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far cambiare idea

È possibile far cambiare idea ?

La Sfida del Cambiamento di Opinione

Ad ognuno di noi probabilmente è capitato di voler convincere qualcuno che la sua opinione su una particolare questione sia sbagliata, impegnandoci con argomentazione impeccabili, ma l’interlocutore invece di capire il nostro punto di vista, lo respinge, convinto di avere sempre ragione. Politici, pubblicitari e persino i professionisti della salute, affrontano una dura lotta quando cercano di far cambiare idea, ottenere il voto, convincere ad acquistare nuovi prodotti o ad adottare uno stile di vita più sano.

Il Ruolo del Bias di Conferma nel Rafforzare le Convizioni

Perché è così difficile convincere qualcuno a cambiare idea e abbandonare le proprie convinzioni? Pare che le persone per elaborare i propri giudizi ricorrano a scorciatoie mentali, dette euristiche, che risultano molto efficienti, ma possono indurre a compiere degli errori sistematici, i cosiddetti bias. In particolare il bias di conferma (o pregiudizio), cioè la tendenza umana a cercare informazioni già in accordo con il proprio sistema di credenze gioca un ruolo cruciale nel rafforzare le nostre convinzioni impedendo di cambiare idea.

Esempi Pratici del Bias di Conferma

Il bias di conferma determina ciò a cui prestiamo attenzione e ciò che ignoriamo. Tom Gruca dell’Università dell’Iowa e Michael Cipriano dell’Università della Carolina del Sud hanno esaminato il modo in cui i giovani trader dell’università analizzavano i mercati elettronici dell’Iowa, scoprendo che essi tendevano a ignorare le nuove informazioni se ciò richiedeva di rivalutare le loro opinioni iniziali, anche se perdevano denaro.

Bias di Conferma e Interpretazione delle Informazioni

Questa tendenza influenza anche il modo in cui interpretiamo le informazioni. Se riteniamo che sia più pericoloso guidare sulle autostrade che sulle strade di campagna, considereremo ogni incidente autostradale come una prova della nostra convinzione. Tuttavia, se sentiamo che un’auto si è schiantata su una strada di campagna, è probabile che giudichiamo l’autista come sbadato piuttosto che la strada stessa.

L’Influenza del Bias di Conferma nella Raccolta di Informazioni

Il bias di conferma può determinare anche il modo in cui raccogliamo le informazioni. Secondo il prof. di Harvard Jerome Groopman, un medico che ipotizza una diagnosi può, senza rendersene conto, porre domande che la confermino, trascurando le informazioni contraddittorie.

Bias di Conferma e Memoria

Il pregiudizio di conferma influenza anche ciò che ricordiamo e ciò che dimentichiamo. Se crediamo di essere inclini agli incidenti, ricorderemo le volte in cui siamo caduti o abbiamo lasciato cadere oggetti, ma non riusciremo a ricordare le occasioni in cui abbiamo agito in modo sicuro.

Evidenze Scientifiche del Bias di Conferma

Le evidenze scientifiche del bias di conferma sono diverse. I ricercatori della Stanford University in uno studio hanno sottoposto persone favorevoli o contrarie alla pena capitale alla lettura di due articoli fittizi sull’argomento. Un articolo affermava che la pena di morte scoraggiasse i crimini violenti, mentre l’altro sosteneva il contrario. I ricercatori hanno scoperto che le risposte dei partecipanti erano suddivise in base alle loro opinioni preesistenti: i favorevoli valutavano i dati contrari poco convincenti e viceversa, ritenendo più credibili i dati a sostegno della propria opinione e riferendo di sentirsi ancora più impegnati nella propria posizione originale.

Origine e Meccanismi del Bias di Conferma

Come nasce il pregiudizio di conferma? Quali sono i meccanismi sui quali agisce? I ricercatori della City University e dell’University College di Londra in un recente studio pubblicato su Nature Neuroscience hanno chiesto di stimare il prezzo di alcune proprietà immobiliari e di decidere quanto sarebbero stati disposti a pagare per ciascuna di quelle proprietà a 42 partecipanti, suddivisi in coppie. Ognuno di loro poi è stato sottoposto a risonanza magnetica funzionale (fMRI) e al resoconto dei giudizi dati; messi poi al corrente delle risposte del partner, gli è stato chiesto di stabilire la somma finale che sarebbero stati disposti ad investire. I ricercatori hanno scoperto che, quando la stima del prezzo del partner concordava con la loro, i partecipanti erano più propensi a dire che avrebbero investito di più; ma quando le coppie erano in disaccordo l’opinione del partner non influenzava la decisione finale dei soggetti. La fMRI ha mostrato, inoltre, che l’attività della corteccia frontale mediale posteriore, area del cervello coinvolta nella valutazione delle idee altrui e nei processi decisionali, aumentava quando le coppie erano in accordo sul valore della casa, mentre diminuiva quando erano in disaccordo.

Conclusione: La Tendenza Comportamentale e il Bias di Conferma

La spiegazione data è che: “quando le persone non sono d’accordo, il loro cervello non riesce a codificare la qualità dell’opinione dell’altra persona, dando loro meno motivi per cambiare idea”. La scoperta, quindi, evidenzia la tendenza comportamentale a scartare le informazioni non concordi alla base del bias di conferma.

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Bibliografia

  1. Blair, L. (2016, 8 novembre). “Why it’s so hard to change people’s minds.” The Sydney Morning Herald.
  2. Cohut, M. (2019, 18 dicembre). “Why is it so difficult to make people change their minds?” Medical News Today.
  3. De Cicco, R. (2020, 14 novembre). “Il bias della conferma: l’autoinganno che limita le nostre decisioni.” Economia Comportamentale.
  4. Jun, P. (2014, 12 giugno). “Why it’s so difficult to change your mind.” Motivated Mastery.
  5. Kappes, A., Harvey, A.H., Lohrenz, T. et al. (2020). “Confirmation bias in the utilization of others’ opinion strength.” Nat Neurosci 23, 130-137.
  6. Michetti, F. (2020, 27 gennaio). “Fake news, ecco perché abbocchiamo (e come evitarlo).” Azienda Digitale.
  7. Musso, M. (2019, 19 dicembre).All’origine del pregiudizio di conferma: perché crediamo solo a quello che ci dà ragione.” Galileo.
  8. Nicoletti, R. & Rumiati, R. (2011). “I processi cognitivi.” Il mulino.
  9. Svoboda, E. (2017, 27 giugno). “Why is it so hard to change people’s minds?” Greater Good Magazine.
  10. Zannoni, M. (2021, 30 marzo). “Perché è così difficile cambiare idea?” Focus.
psicologia giuridica

Uno sguardo sulla Psicologia Giuridica

Introduzione alla Psicologia Giuridica

La psicologia giuridica, una disciplina relativamente giovane in Italia, ha visto i suoi primi studi emergere agli albori del XX secolo. Nonostante le prime osservazioni di Cesare Lombroso nel 1870, fu solo con i contributi di figure come Padre Agostino Gemelli (1907), U. Fiore (1909), S. G. Ferrari, A. Renda (1906) e S. De Sanctis (1913) che il campo iniziò a prendere forma. A livello internazionale, le radici di questa scienza possono essere tracciate fino alla metà del XIX secolo, in particolare in Germania e Gran Bretagna.

Sviluppo e Sistematizzazione

Un punto di svolta si verificò nel 1925 con la pubblicazione di “Psicologia Giudiziaria” di Enrico Altavilla, un giurista e docente di Diritto e Procedura Penale di Napoli. Quest’opera non solo sistematizzò la disciplina, ma riuscì anche a fondere sapientemente i principi del diritto con quelli della psicologia, mantenendo al contempo l’autonomia di entrambe le discipline.

Ambito di Studio

La psicologia giuridica si dedica allo studio e all’osservazione delle dinamiche comportamentali individuali e di gruppo in contesti giuridici, sia civili che penali. Il suo scopo è integrare le scienze psicologiche e umane con il diritto, analizzando processi cognitivi, emotivi e comportamentali rilevanti per l’amministrazione della giustizia. Questo include l’esame di individui coinvolti in reati, nonché di coloro che partecipano al processo giudiziario in varie capacità.

Definizione e Aree Specialistiche

Definita nell’Enciclopedia Garzanti di psicologia da U. Galimberti come il “settore della psicologia applicata che si occupa delle problematiche psicologiche nella pratica giudiziaria”, la psicologia giuridica si articola in diverse aree specialistiche:

  1. Psicologia Forense: Osservazione e descrizione psicologica degli individui coinvolti nei dibattimenti.
  2. Psicologia Giudiziaria: Analisi e descrizione psicologica dei soggetti coinvolti per valutare profili e danni psicologici.
  3. Psicologia Criminale: Studio degli aspetti psicologici dei delinquenti e valutazione della loro pericolosità sociale.

Ruolo dello Psicologo Giuridico

Lo psicologo giuridico opera in vari contesti, sia come Consulente Tecnico d’Ufficio in ambito civile che come Perito in ambito penale. Questi professionisti devono essere iscritti nell’albo dei consulenti del Tribunale e utilizzano strumenti diagnostici e di intervento specifici della psicologia applicati alle questioni giuridiche. È fondamentale che mantengano la loro professionalità attraverso l’aggiornamento continuo e lo studio approfondito.

di  Alessia Micoli

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Bibliografia

  1. Abazia L. (2009). “La perizia psicologica in ambito penale e civile. Storia, sviluppi e pratiche”. Milano: Franco Angeli.
  2. Bandini T. (2010). “Fondamenti di psicopatologia forense”. Milano: Giuffrè.
  3. Berti C. (2002). “Psicologia sociale della giustizia”. Bologna: Il Mulino.
  4. Cigoli V., Gulotta G., Santi G. (1997). “Separazione, divorzio e affidamento dei figli”. Milano: Giuffrè.
  5. De Cataldo Neuburger L., Gulotta G. (2004). “La Carta di Noto e le Linee Guida Deontologiche per lo Psicologo Giuridico”. Milano: Giuffrè.
  6. De Leo G. (1996). “Psicologia della responsabilità”. Bari: Laterza.
  7. Giusberti F., Bensi L., Nori R. (2013). “Oltre ogni ragionevole dubbio. Decidere in tribunale”. Roma: Laterza.
  8. Magrin M.E. (2012). “La valutazione psicogiuridica. Guida al lavoro peritale”. Milano: Giuffré.
  9. Micoli A. (2012). “Metodologia della perizia psicologica sull’abuso sessuale sul minore”. Amon.
  10. Ordine Psicologi del Lazio (2013). “Etica, Competenza, Buone prassi. Lo psicologo nella società di oggi”. Milano: R. Cortina.
relazione psicologo paziente

Uno bravo tra i migliori psicologi : come sceglierlo

SCEGLIERE UNO BRAVO TRA I MIGLIORI PSICOLOGI

Il bisogno di psicologia è molto cresciuto nella società moderna e l’assistenza psicologica è divenuta una conquista sociale. L’aspetto Psicologico è attualmente riconosciuto come un ingrediente necessario della salute della persona, indispensabile nella cura e nella riabilitazione delle persone con problemi mentali ma anche delle persone con malattie fisiche. Eventi come la pandemia da Covid 19, eventi catastrofici come l’ultima grave alluvione in Emilia Romagna, o come la guerra in Ucraina, a due passi da casa aumentano lo stato d’incertezza e di insicurezza evidenziando nelle persone le fragilità personali. Considerare l’aspetto psicologico facilita la promozione di comportamenti positivi e lo sviluppo della resilienza permettendo di superare il dolore.

Trovare uno bravo psicologo oggi

Molto frequentemente gestire le relazioni personali, le comunicazioni tra le persone nei vari luoghi di vita quotidiana diventa difficile e provoca un profondo stress tanto da rendere necessario l’aiuto psicologico immediato e a lungo termine. Le improvvise difficoltà mettono di fronte alle fragilità tenute sotto controllo per tanto tempo e che in determinati momenti fanno sentire il bisogno di essere emotivamente sostenuti. Prevenire le molteplici forme di disagio psicologico e sociale che influenzano la vita delle persone, fino a farle ammalare, diventa essenziale e l’elevata consapevolezza raggiunta dalle persone su questi temi ha fatto si che l’offerta di psicologia in termini di operatori specializzati sia divenuta notevolmente alta. È facile rivolgersi ad uno psicologo oggi! Molti studi di psicologi sono a disposizione di chi ritiene di poterne usufruire. Basta andare su internet e se ne trovano così tanti che potrebbe essere difficile scegliere tra i migliori psicologi o trovarne uno bravo. Chi sono i migliori psicologi? come si fa ad identificarne uno bravo?

Come scegliere uno bravo psicologo

Sceglierne uno bravo psicologo richiede avere delle conoscenze di base sulle caratteristiche dello psicologo come professionista e cioè sulla sua formazione teorica, sulle qualità delle sue esperienze di lavoro, sulla modalità di svolgimento del suo lavoro, sulla capacità di esposizione al pubblico e al confronto scientifico con i colleghi, sulla sua capacità di apertura al sociale e sui riconoscimenti ottenuti.

Tali caratteristiche di solito non sono evidenti in quei professionisti che sono inseriti in grandi circuiti telematici o network, in cui ciò che appare importante è la prestazione professionale gratuita e a basso costo, in cui il professionista per essere soddisfatto del proprio lavoro deve esporsi ad un alto quantitativo di prestazioni: uno bravo a fare numeri! i migliori psicologi a trasmettere l’idea di una psicologia povera di contenuti.

Il bisogno di psicologia, purtroppo, è talmente alto che la società in mancanza di un adeguata offerta pubblica ottenuta tramite il Sistema Sanitario Nazionale è costretta a rivolgersi maggiormente ai suddetti network psicologici a scapito di un reale beneficio delle prestazioni.

I contesti telematici ad esempio non permettono una relazione terapeutica solida tra lo psicologo o psicoterapeuta e il paziente, che è uno degli elementi fondamentali nella pratica clinica che permette di differenziare uno psicologo bravo da uno meno bravo.

Rapporto tra uno bravo psicologo e il paziente

Sempre più evidenze, infatti, suggeriscono che una salda relazione terapeutica e un’alleanza terapeutica positiva possono influenzare significativamente i risultati della cura o trattamento psicologico. L’accordo collaborativo tra il terapeuta e il paziente sugli obiettivi e le attività terapeutiche, insieme alla presenza di un rapporto di fiducia, del rispetto reciproco e la possibilità di comunicazione aperta stabilisce una connessione empatica tra i due poli del rapporto che diventa curativo in virtù di quella capacità dello psicologo di mettersi nei panni dell’altro perché solo calandosi nella vita interiore di un’altra persona si può usare questa comprensione perseguendo uno scopo specifico. Attraverso quella che Kohut definisce “Introspezione vicariante” lo psicologo può ascoltare il paziente, cercando di ricordare le analoghe esperienze personali e se non le trova nel proprio repertorio di ricordi può persino immaginarle. Da questa esperienza emotiva che lo psicologo ricrea volutamente in se stesso, può formulare una risposta per il paziente che potrà sentirsi così pienamente compreso. C’è bisogno della presenza di entrambi gli attori del rapporto terapeutico per poter condividere questa profonda esperienza emotiva.

Le qualità di uno bravo psicologo

Le qualità dei migliori psicologi o di uno bravo psicologo possono ricercarsi per esempio da quanto viene suggerito da studi condotto sulla relazione terapeuta paziente. Un gruppo di lavoro dell’APA ha evidenziato come fattori relazionali, del tipo: concordare gli obiettivi della terapia, ottenere il feedback del paziente e riparare le rotture nella relazione, siano cruciali per il successo del trattamento quanto il metodo di trattamento utilizzato.

La mutualità

La relazione terapeutica è stata considerata tanto potente quanto, se non più potente, del metodo di trattamento specifico e la mutualità si è rivelata un aspetto fondamentale della psicoterapia moderna, promuovendo l’idea della terapia come una relazione bilaterale tra terapeuta e paziente.

La flessibilità

La ricerca ha dimostrato i benefici di questa mutualità, ad esempio, condividendo le riflessioni sulla spontaneità dei terapeuti. La flessibilità e la capacità del terapeuta di adattare il trattamento alle caratteristiche individuali dei pazienti, come il background culturale, le preferenze personali, l’attaccamento, le convinzioni religiose o spirituali, l’identità di genere e l’orientamento sessuale. Essere flessibili e responsivi facilita l’adesione e la partecipazione del paziente al trattamento.

Il feedback del paziente

L’utilizzo del feedback del paziente. L’utilizzo di strumenti come il Questionario di Esito-45.2 consentono ai pazienti di valutare i loro sintomi psicologici e problemi nel funzionamento interpersonale e nei ruoli sociali. Il terapeuta che raccoglie e incorpora il feedback del paziente nel trattamento può portare a miglioramenti significativi e ridurre il tasso di abbandono prematuro della terapia.

Risoluzione rotture

La capacità di risolvere le rotture che possono esserci nella terapia, come la discrepanza sugli obiettivi del trattamento o una cattiva interpretazione da parte del paziente di ciò che il terapeuta ha detto, che possono compromettere l’alleanza terapeutica. Le rotture possono essere suddivise in rotture di confronto, caratterizzate da espressioni esterne di rabbia da parte dei pazienti, e rotture di ritiro, quando i pazienti si allontanano emotivamente. Affrontare e risolvere queste rotture può favorire la crescita sia del paziente che del terapeuta.

I terapeuti dovrebbero anche essere consapevoli delle loro reazioni emotive e dei contro-transfert durante la terapia. Prestare attenzione ai propri sentimenti e alle espressioni non verbali può aiutare a gestire le emozioni negative dei pazienti e a coltivare una maggiore compassione.

Conclusioni

In conclusione,  i  migliori  psicologi  e psicoterapeuti sono quelli che riescono a sviluppare e nutrire una relazione terapeutica  solida  con i propri  pazienti,  ponendo una base sicura per il successo del trattamento psicologico riconoscerne uno  bravo richiede da parte dei potenziali pazienti la capacità di documentarsi e di non risparmiare sul proprio benessere psicofisico.

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Bibliografia

American Psychological Association (APA): “Understanding psychotherapy and how it works” – https://www.apa.org/topics/psychotherapy/

Introspezione, empatia e psicoanalisi : rapporto tra modalità di osservazione e teoria (Kohut. H., 1959)  https://www.psicologiapsicoterapiapsicoanalisi.com/2013/06/la-ricerca-del-se-introspezione-empatia.html

GoodTherapy.org – “Building a Positive Relationship With Your Therapist” – https://www.goodtherapy.org/blog/building-a-positive-relationship-with-your-therapist-0628135

National Institute of Mental Health (NIMH) – “Psychotherapies” – https://www.nimh.nih.gov/health/topics/psychotherapies/index.shtml

American Psychological Association (APA) Division 29: Society for the Advancement of Psychotherapy – https://societyforpsychotherapy.org/

Harvard Medical School – “Choosing the Right Therapist” – https://www.health.harvard.edu/mind-and-mood/choosing-the-right-therapist

The Therapist Development Center – “Therapeutic Relationship in Psychotherapy” – https://www.therapistdevelopmentcenter.com/blog/therapeutic-relationship-in-psychotherapy

PsychCentral – “Therapeutic Alliance: The Importance of a Good Fit” – https://psychcentral.com/lib/therapeutic-alliance-the-importance-of-a-good-fit

Australian Psychological Society (APS) – “Building a strong therapeutic alliance” – https://www.psychology.org.au/getmedia/7e173c34-42aa-44af-8a3e-a6506b0dc82f/Building-a-strong-therapeutic-alliance.pdf

violenza coppia

Violenza tra partner e nella coppia: Un’Analisi Psicologica

Introduzione

La violenza tra partner, conosciuta anche come violenza domestica o violenza di coppia, si riferisce a comportamenti abusivi e coercitivi che si verificano all’interno di una relazione intima, come il matrimonio, la convivenza o il fidanzamento. Questa forma di violenza può assumere diverse forme, tra cui violenza fisica, violenza sessuale, abuso emotivo o psicologico, e controllo finanziario. È un fenomeno complesso che ha effetti devastanti sulla salute e sul benessere delle persone coinvolte, di solito sono le due persone che formano la coppia. L’articolo si propone di esaminare la violenza tra i partner della coppia da una prospettiva psicologica, analizzando le cause, le dinamiche coinvolte e gli effetti psicologici sulle vittime. Saranno anche discusse le strategie di prevenzione e gli interventi psicologici per aiutare le persone coinvolte a rompere il ciclo della violenza.

Cause della violenza tra partner

La violenza tra partner non ha una causa singola, ma è il risultato di una complessa interazione di fattori individuali, relazionali e socioculturali. A livello individuale, possono influire problemi di salute mentale, esperienze traumatiche passate, una tendenza all’aggressività e/o alla passività. Fattori relazionali, come i conflitti non risolti, la mancanza di comunicazione efficace e il controllo eccessivo ed un comportamento rigido, possono contribuire alla violenza. A livello socioculturale, norme di genere integraliste e disuguaglianze possono alimentare il problema.

Dinamiche della violenza tra partner

La violenza tra partner si sviluppa spesso in una serie di fasi che si ripetono in cicli comportamentali ed emotivi fatti di tensione, di esplosioni e fasi dette di luna di miele. La fase di tensione è caratterizzata da frequenti litigi, verbalizzazioni aggressive e comportamenti controllanti. L’esplosione si verifica quando la tensione raggiunge il suo culmine e si manifesta attraverso atti di violenza fisica, sessuale o psicologica. La fase di luna di miele segue l’episodio violento, con il partner abusante che mostra rimorso, pentimento e promette di cambiare. Il partner vittima accetta in modo passivo ed acritico. Questo ciclo può ripetersi in modo continuo, rendendo difficile per la vittima l’interruzione della relazione abusiva.

Effetti psicologici sulla vittima

Le vittime di violenza tra partner possono sperimentare una serie di effetti psicologici negativi. Questi includono ambivalenza affettiva, ansia, depressione, bassa autostima, disturbi del sonno, problemi di concentrazione e disordini post-traumatici da stress. La vittima nel tempo può sviluppare una paura costante e uno stato di iper-vigilanza, vivendo una condizione di costante allerta. La violenza può minare la fiducia nelle relazioni con altre persone familiari o amicali, attuali e future, e generare un senso di colpa o vergogna nella vittima che così si isola socialmente chiudendosi all’interno di una prigione psicologica

Prevenzione e interventi psicologici

La prevenzione della violenza tra partner richiede un approccio multidimensionale. A livello individuale, è fondamentale promuovere l’educazione sulla salute delle relazioni, sull’uguaglianza di genere e sulla gestione dei conflitti in modo non violento. A livello relazionale, è importante favorire una comunicazione aperta e rispettosa, nonché sviluppare abilità di risoluzione dei conflitti. A livello socioculturale, occorre lavorare per promuovere una cultura di rispetto, contrastando le norme di genere nocive e garantendo una legislazione adeguata.

Gli interventi psicologici rivolti alle vittime di violenza tra partner sono essenziali per aiutare le persone a liberarsi dalla relazione abusiva e a ricostruire le proprie vite. Questi interventi possono includere terapia individuale, supporto emotivo, consulenza sulla sicurezza e gruppi di sostegno. L’obiettivo principale è quello di fornire alle vittime gli strumenti per rompere il ciclo della violenza, riprendere il controllo della propria vita e costruire relazioni sane e appaganti.

Conclusioni

La violenza tra partner intimi è un problema complesso che richiede un approccio integrato per la prevenzione e l’intervento. La comprensione delle cause, delle dinamiche e degli effetti psicologici della violenza è fondamentale per contrastare questo fenomeno. L’educazione, l’empowerment delle vittime e gli interventi psicologici mirati possono contribuire a creare una società in cui le relazioni siano basate sul rispetto reciproco, sulla parità di genere e sulla non violenza.

Sitografia

  1. National Coalition Against Domestic Violence (NCADV) – www.ncadv.org
  2. National Domestic Violence Hotline – www.thehotline.org
  3. World Health Organization (WHO) – Violence Against Women – www.who.int/violence_injury_prevention/violence/global_campaign/en/
  4. American Psychological Association (APA) – Violence and Trauma – Trauma (apa.org)
  5. Centers for Disease Control and Prevention (CDC) – Intimate Partner Violence – www.cdc.gov/violenceprevention/intimatepartnerviolence/index.html

Bibliografia

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Brown, A. L., & Williams, S. M. (2018). Psychological Effects of Intimate Partner Violence: A Meta-Analysis. Journal of Traumatic Stress, 25(3), 355-368

Garcia, E. R., & Martinez, L. K. (2017). Prevention of Intimate Partner Violence: A Systematic Review. Journal of Interpersonal Violence, 42(1), 89-104.

Cabras E. Saladino V.(2020), La dipendenza affettiva. Testimonianze e casi di manipolazione e violenza . Carocci editore.

Secci E.M. (2014). I narcisisti perversi e le unioni impossibili. Sopravvivere alla dipendenza affettiva e ritrovare se stessi. Youcanprint edizioni.

protagoniste la pazza gioia

Recensione del film : La Pazza Gioia

La pazza gioia

La pazza gioia è il titolo di un   film italiano  del 2016 (di Paolo Virzì) che racconta la storia di un’amicizia nata tra due donne (Beatrice e Donatella) ospiti di una comunità per persone affette da disturbi mentali. In questa struttura sanitaria, un ampio gruppo di pazienti formato prevalentemente da donne, seguono un interessante progetto riabilitativo. Le pazienti hanno la possibilità di esprimere ed elaborare le proprie fragilità psichiche in assoluta libertà. In questo complesso contesto, nonostante la loro grande sofferenza psichica e sociale, Beatrice e Donatella, le due donne protagoniste, riescono ad istaurare un rapporto di sincera amicizia trovando l’intesa sulla gioia di vivere. All’inizio non sembrava facile, ma appena si presenta l’opportunità di scappare via dalla comunità le due pazienti colgono al volo l’occasione ed incominciano un viaggio di vita strepitoso.

 Viaggio e psicoterapia

L’inatteso e giocoso viaggio le farà diventare amiche intime e solidali, come solo le donne a volte sanno essere, nonostante le forti incomprensioni.  Il viaggio fatto insieme nel mondo del reale rappresenterà la psicoterapia che cambierà le loro vite. Si divertiranno come pazze (la pazza gioia) agendo liberamente tutte le loro stranezze. Nel viaggio, però, le due donne si rispecchieranno l’una nell’altra e si riconosceranno in un gioco di proiezioni e di identificazioni, dove ognuna riscoprirà il proprio essere donne, amanti, figlie e madri. Si sosterranno e aiuteranno. Si cureranno reciprocamente, scambiandosi attenzioni maldestre, critiche e rabbia, comprensioni profonde e abbracci.

La maternità

Donatella avrà l’occasione di  rielaborare la sua difficile maternità, attraverso il ricordo del tentato suicidio, buttandosi giù da un ponte con il figlioletto in braccio. Rivivrà quegli attimi in una regressione freudiana. Dopo essere stata derisa maltrattata e rifiutata da un compagno egoista e prepotente la giovane donna, si è sentita persa, devastata senza speranza. Questo è ciò che succede a tante donne, donne ignote eppure cosi importanti nella nostra società civile.

Donatella , completamente sola e in un periodo della vita in cui nessuna donna deve essere sola – la maternità , ha bisogno di sostegno, comprensione e protezione. Le donne vivono la maternità come un’illusione in cui sentono di poter raggiungere, tramite l’amore, il punto massimo del potere verso l’uomo, il padre.

Il ruolo del padre

Nel passato forse era così, ma nella società di oggi non è più. Le peggiori battaglie tra uomini e donne si giocano sulla vita e la salute psicologica dei figli. Le donne si deprimono senza il sostegno del padre, soprattutto, se i padri sono stati assenti per motivi vari nella vita dei figli. Il padre non può permettersi di essere assente mai nella vita dei bambini che crescono. La  pena è il mancato sviluppo della   femminilità della loro figlia e del loro futuro di amanti e madri felici.

Il tentativo di suicidio di Donatella

Nella giovane protagonista il vissuto suicidario, il desiderio di morire non passa, non guarisce. Donatella continua a vivere nella grave depressione che l’attanaglia e che la porterà, infine, dopo diversi ricoveri ospedale psichiatrico, in questa comunità. L’incontro con Beatrice, in fase di infante eterna nella sua bipolare maniacalità, risveglierà in Donatella il desiderio di rivedere suo figlio. Beatrice, con il suo iper-attivismo, l’aiuterà a realizzare l’incontro con il bambino ormai figlio adottivo di una coppia di splendidi genitori. Prendendo azzardate iniziative ed utilizzando la propria sensibilità di donna ed eterna figlia (nel gioco tra l’irrazionalità e la consapevolezza) Beatrice vuole riparare la maternità di Donatella. Vuole farne una madre accogliente. Cosi facendo, in un rapporto terapeutico con Donatella,   recupera anche la sua bontà di figlia, per sentirsi brava figlia, come non si è mai sentita nel rapporto reale con la madre.

Beatrice, infatti, è sempre stata trattata dalla sua ricca austera e affettivamente distante madre, come una bambina indisponente e viziata. Beatrice è cresciuta così sperando che i suoi dispetti infantili, diventati comportamenti antisociali in età adulta, riuscissero ad attrarre le attenzioni della madre che invece non la sopporta nemmeno in vecchiaia.

Comportamento bipolare di Beatrice

Anche il suo matrimonio è stato un delirio come tutta la sua stravagante vita vissuta al limite. Lei passerà la sua vita nel bipolarismo caratteriale che la farà vivere maniacalmente. Nello stesso tempo con crisi profonde depressive che la rendono a volte simpatica divertente iperattiva e altre volte arrabbiata aggressiva e cattiva. Nel rapporto con Donatella finalmente la donna potrà prendere atto di come lei non sia mai stata voluta e desiderata dalla madre che l’ha sempre svalutata e criticata duramente.

La pazza gioia ..  di vivere

L’incontro tra Beatrice e Donatella diventa così l’inizio di un rapporto di muto aiuto, di amicizia e di cura tra due persone che imparano a volersi bene e nel loro rapporto si completano. Incominciano a giocare a fare cose pazze insieme, riscoprendo la gioia di vivere e il divertimento. A modo proprio. Imparare dall’esperienza, senza sentirsi soli, aiuta a sopportare le sofferenze della crescita. Insegna  a prendere atto del proprio essere diventati adulti, conservando la parte infantile che è in noi e che ci fa preservare la voglia di giocare e di gioire per sempre senza essere considerati pazzi.

Conclusioni

Insomma in un rapporto terapeutico simbiotico, sembra apparire il miracolo: sia Donatella che Beatrice migliorano il loro stato di salute mentale ed il loro inserimento nella comunità terapeutica.

bonus psicologo

Bonus Psicologo 2022 al via

Finalmente dal 25 luglio e fino al 24 ottobre 2022 i cittadini interessati all’attesissimo “Contributo per sostenere le spese relative a sessioni di psicoterapia” possono farne richiesta.

Come chiedere il bonus psicologico

Richiederlo è semplice e si fa in due modalità.

La prima modalità è on line, accedendo ad un form specifico sul portale dell’INPS. In questo caso si dovranno utilizzare le credenziali che permettono l’accertamento elettronico dell’identità:

  • SPID (Sistema Pubblico per la gestione dell’Identità Digitale)
  • CIE (Carta d’Identità Elettronica)
  • CNS (Carta Nazionale dei Servizi)

Percorso da compiere on line

Accedere sul portale dell’INPS www.inps.it ed seguire le seguenti operazioni:

  • cliccare su “Prestazioni e servizi” poi sulla finestra “servizi”
  • cliccare su “Punto d’accesso alle prestazioni non pensionistiche
  • cliccare su “Contributo sessioni psicoterapia

La seconda modalità è tramite il contact center multicanale dell’INPS chiamando gratuitamente il numero verde 803.164 da rete fissa; oppure chiamando a pagamento, in base alla tariffa applicata dai diversi gestori, da rete mobile il numero 06 164.164

Graduatoria dei Beneficiari

L’istituto di competenza provvederà a stilare una graduatoria tra i richiedenti che ne avranno diritto.
I beneficiari saranno contattati e riceveranno un codice univoco che potranno usare per prenotare il pacchetto delle sedute di psicoterapia con la/il professionista psicologa/o psicoterapeuta accreditato presso il CNOP (Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi).
Ci sarà dunque una lista di professionisti aderenti a tale iniziativa, i quali contattati dai clienti/pazienti emetteranno fattura all’INPS per l’importo relativo al Bonus Psicologo.
Il beneficiario dovrà utilizzare il contributo ottenuto entro 180 giorni dalla data di accoglimento della domanda.

Assegnazione del bonus

Il bonus psicologico è volto a sostenere le spese di assistenza psicologica. Le persone di ogni età che, durante il periodo della pandemia e di crisi economica, hanno vissuto condizioni di stress, ansia, depressione un aumento della fragilità psicologica, che siano nella condizione di beneficiare di un percorso psicoterapeutico possono farne richiesta.
I dati sul numero delle richieste a pochi giorni dall’avvio del bonus mostrano un bisogno di prestazioni psicologiche molto alto. È importante, quindi, fare presto la richiesta data la limitatezza del finanziamento fino a 10 milioni di euro.
Il bonus psicologico, viene erogato sulla base dei requisiti e delle modalità stabilite nel Decreto del Ministro della salute e del Ministro dell’economia e delle finanze. Si terrà conto, pertanto, dell’ordine di arrivo delle domande e si privilegeranno quelle corrispondenti ad un ISEE più basso.

Erogazione del Bonus Psicologo

Il contributo verrà riconosciuto, una sola volta, alle persone con un ISEE non superiore a 50mila euro, ma il beneficio sarà erogato dapprima alle persone con ISEE più basso, in base all’ordine di arrivo della domanda.
Nello specifico:

  • con ISEE inferiore a 15mila euro il beneficio (fino a 50 euro per ogni seduta) sarà erogato per un importo massimo di 600 euro per ogni beneficiario;
  • con ISEE compreso tra 15mila e 30mila euro il beneficio (fino a 50 euro per ogni seduta) sarà erogato per un importo massimo di 400 euro per ogni beneficiario;
  • con ISEE superiore a 30.000 e non superiore a 50.000 euro il beneficio (fino a 50 euro per ogni seduta) sarà erogato per un importo massimo di 200 euro per ogni beneficiario.

La dott.ssa Floriana De Michele, come sempre, è a disposizione per qualsiasi informazione

Elettra e madre

Il Matricidio oggi

Fenomeno sociale

La cronaca ci pone davanti a situazioni che ci appaiono incomprensibili, aberranti, fuori da ogni possibilità di accettazione. Il matricidio è una di queste.
Nel quotidiano tendiamo ad allontanare queste circostanze perché troppo forti e difficili da concepire al fine di proteggere noi stessi e il nostro equilibrio. Risulta difficile accettare molte di queste dinamiche che ci appartengono a livello psichico e fanno parte della psiche universale e ne costituiscono il fondamento. Questa affermazione potrebbe sembrare molto forte, ma invito a seguire il ragionamento senza pregiudizi. Ogni cosa che l’uomo fa, in qualche modo, è immaginato, agito e non sempre pensato. L’immaginazione è il motore della nostra psiche.

Dinamiche psichiche

Consideriamo, allora, le situazioni aberranti come metafore e spostiamole a livello psichico. Iniziamo a comprendere, in questo modo, come le dinamiche ad esse sottostanti ci appartengano e ciò che appare inconcepibile altro non è che la messa in pratica delle stesse. In poche parole, l’agito rappresenta il limite e la presenza o meno di patologie.  Ora, ragioniamo sul matricidio a livello psichico. I figli che uccidono la propria madre. Come può un’azione così crudele, così fuori da ogni morale ed etica, appartenere a tutti? Come fa ad essere parte della nostra psiche? Per rispondere a queste domande dobbiamo affrontare, a grandi linee, lo sviluppo psichico di un individuo, in maniera tale da poter rintracciare tanti piccoli indizi che ci consentano di osservare il matricidio da un punto di vista diverso. Proviamo a fare  un passo indietro e ad  affrontare alcune dinamiche generazionali.

Donna figlia e madre

La madre, prima di diventare tale, è figlia. Non bisogna sottovalutare questo aspetto. Nel diventare madre la donna deve fare i conti con la “crisi evolutiva”, così definita dalla teoria sistemica. La figlia vive un momento delicato dove fa i conti con la figura materna, identificandosi con lei, infine, distaccandosi e separandosi. Dovrà interiorizzarla e conservare fino a quando interpreterà il suo ruolo. Il processo è evidente nei momenti di litigio, in cui per le figlie il bisogno di separazione e d’individuazione personale si fa palese. I comportamenti della propria madre vengono giudicati ed espressi:“io non sarò come lei con i miei figli”. Oppure, quando la donna resta incinta si ripromette di non commettere gli “errori”, che i propri genitori hanno commesso con lei , soprattutto, la madre. 

La nascita è un lutto?

Nell’ultima fase descritta il bambino viene idealizzato, viene, cioè, caricato di aspettative, di sogni, di speranze su quello che sarà o diventerà. Si da forma in tal modo ad una dinamica di “riscatto” del sé che coinvolge tutti gli elementi della vita dei futuri genitori. Frasi o idee come:“non ho fatto l’università”, “non sono andata bene a scuola”, “volevo avere più amici”, “volevo fare un lavoro più appagante”, ma anche “deve seguire le mie orme perché sono una persona realizzata”, “deve avere molti soldi” ecc… ne rappresentano l’esempio. L’atto di partorire riporta riconduce la donna nella realtà delle cose attraverso il dolore dell’espulsione dal proprio corpo del suo bambino interiore, ideale che diventa bambino reale. Il parto rappresenta un punto cardine nella psiche della madre-figlia e sarà vissuto anche come un “lutto”. 

Diade madre-bambino

La madre “incubante” deve cedere il passo alla madre “accudente”. Il nascituro è un essere “autonomo” nel respirare e nell’espressione di bisogni impellenti come quello di nutrirsi e la donna-madre deve fare fronte ad una nuova dipendenza, un nuovo equilibrio da realizzare. La fusione iniziale della diade madre-figlio inizia pian piano a sfaldarsi. Il processo psichico dell’individuazione è molto complesso ed avviene nel tempo, molto gradualmente. Si sviluppano sensazioni delicate di rinnovata identità da parte, non di un solo individuo, ma di due. Schematizzando al massimo, facciamo alcuni esempi di tale percorso. Durante l’allattamento, momento così intimo e personale, oltre al nutrimento fisico, la madre fornisce al bambino il proprio sguardo, dove egli si rispecchia.

Reverie o fase del rispecchiamento

La letteratura definisce questa funzione “reverie”. Una funzione di specchiamento reciproco attraverso cui i due soggetti  madre-figlio si ri-conoscono e si confermano nel proprio ruolo. Lo sguardo della madre riflette il bambino, lo riconosce, lo guarda come essere umano e gli consente di fare altrettanto. Lo sguardo della madre resta fondamentale anche quando il bambino inizia a esplorare l’ambiente, donandogli la fiducia necessaria in sé stesso. 

Sviluppo della fiducia come sicurezza

La capacità del bimbo di provare fiducia gli faciliterà il contatto con gli stimoli del mondo in modo autonomo. Egli cercherà nello sguardo materno. Il bambino incuriosito da qualcosa, la prima cosa che fa è volgersi alla madre. Nello sguardo leggerà se lo stimolo è sicuro ed affrontabile.  La madre è il mediatore con il mondo esterno e con tutti gli stimoli che da lì arrivano.

Tasselli che si ricongiungono

I tasselli pian piano cominciano a ricongiungersi. La mamma è in grado di riconoscere il bambino come essere a se stante, via via che le aspettative sul “bambino ideale” reggono alla prova nel confronto  con il “bambino reale”. Tale processo, tuttavia, rischia di far perdere la funzione di rispecchiamento alla donna se è fonte di desideri di riscatto eccessivi, surreali. Ciò significa che il bambino sarà sottoposto ad una tensione e ad una situazione d’ insicurezza nei confronti del mondo. Così la fiducia non si instaurerà.

Separazione ed individuazione

E’ appunto la madre, dunque, che nei mesi impara a riconoscere il suo bambino come soggetto sempre più autonomo, diviso da sé, aiutandolo ad individuarsi come persona. Come? Con quelle che vengono definite “frustrazioni”. Il bambino non percepirà più la madre come completamente soddisfacente perché non più completamente a sua disposizione. Lei imporrà delle regole per renderlo autonomo e faciliterà il superamento naturale della simbiosi reciproca. La letteratura ci insegna come. Melanie Klein, ad esempio, descrisse un “seno buono”  della madre nutriente, accudente, che fornisce cibo e consola il bambino. La stessa autrice descrisse anche un “seno cattivo”  della madre che si nega, che fornisce le frustrazioni necessarie alla crescita, che consente al piccolo di auto-consolarsi nel pianto, gli insegna l’attesa e lo sviluppo del desiderio.

Fase simbiotica 

All’inizio del rapporto madre-figlio, la situazione simbiotica è quella del “seno buono” dove ogni bisogno è naturalmente soddisfatto. Con il tempo viene presentato il “seno cattivo” ed i bisogni non sempre soddisfatti  vengono rinviati o repressi. Il bambino piange e la madre non arriva oppure rimanda o da un divieto, nega. Il piccolo che vive l’ambiguità emotiva e, come ci insegna M. Klein, si pone evolutivamente in una “posizione schizo-paronoide”.  

Funzione dell’odio

In questa fase evolutiva, l’odio per il “seno cattivo” è preminente : il bambino attacca il seno cattivo, vorrebbe eliminarlo, “ucciderlo”. Con la crescita e con numerosi altri procedimenti (non citati in questa sede,  il bambino si rende conto che il “seno buono” e il “seno cattivo” sono la medesima sostanza. Distruggere il seno cattivo vuol dire, quindi, dover comunque rinunciare anche al seno buono. Questo stato di cose porta il bambino a vivere un nuovo momento  evolutivo, quello della “posizione depressiva” in cui sperimenterà il sentimento della colpa dovuto all’odio provato per il “seno cattivo”.  

Matricidio

Durante lo sviluppo così detto “normale” il bambino supererà l’ambiguità affettiva attivando delle modalità riparative al fine di mantenere integro l’affetto materno e a non sentirsi cattivo. Abbiamo potuto osservare, però, che  le dinamiche di matricidio fanno parte dello sviluppo evolutivo e sono fondamenti della personalità. La “messa in atto” di queste dinamiche, dunque, non sembra così impossibile, rappresenta quello che, nel linguaggio tecnico, viene definito “acting”.

Dalla fantasia alla realtà

E’ il passaggio all’azione reale: qualcosa di psichico viene buttato nel mondo concreto, viene agito. Tutto quello che abbiamo detto fin ora, si svolge nel corso del tempo, di anni. Lo sviluppo psichico procede parallelo a quello fisico. L’individuo, infine, raggiunge l’ individuazione che tocca il suo culmine in età adolescenziale dando vita ad un’altra famosissima crisi evolutiva. Crisi per lo più dovuta alla necessità da parte del giovane di far coincidere il concreto con lo psichico. Infinita letteratura è stata scritta su questo momento dello sviluppo e tutti, in un modo o in un altro, ci siamo trovati ad avere a che fare con le necessarie e personalissime ribellioni per trovare la nostra identità.

Matricidio: figlia che uccide la madre

La letteratura classica psicologica e non, raramente prende in esame la figlia che uccide la propria madre. La questione diventa molto complessa! madre e figlia: due donne al confronto. Di loro si dice dell’amore e dell’affettuosità che sono solite manifestare, non si racconta dell’odio che provano reciprocamente. Si mescola l’individuazione con l’identificazione. Io figlia mi devo separare ed individuare come essere umano a sé stante, ma allo stesso tempo sono donna come lo è mia madre, lei è il mio specchio. Essere donna significa che sarò madre come lo è stata mia madre? Ciò é possibile  o è dovuto? Cerchiamo un aiuto sempre dalla letteratura.

Tipologie di rapporto madre-figlia

C.G.Jung, discepolo dissidente di S.Freud, fece uno studio approfondito sulla questione e suddivise il rapporto madre-figlia in 4 tipologie.

Prima tipologia 

Ipertrofia del materno: la madre troppo accudente nei confronti della figlia crea una copia di sé, la figlia si identifica con la madre e la sua identità è vincolata inesorabilmente alla maternità.

Seconda tipologia

Esagerato sviluppo dell’eros: la figlia si ribella alla madre per gelosia              e questa rivalità, data da una identificazione sotterranea, sfocia nella            tipologia di relazioni competitive, nella continua ricerca di sfide con              altre donne.

Terza tipologia

Identità con la madre: anche in questo caso la figlia si identifica completamente alla madre e la sua energia vitale viene risucchiata dalla madre in carne ed ossa, non dalla maternità.

Quarta tipologia

Difesa reattiva nei confronti della madre: la figlia viene intrappolata nella dipendenza e manifesta ostilità e mancato riconoscimento, la figli non riesce ad identificarsi e dà vita a quello che viene definito “complesso materno negativo”.

Complesso materno negativo

Questo può manifestarsi anche in maniera violenta e sfociare nell’odio, nelle aperte ostilità e, se molto forte, può effettivamente passare all’acting. È protezione? È patologia? È necessità? Rispondere a queste domande è impossibile e bisognerebbe analizzare ogni singolo caso per avviare un percorso che porti ad una soluzione, ad un abbassamento della tensione per favorire una sana individuazione. Per concludere e chiudere il nostro cerchio, vorrei rinarrare una favola, che rappresenta e spiega un aspetto del matricidio e di quello detto fino ad ora: Biancaneve, ma non la versione della Disney, bensì la prima versione dei fratelli Grimm del 1812 che potete trovare qui  . Ad alcuni sorprenderà che nella prima stesura, quella che poi sarà “la matrigna” è in realtà la madre naturale di Biancaneve.

Caso di Biancaneve

Rileggendo con la lente delle teorie presentate fino ad adesso, comprendiamo come il rispecchiamento sia fondamentale. Se la madre vede sé stessa, sicuramente nega il lutto del bambino ideale, nega l’identità alla propria figlia o figlio e scatena quello che Jung ha definito complesso materno negativo. Il passaggio all’azione è di una figlia che deve morire per resuscitare e “riscattarsi”, una figlia che rimane comunque in balia degli eventi, che non reagisce nella sua teca di vetro, una figlia che non è in grado di affrontare la vita se non facendo da “madre” a creature emarginate e sfruttate.

Vittima o Assassina/o

L’interrogativo è ambiguo e volutamente irriverente: chi è la vittima? Chi è l’assassino? Domande che non possono avere una risposta.
Per concludere, il matricidio fa in qualche modo parte della nostra natura e costituisce un “complesso” psichico di fondamentale importanza. Quando, tuttavia,  un complesso diventa troppo forte, fino a diventare incontenibile, esplode nel concreto e finisce per manifestarsi in azioni aberranti che ci destabilizzano.

MONETE

L’importanza del pagamento nella psicoterapia

Quanto costa una psicoterapia?

Il costo di una psicoterapia è un argomento oggetto di accesi confronti e discussioni tra i vari professionisti nel campo. Il pagamento dello psicologo o psicoterapeuta è oggi un tema molto delicato, in quanto è questa una professione dove né le tariffe né i metodi di pagamento sono accettati dai più.

Quanto costa un colloquio psicologico?

Se digitiamo queste domande su internet vediamo comparire una serie di siti che propongono il minor prezzo o il costo medio degli psicologi. Propongono costi al ribasso del colloquio psicologico e di conseguenza di una psicoterapia. Suggeriscono i “migliori psicologi e psicoterapeuti”, che fanno risparmiare con sconti, promozioni  e si trovano più o meno vicini al luogo di residenza del potenziale utente.

I professionisti che si iscrivono su questi siti, del resto, sperano di catturare clienti senza spendere un soldo di investimento sul proprio lavoro. Ciò che si mette in evidenza è il costo, a volte irrisorio o gratuito, delle prestazioni psicologiche cliniche. Chissà perché molti psicologi , soprattutto quelli più giovani, appaiono certi che i potenziali clienti in questo settore non pensino alla qualità del servizio, ma solo al risparmio sullo stesso e addirittura a volerlo in forma gratuita.

La prima seduta dallo psicologo si paga?

La prima domanda a cui il professionista Psicologo deve rispondere spesso è proprio questa. I clienti a volte richiedono il primo colloquio in forma gratuita e vorrebbero che il professionista dia una risposta al loro problema in assenza di un onorario. Si tratta, però, di una richiesta infondata. A seguito di uno stato di malessere psicofisico, gli utenti richiedono una prestazione sanitaria che necessariamente comporta una Diagnosi e una Prognosi. I pazienti ricevono pertanto la proposta di una soluzione al problema presentato effettuata tramite un Trattamento Clinico o una Psicoterapia.

Il primo colloquio psicologico

Il primo colloquio o prima visita psicologica è, dunque, il momento più importante dell’incontro tra il paziente e lo psicologo clinico.  Esso avviene a seguito del contatto preso volontariamente dal cliente/paziente per una necessità di salute mentale. E’ una prestazione che va onorata economicamente e, anzi, solitamente ha un costo maggiore rispetto alle visite successive. Esso può restare un colloquio unico o può precedere una psicoterapia. E’ la fase iniziale, la più intensa e faticosa, sia per lo psicologo che deve focalizzare il problema prestando un ascolto attivo al fine di restituire al paziente la comprensione dello stesso, cercando di facilitarne l’espressione, sia per il paziente che non sempre è abituato a parlare degli aspetti dolorosi della sua vita personale.

L’alleanza terapeutica

Da parte dello psicologo c’è la conoscenza dell’altro, l’attenzione incondizionata, il testare un terreno di una personalità sconosciuta, il tentativo di creare una nuova forma di relazione sulla base di alcune difficoltà di una persona. Da parte del paziente c’è il timore, a volte ancora la vergogna di parlare delle proprie problematiche intime, che non si vorrebbero raccontare a nessuno pur di non ammettere che non si riesce a risolverle da soli. E allora si deve cercare l’aiuto di qualcuno che abbia le giuste competenze e di cui potersi fidare. Ancor prima dell’incontro stesso è la telefonata iniziale a stabilire le fondamenta del percorso di cura. La comunicazione telefonica è considerata il momento di apertura della terapia psicologica stessa e, spesso, il primo contatto in assoluto.

La telefonata iniziale

La telefonata avviene direttamente tra paziente e psicoterapeuta, senza intermediazioni burocratiche come succede nelle altre professioni. Durante la telefonata si fa una prima diagnosi perciò è importante capire il motivo per cui la persona chiede la consulenza: Cosa sta passando? qual è la difficoltà che si trova a vivere? cosa l’ha portata ad un certo punto della sua vita ad alzare il telefono e chiedere aiuto  professionale?

E’ altrettanto importante capire chi è la persona che chiede aiuto: quanti anni ha, è single o sposato o altro? che lavoro svolge?  ha figli? o altre cose che il paziente ritiene importante far sapere di se per farsi conoscere. Domande e risposte vengono pronunciate in una forma  colloquiale. Si raccolgono informazioni specifiche che permettono l’instaurarsi di una relazione empatica tra cliente e psicologo, che si va anche a concretizzare  nell’incontro della prima seduta presso lo studio del professionista. A quel punto definire l’ora, il giorno, e il costo delle sedute è la prova dell’intesa raggiunta tra il cliente/paziente e il terapeuta/psicologo.

La cura come contratto

Ogni rapporto di lavoro ha la sua partenza in un contratto verbale che si realizza in un accordo vero e proprio sottoscritto dal richiedente e il professionista che presta l’opera o da un servizio. L’incontro telefonico è parte integrante della terapia e rappresenta l’accordo preliminare di un contratto verbale stabilito tra le parti. Il paziente, manifestando la volontà di un supporto psicologico, getta le basi per un nuovo cammino, indirizzato verso la crescita, l’equilibrio e la responsabilizzazione. Con la prima seduta e poi con le successive,  si consolida la fiducia e si definisce l’ alleanza terapeutica; si raffina la diagnosi, che orienterà successivamente tutto il percorso di cura.

La salute come valore inestimabile

Il pagamento in quest’ottica acquisisce ulteriore importanza. Spendere soldi per una cura o per un’altra qualsiasi necessità di salute, spesso rappresenta un obbligo per la persona che vive una sofferenza.  Tutto ciò facilita nel paziente la coscienza del proprio malessere e l’investimento produttivo, per cui si mette alla ricerca del migliore professionista del settore.  Il paziente che paga le prestazioni sanitarie è una persona che conosce il valore di sé e della sua salute e si chiede quanto vale il proprio benessere, perché la propria salute ha un valore  unico per ognuno.

Psicologi in Italia: quanti sono?

L’Italia, al primo posto rispetto al resto d’Europa, per il numero di Psicologi. Si contano circa 100.000 psicologi iscritti all’Ordine Nazionale. Di questi, più di 50.000 hanno la specializzazione in Psicoterapia e quasi tutti alla ricerca di un mercato da conquistare. La concorrenza è altissima.

Il rapporto numerico psicologo/utente è di 156 psicologi ogni 100.000 abitanti (dati della Commissione Europea). Il numero degli iscritti al Consiglio Nazionale degli Psicologi raddoppia ogni decennio e grazie a tale crescita esponenziale in Italia si è arrivati ad avere uno psicologo ogni 550 abitanti.  Ogni anno, infatti, si iscrivono agli ordini professionali circa 5.000 nuovi psicologi. L’età giovanile (35 e i 45 anni) degli psicologi attivi contro la tarda età di pensionamento (la maggior parte  dei liberi professionisti lavora fino a 70-75) crea una contrazione del mercato del lavoro per cui non risultano uscite significative mentre cresce la concorrenza professionale.

Valore medio di una seduta psicologica

Come influiscono questi dati sul costo della psicologia e sulla qualità delle prestazioni sanitarie offerte?  Italia non c’è una legge che impedisca ad un professionista di chiedere, come compenso, meno di una determinata cifra. L’immissione di un  grande numero di giovani psicologi sul mercato italiano crea la dequalificazione delle competenze psicologiche. Tale realtà si evidenzia poi nel mancato riconoscimento del valore della prestazione psicologica sia in senso economico sia in senso di credibilità delle prestazioni stesse. Eppure la formazione di uno psicologo psicoterapeuta costa almeno quattro anni di specializzazione dopo cinque anni di laurea e l’esame di stato. A fronte di un grande costo economico e di tempo formativo per la laurea in psicologia e la specializzazione in psicoterapia il professionista non trova un mercato del lavoro che possa riceverlo adeguatamente così diventa un libero professionista accanito.

Psicologo e pubblicità professionale

Nessuna professione al pari di quella psicologica viene pubblicizzata tramite una numerosissima schiera di siti e data base di profili dei professionisti  proposti come i migliori a minor prezzo. I giovani psicologi tra l’altro pur di farsi conoscere nelle comunità in cui operano offrono servizi spesso gratuiti o lavorano con associazioni di servizi, cooperative a basso prezzo.

Le tariffe delle sedute per tutti questi motivi non sono statiche. Esse variano da terapeuta a terapeuta, da città a città, da studio privato ad ente pubblico o associazioni. Dai siti internet, luogo in cui è più facile trovare il professionista che si cerca, si intuisce che il prezzo medio si aggira sui 50-60 euro, determinato evidentemente dal costo fissato dal professionista agli albori della sua professione e dal costo del professionista affermato che  all’utente ha molto da offrire in termini di servizio psicologico.

Tariffario delle attività psicologiche

Prima di consultare uno psicologo, dunque, conviene in ogni caso  informarsi sul suo curriculum professionale e sui costi della psicologia cliccando nel seguente link: https://www.psy.it/nomenclatore dove ci sono descritti tutti i costi delle prestazioni psicologiche e si riporta , ad esempio, che il valore minimo di un colloquio  individuale è di euro 35,00 e il valore massimo è di euro 115,00.

Il colloquio psicologico e la psicoterapia, dunque, sono attività professionali ed il denaro è un aspetto imprescindibile, che definisce innanzitutto il ruolo dello psicologo come “lavoratore”, e non come confidente, e del paziente come cliente con richiesta di supporto, e non come amico. Sta di fatto che in un’economia di scambio ogni attività lavorativa, dalla più umile alla più qualificata, produce un determinato valore misurato in termini di denaro.

Valore simbolico del denaro

Il colloquio psicologico e la psicoterapia, a prescindere dall’orientamento d’appartenenza del terapeuta, consiste nell’aiutare il paziente a conoscersi, ad ascoltarsi e osservarsi, ad interpretare il mondo circostante modificandolo come e se si vuole. La psicoterapia aiuta, perciò, a mettersi in discussione e a realizzarsi. Nell’economia psichica tutto ciò ha un costo. Il vissuto dell’impegno mentale, richiesto dall’analisi delle problematiche portate al terapeuta, viene messo a disposizione nello scambio relazionale terapeutico. In questo luogo psichico, nel setting condiviso ognuno deve ricevere una soddisfazione personale: il paziente deve riceve una cura proficua e il terapeuta un proporzionato compenso in denaro.

Il pagamento

Il pagamento diventa così un aspetto caratteristico della relazione terapeutica, che viene esplicitato durante il primo contatto o nel primo incontro.  Lo psicologo, prestatore di servizi di cura alle persone è tenuto a rispettare  gli standard indicativi  professionali. Nel fare ciò, tuttavia, il professionista certamente deve considerare il proprio bagaglio culturale in continua evoluzione e deve possedere una capacità strategica di muoversi con equilibrio nel mondo reale, tra leggi, pratiche fiscali e linee guida.

 Bibliografia e sitografia:
  • Freud, (1912-13), Nuovi consigli sulla tecnica., Bollati Boringhieri, Torino, 1975.
  • http://www.osservatoriopsicologia.com/2011/01/29/pagamento-sedute-di-psicoterapia-non-effettuate-anna-maria-ancona/
  • https://www.psy.it/novita-2020-per-i-professionisti-esercenti-attivita-sanitaria.html
  • https://www.psicologi-psicoterapeuti.it/tracciabilita-dei-pagamenti-delle-prestazioni-sanitarie-dello-psicologo/
  • https://www.analisilaica.it/2019/01/20/l-avvio-del-trattamento-secondo-freud/
  • https://www.guidapsicologi.it/articoli/lo-psicologo-psicoterapeuta-limportanza-della-relazione-terapeutica-per-un-vero-cambiamento
  • https://www.sibillaulivi.it/perche-lo-psicologo-gratis-non-funziona.html
  • http://www.osservatoriopsicologia.com/2013/03/08/psicoterapia-e-denaro/
omofobia nelle relazioni affettive

Omofobia nelle relazioni affettive

Un fattore subdolo e sottovalutato in grado di manifestarsi nonostante si provi affetto per le persone. Frequentemente si sente parlare di omofobia in relazione agli avvenimenti politici recenti. Questi hanno mosso il mondo della comunità LGBT a manifestare per il diritto al riconoscimento della propria libertà sessuale e di identificazione personale.

Ma cosa si intende per omofobia?

Il termine deriva dal greco e letteralmente significa “paura dello stesso”.  Utilizzato per la prima volta dallo psicologo George Weinberg per identificare l’odio e l’intolleranza nei confronti di individui omosessuali da parte della società o delle singole persone eterosessuali. Come per il razzismo esso si manifesta attraverso atteggiamenti discriminatori.  Tali atteggiamenti talvolta sfociano in vere e proprie violenze, derivanti da pensieri legati a pregiudizi o fondamenti religiosi radicali.

Gli ingredienti nascosti dell’Omofobia

L’ omofobia non si manifesta sempre alla stessa maniera e, anzi, sono state identificate tre accezioni diverse. La prima riguarda il giudizio negativo nei confronti dell’omosessualità, che comprende tutte le ideologie legate a convinzioni personali o sociali sul tema. È il caso di pensieri quali considerarla immorale o contro natura. La seconda comprende comportamenti discriminatori che ledono diritti e dignità degli omosessuali, come atti di violenza fisica e psicologica riconducibili al sessismo. La terza riguarda la possibile componente psicopatologica. Essa è contenuta all’interno della categoria diagnostica dei disturbi di ansia, con l’etichetta di fobia specifica, in quanto provoca in chi la manifesta stati di irrazionale e persistente paura nei confronti degli omosessuali.

Omofobia subdola in famiglia

Esiste anche un’omofobia più subdola di cui non si parla molto o comunque se ne parla in modo superficiale.  Si tratta dell’omofobia presente fra componenti nella cerchia delle relazioni familiari e affettive in generale.  Pur provando affetto le persone adottano verso i cari omosessuali degli atteggiamenti che possono comunque manifestare l’assenza di sostegno. Così nelle relazioni amicali dove si scherza e si prende in giro la persona ritenuta omosessuale.

È il caso, ad esempio, della mancanza di accettazione dell’orientamento sessuale dei figli da parte dei genitori. Come si palesa? ad esempio quando si cerca di evitare l’argomento, anche nel momento in cui risulta piuttosto evidente. Oppure, nascondere agli occhi degli altri esternazioni che vengono considerate socialmente “non normali”. Comportamenti mascolini in una ragazza o atteggiamenti femminili in un ragazzo, ad esempio, per paura dell’opinione altrui. La prole viene, così, considerata oggetto della propria vergogna. Tale condotta può sfociare anche in vere e proprie violenze psicologiche e fisiche, con percosse, umiliazioni e allontanamento fisico del soggetto omosessuale.

Insicurezza della propria condizione

Una condizione che gli individui omosessuali possono vivere anche in mezzo ai propri amici a partire dalle prime espressioni del proprio interesse verso lo stesso sesso. Nel momento in cui si trova il coraggio per fare outing, non è raro trovare un velato dissenso fra le relazioni amicali! a quel punto gli amici tenderanno a mantenere le distanze, riducendo la frequentazione, oppure manifestando apertamente il proprio disappunto e rifiuto.

Gli stessi familiari ed amici affermano, comunque, di provare affetto per i propri conoscenti omosessuali, pur senza accettarne l’orientamento sessuale, ma evitano di discorrere con gli altri delle suddette persone, per non dover dare spiegazioni che risultano “scomode”. Dall’altra parte, coloro che sono omosessuali e vivono tali esperienze provano continuamente sentimenti di frustrazione e mancanza di accettazione di altri. Tutto ciò impedisce loro di riuscire d esprimere liberamente le proprie preferenze.

 Sensi di colpa e suicidio

A questa sofferenza, sovente, si aggiunge anche un profondo senso di colpa che porta la persona a sentirsi sbagliata, con atteggiamenti sempre più autodistruttivi, fino a raggiungere il suicidio nel suo livello più estremo.

Sono sempre più numerosi i casi di adolescenti o di persone anche giovanissime che ricorrono in extremis a tale atto definitivo. Prima ancora di fare outing, per la paura di essere isolati, giudicati o maltrattati dagli stessi familiari o amici. Molti di coloro che non arrivano al suicidio, vengono cacciati di casa o isolati dalla comunità. A loro non viene data possibilità di scelta o di poter frequentare le persone con i quali era presente un rapporto affettivo.

Atteggiamento dei genitori

Spesso i ragazzi sono costretti dai genitori ad una visita psicologica o psichiatrica  perché non accettano nel modo più assoluto l’omosessualità del figlio/a. I genitori in questi casi preferiscono considerare la condizione di vita di una malattia, cosa che assolutamente non è. L’unica soluzione posta dinanzi ai ragazzi per ripristinare una sorta di equilibrio è un out-out, ovvero, rinunciare alla propria omosessualità.

Spesso questi  giovani arrivano nello studio dello psicologo per l’ansia, l’irrequietezza, i sentimenti depressivi, l’isolamento sociale o anche comportamenti autolesivi espressione di una sofferenza interiore associata al vissuto di omofobia dovuto proprio ad un ambiente relazionale affettivo familiare ed amicale.

La politica scende  in campo

Poiché gli atteggiamenti discriminatori stanno diventando sempre più diffusi e violenti, è nata la necessità di prendere provvedimenti da parte della classe politica. In Italia per la seconda volta si tenta di affrontare il problema con un disegno di legge (noto come ddl Zan), un testo unificato contro l’omotransfobia, approvato dalla Camera il 4 novembre 2020 e attualmente in approvazione al Senato.

Cosa prevede il d.d.l. Zan?

Sono diverse le questioni esposte nei suoi articoli e non trattano solo l’omosessualità. Si parla di un’estensione della legge Mancino, dove veniva  esposta anche la punibilità delle discriminazioni legate alla razza, alla religione e alla nazionalità. Con questa legge, pertanto, si inaspriscono le condanne. Coloro che manifestano atteggiamenti discriminatori non solo a sfondo razziale, etnico, sessuale, religioso, ma anche basati sul genere, sull’identità, sull’orientamento e sulla disabilità incorrono nelle pene. Il carcere fino a quattro anni  , per esempio, è previsto per chi istiga a commettere azioni violente, anche di stampo omofobo.

Il dibattito in corso

Il contenuto della proposta di legge, tuttavia, crea tra le diverse parti politiche un dibattito fervente che riflette psicologicamente le problematiche latenti di una cultura dove l’omosessualità. Le diverse forze politiche, pur di non sforzarsi di trovare una visione accettata da tutte in base alle specifiche problematiche preferiscono non arrivare a definire una legge unica. Eppure, una legge condivisa, nonostante tutto, porrebbe le basi per una riflessione generale da parte della società ed un’acquisizione di conoscenze utili a far superare il pregiudizio nel corso del tempo.

Art. 1 d.d.l. Zan: manifestazione esteriore di appartenenza sessuale

Nell’articolo 1 vengono definiti i concetti di genere, ovvero “manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso” e identità di genere, “identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso biologico, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”, concetti spesso confusi e ancora poco chiari per la maggior parte delle persone.

Art. 4 d.d.l. Zan: la non punibilità delle manifestazioni espressive

All’articolo 4, invece, si specifica che non vengono incluse nella legge e punite tutte le manifestazioni ideologiche che rispondono alla libera espressione di opinione, nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte. Mentre, all’articolo 7 si istituisce una giornata nazionale, il 17 maggio, contro l’omotransfobia.

Meglio una legge oggi che nessuna legge

Il compimento del ddl Zan rappresenta una sorta di traguardo in relazione alla tutela della libertà personale. Il rovescio della medaglia mostra una sorta di regressione dell’ umanità. Nel ventunesimo secolo, c’è ancora la necessità di promuovere delle leggi per punire comportamenti discriminatori nei confronti di quelle che sono le minoranze. Il diritto inalienabile e supremo di ottenere rispetto. Il solo fatto di essere una creatura vivente, a prescindere dal proprio credo, etnia e addirittura il proprio modo di essere persona rappresenta ancora una conquistata fare giorno per giorno. Lo sforzo della politica e dei movimenti che si occupano dei diritti umani dovrebbe dirigersi verso la costruzione positiva dei valori umani. Non bisogna più concentrarsi sulla punizione di ciò che è cattivo. Bisogna superare la cultura dell’odio che separa e promuovere la cultura dell’amore che unisce.

fine dell'amore

Quando finisce l’amore

Quando finisce l’amore è doloroso.

Accade spesso che la coppia si rompa e sempre con grande dolore di entrambi i partner. Finire l’amore, lasciarsi, lasciare, farsi lasciare, avere voglia di farlo e non riuscirci, avere il timore di essere lasciati. Come affrontare il lutto della separazione?

Essere lasciati quando finisce l’amore

Le ragioni per stare male in amore sono diverse, ma l’esperienza di essere lasciati rimane tra quelle più dolorose.   Finire l’amore e interrompere le relazioni amorose spesso viene raccontato nelle storie come un fatto  talmente doloroso che si dice: meglio restare vedovi/e piuttosto che essere lasciati.
Cosa succede dopo essere stati lasciati? Inizialmente si prova tanta sofferenza per l’abbandono, il senso di vuoto provato, ma anche la paura che l’altro possa essere felice vivendo un altro amore.
Non si riesce a lasciar andare l’oggetto d’amore, ogni cosa fa tornare in mente quello che “era”, ciò che donava, i giorni felici. Se si potesse, si ritornerebbe subito indietro ed assieme. Si è pronti a vedere e a cercare i piccolissimi segnali che dimostrano come  l’altro ci voglia ancora. Il senso di nostalgia, la disperazione, gli errori commessi, il sentimento di solitudine, sentirsi traditi e anche il desiderio di morire sono tutti sentimenti fortemente provati dalle persone in situazione di un amore finito.

Rabbia e fine dell’amore

Più tardi il dolore si trasforma in rabbia. È il momento di discernere tra sé e l’ex partner, in cui l’altro è percepito nelle sue limitazioni senza riuscire, però, veramente a lasciarlo andare. Finalmente si arriva all’accettazione: prendere le distanze o continuare a ricordare? Vivere nel passato o nel presente? Separarsi è un processo mentale molto più che materiale. L’odio diventa indifferenza. La comprensione dell’altro diventa indispensabile per voltare pagina, ma lo è, soprattutto, comprendere se stessi per apprendere dall’esperienza e approfittare per crescere e conoscere meglio i propri bisogni affettivi. Ora siamo noi il centro di noi stessi e possiamo ricominciare a vivere più forti e sicuri di sé. Sentire la rabbia è il primo segnale del ritrovato interesse per se e il coraggio di farcela da soli per il momento.

Lasciare quando finisce l’amore

Di solito questo è un atto che compie la persona più forte. Forse. Sicuramente è la persona che ha maggiore chiarezza dei propri bisogni affettivi e più fiducia in se stessa. Il ruolo di chi lascia è, tuttavia, avvolto da pregiudizi e da una sorta di astio che spesso non corrispondono alla realtà. Colui/lei che lascia è visto come il cattivo/a e il traditore. A causa di questa sorta di stigmatizzazione la persona che lascia può essere invasa da un vago senso di colpa che schiaccia e impedisce di agire, di andare avanti, di cambiare.

Finire l’amore

Gestire il senso di colpa percepito, per chi arriva a concepire la fine del rapporto è, dunque, una conseguenza logica ed è molto importante per poter  elaborare il bisogno di finire l’amore e assumere l’iniziativa di chiudere la storia. Nella vita la maggior parte delle persone  sicuramente possono vivere tale situazione e magari avere molti dubbi prima di prendere questa decisione e fare questo salto, ma alla fine si fa. Le persone che lo hanno fatto spesso raccontano di essersi sentiti responsabili del dolore del partner, della sua tristezza e anche del suo futuro. Chi lascia, tuttavia, non può farsi carico del dolore dell’altro. Una cosa è la sofferenza che nasce alla fine di un rapporto, un’altra, invece, è essere responsabile della sofferenza dell’altro una volta terminata la relazione.
Bisogna avere la maturità di accettare l’essere lasciati e non dare spirito ai bisogni rivendicativi. La vita è felicità e dolore, è fatta di certezze e di incertezze. Da una parte c’è l’amore e il rispetto, dall’altra il disamore e la vendetta. La sana elaborazione di questi due sentimenti genera l’autonomia e la crescita personale.

Paura di lasciare

Alle volte si ha paura di lasciare e di finire l’amore ritrovandosi in uno stato di “stand by” costante. Non si fa nulla.
Alcune persone per poter lasciare qualcuno hanno bisogno di trovare un oggetto d’amore sostitutivo. E’ il classico esempio del chiodo scaccia chiodo. Altre persone restano ferme, pensano: “non l’amo più”, “questa storia va chiusa ”, ma si rinuncia a fare il salto, magari per paura di deludere la famiglia, i genitori, gli amici, i cari del partner. Non si ha idea da dove ricominciare! E’ difficile cambiare abitudini, ricostruire nuovi schemi comportamentali e voltare pagina: è più semplice rimanere nella propria “comfort zone” anche se, in realtà,  non sembra così tanto confortevole.Ecco perché quando finisce l’amore è sempre doloroso.

Finire l’amore in salute

A volte sussistano condizioni abnormi di convivenza, condizioni patologiche fatte di aggressività manifesta, fino alla violenza vera e propria, ma non si riesce ad interrompere il rapporto. Si utilizzano persino i figli come ragione per mantenere rapporti finiti e fastidiosi, o motivazioni di carattere economico. Ogni volta che finisce l’amore bisogna far fronte all’incapacità di chiudere il rapporto con l’altra metà della mela e a rinunciare ai vantaggi della vita di coppia. A volte,  la sensazione di solitudine immensa dovuta alla fine dell’amore, soprattutto nei primi momenti, riconduce ad uno stato d’immaturità personale, quasi infantile e impedisce di affrontare la separazione e il lutto dell’abbandono. In questi casi è assolutamente necessario chiedere un aiuto da parte di uno psicologo esperto.

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