, il bambino è impegnato in altri interessi che hanno più un carattere sociale, scuola, compagni di gioco ed altri oggetti del mondo reale. La desessualizzazione si accompagna all’instaurarsi delle relazioni oggettuali e i sentimenti: c’è una prevalenza della tenerezza sui desideri sessuali. Tuttavia, spesso, si tratta di un riposo solo apparente e in realtà la masturbazione,le tendenze edipiche e le regressioni pregenitali continuano in una certa misura. E’ un età particolarmente ricettiva a livello intellettuale, nella nostra civiltà è considerata l’ètà della ragione.

La pubertà

Si tratta in realtà di una crisi, così detta, dell’adolescenza, il cui inizio mette fine alla latenza. Il compito psicologico più importante è l’adattamento della personalità alle nuove condizioni prodotte dalle trasformazioni fisiche.

Prima di tutto , vi è una riviviscenza pulsionale forte, brutale a volte drammatica, poiché si riattivano in modo spropositato , sia le pulsioni sessuali sia quelle aggressive.

Lo sviluppo sessuale sembra riprendere esattamente al punto in cui era stato lasciato all’epoca della risoluzione del complesso edipico. Regolarmente si verifica un’intensificazione delle pulsioni edipiche. Associata a ciò si verifica una crisi narcisistica e identificatoria con particolari dubbi angosciosi sull’autenticità del sé, del corpo, del sesso. Si osservano spesso, anche al di fuori di ogni fattore o contesto psicotico, sentimenti di bizzarria e stranezze. Inquietitudini spesso molto vive si manifestano a proposito delle parti del corpo che si trasformano. Il maschio continuerà ad attribuire un valore narcisistico al pene; la femmina effettuerà un cambiamento di direzione con tendenza a trasferire l’interesse per gli organi genitali su tutto il corpo La pubertà rappresenta l’ultima occasione offerta all’adolescente di risolvere spontaneamente il conflitto edipico se non è stato risolto e le strutture psichiche (nevrotica, psicotica, stati limite) possono rientrare in gioco.

La pubertà propriamente detta definita dall’accesso alla maturità sessuale fisica è contrassegnata dal fatto che, da questo momento la libido si concentrerà specificatamente sui sentimenti, scopi e idee genitali. La masturbazione diventa un’attività espressiva delle tendenze genitali acquisite, essa si esprime come un bisogno nello stesso tempo molto forte ma condannato, sia da sé che dagli altri, che crea sentimenti di colpa intensa, benché si tratti nel nostro contesto socio culturale di un fenomeno normale. Ciò probabilmente accade per la reviviscenza dei problemi edipici non risolti e per i fantasmi masturbatori che l’accompagnano, che sono molto spesso di natura edipica.

La pubertà si considera superata, cioè la sessualità è insediata nella personalità, quando il soggetto è capace di avere un orgasmo completo (Fenichel).

Le relazioni oggettuali,nel periodo preadolescenziale, sono caratterizzate da un ritorno della libido verso gli oggetti d’amore dell’infanzia, i genitori, e la prima mansione dell’Io sarà proprio quella di abbandonare questa scelta parentale a tutti i costi: è la rivolta puberale contro i genitori, l’autorità e i suoi sostituti simbolici.

Questa lotta contro i vecchi investimenti libidici può portare sia al rigetto totale dei genitori, alla rottura a un modo di vita complementare diverso, sia al riassetto di un equilibrio con una tolleranza reciproca ,con un affetto condiviso. La soluzione di questo conflitto dipende , appunto, dalle modalità di risoluzione o di non risoluzione del conflitto edipico. La scelta di nuovi oggetti libidici avrà per l’adolescente un ruolo molto importante. Il più delle volte si tratta di attaccamenti compulsivi e transitori sia a persone della stessa età sia a persone più adulte, che rappresentano chiaramente sostituti di figure parentali.

Queste fissazioni amorose transitorie rappresentano non tanto delle relazioni oggettuali, ma piuttosto degli attaccamenti identificatori, infatti spessissimo vengono tanto rapidamente ed altrettanto rapidamente scompaiono. Molto spesso si verifica anche che i giovani si riuniscano in gruppi omosessuali per evitare la presenza eccitante dell’altro sesso , contemporaneamente per evitare di essere soli, e accade che quello che si cerca di allontanare ritorna nelle amicizie allacciate nella speranza di evitare relazioni sessuali oggettuali. Allora, si possono fare esperienze omosessuali tra adolescenti, ed è facile che accada, e non devono essere considerate forzatamente scelte definitive, ma testimonianza della solidità dell’identificazioni parentali, che l’adolescente cerca di risolvere e qualunque sia la scelta che farà, avrà in ogni caso risolto il suo problema d ‘identità, gruppo sociale d’appartenenza permettendo.

Il Caso Clinico di Mario

Mario è un ragazzo che compirà 13 anni a settembre. Ad ottobre 2003, è venuto da me , forzato dalla madre , una donna di 40 anni , madre anche di una ragazza di qualche anno in più rispetto a M.. Moglie felice di un uomo di anni 45, professionista, che però ha un lavoro , se pur ottimo, in una città del nord. Per questo motivo il padre di Mario  è fuori tutta la settimana e sta poco in casa per forza di cosa. E’ un uomo abbastanza ambizioso ed è molto legato alla famiglia. La madre di Mario è casalinga, mi ha dato l’impressione di una donna perfetta. Segue moltissimo i figli, è una donna curata, ha una casa grande perfettamente sistemata.

Il giorno del primo appuntamento nel mio studio

Il giorno del primo appuntamento lei era molto agitata, parlava affannosamente. Cercava di spiegarmi i problemi del figlio. Mario era molto chiuso. Anche fisicamente, si presentava ricurvo su sé stesso . Non voleva entrare nello studio. Diceva che sentiva soffocarsi, che la stanza gli girava attorno. E’  scappato fuori, e poi ha cominciato a fare dentro e fuori. Era molto agitato. Vedeva che la madre non lo seguiva e si preoccupava di controllare quello che mi diceva facendo dentro e fuori nella stanza.

La madre si lamentava del comportamento del figlio e non credeva a tutti i sintomi che il ragazzo lamentava. Mal di testa , mal di pancia. Aveva reazioni di rabbia eccessiva se spostavano gli oggetti di casa. Non sopportava le luci. Dimostrava paure eccessive , del tipo non era in grado di andare da una stanza all’altra da solo e di accendere le luci. Presentava tremolii ed una grande confusione. La madre era arrabbiata per questo comportamento del figlio, soprattutto perché fino al mese di giugno, si era comportato normalmente. Era un ragazzino normale. In casa nessuno si spiega questo cambiamento. La signora riferisce che Mario  si comporta così da quando ha dovuto fare una risonanza magnetica. Questa era stata fatta  proprio per accertare alcuni dei disturbi prima menzionati, di cui non si capiva l’origine. D’allora tutto era precipitato e c’era stato un peggioramento continuo. Io ascolto ed osservo quanto succede per capire cosa stesse esprimendo tutta quella situazione.

Il mio colloquio con Mario

A quel punto mi viene istintivo rassicurare il ragazzo, dicendogli che io credevo alla sua sofferenza. Contestualmente cerco di evidenziare alla madre, che in quel momento anche lei era chiaramente sofferente. Perché io avrei dovuto credere a lei e non al ragazzo? Mi sembravano molto simili!

Il ragazzo accetta di parlare con me e via via mi racconterà le sue cose , anche se con molta difficoltà!

I vari colloqui cominceremo a farli in macchina. Sono io che esco dallo studio e vado nell’auto dove è lui. Parleremo anche solo per pochi minuti, fino a quanto lui ce la fa. Riusciamo a creare un rapporto di fiducia.

Lui entrerà nello studio successivamente mi racconterà tutte le sue paure. Nel frattempo cerco di creare delle cose in comuni tra noi. Per es. ”il tifo” per la Roma, l’amore per i cani, e cose simili. Lui mi chiamerà la mia amica Flori. Ci scambieremo il numero  di cellulare., e mi chiamerà a volte per raccontarmi delle cose.

Mario mi racconta le sue paure

Mi parla di come si è sentito solo quella volta della risonanza magnetica, al buio. Si era sentito soffocare, della paura della morte. Mi parla della paura di saltare il muretto a di salire su di una scala per saltare. Cose che tutti i suoi amici di scuola fanno. Dell’imbarazzo che prova quando lo prendono in giro per questo.

Mi racconta del suo stare male a scuola, dove non viene creduto neanche dalle insegnanti, che non capiscono e si lamentano del suo comportamento!

Io l’aiuto , faccio colloqui con i genitori per far comprendere loro la natura del problema di Mario  ed anche con le insegnanti e tutti hanno dimostrato di poterlo sostenere.

I genitori hanno accettato che Mario  rimanesse a casa rischiando di essere bocciato. E le insegnanti promettendo di aiutarlo in questo anno  scolastico.

Così Mario  non va più a scuola, sta in casa tutto il giorno, gioca con il game boy, guarda la tv oppure gioca col pallone fuori nel grande giardino che è intorno alla casa!

Le insegnanti sono andate a trovarlo con la classe, a volte dei ragazzi vanno a trovarlo. Sta molto insieme al padre il fine settimana , il quale gli insegna a saltare il muretto!

Mario migliora ma ….

Migliora moltissimo, le paure scompaiono , anche i dolori scompaiono: uno ne resta non vuole più uscire di casa , nemmeno per venire alla terapia.

Mi telefona, mi dice che vorrebbe, ma poi non ci riesce, torna la confusione e il male di tutto! Io aspetto, gli dico che non fa nulla , io ho pazienza , gli do tempo anche se incomincio ad intuire che sta succedendo qualcosa.

Un giorno il padre mi chiama per telefono e si lamenta del comportamento del figlio. Nonostante sappia anche che se lui non viene in terapia questa viene pagata ugualmente, si sente preso in giro dal figlio. Questi a suo dire  promette di venire e poi dice di stare male e all’ultimo momento non viene. Soprattutto , si lamenta perché a volte il figlio sembra migliorato, invece peggiora. Infatti ora vuole dormire sempre nel letto matrimoniale e manda via sua moglie,. Lui è ben felice di passare il tempo col figlio, ma vorrebbe dormire con la moglie.

… Si rifiuta di venire

La madre viene in una delle ultime sedute al posto del figlio dicendo ”così almeno posso pagarle il mese”. Riprendendo lo stesso filo del marito. Aprendo la borsa tira fuori il game boy del figlio e mi racconta quello che era successo tra loro.

Siccome lui si rifiutava di venire, lei gli ha preso il gioco dicendogli che l’avrebbe venduto per pagare le sedute a cui lui mancava. Mario  ha reagito con una forte crisi di pianto. Ma lei non ha ceduto. Mi racconta anche lei del peggioramento di Mario  in quanto era tornato a dormire nel letto matrimoniale ed è veramente arrabbiata per il fatto che la manda a dormire nel suo lettino e lui resta col padre.

Non c’è verso per farlo tornare al suo letto. Anzi la cosa peggiora se lei dà un bacio al marito! In questa seduta, viene fuori che lei ha sofferto molto per la nascita di Mario  in quanto l’avevano fatta aspettare per molto tempo con il bambino che aveva già la testolina quasi fuori. E  che poi il bambino aveva il cordone ombelicale attorno al collo. Per fortuna è stato aiutato bene a nascere, ma ha sofferto molto , anche lui.

Vado a “vedere” a casa di Mario

Tutte queste cose mi avevano creato una sensazione nuova. Del resto anch’io pensavo per mio conto al perché Mario  non ce la faceva più a venire. Ma mi cercava ! Allora ho pensato di andare io da lui. Parlando di questo mio dubbio ad un collega mi suggerì di andare a casa sua. “Vai a casa sua , forse vuole farti vedere qualcosa!” Ed io l’ho fatto.  Ed ho visto!

Mario  mi ha accolto con gioia. La sua casa era molto accogliente ed era ancora più bella in quella giornata di sole in mezzo al verde della Valle Roveto.

Gli dico di fermarci a parlare in giardino, per questo, ma lui vuole farmi entrare in casa, nell’enorme perfetta cucina della mamma!

Mario vuole mostrarmi il suo ambiente

In quell’attimo ho pensato che voleva farmi vedere proprio quello. L’ambiente in cui lui si era rifugiato.

Mi è tornato in mente in quel momento il pensiero che avevo fatto la prima volta avendolo visto e la cosa mi aveva intenerito.  “Ha il viso di una bambina! Con queste guance piene e lisce e la boccuccia a cuoricino!“. Questo avevo pensato, eppure guardandolo bene ora sembrava di no.

Gli chiedo cosa succede. Gli racconto quello che i genitori mi hanno detto. Gli chiedo cosa volesse fare nel mandare via la madre dal letto? E cosa voleva dire quel suo stare dapprima in casa, nel regno di lei, e poi prendendo il suo posto nel letto accanto al padre.

Se questo aveva a che fare con il malessere scolastico e delle prese in giro dei suoi amici. Forse era una femminuccia se non riusciva a scavalcare il muretto? Questo voleva dire prendere il posto di mamma? Mario  è molto partecipe in questo colloquio e si deprime perché , appoggia la testa sul tavolino. Voleva evitare tutto questo. Lui vorrebbe essere come papà ma sente di non potersi staccare da mamma, anche se a volte la odia.

Per esempio quando lei gli racconta bugie e l’aveva fatto il giorno prima, prendendogli il game boy e dicendo di venderlo per pagare le sedute. Quando è tornata a casa lui ha notato che la borsa della madre era rigonfia, l’ha aperta e il suo gioco era ancora lì!

Mario vuole essere come il papà

Gli chiedo cosa avesse voluto fare la madre in quel modo. Lui dice che il game boy è il suo gioco preferito, e forse voleva obbligarlo in quel modo a venire alla terapia così lei non aveva più pensieri! Così stai meglio e torni fuori a giocare? E lei si libera di te?

Era questo quello che è successo quella volta facendo entrando nel tubo o buco nero della risonanza magnetica? Ma vale la pena di essere lei per non perderla? E prendere il suo posto nel letto di papà?

Lui risponde che vuole essere come papà. Allora gli propongo di chiarire bene questi suoi pensieri strani , che lo fanno sentire diverso dai suoi amici, e pauroso come una femminuccia e su quest’accordo ci siamo dati il solito appuntamento per il lunedì. Ed io ho fiducia che verrà.

Partendo dalla base sicura il bambino può iniziare a muovere i primi passi lontano dalla mamma e cominciare ad esplorare il mondo esterno e a stimolare lo sviluppo delle funzioni cognitive, certo di poter tornare in qualsiasi momento dalla mamma stessa.

Ora ci possiamo chiedere: quale sarà il destino di questo ragazzo? Come si svilupperà o meglio definirà la sua identità : in senso maschile? O in senso femminile? In ogni caso : cosa lo renderà felice? l’indirizzo sessuale affermato o il suo benessere psicofisico? ?

A cura di Floriana de Michele

Psicologa Psicoterapeuta Avezzano

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