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Perfezionismo patologico : cosa è e da cosa ha origine.

Perfezionismo Patologico e Nevrotico

Siamo onesti, è chiaro che nella nostra esperienza di vita abbiamo incontrato quelle deliziosissime persone che hanno bisogno che le cose vengano fatte in un certo modo, a modo loro che poi è l’ unico accettabile.

Quelle che fanno impazzire perchè sono cosi maledettamente perfezionisti che perdiamo la pazienza!

A volte sono persone vicine a noi e facciamo di questa caratteristica un motivo di spasso perchè rende il nostro amico di turno così particolare.

Vi dico una cosa c’è tutto un mondo dietro a certi comportamenti. Lo volete conoscere?

Avete presente il clichè delle persone che vanno in terapia e la madre ha sempre tutte le colpe dei disturbi? Fa ridere no!? Beh, è vero.

Ma prima di correre da vostra madre ad urlarle che vi ha rovinato la vita, finite di leggere, andiamo con ordine.

Se vi riconoscerete nella persona che descriverò, o se conoscete qualcuno così, oggi vi mostrerò quel mondo che si cela dietro il volere a tutti costi pulire precisamente l’ angolino più remoto della cucina fino a farlo brillare di luce propria!

Cause e sintomi del Perfezionismo Patologico

Intanto, chi è il perfezionista patologico ? Quali i sintomi del perfezionismo nevrotico , quali le cause ?

Cominciamo col dire che in questa sede mica voglio dire che fare le cose per benino non vada bene, anzi!

Un piccolo tratto di perfezionismo nell’eseguire compiti e performance va più che bene.

Il perfezionismo diventa controproducente , e quindi perfezionismo patologico, quando il soggetto in questione entra in un loop di aspettative molto elevate (troppo) con conseguente distima di sè e depressione.

Torniamo alle madri. Che c’entrano?

Dovete sapere che ognuno di noi è stato cresciuto in un certo modo, in un certo ambiente familiare ed è stato trattato in un determinato modo.

Questo modo è tracciabile in stili genitoriali determinati e ogni stile genitoriale crea un adulto nevrotico in modi diversi! (ci sono anche i genitori bravissimi che non ci creano problemi da adulti).

Non ci credete?

Prendiamo in esame il nostro amico super preciso.

A seconda di come la mamma (e il papà) lo hanno amato, educato e trattato, egli è cresciuto ricalcando quello che gli addetti ai lavori chiamano sistema di attaccamento.

La qualità di queste interazioni porta al formarsi dei nostri modelli operativi interni, che sono sia il nostro modo di percepirci, vederci, pensarci, sia ciò che ci aspettiamo dagli altri, o come gli altri dovrebbero trattarci (si, anche la scelta del partner è influenzata da questo!)

Esistono diversi tipi di attaccamento che sviluppiamo a seconda di altrettanti stili genitoriali e sono:

  • Attaccamento sicuro
  • Attaccamento ansioso
  • Attaccamento evitante
  • Attaccamento ambivalente
  • Attaccamento disorganizzato

L’ambiente familiare del Perfezionista patologico

Intanto ci tengo a precisare che non spiegherò tutti gli stili che ho elencato (leggi questo se vuoi approfondire l’argomento), ma soltanto quello che riguarda il nostro amico super preciso e quindi un’attivazione del sistema di attaccamento insicuro e in particolare quello ambivalente.

I genitori del mal capitato sono verbalmente ipercritici, non esprimono affetto.

Ipoattivi sul piano motorio espressivo, i comportamenti d questi genitori sono antitetici spesso e ambivalenti, e questo crea una spaccatura anche nel modo in cui il bambino percepisce se stesso (ad esempio sarà a-mimico mentre parla d’amore e di emozioni!) la percezione di un senso di sè AMBIVALENTE si traduce in comportamenti che oscillano tra tutto o nulla, ogni squilibrio dal proprio bisogno di certezza assoluta, viene esperito come una PERDITA TOTALE DI CONTROLLO, questo crea ANSIA e bisogno di controllare “tutto”.

Tutto chiaro? La patologia si traduce in vari modi, per poter controllare o pensare di controllare ciò che chiameremo pensieri intrusivi, l’ossessivo (perchè è questa la degenerazione del perfezionismo nevrotico) metterà a punto una serie di comportamenti o rituali che gli daranno la sensazione di poter controllare i pensieri ossessivi.

Se l’argomento vi interessa e volete saperne di più io vi consiglio dei film che parlano proprio del disturbo ossessivo compulsivo, allora prendete nota!

“The Aviator”, con Leonardo di Caprio che interpreta Howard Hughes, regista vissuto nei primi anni del 900 affetto da questa patologia, e “Qualcosa è cambiato” con Jack Nicholson. Buona visione!

E se pensate di essere perfezionista patologico , fate un test ! Sono a vostra disposizione ? !

Non è il dubbio, è la certezza che fa diventare pazzi (Musil).

Bibliografia

J. Bowlby (1907-1990) Teoria dell’attaccamento: — Tipi Sicuro, Insicuro Evitante, Insicuro Coercitivo/Ambivalente. — Modelli operativi Interni

Ainsworth, M. D. S. (1978) Strange situation Main, M. Allieva di Mary Ainsworth, Marie Main sviluppa il Berkeley Adult Attachement nel 1982, individuando un quarto tipo di Attaccamento Disorganizzato

Ainsworth et al. (1971, 1978,1985), Main, Kaplan, Cassidy (1985), Sroufe (1985)

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: La psicologia dell’ansia (dal Seminario ad Avezzano, 25 maggio 2005).

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Gelosia e tradimento in psicoanalisi

Gelosia e tradimento

Quando ho deciso di approfondire il tema del tradimento e della gelosia mi sono trovata in una seria difficoltà perché pensavo alle storie dei miei pazienti. Al motivo per cui si erano rivolti a me e avevano scelto di fare una psicoterapia. Ebbene nel tempo ho trovato rari casi in cui effettivamente loro soffrissero per questo! Ripensando meglio, ho dovuto prendere atto che ognuno di loro aveva avuto a che fare con tale problematica perché qualunque sia stata la causa della loro sofferenza o disagio, sempre avevano dovuto confrontarsi con le loro storie d’amore e principalmente con il loro modello comportamentale del vissuto d’amore. Che tipo di relazione avevano in mente? Come avevano appreso ad amare e da chi? Cosa cercassero e volessero realizzare nel loro incontro d’amore? Tutto ciò li ha messi nella necessità di ripetere ancora una volta l’esperienza , secondo il noto meccanismo della “coazione a ripetere” (O. Rank). L’esperienza di un nuovo rapporto affettivo, attraverso il rapporto terapeutico, che li ha condotti o li sta conducendo al chiarimento e alla ricostruzione del vero rapporto d’amore, quello originario.

Caso Clinico : La storia di Elena

Voglio, allora, cominciare a raccontarvi subito di Elena.

La ragazza venne da me per volere della madre, una bella signora poco più che quarantenne all’epoca. Soffriva di attacchi di panico per i quali si era curata con farmaci, purtroppo, senza risolvere nulla. La donna preoccupatissima per la figlia diciannovenne che, da qualche mese aveva sviluppato una sindrome panica, proprio come la sua. Non voleva assolutamente che la ragazza, sua unica figlia alla quale aveva dedicato la sua esistenza, soffrisse come lei già faceva da tempo. La donna, infatti, aveva ridotto notevolmente la sua indipendenza in quanto, ormai, gli attacchi di panico quasi non la facevano più uscire di casa se non accompagnata da qualcuno. In verità, la donna è rimasta incinta di Elena a circa 20 anni. Quindi si è sposata, ha partorito, ma, aveva  un rapporto negativo col padre autoritario e una madre apparentemente passiva verso il padre. Ha vissuto dedicandosi completamente alla famiglia. Il marito, suo coetaneo, nel frattempo, è diventato un professionista molto impegnato e spesso assente da casa per il lavoro. Il quale trova sempre il tempo per andare dalla madre per la quale dimostra un forte attaccamento.

Il primo colloquio psicoterapeutico

Il primo colloquio lo ebbi con la coppia genitoriale e quando conobbi Elena lei semplicemente si affidò: d’allora la terapia procede molto bene.

Ho scelto di parlarvi di questa storia perché spero di riuscire a dimostrarvi  le varie fasi di crescita della ragazza, che ormai è una giovane donna. Voglio mostrare come il diventare adulti significhi passare da una storia d’amore all’altra, assimilando i processi affettivi elaborati a livello cognitivo nella terapia e accomodandoli, come direbbe J. Piaget, nella realtà affettiva ed ambientale. Insomma ricostruendo l’ affettività, definendo la personalità, chiarendo l’ identità.

Le Fasi  di sviluppo di Elena

Sulle varie sfaccettature che la gelosia può assumere e del rapporto con le teorie psicoanalitiche freudiane vi invito a leggere l’articolo.

E’ tipico dello sviluppo psicofisico che nella fase puberale ed adolescenziale i ragazzi sperimentino nelle relazioni affettivo-sessuali con i pari la propria identità. Perciò una delle loro maggiori preoccupazioni consiste proprio nel volersi trovare un partner, cominciando così l’eterna prova. Sostituire l’amore di mamma e poi quello di papà con l’amore di una persona uguale o pari a sè.

Freud insegna che nella fase adolescenziale si ripete a livello psicologico ciò che si è strutturato a livello Edipico. Affermando addirittura che, se in questa fase di sviluppo la struttura Edipica risulta fragile e non tiene alla forza pulsionale dell’età puberale, ci sarà la formazione della nevrosi.

I sintomi di soffocamento

Elena mi raccontò dei suoi sintomi di soffocamento. Sentiva la gola stringersi e il fiato mancare fino ad avere una folle paura di rimanere soffocata. Ciò le accadeva, soprattutto, la notte dopo essersi messa a letto e in altri momenti di difficoltà. Per es. aveva preso la patente di guida ed aveva un’auto tutta sua, ma non riusciva a guidare. Durante la giornata se pensava che avrebbe dovuto trasferirsi all’Aquila per studiare, essendosi iscritta all’Università, si sentiva soffocare. Soffocante era diventato anche il rapporto con il suo ragazzo di sempre, col quale stava insieme dalla terza media. Lui era sempre lì, non la lasciava mai, dovevano fare tutte le cose insieme. Elena per questo aveva interrotto il rapporto con lui, ma aveva paura di non farcela a stare sola e cedere alle sue insistenze per tornare insieme.

La simbiosi con il compagno di scuola

La ragazza aveva stabilito un rapporto di dipendenza simbiotica con il suo compagno di scuola. Questo   iniziato in una fase in cui il cambiamento è fisiologico (terza media, pubertà), quando cioè il bisogno d’indipendenza spinge i ragazzi a fare da sé e a criticare, se è possibile, il modello familiare. Un rapporto che l’ha accompagnata fino alla fase fisiologica del cambiamento (ingresso all’università o meglio alla giovinezza). Che l’ha poi  introdotta nella vita adulta.

La fase di maturità

Elena è ora alle prese con la sua coscienza e con il suo senso di responsabilità, purtroppo non ce la fa ed inizia la sua sofferenza, ma perché? Elena racconta come il ragazzo la accusasse di essersi sicuramente innamorata di qualcun altro. Non crede assolutamente al bisogno di lei di voler stare sola, anzi insisteva nel dirle che se solo lei lo ammetteva lui poteva rassegnarsi. Elena si sentiva molto in colpa per la forte sofferenza che questo ragazzo provava. Si domandava se fosse il caso di dirgli quello che lui voleva sentirsi dire, cioè che lei era innamorata di un altro. In fondo lei doveva essere proprio cattiva nel rifiutare il grande amore che lui le dimostrava, infatti era molto geloso. La colpa era sua se lui soffriva cosi! Tuttavia, pur essendo trattata da traditrice si sentiva veramente tradita da lui. Elena, infatti, non riusciva a credere che lui, al quale aveva svelato i segreti della sua famiglia, lui che sapeva quanto lei soffrisse per quelle cose, potesse considerarla una bugiarda. Lui era la sola persona fidata con la quale ha sostituito la fiducia della madre. E per questo Elena non potendo più confidarsi totalmente con sua madre si sentiva molto sola e vuota. Fu così che cominciò la notte a svegliarsi senza fiato!

L’affezione nostalgica dell’Io

Margaret Mahler, nei suoi studi sui processi di separazione ed individuazione in relazione ai disturbi di personalità parla dello struggimento per l’assenza dell’oggetto amato e il desiderio di riaverlo. La studiosa nota che tale affetto manca nei bambini che hanno vissuto una fase simbiotica troppo prolungata o disturbata con la madre. La Malher definisce questa condizione “affezione nostalgica dell’Io” (1971,409). Questi soggetti crescono senza la capacità di provare desiderio e quindi senza speranza, senza una capacità di progettare il proprio futuro. Al contrario si immergono in un’apatia , sviluppano un senso di solitudine che nel tempo può portare alla disperazione.

La comparsa della “solitudine”

La solitudine è un affetto il cui contenuto mentale deriva non solo dalla mancanza di qualcosa considerata perduta , ma anche la speranza di riaverlo. Anna Freud, nel suo scritto “Perdersi ed esser persi” (in Solitudine e Nostalgia, AA.VV. Boringhieri 2002) dice: “il vissuto della solitudine si lega sempre a quello della perdita, in un mancato raggiungimento di una soddisfacente rielaborazione del lutto. Che il lutto sia effettivo non ha importanza. Il bambino lo percepisce come tale e, attraverso lo smarrimento, egli simula sia il proprio vissuto di abbandono (identificandosi con l’oggetto smarrito) che il sentimento della perdita (identificandosi con il genitore che lo abbandona negligentemente).”

Il processo di separazione è naturale ed essenziale nel bambino che come tutti ormai sappiamo, è l’unico organismo vivente che nasce, ovvero, si separa dal corpo materno in modo traumatico, mentre è fisicamente immaturo, per cui necessita di cure continue e protratte da parte della madre biologica o dei suoi sostituti. Il bambino, però, passa gran parte del tempo della prima e della seconda infanzia solo con se stesso, in una condizione di tranquillo benessere. Questa solitudine fornisce lo spazio e il tempo necessario per individuarsi come persona imparando ad apprezzare la capacità di stare solo creando il presupposto del buon rapporto con se stessi e il mondo esterno.

La capacità di tollerare la solitudine

Lo spazio solitario, infatti, generalmente abitato da fantasmi che possono rappresentare un felice rapporto fusionale. Oppure un rapporto insoddisfacente e terrificante. Esso fa superare la fase simbiotica del rapporto e introduce nella fase di individuazione-separazione, dove ci si rende conto dell’assenza della madre e si sviluppa un atteggiamento di fiduciosa attesa , di conforto.

La tensione che accompagna questa esperienza si trasforma in desiderio, il desiderio nella fiducia della soddisfazione e la soddisfazione nella capacità di tollerare la frustrazione. La capacità di tollerare la solitudine sicuramente è proporzionata alla capacità di sentire la mancanza di qualcuno, di ricordarlo, di sperare che torni e di provare dolore per la sua assenza .

Harry Stack Sullivan nello scritto “L’esperienza della solitudine” (in Solitudine e Nostalgia, AA.VV., 20-22, Boringhieri 2002) afferma : “La solitudine – e con ciò si intenda quell’esperienza così terribile da sfuggire in pratica a un chiaro ricordo – è un fenomeno che di solito si incontra solo a partire dalla preadolescenza”. Sullivan spiega come l’esperienza della solitudine si costruisce dal fondamentale bisogno di contatto e di tenerezza fino al periodo della fanciullezza. In questo momento, tramite un processo di “validazione consensuale”, cioè tramite l’accordo su ciò che è reale, inteso come il risultato dal consenso dell’altro e i ricordi fantasmatici del soggetto, il bisogno del contatto diventa il vissuto di solitudine, lo stimolo alla partecipazione delle attività della vita adulta e alla ricerca degli altri.

L’amico intimo di Elena allontana la solitudine dell’adolescenza.

Torniamo ad Elena seguendo sempre le parole di Sullivan: “Nella preadolescenza troviamo la componente finale di questa esperienza, veramente terribile, della solitudine: il bisogno di scambi intimi con un proprio simile, che possiamo chiamare o identificare come amico, amico intimo o prediletto; il bisogno, insomma, del genere più intimo di scambio, in relazione alle soddisfazioni e alla sicurezza”. Elena nel suo giovane partner aveva trovato dunque “l’amico intimo” col quale soddisfare una relazione affettiva che la mettesse al riparo dal senso di solitudine e che le permettesse di riempire quel vuoto lasciato dalla separazione o meglio dalla rottura della simbiosi con la madre, è la realizzazione della notte, ” luogo per eccellenza identificato con il silenzio, con il vuoto e con la morte”, che “anima inevitabilmente nell’individuo un terrore atavico, conosciuto come horror vacui” (orrore del vuoto) A. Carotenuto ( op. cit.).

La terapia rinsalda la psiche e colma il senso di solitudine.

La gelosia del ragazzo che le impedisce di andare via è la forza dell’attrazione o legame che non la fa stare sola con la sua paura, almeno fino a che non ha iniziato la terapia.

Il racconto di Elena continua e via via che il rapporto terapeutico diventa sicuro anche lei diventa più forte, si distacca totalmente dal ragazzo, rivela alla terapia il segreto precedentemente condiviso solo col suo ex, anche se ha ancora paura di distruggere la sua famiglia. Proprio nel periodo in cui si era fidanzata col suo ex aveva scoperto nel cellulare del padre un messaggi d’amore rivolti e ricevuti da una donna diversa dalla madre. Il padre ad un certo punto blocca l’accesso al suo telefono, intuendo che la figlia potesse scoprire qualcosa e lei non può più leggere i messaggi, ma questo le conferma il suo atteggiamento traditore, anche se lei non dirà mai nulla al padre.

Lei non sa cosa fare, il suo amico l’aiuta a mantenere il segreto del tradimento del padre perché con lui può parlare dei problemi familiari, ma da quel momento le cose cominciano a cambiare la sua realtà interiore e i suoi sentimenti. Elena protegge sua madre dalla conoscenza del tradimento del padre affinchè non senta il dolore della ferita che la separazione ha già fatto sentire a lei.

Inizia ad osservare il comportamento del padre controllando tutti i suoi comportamenti per fare in modo che la madre non scoprisse cose. Questa situazione però la fa sentire in colpa: anche lei tradisce la madre ed è complice del padre che così può continuare a tradirla. Elena non sa più che fare. Sta molto male ormai. E’ il Panico!

Comincia una fase di critica silenziosa del padre e una difesa convinta della madre. In tutta la scena descritta si sta ancora ripetendo il vecchio copione della costruzione dell’amore attraverso l’apprendimento che i modelli genitoriali trasmettono; la storia affettiva di Elena è la stessa della madre e del padre. Elena vive un amore non autentico, si sacrifica per la madre e per il padre, è imprigionata dai sensi di colpa. Il suo sacrificio è però anche un modo per nascondere il suo egoismo per non sentire la colpa e per mantenere un potere sull’oggetto d’amore (la madre).

La terapia rinforza l’autostima a superare il senso di colpa.

La terapia, rafforzando la stima di sé, le permette di diventare sempre più coraggiosa e più reattiva verso il padre che inizia a sfidare con comportamenti di ribellione.

Il senso di colpa, cioè la colpa nevrotica, quella che non fa muovere, che paralizza e intimorisce, scaturisce da un Super-io rigido e oppressivo, è radicato e si ripete inconsciamente. Il senso di colpa è differente dalla colpa reale che, invece, scaturisce dal Sé e la riconosce come tale, in quanto ostacola la sua realizzazione, per cui vuole liberarsene. Il Sé spinge a ri-vivere le fasi del bambino e a superarle per diventare adulti, ma ogni passaggio è vissuto come una “morte” perciò puntualmente si vuole rifiutare, ma anche questo è una colpa perché così si disprezza l’amore per se stessi.

Altre volte il senso di colpa viene fatto vivere dai genitori, che non favoriscono, anzi impediscono al figlio di separarsi, facendogli vivere la sua libertà o autonomia come colpa. In questo caso, si proietta il Super-io ovvero il genitore interno sui figli, ai quali viene fatto recitare il ruolo della figura sostitutiva genitoriale con conseguente ribaltamento dei rispettivi ruoli: non è più la paura del genitore, ma la paura dei figli che abbandonano e giudicano. E’ necessario che i genitori siano capaci di badare a loro stessi così che i figli possano imparare a farlo. Come dice C.G.Jung (1929) i genitori devono farlo per Sé, cercare la felicità per Sé, sacrificarsi per Sé, torturarsi per Sé e devono farlo” qui e ora “, avere il coraggio di compiere la propria vita e non correre il rischio di lasciare : ”meno che nulla ai figli, soltanto un cattivo esempio”.

La vita mancata dei genitori equivale ad un vero e proprio tradimento per i figli stessi, che così non riescono ad imparare ad amare in maniera autentica.

Il cambiamento di Elena

Ritorniamo nuovamente ad Elena. Sta cambiando molto, riesce a relazionarsi in modo realistico, difendendo i suoi bisogni-diritti, con le ragazze coinquiline della casa universitaria, dalle quali subiva molto, iniziando un confronto serrato, superando la sua timidezza e riuscendo a far valere gradualmente le sue ragioni nella difficile convivenza.

Contemporaneamente s’innamora appassionatamente di un ragazzo un po’ più grande di lei, che frequenta poco perché lui ha un lavoro in una città del nord, col quale, però, non riesce ad approfondire il rapporto essendo lui un po’ troppo indipendente. Elena non si sente al sicuro con lui, non è pronta ad avere un rapporto alla pari: è gelosa, comincia a soffrire molto per questo, fino al punto di rifiutarsi di frequentarlo perché non tollera la paura di essere tradita.

Inizia un balletto di allontanamento e avvicinamento continuo anche se solo a livello ideativo; lei penserà continuamente: mi vuole, non mi vuole, mi ha guardato, mi ha parlato, ha parlato alle mie amiche, ma senza mai avere un contatto fisico con lui. Gelosia e paura tradimento. Vive ossessivamente la fase dell’avvicinamento e dell’allontanamento. Sviluppa una forte gelosia alla base della quale c’è il bisogno del possesso che serve a combattere la solitudine e la tristezza depressiva che ne consegue.

La persona gelosa è colei che teme la perdita, che ha difficoltà a ri-vivere la separazione, a ri-nascere: è colei che controlla e opprime, che passa, ad un certo momento, da un rapporto di dipendenza a due, nel quale l’innamorato ha riposto nelle mani di una sola persona il proprio valore e il senso stesso della propria vita, ad un rapporto a tre.

L’ingresso del Rivale contrassegna la rivelazione non solo del tradimento e della perdita dell’amore, ma anche della propria nullità.

La manifestazione della gelosia.

Perché la gelosia si manifesti, dunque, c’è bisogno di una struttura triangolare i cui protagonisti sono: il soggetto geloso, tradito nella sua fiducia, vulnerabile, isolato, ferito a morte in ogni relazione umana, ossessionato, fragile e furioso come se il fatto fosse realmente accaduto; l’oggetto amato, di cui si teme o si accerta il tradimento. Figura ambigua percepito a volte come freddo persecutore, insensibile, crudele, derisorio, altre volte come persona amata, che torna ad essere quella nota e familiare. Se in un certo momento si crede di conoscerlo e si ama in un altro momento, quello tormentoso della gelosia, diventa un volto estraneo, sconosciuto, pericoloso; infine, l’oggetto del tradimento, il rivale, che umilia il soggetto innamorato e geloso, che non potrà mai sentirsi alla sua altezza, che fa percepire come crudele l’oggetto amato col suo improvviso voltafaccia.

La gelosia, però, è un sentimento generalmente normale consistente in una reazione naturale utile alla stabilità della coppia e alla conservazione della specie, è dimostrata anche nel comportamento animale. Essa diventa un problema quando è eccessiva, si trasforma in una patologia che può essere inquadrata in tre grandi gruppi distinti in base alle caratteristiche formali delle idee di gelosia.

La gelosia ossessiva tra normalità e patologia.

La Gelosia Ossessiva in cui le tematiche di gelosia hanno caratteristiche che possono rientrare in quelle che il DSM-IV ha indicato per il Disturbo Ossessivo Compulsivo; l’ idea fissa dell’ infedeltà del partner si manifesta con il dubbio lacerante che non si riesce ad eliminare. Chi ne soffre è alla ricerca incessante di segnali e di prove che possano confermarlo o smentirlo. I gelosi ossessivi riconoscono l’infondatezza dei loro sospetti, arrivano anche a vergognarsene, ma il dubbio malgrado loro li trascina e sommerge nel tormento. Il partner è sottoposto a martellanti interrogatori e a minuziosi controlli sulla castità dei suoi comportamenti alla ricerca di attività sessuali illecite. Il soggetto geloso soffre il fatto di provare tali sentimenti e ancora di più di dove ubbidire in modo incondizionato alle conseguenti condotte comportamentali. Certe volte è incomprensibile come il partner accetti per anni tutto la pesante situazione, suggerendo come nello sviluppo di simili patologie il partner sia corresponsabile e la coppia risulta per ovi motivi disturbata.

La Sindrome di Mairet in cui le tematiche di gelosia hanno le caratteristiche formali delle idee prevalenti; chi ne è affetto vive in un clima pervaso di vissuti di gelosia non solo di tipo amorosa, tanto è vero che se ne parla anche come «Iperestesia Gelosa». Il quadro clinico di confine tra normalità e patologia è caratterizzato da idee di gelosia in gran quantità e perciò occupano gran parte del campo esperenziale della persona costituendo a volte un vero e proprio doloroso stile di vita a causa della loro persistenza. Diventano cioè compagne insostituibili di ogni relazione umana significativa, soprattutto se sentimentale. Le tematiche di gelosia assumono la struttura formale di idee prevalenti, e spingono fortemente ad agiti frequentemente sentiti, dal contesto socio-culturale, come abnormi e patologici.

La gelosia delirante o sindrome di Otello.

La Gelosia Delirante o Disturbo Delirante di tipo Geloso secondo il DSM IV, detta anche «Sindrome di Otello», nella quale la persona è convinta dell’infedeltà del partner trovando conferme del tradimento dappertutto. Il soggetto in questo caso cerca di ottenere la confessione del partner in tutti i modi. Il suo comportamento è teso a far ammettere all’altro la colpa. La continua richiesta, a volte subdola, a volte tramite ricatti o ricorrendo di confessioni assillanti, alla coercizione e alla violenza fisica, altre volte con l’arma del ricatto dell’ammissione del tradimento viene presentata sempre come la risoluzione magica per la fine dei tormenti e dei dubbi che ne conseguono. Il partner accusato, nella speranza di porre fine ad una situazione insostenibile, può cedere ed ammettere un inesistente tradimento. Il delirante avendo avuto finalmente la conferma delle sue certezze, intensifica la sua aggressività e tenta di far ammettere ulteriori infedeltà . Si costruisce, così, un circolo vizioso che può arrivare ad atti violenti nei confronti del partner.

I soggetti appartenenti a queste tipologie di gelosia patologica difficilmente arrivano in terapia proprio della loro incapacità di vivere il rapporto dovuto ad un deficit dell’empatia, cioè della capacità di mettersi nei panni dell’altro ed intuirne i bisogni .

La gelosia cede alla nevrosi

La strategia affettiva sviluppata da Elena per superare il dolore dell’amore tormentato dalla sua gelosia è di carattere ancora nevrotico. Essa consiste consiste nell’ accettare di fidanzarsi con un altro ragazzo. Questo  secondo il noto meccanismo del “chiodo schiaccia chiodo”. Ma ciò determina il tipo di partner che sceglie. E che tipo di partner si sceglie in casi come questo? Guarda caso, un tipo gelosissimo, che rasenta la persecuzione, tanto è vero che ancora dopo un anno di separazione la spia, la segue nonostante l’intervento della madre presso i genitori di lui.

Ecco che chi è troppo geloso finisce con il tradire. Sembra prendere forma l’idea che i traditori sono anche gelosi. Anzi che la gelosia porta proprio al tradimento. Val la pena di esaminare la psicologia di come la gelosia ossessiva porti al tradimento. E direi di più come anche il tradimento possa portare alla gelosia.

Tradimento in simbiosi con gelosia

Siamo, dunque, al punto. Tradimento e gelosia, gelosia e tradimento il circolo vizioso di due sentimenti, che diventano forme di comportamento per le persone malate di mal d’amore. Persone che come dice un proverbio dalle mie parti sono “ gelose e dannatare ”. Persone che hanno un grandissimo bisogno d’amore, persone dipendenti dall’amore, che soffrono di una specie d’ingordigia orale e che spesso associano al mal d’amore anche altri comportamenti tipici della dipendenza. Mangiano troppo, bevono troppo, fumano come ciminiere oppure rifiutano ostinatamente tutto, vomitano insomma. Questo tipo di amore soffoca, strumentalizza, distrugge il Sé. La persona rimane intrappolata nella sua onnipotenza narcisistica perché non riesce a distinguere l’amore di sé e l’amore per l’altro. Non da spazio alla libertà e alla differenziazione. Se l’altro si rifiuta di essere usato come un oggetto, crea inevitabilmente una frustrazione intollerabile e la necessità di affermare il proprio potere tramite un’ aggressività comportamentale finalizzata al calo della tensione interna e alla punizione dell’altro evitante, sfuggente.

Il rapporto con Mario

Il rapporto di Elena con quest’ultimo ragazzo, che chiamerò Mario, sarà caratterizzato dai frequenti litigi a causa del comportamento di lui. La ha  picchiata, isolata dagli amici, svalutata e continuamente offesa con parole bruttissime in ogni occasione. Elena per ben 2 anni è stata fidanzata con Mario. All’inizio del loro rapporto lui era pieno d’attenzioni, conosceva bene lo stato d’animo di lei rispetto al precedente ragazzo e faceva di tutto per farglielo dimenticare. Elena sembrava lasciarsi coinvolgere sempre di più ed aveva smesso di pensare all’altro. Voleva però continuare a studiare, ad uscire normalmente con Mario e con le amiche. Non voleva avere un rapporto d’amore troppo tradizionale e chiuso. Riteneva di non essere pronta a coinvolgere le famiglie. Tutto questo scatenò la folle gelosia di Mario. Lui  cominciò a rimproverarle di essere sempre innamorata dell’altro. Non credeva assolutamente che lei potesse innamorarsi davvero di lui.

La  rabbia, il rancore, la vendetta

Elena prese a reagire con molta rabbia e con un forte desiderio di vendetta. Era consapevole della pericolosità di quel rapporto. Ma lei voleva assolutamente rendere Mario inoffensivo, voleva dominarlo e costringerlo ad accettare la sua libertà. Come lui aveva la sua, voleva avere il suo stesso potere di decidere e voleva vincere assolutamente questa battaglia! Di questo rapporto ne parlava al padre desiderando la sua protezione. Invece il padre in qualche modo giustificava sempre i comportamenti aggressivi di Mario e rimproverava la figlia di essere troppo ostinata a fare quello che diceva lei. Insomma le rimproverava la sua ribellione al padre stesso. Nello stesso tempo, la madre con il suo atteggiamento passivo, confermava la posizione del padre contro il riconoscimento della posizione e l’affermazione della ragazza come donna.

La depressione seguente alla rabbia distruttiva è riparazione

I sentimenti di rabbia, rancore, vendetta e le fantasie distruttive di Elena ne ricordano l’origine. Quella della fase schizzo paranoide che secondo M. Klein caratterizzano il rapporto con l’oggetto parziale. Fa pensare a come sia significativo il livello di regressione di Elena. Eppure è necessario ripercorrerla se si vuole riconquistare l’oggetto intero e ritornare alla fase depressiva. Il sentimento di colpa provocherà un angoscia depressiva che permetterà la riparazione dell’oggetto distrutto dall’odio e dalla rabbia . Ciò attraverso i sentimenti di protezione e di amore e finalmente si poterà riconoscere nella madre donna.

Elena cominciò a paragonare Mario al padre. Farla pagare a Mario significava farla pagare al padre, perché lei non era certo scema come sua madre, lei avrebbe dimostrato di essere migliore e più forte!

Il rapporto con Mario tra vendetta e masochismo

Elena sognò di essere nel salone di casa con sua madre quando dalla porta del bagno esce il padre che, pur indossando l’accappatoio, lasciava intravedere la sua nudità di maschio. E quando lei gli disse che doveva coprirsi, dalla porta della camera matrimoniale venne fuori un grande fascio di luce. Questo come nei film di fantascienza, sbatteva il padre da una parete all’altra del salone, per fortuna venne la nonna materna che aprendo la porta principale della casa lo salvò.

Elena col progredire della terapia si rende conto bene di quell’ aspetto vendicativo, masochistico nel voler conservare il rapporto con Mario. Comincia a guardarsi attorno alla ricerca di un nuovo sostituto che però questa volta non trova pur essendo una bella ragazza ed essendo molto corteggiata. Quando lascia Mario è sola ed è capace di fare una cosa che pensava fosse impossibile.

Tradimento è ingannare ma anche rivelare

Tradire vuol dire travisare, ingannare, falsare, ma anche svelare, far conoscere, palesare. Questi due significati antitetici rappresentano anche l’ambivalenza e l’indecisione che ogni traditore vive.

“Cosa significa essere traditi dal proprio padre? E per un padre, per un uomo, che cosa significa tradire qualcuno che si fida di lui? James Hillman se lo chiede nel suo scritto “ Puer Aeternus” (Adelphi, 1999) e trova una risposta nell’immagine archetipica dell’Eden che si riproduce nella vita individuale di ogni bambino e ogni genitore. Dove si vive una situazione di fiducia originale, fino alla comparsa nel Giardino dell’Eden di Eva. Adamo si fida di Dio come il bambino si fida di papà. “Dio e Papà incarnano l’imago paterna: affidabile, salda, stabile, giusta, quella “ Roccia dei Tempi” la cui parola è vincolante”.

L’ immagine paterna è Il Logos, l’immutabile potenza e sacralità della parola maschile, che esprime la sicurezza attraverso la promessa, il patto, la parola. E’ una sicurezza maschile, simile a quella materna, ma fondata sulla parola invece che sulla carne. Dice Hillman: ” Il bisogno di sicurezza può bensì riflettere il bisogno di cure materne. Ma nel contesto paterno all’interno del quale ci stiamo muovendo   è bisogno di intimità con Dio, come sapevano Adamo, Abramo, Mosè e i patriarchi”

Il tradimento della fiducia per fame di conoscenza

Si ritorna nel Giardino attraverso l’esperienza dei rapporti di intimità. Per es. l’amore, l’amicizia, o il rapporto analitico, nei quali viene ricostruita una situazione di fiducia originaria denominata da Hillman “tèmenos” cioè recinto sacro, vaso analitico, simbiosi madre-figlio. Allora il ritorno nell’unità originaria del Logos, dove “io e il Padre siamo una cosa sola, senza interferenza di Anima è tipica del Puer Aeternus. Colui che sta dietro a tutti gli atteggiamenti adolescenziali”. La realtà interna, la coscienza o Anima, come viene chiamata dalla psicologia junghiana, è rappresentata dalla forza vitale di Eva. Questa  spinge ( il serpente) al tradimento della fiducia verso Dio per fame di conoscenza (la mela). La rottura della promessa ovvero della fiducia rappresenta “un’irruzione della vita nel mondo sicuro del Logos, dove si può contare sull’ordine di tutte le cose e il passato si fa garante del futuro”. E’ una breccia verso un altro livello di coscienza e di conoscenza. Fiducia e tradimento, tradimento e perdono, sono il contenuto reciproco dell’uno verso l’altro.

Il tradimento svilisce l’amore

Il tradimento è un esperienza sempre dolorosa, alla quale si può reagire con vendetta. “Occhio per occhio, male per male, dolore per dolore”, non conduce a niente di nuovo è solo un abberrazione della tensione. Oppure con un atto di negazione col quale si cerca di annullare una realtà che provoca il dolore. O anche  col cinismo, ma  questa reazione è immatura perché provoca spesso nella persona tradita un cambiamento di atteggiamento. Atteggiamento  che non solo nega il valore della persona o di quel rapporto particolare, ma fa dire che l’amore è sempre una fregatura. E che  ogni forma di idealismo è una fregatura perché tutto diventa rifiuto. Infine, si può reagire col tradimento di sé ed è la cosa più grave poiché si arriva ad una sorta di alienazione di se stessi. Non si trova più il coraggio di essere e di vivere, ci si annulla, ci si lascia vivere.

La pretesa della fedeltà assoluta

Infine, c’è la scelta paranoide, in cui si pretenderà con l’esercizio del potere la fedeltà assoluta ed è senz’altro la più grave. Ma si può uscire dalla sofferenza del tradimento col “formarsi di una posizione paterna più solida, dove colui che è stato tradito potrà a sua volta tradire in modo meno inconscio. Questo  significa, da parte di un uomo, avere integrato la propria natura inaffidabile. L’integrazione definitiva dell’esperienza del tradimento può sfociare nel perdono da parte del tradito. Nell’espiazione da parte del traditore e in una forma di riconciliazione. Non necessariamente dell’uno verso l’altro, ma di ciascuno dei due con l’evento del tradimento” (op. cit). Per cui tale esperienza, come scrive J. Hillman, è solo uno stadio dello sviluppo dell’Anima.

La guarigione di Elena tramite la terapia psicoanalitica

Il sogno di Elena è la rappresentazione che viene costruendo nel corso della terapia del suo cammino verso l’individuazione o differenziazione dalle figure genitoriale. Attraverso la terapia (la nonna materna salvifica), contro l’immobilità della madre e il narcisismo del padre che esibisce la sua nudità ( l’inaffidabilità) di cui ora lei ha piena consapevolezza e vuole contrastare, liberandosene a sua volta.

Il rapporto di Elena con la madre ed il padre

Si vede qui come proprio nel momento in cui la ragazza prende atto del tradimento del padre, quello affettivo verso di lei, comincia anche a proiettarsi alla vita cercando una soluzione ai suoi problemi. Anche il rapporto con la madre cambia. Questo porterà la madre dapprima ad approfittare della forza interiore che Elena ha sviluppato. Fino a ricattare lei stessa il marito, pretendendo da lui il controllo sulla figlia. Una figlia  che stava diventando troppo indipendente e la lasciava sola quando lui non era a casa. In questo modo la donna richiamava l’uomo agli obblighi, apparentemente, di padre, in realtà, del marito. Il loro rapporto affettivo infatti, era pressoché inesistente e ciò era abbastanza visibile a tutti già a prima vista.

Il padre bell’uomo che tradisce la madre dimessa

Lui si presentava come un uomo bello, prestante fisicamente, begli abiti e bell’automobile. Lei bella donna, ma dimessa, un po’ trascurata fisicamente senza interessi al di fuori della casa e della famiglia. La donna appoggiandosi ai cambiamenti della figlia, cambia lei stessa e scopre il tradimento del marito. Ciò è possibile  semplicemente perché è lei ora ad essere più attenta ai comportamenti di lui. Finalmente, mettendosi in gioco nel rapporto, ricominciano a confrontarsi su un piano più concreto ed affettivamente più evoluto.

Gli attacchi di panico di Elena sono scomparsi

Gli attacchi di panico di Elena da tempo sono scomparsi ed attualmente non è innamorata di nessuno anche se lo desidera tanto. Nel frattempo ha rifiutato il corteggiamento di diversi ragazzi interessati solo alla sua bellezza fisica e che molto sbrigativamente la invitano “a prendere un caffè” o “ a cena con la speranza del dopo cena”, per usare le sue stesse parole. Ha ancora qualche difficoltà perché teme di non riuscire a trovare un partner che la scelga per tutte le sue qualità, ma di una cosa è sicura. Pensa che saprà riconoscerlo dal modo in cui lui l’approccerà e la corteggerà.

Elena fa un sogno

La scorsa settimana Elena racconta questo sogno.  “Stavo vivendo nel periodo in cui c’era il cambio di un era geologica e si dovevano estinguere i dinosauri. Un grosso dinosauro stava dietro casa che non so come fa ma si trasforma in una tigre che si accovaccia sul tappeto che sta sulla porta e si affaccia alla porta di casa. Riesco a rientrare in casa dove c’erano mamma e papà e chiedo a loro.

“Mamma , papà c’è una tigre , urla Elena”!

Come facciamo, c’è la tigre che questa notte può entrare! Il padre le risponde di non preoccuparsi perché non entrerà. La tigre invece entra e il padre cerca di combatterla con un manico di scopa e quindi non ci riesce. Lei allora ha aperto una porta e cercava di mettersi in salvo dalla nonna materna, ma la tigre con una zampa le impediva di chiudere la porta poi, però, la situazione si calma. Lei esce di nuovo e la tigre sdraiata sul tappeto è diventata come il suo gatto. Ma poi scompare e sul tappeto lascia scritta una parola di cui la prima lettera è la V, purtroppo non riesce a leggere la parola intera perché la madre la sveglia proprio in quel momento. Le chiedo cosa potesse essere quella parola e lei di getto dice: VITA , VITTORIA.

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Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS)

Il mio interesse per il Disturbo Post Traumatico da Stress

Lʼinteresse per il disturbo post traumatico da stress  è nato in me dalla necessità personale di organizzare il servizio di Psicologia dellʼ Emergenza. Era  il 6 aprile 2009, durante il terremoto dellʼ Aquila. Ero presso lʼospedale pubblico di Avezzano e di Sulmona,  per conto della asl, allʼepoca Avezzano-Sulmona-Castel di Sangro, e dellʼOPA. Attualmente, l’interesse è mantenuto vivo dal mio lavoro di psicologa clinica presso la casa di reclusione di Sulmona. Sono anche  di perito tecnico per il tribunale penale e civile di Avezzano. Negli ultimi anni si discute molto delle gravi conseguenze traumatiche, sia sulla strutturazione della personalità, sia sullo sviluppo psicopatologico, sia sulla psico-biologia, per esempio nello studio dei processi della memoria e della coscienza.

La psicologia dell’Emergenza

Si parla dello stress e dei disturbi post traumatici ad esso collegati e ciò è derivato dallʼattenzione riservata alla dimensione psicologica e relazionale posta alle situazioni di crisi. In questo campo, infatti, le conoscenze acquisite, da moltissimo tempo ormai, dalla psicologia, sono diventate altamente operative e organizzate nella specializzazione della Psicologia dellʼ Emergenza. Il Disturbo Post traumatico da Stress è lʼunica malattia psichiatrica in cui il fattore causale, cioè il trauma, appare nei criteri diagnostici del DSM. Questo accade  proprio perchè derivante dallo sviluppo della psicologia applicata agli eventi dolorosi dellʼumanità, pertanto è utile ricordare brevemente la storia di tale concetto.

Origini del termine “Disturbo Post Traumatico da Stress”

Nel 1892, Oppenheim, coniò il termine di “nevrosi post traumatica”. Questo concetto   fu ripreso da Kraepelin nel suo Trattato di Psichiatria del 1896 introducendo lʼentità clinica della “nevrosi da spavento”. Fu, però, Simmel che definì la psicogenesi delle “nevrosi da guerra” alla fine della prima guerra mondiale. Le guerre mondiali, infatti, fecero balzare prepotentemente lʼattenzione della clinica sul trauma. La causa fu data dalla vastità numerica dei casi, derivati soprattutto dal cambiamento delle tecniche di combattimento.

Lo shock da granata

Si passò  dagli scontri di fanteria o cavalleria alle tecniche della guerra in trincea, con le estenuanti attese sotto il pericolo dei bombardamenti per mesi. Ciò creava disagi psichici più gravi e nuovi, tanto che i soldati, colti da tali sintomi venivano trattati da disertori. Inizialmente si parlò di “shock da granata”, ma poi si notò che anche i soldati non esposti a queste esplosioni manifestavano sintomi analoghi. Freud mise in evidenza il ruolo patogeno del trauma nellʼambito della teoria psicoanalitica.  Ebbe inizio proprio come teoria del trauma, dallʼelaborazione del concetto di “trauma” e di “nevrosi traumatica”.

Il “Trauma” per Freud: seduzione sessuale infantile

Nella prima teoria psicoanalitica il trauma rappresenta una reazione ad un trauma reale ed ha a che fare con le “sensibilità individuali”.  Vale a dire con lʼintrapsichico. Secondo questa teoria detta “teoria della seduzione” la causa dellʼisteria è da ricercarsi in una seduzione sessuale subita da parte di un adulto durante lʼinfanzia. Il  ricordo rimosso non è elaborato psicologicamente. Scrive Freud:” contenuto del ricordo è, di solito, o il trauma psichico che, per la sua intensità, era atto a provocare lʼinsorgere dellʼisteria nel malato. Oppure lʼevento che, per essere occorso in un determinato momento si è trasformato in trauma”. (Dagli Studi sullʼisteria del 1892-95, scritti con Breuer).

La pulsione di morte e la nevrosi da guerra

Successivamente, le conseguenze disastrose del conflitto mondiale riattivò in lui lʼinteresse per le nevrosi traumatiche. Egli  affermò che la “nevrosi da guerra” “sarebbe sganciata da legami con il passato infantile e interamente dipendente da un trauma esterno capace di sommergere e disorganizzare lʼIo”. La pulsione di morte diventa il fondamento del conflitto psichico e consiste in una forza oppositiva, che separa. La  sede è interna al corpo e si orienta innanzitutto verso l’interno, senza essere immediatamente percepita come distruttiva (la Negazione). La sua funzione principale di dividere si manifesta attraverso i meccanismi psichici della tendenza a ripetersi (coazione a ripetere), la regressione e la fissazione. Nel 1926, in “Inibizione, sintomo e angoscia”, il concetto di trauma acquista la sua forma definitiva di “situazione traumatica”. Questa è in rapporto all’angoscia, che dà contemporaneamente ragione dell’interazione di situazioni interne ed esterne. Nonchè del carattere interstrutturale di tutte le situazioni traumatiche.

Le esperienze di  perdita ed impotenza

In questo scritto le situazioni traumatiche sono legate principalmente a delle esperienze di perdita. Perdita  della madre, dell’affetto e dell’amore della madre, dell’amore degli oggetti, dell’amore del Super-Io , esperienze che mettono l’individuo in uno stato di impotenza psichica e fisica davanti l’inondazione di stimoli di origine interna ed esterna. La situazione traumatica fondamentale è quella dell’impotenza a cui tutte le altre fanno seguito. ”Chiamiamo traumatica una simile situazione vissuta di impotenza”.

La situazione di pericolo

Abbiamo allora un buon motivo per distinguere la situazione traumatica dalla situazione di pericolo. La situazione di pericolo è la situazione riconosciuta, ricordata, attesa, d’impotenza. L’angoscia è la reazione originaria all’impotenza vissuta nel trauma, reazione la quale, in seguito, è riprodotta nella situazione di pericolo come segnale di allarme. L’Io, che ha vissuto passivamente il trauma, ripete ora attivamente una riproduzione attenuata dello stesso, nella speranza di poterne orientare autonomamente lo sviluppo”.

Gli effetti del trauma

Effetti positivi

…Gli effetti del trauma sono di due tipi: positivi e negativi. I primi (positivi) sono sforzi di rimettere in vigore il trauma, cioè di ricordare l’esperienza dimenticati. O meglio ancora di renderla reale, di viverne di nuovo una ripetizione. Oppure, anche se si trattava solo di una relazione affettiva da lungo tempo trascorsa, di farla rivivere in una relazione analoga con un’altra persona. Questi sforzi vengono catalogati insieme come fissazioni al trauma e coazione a ripetere” .

Effetti negativi

Gli effetti negativi sono invece quelli che fanno si che il trauma non sia né ricordato né ripetuto. Sono le così dette reazioni di difesa, le quali concorrono più di ogni altra cosa alla determinazione del carattere. Fondamentalmente sono fissazioni al trauma, proprio come il loro opposto. Solo che sono fissazioni con un intento contrastante, sono le elusioni, che possono accrescersi fino a diventare delle inibizioni e delle fobie.

I sintomi della nevrosi

I sintomi della nevrosi in senso stretto sono formazioni di compromesso tra queste due tendenze del trauma. Bleuler, nella sua classificazione delle malattie mentali, fu il primo ad introdurre come categoria diagnostica distinta. “Le reazioni psicologiche” definite anche come “disturbi psicoreattivi o psicogeni”.

Negli Stati Uniti, nello stesso periodo, si diffondeva lʼapproccio psicobiologico di Meyer, secondo il quale i disturbi mentali derivavano dallʼinterazione tra fattori psicologici, sociali e biologici. Egli introdusse un metodo, la “psychobiological life history”, per indagare adeguatamente le relazioni tra esperienza di vita e manifestazioni psicopatologiche.

Reazione ad eventi e situazioni stressanti

Tra il 1940/50, Jaspers e Schneider, sottolinearono lʼimportanza della “reazione ad eventi a situazioni stressanti” quale possibile causa di manifestazioni psicopatologiche. Le loro osservazioni hanno costituito le basi per la comprensione del ruolo degli eventi stressanti nella patologia psichiatrica e per lʼattuale inquadramento dei disturbi correlati a stressor. Il sanguinoso conflitto vietnamita, combattuto tra il 1960 (data di costituzione del Fronte di Liberazione Nazionale filo-comunista FLN) e il 30 aprile 1975 (caduta di Saigon), infine, focalizzò lʼattenzione della psichiatria statunitense sui devastanti effetti della guerra sulla salute mentale dei reduci americani. Si iniziò a parlare, proprio a questo punto, di DPTS (Figley,1978).

Disturbo Post Traumatico da Stress nel DSM

Gli studi cognitivistici di Horowitz contribuirono enormemente allʼevoluzione scientifica della patologia. Dal 1980, con il termine Disturbo Post traumatico da Stress (DPTS) essa è stata proposta dallʼAmerican Psychiatric Association. Al momento della stesura del DSM-III (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder), per indicare tutti i quadri patologici successivi allʼesposizione a traumi, shock, eventi e situazioni non usuali, che erano seguiti da una sofferenza psichica protratta. Successivamente inserita nella versione del DSM III R, DSM IV(1994) e IV TR(2002), nellʼ ICD 10(Diagnostic Criteria for Research) dellʼOMS(1992). Con la definizione di DPTS, i curatori del DSM-III, dunque, affermano lʼesistenza di una patologia psichica che insorge in individui sani a seguito di un evento traumatizzante. Si va così a colmare una lacuna nel panorama diagnostico e ad individuare lʼesistenza di un disturbo cronico, che può insorgere come processo adattivo in seguito a gravi traumi, in individui senza alcuna predisposizione, introducendo una novità assoluta nellʼambito della psichiatria medica.

Manifestazione e diagnosi del DPTS

In generale le persone si confrontano con eventi altamente stressanti direttamente o indirettamente, che possono rappresentare veri e propri traumi e ciò può lasciare ferite che, sembra, nella maggior parte dei casi, si rimarginano, ma allʼincirca nel 5%-10% dei casi si manifesta il DPTS. Esso, certamente, non è lʼunica conseguenza dellʼesposizione al trauma, al contrario, restano segni indelebili che possono cronicizzarsi, compromettendo la normale funzionalità dellʼindividuo. La diagnosi di DPTS, apparentemente facile da farsi, in realtà è molto complicata poichè i criteri che la caratterizzano subiscono continue modificazioni, a seconda del significato che acquisisce nel tempo il concetto di trauma.

Quando si parla di trauma ci si riferisce generalmente ad un evento della vita del soggetto caratterizzato dallʼintensità del suo impatto. Inoltre dallʼincapacità del soggetto a rispondervi adeguatamente. Dalla viva agitazione e dagli affetti patogeni durevoli che esso provoca nellʼorganizzazione psichica del soggetto stesso. In termini economici, il trauma è caratterizzato da un afflusso di eccitazioni eccessivo rispetto alla tolleranza del soggetto. Nonché  alla sua capacità di dominarlo e di elaborarlo psichicamente ( Laplanche e Pontalis,1981). Gli aspetti soggettivi ed individuali del trauma permettono di comprendere meglio il potenziale patologico soggettivo dellʼevento. Questo  perchè spesso i sintomi di un DPTS possono comparire anche in seguito “a situazioni naturalmente presenti nella vita umana, quali malattie o lutti, nel corso delle quali la percezione soggettiva può diventare traumatizzante” ( March J.S.,1993).

Cronicizzazione del Disturbo Post Traumatico da Stress

Ci sono, conseguentemente, diverse possibilità di reagire al trauma e diversi esiti post traumatici. Il soggetto, infatti, ha insite in sè delle vulnerabilità che lo predispongono al tipo di impatto che lʼevento traumatico avrà su di sè.  Più intenso, scioccante e grave sarà il fattore scatenante, più la persona vivrà sensazioni di impotenza, di terrore, dʼangoscia. Più è probabile che si sviluppino stati psicopatologici. Se allʼevento traumatico sopraggiungono anche altre condizioni sfavorevoli il quadro psichico del soggetto può aggravarsi ulteriormente. Predisponendo allʼinsorgenza e alla cronicizzazione del DPTS.

Fattori aggravanti del DPTS

Esaminiamo quelli che sono considerati fattori aggravanti. Le caratteristiche dellʼevento traumatico in sè, ad esempio il prolungamento dellʼesposizione al trauma. La sua gravità, la sua presenza in concomitanza di altri problemi personali. Le caratteristiche della persona colpita dal trauma, ad esempio la struttura della personalità, il pessimismo, la bassa autostima, una difficile storia personale. La presenza di perdite precoci, condizioni di salute negative e basse risorse cognitive. I fattori ambientali, ad esempio la scarsa presenza di risorse amicali, di possibilità di ricorrere a supporti professionali adeguati per il trattamento immediato dei sintomi più acuti.

La reazione al DPTS e la resilienza

La persona può reagire agli eventi critici in molteplici modi. Con reazioni di tolleranza, mantenendo lʼautocontrollo, la lucidità e lʼadeguatezza dei comportamenti e delle reazioni emotive. In questi casi, lʼapparato psichico del soggetto ha sostenuto lʼimpatto con lʼevento e non ha riportato particolari danni. Tuttavia, può accadere che alcune persone, con il trascorrere dei giorni possono sviluppare reazioni inadeguate ovviamente collegate allʼevento. Lʼesito favorevole è rappresentato dalla resilienza, cioè la capacità di riprendere la ripresa dello sviluppo dopo la lacerazione traumatica e nonostante la presenza di circostanze avverse. La resilienza non solo è una capacità innata nellʼessere umano, ma si sviluppa in relazione allʼambiente, in un contesto di fattori che contempla la persona, la famiglia, le strutture socio-educative, la comunità e i valori che una società esprime.

Manifestazione del Disturbo Post Traumatico da Stress

Grazie alla società lʼevento traumatico può trasformarsi in motore di un possibile cambiamento. Trasformando lʼesperienza dolorosa in apprendimento e mantenendo la capacità di conservare un certo grado di integrità e salute psicofisica di fronte agli stress e ai traumi. La sua azione positiva, secondo A.Oliviero Ferraris (2003): ”è paragonabile ad una reazione psicologica efficace simile a quella messa in atto fisicamente da parte del sistema immunitario quando il corpo combatte e sconfigge un attacco infettivo”. Ma si possono avere Reazioni iperemotive, anche a carattere dissociativo.

Reazioni psichiche e psicosomatiche

In questo caso, la maggior parte delle persone coinvolte presentano massicce manifestazioni psichiche e psicosomatiche. Ad esempio shock, ansia, depressione, smarrimento, stupore, incredulità, comportamenti automatici, tremori, palpitazioni, nausea. Queste reazioni insorgono immediatamente dopo lʼevento e condizionano fortemente la persona anche nei giorni successivi. Il loro decorso comporta solitamente il graduale dissolvimento della sintomatologia.

Reazioni psicopatologiche

A volte, invece,si assiste ala persistenza della sintomatologia e alla comparsa di veri e propri stati psicopatologici. Ad esempio DPTS, ASD (disturbo acuto da stress), Disturbi dellʼadattamento, Depressione maggiore, Disturbo dʼansia generalizzato, Disturbo dʼattacco di panico, Abuso di sostanze, Disturbi del sonno, Disturbi da somatizzazione, Comportamenti violenti in famiglia, Suicidio.

Caso Clinico: Esame psichico di Maria

Il caso clinico che presenterò questa volta è tratto da una perizia psicologica che ho eseguito, come CTP. Avevo il compito di  provare lʼesistenza del danno biologico psichico in una donna. Questa  a seguito della morte per incidente da lavoro del fratello, per cui riporto direttamente alcuni estratti dalla perizia: “ESAME PSICHICO: DESCRIZIONE CLINICA DELLʼEVENTO STRESSANTE”

Un giorno del 1999 il Sig. Giovanni, fratello della sig.ra Maria (nome di fantasia associato a persone realmente esistenti), muore a seguito di incidente su lavoro, travolto e schiacciato da un muro in calcestruzzo, posizionato a terra, senza armatura ed ancoraggi, su una piattaforma costituita da grosse pietre e calcestruzzo.

Anamnesi Psichica e socio-relazionale di Maria

Relazioni Familiari

Maria ha 55 anni, ha sempre vissuto in una piccolissima frazione del Comune di Balsorano. Attualmente vive con il marito, di anni 60, e lʼanziana madre, di anni 95,. Quest’ultima è cieca e sorda dalla nascita, poichè la figlia Alessandra si è sposata ed è andata a vivere in altra abitazione. Nel 2002 il figlio Giovanni ha perso la vita in un incidente stradale. Fino allʼetà di 21 anni, quando Maria si è sposata, ha vissuto con i suoi genitori e il suo unico fratello Giovanni è più grande di quattro anni. Dopo qualche anno anche il fratello Giovanni si è sposato. La famiglia è sempre stata molto unita ed ha sviluppato un alto senso di solidarietà. Quando la casa paterna è diventata pericolante e i genitori lʼhanno dovuta lasciare, Giovanni li ha portati a vivere con lui. Nel 1990, il padre di Maria muore allʼetà di 75 anni e la madre, anche lei settantacinquenne, si è trasferita stabilmente da Maria.

Attività familiare

Il fratello Giovanni, da quel momento, non dimentica mai di passare a casa di Maria. Tutti i giorni, la mattina o la sera, andava a controllare se tutto andava bene. Se la sorella e la madre avessero bisogno di qualcosa in particolare. Molto spesso Maria e Giovanni, con le loro famiglie, cenavano tutti insieme, soprattutto alle feste come Natale, Pasqua, le feste di paese, i compleanni dei figli. Da piccoli, racconta Maria, i due fratelli non sono andati a scuola oltre le elementari perchè in casa cʼera bisogno del loro lavoro. Lei pascolava le pecore e il fratello le mucche, andavano in campi diversi perchè il padre pensava che insieme potessero distrarsi dal compito e mandare gli animali a fare danni nei campi coltivati dagli altri paesani. Giovanni allora diceva a Maria: ” non ti preoccupare che faccio il giro e poi vengo a riprenderti così torniamo insieme a casa!”.

Il lavoro duro nella famiglia

Allʼetà di 13 anni il fratello è andato a lavorare presso una ditta boschiva. Rimetteva i soldi in casa, mentre Maria è rimasta a lavorare i campi con il padre e a sostenere la madre in casa a causa del suo handicap. Maria allʼetà di 21 anni si è sposata con un uomo di 5 anni più grande di lei, suo compaesano, che conduceva lo stesso tipo di vita. Il marito per tenere la famiglia unita, ha cercato di lavorare come operaio in alcune ditte edili nella zona. Spesso lo facevano lavorare in nero e, quindi, nemmeno lo pagavano, così ha dovuto lasciare Maria da sola con i figli e cominciare a lavorare nelle città del nord Italia, ma anche in Africa. Di tutto questo, tuttavia, Maria non ha mai sofferto, poichè costantemente sostenuta dal fratello Giovanni, moralmente e materialmente.

Il Mutuo appoggio fraterno

Infatti, anche se due anni dopo il matrimonio di Maria il fratello Giovanni si è sposato, lui ha continuato a lavorare i campi, ad allevare gli animali, a raccogliere i frutti della campagna, a procurare la legna per il riscaldamento nei boschi, anche per lei. Maria racconta che tra loro cʼè sempre stato lo stesso legame di quando erano piccoli e stavano a casa. E i suoi due figli lo consideravano come se fosse un altro padre.

Quando la donna si è ammalata di trombosi, per esempio, e stava ricoverata in ospedale il fratello comprò un portavivande e tutti i giorni le portava il cibo di casa. Lui non lʼha mai lasciata sola e lei non ha mai lasciato solo lui.

Il forte rapporto familiare anche nelle traversie

Ad esempio, quando il bambino piccolo del fratello è stato in ospedale allʼetà di 4 anni ,  Giovanni “piangeva…piangeva”, racconta Maria. Piangeva “perchè il figlioletto aveva preso 8 una malattia alle ossa”. Lei intanto  teneva in casa il secondo figlio, suo nipotino e il fratello andava a prenderlo la sera. Questo  perchè la moglie stava col bambino in ospedale. Dice Maria: ” poveri bambini, loro quando Giovanni è morto, stavano in terrazza ad aspettare il padre perchè era ora che tornava, invece è arrivata una macchina e gli hanno dato quella brutta notizia. Loro soffrono molto ancora adesso!”. Quando stava morendo il padre di Maria, suo fratello Giovanni, la notte, ha fatto dormire nel suo letto matrimoniale lei, suo marito e i suoi bambini, mentre lui rimaneva ad assistere il padre. Dopo la morte del padre Giovanni nel dividere la terra del padre le dice :”scegli quella che vuoi”. Maria racconta del rapporto particolare che il fratello Giovanni ha con i suoi due figli, per i quali è sempre stato una guida e un riferimento psicologico. Per esempio, quando i figli di Maria erano piccoli lo zio regalava loro i soldi ai compleanni e alle feste per le loro piccole spese, li rimproverava se era necessario e li consigliava se dovevano fare qualcosa dʼimportante.

Il rapporto del fratello con il figlio di Maria

Maria parla soprattutto del rapporto che il fratello aveva con suo figlio Giovanni. Lo spronava ad andare a scuola e gli fece capire che anche nel lavoro bisognava sapere le cose. Perciò dopo la scuola media lo convinse a frequentare almeno la scuola professionale per imparare il mestiere di idraulico. Il giorno in cui Giovanni è morto, racconta Maria, il figlio Giovanni:” ci rimase molto male, stava finendo il militare e soffrì tantissimo perchè un suo amico che faceva il militare con lui mi disse di stare attento a Giovanni perchè la morte dello zio lʼaveva sconvolto”. Infatti, continua a raccontare Maria, Giovanni comprò due medagliette dʼoro con la foto dello zio in modo che lui e la madre potessero portarlo sempre con sè. Giovanni era molto cambiato e ogni 29 del mese ricordava alla madre la morte dello zio dicendole certe parole . ” Mamma come ti senti…lo so che stai male…anche a me manca zio Giovanni….io sono capace di buttarmi sotto un treno…ci vuole un attimo”.

Il figlio Giovanni, tre anni dopo, le aveva chiesto di aiutarlo a pagare lʼassicurazione della macchina e in quellʼoccasione le disse: ” mamma aiutami a pagare lʼassicurazione della macchina che quando muoio te ne ridaranno tanti”. Il destino ha voluto che dopo aver acquistato la macchina, nel mese di maggio, e aver sottoscritto lʼassicurazione con una clausola per assicurare il guidatore, il 1 novembre, quindi solo cinque mesi dopo, avviene lʼincidente mortale di Giovanni. Maria continua a raccontare, tra le lacrime, che solo poche ore prima dellʼincidente lei era in macchina con il figlio e lui fischiettando le disse: ” mamma ti faccio ascoltare la canzone che cantava sempre zio”.

Lo stravolgimento familiare

Attualmente la vita della donna è molto cambiata. Ha perso ogni contatto con la famiglia del fratello. Questa  si è molto distaccata in quanto non cʼè più nessuna frequentazione, ma solo un rapporto formale. Il motivo è perchè la cognata si è stretta di più alla sua famiglia originaria, aumentando il senso di vuoto e di solitudine della donna. Fortunatamente la figlia Alessandra può tenerla sotto controllo e darle un aiuto quandʼè necessario. Mentre il rapporto con lʼanziana madre, che a causa dei suoi problemi fisici, ha vissuto e vive molto ritirata in sé, limitando allʼessenziale i contatti con gli altri, è diventato molto difficile a seguito della morte di Giovanni. Maria non ha potuto comunicarle la morte di Giovanni perchè lʼemozione per il lutto, sarebbe stato sicuramente troppo devastante per la madre. Temendo per la sua vita preferì dirle che Giovanni aveva avuto un incidente che lo costringeva a vivere attaccato a dei macchinari in un ospedale. Attualmente che la vecchia signora dice “sento che è come se Giovanni fosse morto!”. Ed esprime il desiderio di volerlo toccare, Maria si sente sempre più a disagio nel sostenere una situazione che non sa più come gestire.

Quadro clinico immediatamente successivo all’evento.

Lʼesperienza traumatizzante si è caratterizzata da una prima reazione emotiva dʼintensa paura seguito da un incremento rilevante dello stato di ansia quale diretta reazione allo stress subito. Maria lo descrive così: “Prima mi sono sentita scoppiare, impazzire, non riuscivo a trattenermi e urlavo. Poi ho sentito subito il vuoto ed ho perso il sonno, ero molto agitata, nei giorni successivi ho smesso di cucinare, di fare le faccende di casa, non ho più guidato lʼautomobile perchè prima mi sentivo sicura con mio fratello. Una volta ho spaccato la gomma su una pietra, lui è venuto subito ed ha smontato la gomma, è andato al paese a ricomprarla e mi ha sistemato la macchina; poi non me la sono più sentita di guidare. Ho provato a rivolgermi a specialisti, ma la testa mi dice che non mi fanno niente; dice:“La perdita del fratello non si recupera con le medicine. Con “ ʻno bottigliuccio di E-ENNE ci faccio ʻna settimana! mʼaiutano no pòco dentro… le medicine me le ha date il medico di famiglia”.

Quadro Clinico attuale (alla data di stesura)

La sig.ra Maria vive sentimenti intensi dʼimpotenza, sentimenti dʼintrusione. Questi comprendono ricordi spiacevoli ricorrenti dellʼ esperienza traumatizzante che comprendono immagini, pensieri, incubi e flashback non controllabili. Maria dichiara di non aver mai sofferto così prima della morte del fratello Giovanni. Riferisce una sintomatologia persistente di “iper-arousal”. Ha  difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, dorme un ora a notte, o meglio quando ci riesce si addormenta dalle tre e mezza alle quattro e mezzo del mattino. Presenta irritabilità o scoppi di collera, associata al pensiero della persona che ha fatto il male al fratello. Dice che non riesce a perdonarlo perchè dʼallora tutta la sua vita è distrutta.

Il lutto non risolto

Allʼepoca chiamò tale persona per sapere esattamente cosa fosse successo, lui le raccontò il fatto senza volersi mai prendere la responsabilità dellʼaccaduto per aver guidato male il mezzo che urtò il muro, scaricando, invece, la responsabilità sulla pietra che toccò il muro. Riferisce la persistenza di una sintomatologia insorta pochi giorni dopo il trauma. Frequenti crisi di pianto (piange in continuazione anche durante la prova). Spesso si sente sola e abbandonata, come quando ha realizzato la morte del fratello vedendolo dentro la bara, se pure tenta di evitare tali pensieri non riesce a dimenticare. Prova un senso di vuoto e di colpa che non passa perchè pensa sempre a quando il fratello volesse bene ai suoi figli. Diceva che lei doveva avere tutto quello che aveva lui, invece, lei non sa nemmeno come può fare ad aiutare i suoi nipoti che soffrono tantissimo. Oppure quando va in chiesa e rivede Giovanni nel banco dove lui si metteva di solito e fa di tutto per non guardarci, ma lo rivede lì. Ha sempre la sensazione di essere costantemente minacciata dagli eventi ai quali non riesce a reagire, non riesce a concentrarsi, ha problemi di memoria, dimentica facilmente le cose e si sente costantemente in pericolo. Non solo non guida più lʼautomobile, ma non è più in grado di fare le cose anche semplici, è bloccata in tutto quello che faceva prima, dice “mia figlia litiga sempre con me , ma che ci posso fare?” . Ogni cosa le ricorda il trauma.

Una presenza nei sogni più ricorrenti

Maria racconta che in questi giorni ha sentito cantare la civetta e aveva pensato che la madre potesse morire ed ha ricordato che anche prima della morte del fratello aveva sentito la civetta cantare, ma che non si era spaventata perchè se la madre moriva lei aveva sempre suo fratello, invece due giorni dopo fu proprio lui a morire. Il fratello è costantemente presente nei suoi sogni e nellʼultimo sogno sentiva bussare alla sua camera, allora dice: ”chi bussa a questʼora?” subito dopo sente il fratello chiamare. Secondo il DSM-IV, affinché si possa parlare di DPTS, è necessario che si presenti un quadro sintomatologico ben definito e specifico del disturbo, che prevede la presenza di sintomi relativi a 4 clusters ben precisi e da un punto di vista clinico è lʼunica patologia in cui questi si associano: 1) Ripresentazione del vissuto traumatico: 2) consistenti in ricordi dellʼevento, con carattere invasivo e ricorrente, 3) vissuti con partecipazione affettiva più o meno intensa e 4) reminescenza sensitivo-sensoriale di grado variabile. Il Disturbo Post Traumatico da Stress ha anche sintomi fisici.

I Flashback

Frequentemente lʼesperienza traumatica si ripresenta in forma di “flashback”, episodi dissociativi duranti i quali il paziente sente ed agisce come se stesse rivivendo lʼevento e nel corso dei quali si riattualizza il contesto percettivo ed affettivo dellʼesperienza traumatica. Il soggetto rivive la situazione traumatica come se il tempo non fosse passato, irrompendo con il loro carattere scenico nella sua mente, senza preavviso, anche senza agganci con la realtà circostante, rinnovando costantemente la drammaticità dellʼevento ed impedendo lʼeffetto terapeutico del tempo. Anche i sogni servono a rivivere il trauma; sono angosciosi e incubi notturni nei quali il soggetto rivive lʼevento nel complesso o limitatamente ad alcuni aspetti.

Anticipando tali sogni, molti pazienti vivono con angoscia il momento di coricarsi. Inoltre, in seguito ad esposizione a stimoli collegati al trauma, i pazienti affetti da DPTS sviluppano spesso: 1) intenso disagio psicologico, paura, terrore, accompagnati da importanti manifestazioni neurovegetativi. 2) Aumento dellʼarousal.

I pazienti perdono la capacità di modulare il grado di arousal e, anche di fronte a sollecitazioni ambientali di lieve entità, rispondono con un coinvolgimento ed unʼintensità che sarebbero adeguati a situazioni di emergenza. I soggetti vivono come se fossero minacciati dallo stressor che ha provocato il disturbo; lamentano una tensione continua, sono in uno stato continuo di allarme per lʼattesa continua di minaccioso.

Di fronte a stimoli debolmente ansiogeni, o minime sollecitazioni compaiono manifestazioni neurovegetative e scoppi di collera,insonnia, disturbi della concentrazione e della memoria, in alcuni casi drammaticamente presenti.

Gli episodi di “Evitamento”

I soggetti evitano costantemente le situazioni che risvegliano il ricordo dellʼevento traumatico poichè i sintomi peggiorano di fronte ad una situazione o di una attività che richiama il trauma originario. Ciò causa unʼalterazione della qualità della vita grave. Nellʼambito dei sintomi di evitamento rientra anche lʼincapacità di ricordare qualche aspetto dellʼevento traumatico (amnesia dissociativa) e lʼentità della lacuna mnestica può variare in modo considerevole.

Gli episodi di “Numbing”

Intorpidimento, insensibilità o paralisi emozionale detti numbing.

Da ciò deriva una limitazione della gamma affettiva, disinvestimento della famiglia, ritiro sociale, e senso di distacco ed estraneamento dallʼ ambiente. Sono specialmente le reazioni emozionali normali ad essere intorpidite. I vissuti soggettivi di paura, di orrore, come pure quelli di gioia o di attesa palpitante sono annullati. Si associano a queste caratteristiche altre manifestazioni di tipo somatoforme, quali abuso di alcool, di droghe, come tentativo di automedicazione per mitigare i sintomi del trauma, ed elevato rischio suicidario, particolarmente se i pazienti sono giovani adulti. Si possono manifestare sentimenti di colpa per essere sopravvissuti ad eventi catastrofici in cui altre persone hanno perso la vita. Recentemente, come riportato dal DSM-IV-TR, è stata osservata in pazienti con DPTS, la presenza di manifestazioni psicotiche vere e proprie, quali ideazione paranoide, comportamento bizzarro, allucinazioni visive ed uditive non correlate al rivivere il trauma, che possono essere considerate come una forma estrema di ipervigilanza che include lʼideazione e i deliri di persecuzione e di riferimento.

Sintomi del Disturbo Post Traumatico da Stress

Il quadro del Disturbo Post Traumatico da Stress sui sintomi è dato dai seguenti punti:

A. la persona è stata esposta a un intervento traumatico nel quale erano presenti entrambe le caratteristiche seguenti:
  • 1) la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia allʼintegrità fisica propria o di altri;
  • 2) la risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti dʼimpotenza, o di orrore. (Nei bambini questo può essere espresso con comportamento disorganizzato o agitato. )
B. lʼ evento traumatico è rivissuto persistentemente in uno (o più) dei seguenti modi:
  • 1) ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dellʼevento, che comprendono immagini, pensieri, o percezioni. (Nei 13 bambini piccoli si possono manifestare giochi ripetitivi in cui sono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma; )
  • 2) sogni spiacevoli ricorrenti dellʼevento. (Nei bambini piccoli possono essere presenti sogni spaventosi senza un contenuto riconoscibile; )
  • 3) agire o sentire come se lʼevento traumatico si stesse ripresentando (ciò include sensazioni di rivivere lʼesperienza, illusioni, allucinazioni, ed episodi dissociativi di flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in stato dʼintossicazione). (Nei bambini piccoli può manifestarsi rappresentazioni ripetitive specifiche del trauma;)
  • 4) disagio psicologico intenso allʼesposizione di fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dellʼevento traumatico;
  • 5) reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dellʼevento traumatico.
C. Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale (non presenti prima del trauma), come indicato da tre (o più) dei seguenti punti:
  • 1) sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma;
  • 2) sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma;
  • 3) incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma;
  • 4) riduzione marcata dellʼinteresse o della partecipazione ad attività espressive;
  • 5) sentimenti di distacco ed estraneità verso gli altri;
  • 6) affettività ridotta (per es., incapacità di provare sentimenti di amore);
  • 7) sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es., aspettarsi di non poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli, o una normale durata della vita.)
D. Sintomi persistenti di aumentato arousal (non presenti nel trauma), come indicato da almeno due dei seguenti elementi:
  • 1) difficoltà di addormentarsi o a mantenere sonno;
  • 2) irritabilità o scoppi di collera;
  • 3) difficoltà a concentrarsi;
  • 4) ipervigilanza;
  • 5) esagerate risposte di allarme.
E. La durata del disturbo (sintomi ai Criteri B, C e D) è superiore a un mese.
F. Il disturbo causa disagio clinicamente espressivo o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.

Specificare se: Acuto: se la durata dei sintomi è inferiore a tre mesi; Cronico: se la durata dei sintomi è tre mesi o più. Specificare se: A Esordio Ritardato se lʼesordio dei sintomi avviene almeno sei mesi dopo lʼevento stressante.

Caso Clinico : conclusione

Ritorniamo al caso clinico: Il CTU che aveva avuto il compito dal tribunale di fare diagnosi del danno biologico, nel caso della sig.ra Maria pur riconoscendo una sofferenza psicologica generale nella donna non lʼattribuì al trauma originario, cioè la morte del fratello, ma semmai alla morte del figlio avvenuta tre anni dopo circa. Le sue conclusioni furono da me contestate teoricamente e metodologicamente. Cito dalla perizia di CTP: “In realtà, proprio la presenza di una ulteriore significativa morte come quella di Giovanni, figlio di Maria, avvenuta dopo la morte di Giovanni, andava indagata dal punto di vista psicologico e relazionale. Giovanni è morto all’età di anni 23 in un incidente stradale, successo alle ore 2,30 del mattino, per eccesso di velocità, proprio come accade a tantissimi giovani purtroppo che vivono un disagio psicologico.

I dati dell’Istituto Superiore di Sanità

Riporto alcuni dati dell’Istututo Superiore di Sanità – Osservatorio Nazionale Alcol – CNESPS- Reparto Salute della Popolazione e suoi Determinanti – WORLD HEALTH ORGANIZATION – Collaborating Centre for Health Promotion and Research on Alcohol and Alcohol-related Health problems, presentati nella giornata di studio ( Roma 07 Aprile 2011 ) dedicata alla prevenzione della mortalità per causa di incidenti stradali sui gruppi a maggior rischio. Si è dimostrato, come secondo i dati disponibili (ACI-ISTAT), i decessi dovuti ad incidente stradale, avvengono per tutte le fasce di età, ma i tassi più elevati si registrano tra gli uomini nei giovani di età 15-29, tra le donne di età 15-24, e questo per comportamenti legati per lo più al disagio giovanile.

Giovanni, infatti, dalla morte dello zio Giovanni dimostrava un grosso disagio, che la famiglia non è stata in grado di controllare, in quanto non è stato riconosciuto e quindi impossibile da contenere, perchè come raccontato da Maria , la famiglia era tutta impegnata ad elaborare un trauma per la perdita a causa di incidente sul lavoro di Giovanni.

Il trauma è cumulativo

Il trauma psichico ha un effetto “cumulativo”(Khan M. M. R., lo spazio privato del Sè, Boringhieri, Torino,1974), cioè rende il soggetto particolarmente vulnerabile ed indifeso nei confronti di ogni esperienza potenzialmente traumatica, in tutte le fasi di sviluppo, ed è questa la sua grave patologia: in una frazione di secondo, l’individuo sente che la sua vita finisce; si vede morto o, ancor peggio, “svanito”. Quando la morte non avviene, l’individuo riprende la sua esistenza, si sente sollevato, svolge con regolarità gli impegni, ma nel giro di mesi o di anni si organizza la “sindrome da ripetizione”. Qualsiasi stimolo che faccia ritornare il ricordo dell’esperienza, crea le condizioni per sperimentare nuovamente ed in forma totale, le sensazioni, i vissuti, le reazioni angosciose provate in conseguenza dello stimolo originario. Non tutte le persone sono sottoposte a questa esperienza proprio perché dipende :

  • 1) dal tipo di stimolo, che diventa incisivo a causa della sorpresa e della violenza del confronto,
  • 2) dalla situazione personale del soggetto, che può risultare più o meno resiliente (resilienza = capacità di resistere) o, nel versante opposto, trovarsi in situazione di debolezza psichica (per esempio nei bambini e nelle persone anziane o nelle persone già traumatizzate).

L’effrazione del trauma

Da questo si desume che il trauma produce una effrazione, una rottura nell’apparato psichico che si manifesta come organizzazione di una “traccia mnesica” che resta nella psiche come ” oggetto persecutorio profondo “.(Norma Alberro). Il trauma, quindi, non è solo una rappresentazione, ma un insieme di sentimenti e di vissuti estranei e dolorosi di annichilimento, di frammentazione, di svenimento, che si autoalimenta e si perpetua.

Lo ” stress post-traumatico ” rappresenta il ritorno dell’esperienza che così continua a ripetersi nell’elaborazione inconscia, producendo uno stato di “vulnerabilità” psicofisica.” .E questo è ciò che è successo a Maria e al figlio Giovanni a seguito della morte di Giovanni. Nel caso clinico di Maria il CTU, tra lʼaltro, per negare lʼesistenza del danno biologico, a pag. 11 della relazione peritale scrive, cito testualmente,: ” E’ bene distinguere, nel corso della valutazione medico legale del Disturbo Post TRaumatico da Stress, le caratteristiche del lutto patologico dall’accentuazione del lutto fisiologico.

Osservazioni al Giudice

A questo proposito il criterio cronologico risulta di fondamentale importanza. Per accertare un danno da lutto occorre un periodo di tempo lungo fino a due anni….”. A pag. 12 :”..secondo il DSM V-TR a seguito di un riscontrato lutto patologico è possibile rilevare i seguenti inquadramenti diagnostici.

  • 1) disturbi d’ansia (Disturbo dì Ansia Generalizzato (DAG), Disturbo dell’Adattamento (D d’ A) , Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS), Disturbi da Attacco di Panico (DAP);
  • 2) disturbi deliranti;
  • 3) disturbi dell’umore “. a pag. 15 :” che la psicologia ha da tempo messo in evidenza come, per un particolare meccanismo psicodinamico, l’evento luttuoso più recente riattualizza e riporta alla coscienza dell’individuo (facendolo nuovamente rivivere), il dolore già provato in precedenti simili significative esperienze di perdita”.

In effetti, faccio osservare al giudice, che: “non si può negare l’evidenza di questi enunciati, tuttavia bisogna considerare che proprio il criterio cronologico permette di fare una diagnosi più appropriata. Questa per la sig.ra Maria corrisponde ad un Disturbo Post Traumatico da Stress cronico (DPTS).

Il Lutto non elaborato è cronicizzato in comportamenti disadattavi

Dodici anni di lutto che non è stato elaborato psicologicamente e che hanno cronicizzato comportamenti disadattivi, che si ripetono coattivamente, costituiscono il trauma, la cui patologia è stata accertata tramite psicodiagnosi. L’accertamento del Disturbo Post Traumatico da Stress è con test e diversi colloqui clinici. Tale patologia è stata prevista tra le possibilità di esito del danno da lutto, ma non è stata evidenziata dal CTU per mancato approfondimento clinico ed alcuni studi recenti dimostrano che gli effetti psicologici di un grave trauma possono ripercuotersi sui discendenti delle vittime con effetti lesivi sulla personalità con ricadute trans gerazionali attravero le modalità di attaccamento che si trasmettono da genitore a figlio.

Il DPTS può durare una vita

Quanto dura il Disturbo Post Traumatico da Stress ? “il Disturbo Post Traumatico da Stress può durare una vita: legato alla difesa dissociativa, frattura di Sè e condiziona le modalità di attaccamento con conseguenze devastanti sui propri figli”, De Zuleta F., Dal dolore alla violenza, R. Cortina Ed., Milano 1999.

Per la guarigione, terapia e cura del Disturbo Post Traumatico da Stress, anzichè una terapia farmacologica, è indicata la terapia psicoanalitica.

A Cura della Dott.ssa Floriana De Michele

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: La cura dello psicologo e dello psichiatra.

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