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Ansia e panico spiegate con calma

“Aiuto, ho l’ansia” . Quante volte avrete pensato o detto a qualcuno questa frase. E con la parola “ansia” volevate intendere un mix di forti reazioni fisiche ed angoscianti pensieri. E a causa di questi avete dovuto  affrontare la situazione ansiogena (see e come no!) o a rifuggirla a gambe levate.

Ansia

Spesso è difficile per una sola parola spiegare un fenomeno così complesso e multidimensionale.

L’ansia, infatti, è caratterizzata da una risposta soggettiva di disagio per un pericolo incombente. Essa è accompagnata da un corollario di sensazioni fisiche (tachicardia, sudorazioni, tensione muscolare, dolori addominali..) e di pensieri (preoccupazioni, idee di pericolo, aspettative negative…). Entrambi  portano a sperimentare irritabilità, nervosismo, calo della concentrazione e delle abilità nelle attività quotidiane.

Quest’ansia potrebbe essere una caratteristica stabile della nostra personalità (“Fabiana è una persona ansiosa”). Oppure potrebbe essere legata ad uno stato momentaneo, transitorio (“Fabiana ha svolto quel compito in maniera ansiosa”).

Teniamo sempre come esempio la nostra Fabiana. Spesso sono le richieste dell’ambiente esterno (lavoro, famiglia, stile di vita cittadino…) a spingerla a pensare e ad agire, nella sua quotidianità, in maniera ansiosa. Ma è pur vero che anche lei ci mette la sua parte.

Alla base dell’ansia vi è una distorsione della realtà

Gli psicologi, infatti, a seguito di studi scientifici hanno collegato l’ansia a fenomeni di distorsione e ad errori di elaborazione delle informazioni provenienti dall’ambiente . Ciò vuol dire che  Fabiana tenderebbe a dare interpretazioni di pericolosità a situazioni che, in realtà  non lo sono affatto. Oppure  non lo sono così tanto da richiedere al soggetto una risposta d’allarme così abnorme.

Inoltre, di fronte a queste situazioni, Fabiana tenderà a percepirsi vulnerabile e priva delle risorse per affrontarle con successo. Di solito questi schemi di pensiero sono di natura appresa ed operano tacitamente nella mente di Fabiana sotto forma di aspettative, ricordi, convincimenti.

E visto che i pensieri disfunzionali hanno un ruolo centrale nel mantenere questa erronea valutazione dell’ambiente, uno psicoterapeuta potrebbe, di certo aiutarla ad indagare e a ristrutturare questi modi di pensare. Questo al fine di  aiutarla a capire se veramente un evento o una situazione costituisca una minaccia. E inoltre  e per fare in modo che riesca a trovare soluzioni applicabili alle situazioni problematiche in modo che non lo siano più. O che risultino, a Fabiana, più controllabili e gestibili. Ma procediamo con calma. Ce lo siamo ripromessi, no?

Attacco di panico

L’attacco di panico è un momento circoscritto. Un picco di paura intensa, della durata di qualche minuto. In questo intervallo  la sintomatologia fisica è così forte ed i pensieri così catastrofici che si pensa di essere prossimi alla morte o alla pazzia. Decisamente una sensazione orribile!

Dato questo episodio così drammatico è possibile che ai primi segni di ansia sempre la nostra Fabiana, che ha provato la sensazione dell’attacco di panico, esacerbi l’ansia per timore di un nuovo attacco e dia il via alla profezia che si auto avvera chiamata “paura della paura”. Ansia e panico sono in stretta successione.

Paura della paura

Ovvero le persone che hanno sofferto di attacchi di panico tendono a dare interpretazioni catastrofiche, al limite dell’ipocondria, delle sensazioni interne, spesso neutre, che provano.

Inoltre queste persone oltre a sopravvalutare le proprie sensazioni interne, considerandole fonte di pericolo, sottostimano, allo stesso tempo, le proprie capacità di fronteggiarle. E si  sentono  totalmente vulnerabili di fronte ad esse. Quindi, come avrete notato, alla base c’è lo stesso meccanismo dell’ansia. Infatti  l’attacco di panico figlio di questa categoria di disturbi psicologici.  Ancora una analogia tra ansia e panico dunque.

E’ ovviamente importante che ci si assicuri che i sintomi provati non siano causa di malattie fisiche come l’ipoglicemia, l’ipertiroidismo, disturbi vascolari, la sindrome da prolasso della valvola mitralica od altre e che non vi sia alla base un disturbo da assunzione di sostante a generare o aggravare il problema.

Per assicurarsi di questo è necessario, pertanto, prima, recarsi dal medico di medicina generale. Questi , dopo opportuni controlli fisici, può decretare che il disturbo è psicologico. Può quindi fornire supporto farmacologico (benzodiazepine) se lo ritiene necessario. Ed infine , può suggerire a Fabiana l’intervento di uno specialista.

Supporto Psicologico

Per la gestione dell’ansia il terapeuta potrebbe proporre a Fabiana diverse soluzioni per la gestione dell’ansia, tendenzialmente affiancandole tra loro.

Controllo dell’iperventilazione
  • 1. Controllo dell’iperventilazione: Potrebbe mostrarle quanto simili siano i sintomi del panico e quelli dell’iperventilazione volontaria (magari sperimentata salendo, con una certa solerzia, 4 piani di scale) e quanto, a riposo, si possa ridurre il ritmo del respiro. Potrebbe, altresì, proporle di fare a casa prove di controllo del respiro.
Meditazione
  • 2. Meditazione: potrebbe essere istruita ad eseguire semplici esercizi di meditazione. Sedersi con gli occhi chiusi, comoda e concentrata sulla propria respirazione, dicendo la parola “uno” ad ogni espirazione. Continuando così per circa 10 minuti. Riconcentrandosi, con calma, sul compito, ogni qualvolta emergano pensieri di varia natura e non per forza negativi.
Esposizione
  • 3. Esposizione: il terapeuta potrebbe preparare a Fabiana un elenco di situazioni, gerarchicamente disposti dal più ansiogeno a quello più neutro, in cui Fabiana deve sperimentarsi, “dal vivo”, in modo da imparare che l’eccessiva ansia provata è immotivata. Del resto questa tecnica non è affatto merito degli psicologici. Già Goethe, lo scrittore, nel 1770, rispetto alle sue paure dei rumori, delle altezze, delle ferite e del buio scriveva: “Ho ripetuto le sensazioni penose e moleste finché le conseguenze mi sono diventate abbastanza indifferenti”.
Gestione dei pensieri
  • 4. Gestione dei pensieri: il terapeuta, come abbiamo già accennato prima, potrebbe, infine, aiutare Fabiana a sviluppare modi di pensare più razionali rispetto agli iniziali pensieri, esagerati o distorti rispetto alle situazioni giudicate ansiogene e rispetto alle proprie abilità di fronteggiarle.

Il rapporto psicoterapeuta-paziente

Alla base del trattamento, non solo dell’ansia ma di tutti i disturbi psicologici, ricordiamo però che è fondamentale che il terapeuta e Fabiana diventino alleati durante la terapia in modo che Fabiana, col tempo diventi, come Goethe, terapeuta.

Fabiana deve sentirsi responsabile della promozione del proprio benessere, deve desiderare cambiare. Il terapeuta, con un approccio empatico e comprensivo, fungerà da guida ma alla fine, quello che deve stare meglio non è lui per cui Fabiana avrà proprio da rimboccarsi le maniche.

Per capire questa motivazione il terapeuta dovrebbe chiedere come prima cosa “Fabiana perché sei venuta a farti curare ora?” e sentire la sua risposta. Dopo di che ci si augura che il terapeuta possa continuare il suo discorso dicendo: “Ansia e panico? Ora te le spiego con calma”.

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Attacco di panico.

L’Attacco di panico può essere descritto come un sabotaggio all’integrità della persona che lo vive. Il panico arriva, travolge e se ne va, lasciando dietro di sé una potente scia che resta impressa nella memoria.

È il Disturbo d’ansia più diffuso. Un italiano su sei sa cos’è un Attacco di panico perché lo ha vissuto, ma un italiano su trenta soffre di Disturbo di panico con attacchi ripetuti che limitano libertà e autonomia della persona. Il Disturbo di panico si sviluppa tipicamente tra i 15 e 19 anni e tra i 25 e 30 e ha una prevalenza che oscilla tra l’1,5% e 3,5% della popolazione generale. Nonostante le manifestazioni cliniche del disturbo siano simili nei due sessi, esso viene diagnosticato con una frequenza doppia nelle donne.

Per capire cosa sia realmente l’Attacco di panico è necessario approfondire l’argomento (leggi anche questo articolo).

Ansia anticipatoria: campanello d’allarme

L’ansia, di per sé, è uno stato anticipatorio di un pericolo futuro, che può essere interno o esterno e che nei pazienti con Disturbo da panico ha la funzione di preparare la persona per il panico successivo. Essa è caratterizzata da apprensione e preoccupazione accompagnate da tensione, coinvolgendo corpo e mente.

Panico: cos’è?

Il panico è uno stato emotivo caratterizzato da un senso di estrema paura o di morte imminente. Il soggetto con panico sente la minaccia come “presente”, si sente esattamente dentro la situazione temuta, ossia “dentro la minaccia”. È un intenso arousal (stato di attivazione) che prepara alla lotta o fuga. Il panico, in questo senso, è l’emozione che accompagna la gestione dell’emergenza.

Attacco di panico: sintomo + sintomo

Un attacco di panico viene definito come un momento preciso di intensa paura o disagio, durante il quale quattro (o più) dei seguenti sintomi si sviluppano improvvisamente e raggiungono il picco nel giro di 10 minuti: palpitazioni o tachicardia; sudorazione; tremori fini o grandi scosse; sensazione di soffocamento; sensazione di asfissia; dolore o fastidio al petto; nausea o disturbi addominali; sensazioni di sbandamento, testa leggera o svenimento; derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da sé stessi); paura di perdere il controllo o di impazzire; paura di morire; parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio); brividi o vampate di calore.

Disturbo di panico: attacco + attacco

Il Disturbo è caratterizzato da attacchi inaspettati (cioè non associati ad uno stimolo situazionale, che si manifestano “a ciel sereno”) e ricorrenti, con una persistente preoccupazione di avere altri attacchi. Clinicamente, se gli attacchi di panico persistono per un periodo di 6 mesi in modo continuativo, allora viene diagnosticato il Disturbo.

Paura della paura

Gli Attacchi di panico si verificano quando le persone percepiscono come molto pericolose alcune sensazioni corporee e mentali oggettivamente innocue, cioè le interpretano come segnali di un’imminente e improvvisa catastrofe. Ad esempio, un soggetto può avere un Attacco di panico se interpreta:

  • la confusione mentale di un momento come un segnale di “impazzimento” o perdita di controllo della propria mente e dei propri comportamenti;
  • qualche secondo di tachicardia come il segnale di un infarto imminente;
  • un capogiro come segnale di svenimento improvviso.

Queste interpretazioni innescano un circolo vizioso di panico.

Circolo vizioso

Il circolo che culmina in un Attacco di panico si sviluppa quando uno stimolo viene percepito come minaccia incombente per il soggetto, creando uno stato di forte preoccupazione (ansia). A questo punto il soggetto interpreta in modo catastrofico le sensazioni mentali e fisiche che accompagnano lo stato di ansia. Così, la persona convinta di essere in balia di una catastrofe tenderà ad allarmarsi ulteriormente, aumentando l’intensità delle sensazioni fisiche e mentali fino a far esplodere il vero e proprio attacco.

Dopo l’Attacco di panico?

Una volta che l’Attacco di panico è avvenuto, intervengono una serie di fattori che contribuiscono a cronicizzare la situazione vissuta. Le credenze catastrofiche si rinforzano a causa di comportamenti protettivi finalizzati ad evitare gli attacchi.

I comportamenti protettivi

Contribuiscono a mantenere il Disturbo e Attacchi di panico in due modi:

  • Impediscono la possibilità di disconfermare le interpretazioni catastrofiche.
  • Peggiorano i sintomi da cui ci si vuole difendere.

Sono di quattro tipi:

  • 1. Evitamento: il paziente evita situazioni che ritiene favoriscano il panico (ad es. metropolitana, solitudine, etc.)
  • 2. Fuga: il paziente scappa da una situazione appena si presentano sensazione di panico o sensazioni considerate come l’inizio dell’attacco.
  • 3. Comportamenti di prevenzione della minaccia: serie di comportamenti messi in atto per gestire l’ansia anticipatoria. Ad esempio: il paziente, temendo che il capogiro sia un segno di collasso, cammina rasente al muro per evitare di svenire.
  • 4. Distrazione (evitamento sottile): cercare una distrazione per attenuare la paura. Ad esempio, un paziente teme di avere un attacco di panico in macchina imbottigliato nel traffico, decide allora di leggere un libro che ha sul sedile posteriore o di ascoltare musica con le cuffiette.

Trattamento dell’Attacco di Panico.

La psicoterapia psicoanalitica è indicata come il trattamento elettivo di Attacchi e Disturbo di panico. Essendo il panico frutto di credenze, il trattamento sarà centrato da un lato sull’interruzione di tutti i comportamenti che contribuiscono ad alimentare il disturbo (comportamenti protettivi), dall’altro sulla modificazione delle credenze che contribuiscono invece ad alimentare ansia e panico. La terapia segue le seguenti fasi tipiche:

    • 1. Assessment: (indagine su tutti i comportamenti di evitamento messi in atto dal soggetto; individuazione dei circoli viziosi)
    • 2. Costruzione relazione terapeutica:
      • Condivisione
      • Psicoeducazione
      • Motivazione.
    • 3. Modificazione delle credenze patogene:
      • Ristrutturazione cognitiva
      • Accettazione dell’ansia e del rischio di panico
      • Esposizione Enterocettiva (esposizione a sensazioni collegate al panico)
    • 4. La prevenzione delle ricadute:
      • La ricostruzione della storia personale
      • Incrementare il senso di sé

Ristrutturazione e accettazione

La fase centrale del trattamento è la modificazione delle credenze patogene. L’intervento terapeutico consiste nell’identificare gli errori cognitivi (pensieri, credenze) e nel sottoporli ad un rigoroso esame di realtà. Una volta che il paziente è divenuto consapevole dell’importanza dei suoi pensieri nello sviluppo e mantenimento del disturbo, il terapeuta può mettere in discussione la validità di quei pensieri. L’obiettivo è “decatastrofizzare” le minacce percepite, per esempio attraverso domande di questo tipo: “Cosa succederebbe se la tua paura più grande diventasse realtà? Sarebbe davvero così terribile?”. Lo scopo è che il soggetto divenga consapevole tanto dell’inutilità e della disfunzionalità di tutti i tentativi di evitare l’ansia, quanto dell’impossibilità di sottrarsi ad essa. “Quando sento che l’ansia inizia mi dico: non mi piace, ma non posso evitarla. Aspetto quindi che passi, perché so che se non faccio niente in pochi minuti si riduce”.

A cura della Dott.ssa Floriana De Michele

Psicologa Psicoterapeuta

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La psicologia dell’ansia (dal Seminario ad Avezzano, 25 maggio 2005)

Cosa è l’ansia ?

L’ansia è l’emozione sicuramente più diffusa e conosciuta dalle persone al giorno d’oggi. Un esame, un incontro di lavoro, l’attesa di una notizia, un cambiamento, un ritardo, ma anche solo una telefonata basta per far sperimentare questo stato d’animo particolare.

L’ansia è un emozione che si instaura dentro di noi lentamente e in maniera silenziosa fino a diventare forte e assolutamente insopportabile. Ci fa sentire spesso “rabbiosi”. Ma la sensazione più comune è quella dell’apprensione, della paura, fino al vero e proprio terrore.

Di conseguenza ci sentiamo bloccati e non riusciamo a fare le cose che ci piacerebbe fare.

Ci sentiamo vulnerabili e portati a sottovalutare le nostre capacitàa fare pensieri disastrosi, catastrofici sulle situazioni che viviamo. Ad avere attacchi di panico veri e propri o a deprimerci in modo significativo. Oppure a somatizzare ammalandoci , così, nell’organismo.

Eppure è proprio l’ansia che, in condizioni normali, ci consente di affrontare le sfide della quotidianità manifestandosi innanzitutto come tensione positiva e carica psicologica.

Quando e perchè l’ansia si trasforma nella nostra peggiore nemica?

Attualmente si contano a milioni le persone che soffrono di attacchi di panico o che lamentano anche solo alcune delle duecentosettanta fobie conosciute.

C’è una ragione se accade proprio a noi oppure è solo un caso?

Si può ritrovare l’equilibrio perduto e come si può fare?

L’etimologia della parola ansia ci dice che essa deriva dal latino anxius la cui radice significa “Soffocare, strangolare”e Freud usa il termine tedesco Angst (Angoscia). Questo termine  in italiano viene tradotto indifferentemente col termine di ansia o di angoscia. Esso sta ad  indicare nel linguaggio della psicoanalisi le reazioni d’allarme della persona di fronte ai pericoli provenienti dalle esperienze esterne o dai propri turbamenti psichici.

L’ “angoscia” freudiana

Freud precisa che è possibile distinguere il pericolo reale , che è una minaccia proveniente da un oggetto esterno, dal pericolo nevrotico, che scaturisce da un’esigenza pulsionale legata cioè ad un bisogno interiore.

L’ angoscia è dovuta alla disperazione che si prova di fronte al pericolo. Egli chiama traumatica una situazione di disperazione realmente vissuta. Chiama situazione di pericolo una situazione che ricorda l’evento traumatico. Questo perché  permette al soggetto di prevedere il pericolo e prepararsi.

a) Angoscia automatica

L’angoscia o l’ansia che si prova è, allora, di due tipi. Un primo tipo è detta ansia o angoscia automatica provocata dall’afflusso, dall’esterno o dall’inconscio, di eccitazioni traumatiche, che il soggetto non riesce a dominare.

b) Angoscia segnale

Inoltre c’è un angoscia o ansia segnale , che si produce quando la situazione che crea disperazione continua ad incombere. Essa assume una funzione di difesa dell’io. E’  come un meccanismo d’allarme che avverte l’io dell’avvicinarsi di una minaccia grave per il proprio equilibrio, identificata con il male , il brutto, l’ignoto.

La situazione che crea disperazione è una situazione traumatica ed è la rappresentazione della nascita (O. Rank) in quanto ripetizione di un avvenimento importante appartenente al passato del soggetto.

Il trauma della nascita e la paura di perdere il sostentamento

Alla nascita, a seguito della separazione fisica dalla madre, il neonato è posto in una situazione di stimolazione massima, internamente ed esternamente. Egli non possiede la struttura e la capacità adattiva di rispondere con azioni difensive.

Durante gran parte dell’infanzia (come vedremo anche in seguito) il bambino non è attrezzato per affrontare le stimolazioni a cui e’ sottoposto. Pertanto si trova in uno stato di estrema vulnerabilità. Le risposte che vengono provocate quando un individuo è sottoposto a stimoli che non può padroneggiare e integrare nella sua Personalità , perchè vanno al di là delle sue capacità, daranno forma alla Situazione traumatica.

Nello sviluppo più avanzato , dice Freud, il neonato deve affrontare una minaccia diversa , legata alla paura di perdere gli oggetti importanti da cui dipendono il suo sostentamento e lenimento delle tensioni interne: in poche parole sua madre.

Angoscia di separazione del bambino

Tale paura è giustificata dalla sua estrema dipendenza da lei e l’angoscia che ne deriva.  Freud in questo caso chiama angoscia di separazione, è basata su considerazioni reali, sulla realtà.

Nel bambino, dice Freud, non c’è la capacità di valutare il pericolo. Per cui la produzione d’angoscia non è legata al pericolo reale. Il bambino reagisce alla perdita della madre e cioè riproduce l’angoscia che accompagna l’atto della nascita, la separazione da lei. Questa separazione , secondo Freud, lascia la libido o carica affettiva, inutilizzata , ferma, inattiva in quanto manca l’oggetto su cui appoggiarsi.

Egli sottolinea che questa perdita dell’oggetto amato può essere sostituito da una situazione che abbia lo stesso significato. Per esempio,il bambino che nel buio non vede più sua madre crede di averla perduta e reagisce con angoscia ogni volta che si ritrova al buio.

L’angoscia negli adulti : I nevrotici di Freud

Una cosa simile succede agli adulti che soffrono di ansia (nevrotici di Freud) con una differenza rispetto ai bambini, per cui la carica affettiva legata alla situazione traumatica viene staccata da essa , o rimossa. In teoria la rimozione crea l’angoscia, e si trasforma direttamente in angoscia. Altre volte , però, accade che in sostituzione dell’angoscia si formano dei sintomi tipo fobie e ossessioni. Queste  impediscono la percezione del dolore dovuta all’emozione di angoscia.

L’angoscia diventa così una funzione reale dell’io. E’ cioè  come un segnale di dispiacere che permette di mobilitare tutte le energie disponibili dell’io contro la pulsione o carica affettiva che proviene dall’ego dall’inconscio. Essa si origina in ogni caso dalla perdita o dalla minaccia della perdita dell’oggetto.

A sostegno di questa teoria attualmente sono gli studi di psico-neuro-biologia che descrivono le funzioni psico-mentali dell’uomo in tre attività, che si influenzano reciprocamente, ma che hanno tempi e modi propri di manifestarsi.

Esse sono : l’emotività, l’affettività, l’attività intellettivo-cognitiva.

Emotività ed Ansia

In questo momento ci soffermiamo sull’emotività perché è ciò che spiega il funzionamento dell’ansia.

L’emotività nello sviluppo filogenetico è presente in tutti i livelli del regno animale. Essa rappresenta un modello reattivo, istintivo, difensivo ed adattivo, attraverso il quale l’individuo risponde agli stimoli del mondo esterno.

Sembra, quindi, che ci sia un sistema adattivo-difensivo molto primitivo e comune a tutte le specie.  Essa  fa capo ai circuiti (neuroni, sinapsi, assoni e dendriti) che compongono il sistema limbico o cervello limbico o cervello del serpente.

Emozioni

Le emozioni si organizzano a vari livelli per cui riconosciamo le seguenti.

  1. attenzione e allerta
  2. tensione
  3. ansia
  4. angoscia

Queste possono evolversi in processi più complessi tra i quali si riconoscono le seguenti.

  1. l’ansia libera
  2. la paura
  3. ansia
  4. il terrore

La funzione che riunisce e rende simili tutti gli individui del regno animale è la capacità di reagire agli stimoli che giungono dal mondo esterno. Ciò avviene in un modo rapido (basso tempo di latenza), istintivo (cioè non mediato da altre funzioni e quindi strutture), automatico (senza la necessità di una speciale elaborazione).

Questi meccanismi però, portano a reazioni molto semplici che, negli animali (vedi serpenti) si limitano all’attacco o alla fuga.

Risposte emotive adattive e difensive

Nel caso specifico umano, invece, le risposte emotive vengono dette adattive, oltre che difensive, in quanto si organizzano come un sistema efficace per la difesa dell’individuo attraverso risposte che, seppure a volte non siano perfettamente adeguate, sono immediate (quasi del tipo tutto o nulla) e quindi permettono una difesa quasi sempre efficace.

Nell’uomo, infatti, il sistema emotivo è particolarmente efficiente ed attivo. Esso  è già presente nel neonato, nel quale una quantità notevole di risposte automatiche assumono proprio un valore difensivo ed adattivo. A questo punto cerchiamo di definire i vari stati delle emozioni.

Stati emotivi
Stato di allerta

Stato di allerta: E’  una risposta di preparazione per la quale il soggetto sposta rapidamente l’attenzione sulla qualità dello stimolo, sulla sua origine e sulla intensità. In un secondo tempo, se si attivano funzioni superiori che giustificano e/o tolgono significato all’input, l’allerta sfuma e si esaurisce. Si torna così al lo stato psichico in quiete.

Stato di tensione

Stato di tensione: E’  una risposta più intensa dell’allerta perché con questa il soggetto si prepara ad analizzare le componenti dello stimolo in entrata. Queste vengono  distinte in qualità, pericolosità, intensità. La tensione porta il soggetto a predisporre varie risposte possibili spostando l’attenzione in modo continuo dallo stimolo al “soggetto attore”.

Stato di ansia

Stato di ansia: E’ una risposta intensa, più o meno giustificata, ma sempre legata ad uno stimolo e/o ad una situazione determinata. L’ansia può diventare anormale o decisamente patologica quando dura a lungo nel tempo. Non viene cioè controllata dai sistemi specifici. Soprattutto, diventa invasiva, andando ad occupare gli spazi dell’affettività e dell’attività cognitiva, simbolica, razionale.

Stato di ansia libera

Stato di ansia libera: E’  uno stato patologico nel quale l’ansia fluisce in continuazione, senza freni e, soprattutto, senza giustificazioni logiche. E’ cioè svincolata dall’esperienza sensibile e determinata da vissuti profondi e personali.

Stato di angoscia

Stati d’ angoscia: E’ un’ansia, ma di grado molto elevato per cui i sistemi di controllo non riescono a contrastarla. Si parla di angoscia conscia e di angoscia inconscia. Ma, per lo più, si tratta di questo secondo tipo, dato che viene attivata da stimoli anche insignificanti se considerati dal di fuori. L’angoscia è una esperienza molto disturbante. Ciò anche perché il soggetto non riesce a trovare il modo di contenerla. Quindi, vive un sentimento come di essere in balia di qualcosa di troppo poderoso e distruttivo.

Stato di paura

Stato di paura: E’  una reazione non automatica, non così diretta come l’ansia e l’angoscia. Quindi, più elaborata , più determinata e legata all’esperienza sensibile o a situazioni ben definite.

Stato di terrore

Stato di terrore: E’  una paura molto accentuata e viene riconosciuto come risposta a qualcosa che non può essere controllato. E che genera situazioni dalle quali non si può sfuggire. Quindi, entra in gioco un sentimento di impotenza e di aver perso ogni possibilità di autodifesa. Il  soggetto non trova vie di scampo possibili.  Quindi, vive violente sensazioni di essere in balia dell’altro o di qualcosa che genera uno stato di morte imminente e, dunque, di invincibile e catastrofico.

Il sistema limbico e le emozioni

Da un punto di vista neurobiologico le emozioni sono il risultato dell’entrata in funzione del sistema limbico. Esso  è formato da diverse strutture centro-encefaliche situate sia a destra che a sinistra nel tronco encefalico.

Queste si articolano direttamente con le vie sensoriali e sensitive che giungono anche al talamo per poi raggiungere le aree corticali specifiche. Tale organizzazione spiega il perché della bassa latenza delle risposte emotive.

Le più importanti strutture del sistema limbico sono:

  • amigdala: che partecipa all’organizzazione del sistema mnesico.
  • ipotalamo: che attiva le risposte vegetative che accompagnano le emozioni (vasocostrizione, ipertensione, rossore alle gote, tachicardia, sudorazione delle mani, senso di sudorazione fredda dietro la schiena).

Incontenibilità dell’Ansia

Ci sono situazioni patologiche complesse come l’ x-fragile nelle quali l’impossibilità di contenere le risposte emotive è veramente imponente ed il soggetto somatizza l’iperattività dell’ipotalamo con varie sintomatologie.

lacrimazione, rinorrea, scialorrea, tachicardia, iperventilazione, midriasi ed un quadro psico-espressivo di angoscia incontenibile.

Questa osservazione ci porta a pensare all’impossibilità di attivare mezzi contenitivi nei confronti dell’ansia con la conseguente presenza di ansia libera e di crisi violente di angoscia.

Il meccanismo d’azione di questa particolare risposta (esagerata) è ancora poco conosciuto.

E’ espansione e si manifesta in contesti variabili e dinamici. Uno speciale contesto ambientale, di estrema importanza per l’uomo, è quello delle relazioni intime.

Freud , come ho già detto, sostiene che le emozioni sono segnali, situati nell’io ed afferma anche che le emozioni funzionano automaticamente ed hanno un ruolo regolatore.

Vediamo come.

Regolazione delle emozioni secondo Freud

Sebbene le emozioni abbiano una funzione integrativa in tutto l’arco della vita, nella prima infanzia si hanno gli esempi più drammatici.

Renè Spitz descrive tre stadi nei primi due anni di vita del bambino, ciascuno associato a nuovi pattern di emozioni. Afferma che il lattante può percepire solo degli stati di tensione, al massimo di allarme di fronte ad uno squilibrio interno (fame, replezione vescicale o intestinale).

Attualmente si possono rilevare sei periodi di transizione durante i primi quattro anni di vita.

Queste transizioni costituiscono dei periodi evolutivi dove i cambiamenti sono pervasivi, durevoli ed implicano un grande ri-orientamento nelle relazioni tra persona e ambiente. Compaiono nuovi pattern di processi emozionali e nuovi segnali emozionali e questi permettono altri cambiamenti nel bambino e nel suo ruolo in famiglia.

Le transizioni evolutive del bambino

Vediamo rapidamente quali sono queste transizioni.

Da 0 a 2 mesi di vita

La prima (0-2 m di vita) segue la nascita e gli adattamenti regolatori post-nascita che avvengono nel neonato. L’espressione emozionale predominante è il pianto, che comunica il malessere ed è diretta ai genitori che devono intervenire . Soprattutto, le espressioni emozionali di pianto, allerta/vigilanza e quiescenza sono usate per definire stati di bisogno e motivazione per i genitori. Queste espressioni emozionali sono anche indici di processi di segnalazione interna. Questo perchè  il bambino acquisisce esperienza e confidenza nella capacità di essere consolato dagli altri. In altre parole, il neonato incomincia ad esperire e ad esprimere una personalità nel mezzo di intime relazioni con il genitore.

Da 2 a 3 mesi di vita

La comparsa del sorriso sociale, primo organizzatore di Spitz, cioè del sorriso di fronte alla maschera (se si mette davanti al bambino una figura che rappresenta il viso di una persona egli sorride senza distinguerlo dal volto della madre) definisce una transizione che va dai due ai tre mesi.

La nuova espressione emozionale, comunica lo stato di benessere del bambino ed è accompagnata da altri segnali emotivi, indici di cambiamenti interni che includono la sorpresa di fronte a nuove esperienze piacevoli e le espressioni di allerta, di sostenuto interesse.

Questi ultimi pattern emozionali, combinati con una maggior capacità per il contatto diretto, consentono nuove opportunità per l’impegno e l’apprendimento sociale e influenzano le aspettative sul ruolo familiare del bambino. I genitori rispondono aumentando le loro interazioni sociali col piccolo, portandolo sempre più spesso fuori casa e mostrandolo agli altri.

In questo periodo, si presenta un abbozzo della paura di fronte all’oggetto sconosciuto. M. klein colloca qui l’angoscia schizzo paranoide.

Tale angoscia sembra costituirsi tramite due meccanismi di difesa. La separazione dell’oggetto e dell’io o meglio la loro non riunione (seno buono e seno cattivo). Il fenomeno emotivo è l’angoscia di frantumazione e l’identificazione proiettiva. Per cui tutto ciò che c’ è di cattivo nell’io è contemporaneamente proiettato fuori e messo nell’oggetto.

L’identificazione con l’oggetto avviene solo dopo la separazione e la proiezione del cattivo oggetto parziale. In questo modo si può prendere le distanze nei confronti delle pulsioni distruttive e, così, tenere a bada l’angoscia.

Da 6 a 8 mesi di vita

Tra la fine del sesto mese e l’ ottavo mese compare il distress esterno e il profondo turbamento dovuto alla separazione dai genitori che comporterà nuove configurazioni emozionali.

I familiari rispondono ai cambiamenti interni del bambino con ulteriori modifiche nelle aspettative. Infatti, in questo periodo compaiono altri cambiamenti nella segnalazione emotiva. Essi sono conseguenti alle modifiche nell’organizzazione cognitiva e socio emozionale , dovute anche ai nuovi ruoli familiari.

I bambini, quando incontrano situazioni di incertezza, cominciano a cercare all’esterno espressioni emozionali, i cui referenti sono solitamente il padre e la madre. Quindi a seconda delle emozioni viste o sentite in altri, egli può avvicinare o evitare una persona estranea o un giocattolo nuovo (vedi il resoconto degli studi in Emde, 1992).

E’ il periodo in cui compare Perm. Klein, l’angoscia depressiva, il secondo organizzatore per Spitz. I due autori sostengono in questo momento l’apparizione del primo abbozzo totale dell’io, cioè della persona del bambino, dell’oggetto, cioè della persona dell’altro, la madre, dell’angoscia.

L’angoscia depressiva è la paura di perdere l’oggetto percepito come intero le cui parti sono riunite ed incorporate.

Il viso della madre a questo punto non viene più confuso con la maschera, la madre è percepita come esterna e se si assenta il bambino prova angoscia (paura dell’estraneo). Questa angoscia depressiva viene anche detta da Bowlby angoscia di separazione ed è l’angoscia della perdita dell’oggetto orale che è la prima angoscia di colpevolezza.

Da 10  a 13 mesi di vita

Il periodo compreso tra i dieci e i tredici mesi è caratterizzato dall’apprendimento della deambulazione e le sue conseguenze socio emozionali.

M. Mahler sostiene che in questo periodo il bambino aumenta le sue emozioni positive. Egli manifesta  quelle che comunicano un certo sentimento di esaltazione e di orgoglio (Mahler et al.,1975).

Un distress intermittente è sentito come conseguenza degli urti legati al camminare.

Più spesso, comunque, il bambino sperimenta stati di incertezza dovuti a un allargamento del mondo fisico e alle proibizioni genitoriali.

Il bambino necessita, perciò, di maggior “rifornimento emozionale” da parte dei genitori. Questi  aumentano le comunicazioni emotive, al fine di favorire l’esplorazione, trasmettendo rassicurazione e sicurezza.

In questa fase si sviluppa maggiore autonomia, ma nello stesso tempo i legami diventano più forti.

Da 18 a 22 mesi di vita

Il periodo tra il diciottesimo e il ventiduesimo mese , è quello della “transizione dal periodo neonatale all’infanzia”. Questo poiché si intravede l’inizio di una consapevolezza auto-riflessiva e la capacità di usare più parole per articolare un discorso (Fenson et al., 1994; Kagan, 1981; Lewis & Brooks-Gunn, 1979).

a) Il pattern emozionale: empatia

I nuovi pattern emozionali e le loro connessioni hanno a che fare con le prime istanze etiche, come l’empatia.

Il bambino non solo risponde al distress esterno con evidenti sentimenti di autodifesa, ma può impegnarsi in azioni prosociali quali la cura, la consolazione e l’aiuto rivolto agli altri (Radke-Yarrow et al.,1983; Zahn-Waxler et al., 1992).

b) Il pattern emozionale : distress

Un altro pattern emozionale è il distress dovuto alla violazione della norma ( Jerome Kagan 1981). Talvolta il bambino si altera notevolmente quandosi imbatte in una bambola rotta o in un giocattolo sporco o nella sostituzione della persona che solitamente si prende cura di lui, segni di una deviazione da ciò che si aspettava.

In questo periodo possono anche comparire le espressioni di vergogna.

Altra caratteristica importante è l’acquisizione del ” no semantico” (Spitz, 1957) ed un apparente negatività e malumore, con particolari conseguenze per le interazioni con i genitori ( Sandler 1962 e Mahler et al. 1975).

Il bambino manifesta maggior intenzionalità (per es. dove cammina), e maggior controllo delle emozioni (per es. pochi accessi di collera, più tolleranza per la frustrazione), aumenta la domanda di socializzazione.

E’ questo il periodo dell’angoscia anale. Questo è il primo tipo di angoscia legato contemporaneamente ad una pulsione , ad un divieto e ad un rischio di perdere l’oggetto. Le reazioni alle raccomandazioni e ai divieti dei genitori nel periodo dell’educazione sfinterica, la paura di perdere l’oggetto anale, il salame fecale, è parte del proprio corpo, che è io e non io, la cui separazione può essere pericolosa. Le oscillazioni fra reattività e passività, la paura di invadere l’altro con i propri escrementi portano alla scoperta dell’aggressività e al timore proiettivo di vendetta dell’altro.

Da. 36  a 48  mesi di vita

Dai tre ai quattro anni (periodo prescolastico) il bambino manifesta una certa competenza verbale. La capacità di fornire un’ organizzazione narrativa alle esperienze emotive costituisce un’ altra monumentale acquisizione evolutiva.

Il bambino   può rappresentare le esperienze passate e le aspettative future in modo coerente. E  può esprimerle col linguaggio e condividerle con altri. Quindi può parlare alla madre.  La comprensione delle situazioni familiari, dei conflitti, delle possibilità e dei ruoli è spesso legata alla competenza verbale e alla capacità di raccontare storie.

In questo periodo c’è ancora un’ angoscia di perdita al momento della scoperta delle differenze sessuali. Perdita del fallo a cui si attribuisce la massima potenza e a cui si reagisce con il diniego della differenza dei sessi. Ma è questo  il periodo che evolve poi nell’angoscia di castrazione che segna l’accesso al desiderio genitale e alla legge, alla relazione triangolare (complesso edipico).

Forme patologiche dell’Ansia

Dunque abbiamo visto come i processi emotivi accompagnano il cambiamento evolutivo e lo sviluppo cognitivo. Le emozioni di sorpresa, interesse, ansia per un impegno sociale. Il piacere di controllare le situazioni e la sua tendenza biologica a trovare nuove informazioni e categorizzarle secondo ciò che gli è familiare, caratterizzano l’attività del bambino che dà un significato al mondo circostante.

Esse continuano nell’intera vita dell’individuo e proprio quando questo processo di “assimilazione cognitiva” come lo definisce J. Piaget non avviene che il soggetto vive la situazione di ansia patologica.

Vediamo ora le forme patologiche che l’ansia può assumere. Esse normalmente si manifestano con gli stessi sintomi, ma si presentano di fronte a situazioni diverse o hanno cause scatenanti diverse.Ma sempre comportano gravi problemi in ambito lavorativo e sociale.

Sintomatologia degli attacchi di panico

Gli attacchi di panico sono considerati un disturbo a se stante anche se si ritrovano tutti i sintomi dell’ansia. Essi in genere, sono attacchi di ansia acuta e durano solo pochi minuti. Nondimeno  vengono vissuti dalla persona in modo, così intenso, da pensare di essere sul punto di morire. I sintomi più comuni sono i seguenti.

  1. il soffocamento.
  2. le vertigini.
  3. la sudorazione.
  4. il battito del cuore molto accelerato.
  5. il tremore.
  6. un’ intensa sensazione di morte imminente.

Gli attacchi di panico sono un disturbo molto frequente, soprattutto,tra la popolazione femminile Nel 75% dei casi si verifica agorafobia o comportamenti di evitamento verso luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile allontanarsi in caso di panico. Molto frequente è la comparsa di fobie, per esempio la fobia sociale. In tali casi  la persona è esposta al pubblico in certe situazioni che sente come pericolose.

La prima volta che si ha un attacco di panico generalmente ci si ritrova al pronto soccorso pensando di aver avuto un infarto o qualcosa di simile. Spesso l’attacco di panico non è riconosciuto come tale e ciò finisce di spaventare ancora di più il paziente che non capisce il perchè del suo malessere . Nasce quindi la paura che si possa ripresentare di nuovo creando, così, una forma di ansia anticipatrice.

Il soggetto che soffre da tempo del disturbo sa, in maniera precisa, quando l’attacco di panico sta arrivando e sa che non esiste una situazione sicura, un ambiente capace di proteggerlo e quindi finisce coll’imitare al massimo le uscite o farsi costantemente accompagnare da qualcuno, creando dei legami morbosi con le persone che gli stanno accanto .

Il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo post-traumatico da stress, l’ansia generalizzata

L’ossessione è un’ idea o un immagine che passa in continuazione nella mente. E’ un’idea che disturba molto, perché non si riesce a controllare. Si sente come estranea a se , cioè si presenta come una spinta a ripetere un determinato comportamento per quanto esso sia assurdo.

Alcuni comportamenti ossessivi

Degli esempi di ossessione  possono essere quelli riportati più avanti. Continuare a lavarsi le mani, chiudere e richiudere a chiave la stessa porta, controllare e spegnere più volte il gas, camminare senza calpestare le righe sulla strada e cose simili.

L’ossessione si manifesta attraverso un comportamento ripetitivo e costante chiamato compulsione.

Spesso esse diventano così elaborate da diventare veri e propri rituali.

Le persone in preda alle compulsioni pensano che se non faranno quel gesto potrebbe succedere loro qualcosa di male.

Il disturbo post – traumatico da stress è un disturbo che aggiunge all’ansia uno stato di depressione.

Ha un incidenza dell’ 1% della popolazione . Esso è la diretta conseguenza di un evento traumatico reale verificatosi nel passato. E’  come se fosse una reazione a scoppio ritardato , che si compie di fronte ad un evento attuale, potenzialmente non pericoloso.

Eventi che possono causare il disturbo post traumatico da stress

Eventi che possono far insorgere questo disturbo sono i seguenti.

  1. la guerra.
  2. l’abuso sessuale.
  3. subire violenza fisica.
  4. incidenti che compromettono la funzionalità fisica del soggetto.
  5. assistere alla morte dei genitori.
  6. essere soggetto a continui e prolungati eventi traumatici ( tipo il mobbing).
Insorgenza dell’ansia generalizzata

L’ ansia generalizzata può comparire già durante l’infanzia ed è caratterizzato da ansia e preoccupazione eccessive presenti durante tutto l’anno o comunque almeno sei mesi. Sii manifesta soprattutto nell’approssimarsi di determinati eventi o attività che si devono affrontare.

Oltre alla tensione si presentano sintomi fisici come tensione muscolare, insonnia, stanchezza.

Ha un’ incidenza del 5% della popolazione generale,colpisce soprattutto le donne.

L’ansia si manifesta ad livello elevato, in modo molto frequente ed incontrollabile concentrandosi su determinate attività o eventi. Tale situazione determina uno stress significativo nella vita quotidiana. La qualità della vita delle persone è decisamente compromessa, a causa della loro perenne apprensione riguardo al futuro, alla situazione finanziaria, alla possibilità che qualche loro parente o persona cara possa morire o farsi male.

Si ritrovano tutti i sintomi fisici più frequenti, ma senza che si arrivi ad uno stato di forte malessere fisico.

Ansia con somatizzazione

Alcuni sintomi dell’ansia si manifestano senza che nel paziente ci sia una vera e propria patologia.

Questi sintomi somatici sono gli stessi dei disturbi sopra citati, ma non c’è nel paziente alcuna patologia di tipo organico.

Per questo non è possibile stimare l’incidenza del disturbo, ma si possono descrivere bene i sintomi del disturbo a seconda dell’apparato interessato.

Apparato circolatorio

apparato circolatorio: tachicardia, extrasistolia, dolore precordiale, palpitazioni, lipomie, polso irregolare, ipertensione, disturbi vasomotori alle estremità apparato gastroenterico: difficoltà a deglutire, eruttazioni, bruciori e senso di pesantezza gastrica, nausea, vomito, borborigmi, flatulenza, diarrea, stipsi.

Apparato respiratorio

apparato respiratorio: senso di oppressione o di costrizione toracica, sensazione di soffocamento, iperventilazione, sospiri, dispnea.

Apparato urogenitale

apparato urogenitale: minzione frequente, dolore alla minzione, amenorrea,m enorragia, frigidità, disturbi dell’erezione o dell’eiaculazione, impotenza.

Il caso clinico di Marco

Marco è un giovane di 21 anni, che soffre di uno stato di acuto di ansia. Egli  risponde abbastanza bene ad un periodo breve di psicoterapia. Ha infatti iniziato il trattamento solo da quattro mesi ma il suo stato di ansia si è notevolmente ridotto.

E’ stato inizialmente accompagnato nel mio studio dai suoi genitori. Non era assolutamente in grado di parlare dei suoi sentimenti. I genitori raccontavano delle sue crisi rivolgendosi a lui ogni tanto così.  ”Di alla dr.ssa quello che ti senti, raccontalo tu !” . E lamentandosi di non sapere più come fare per aiutare il figlio.

I sintomi di Marco

Erano un paio di mesi che il giovane viveva in preda all’angosciaNon usciva più di casa, non dormiva più , non mangiava quasi più, aveva la paura d’impazzire. Si era attaccato in modo morboso al padre per qualsiasi attività dovesse fare. Per esempio  è stato suo il desiderio di rivolgersi ad uno specialista per farsi curare. Ma è il padre che ha chiamato, ha preso appuntamento e parlava per lui durante il primo colloquio.

Sentiva di non farcela più da quando, qualche mese prima, iscrittosi all’università doveva frequentare le lezioni. Contemporaneamente aveva intrapreso una relazione amorosa con una ragazza molto più giovane di lui.

Marco è un ragazzo socievole

Marco è stato adottato all’età di due anni circa. I suoi genitori sono stati ed attualmente sono ancora persone molto protettive, hanno sempre desiderato che il figlio si laureasse.

La madre è un insegnante e il padre, attualmente in pensione, è un ex funzionario presso un ministero. Marco in realtà ha avuto diversi problemi con la scuola. Si è diplomato molto tardi , soltanto dopo aver frequentato una scuola privata.

I genitori dicevano di aver speso molto denaro per questo, comunque non se ne lamentavano. Anzi erano disposti a spendere altro denaro. Ad es . per l’acquisto di una moto dal figlio tanto desiderata, pur di vederlo tornare alla normalità.

Marco desidera  uscire dal disagio

Iniziata la terapia mi rendo subito conto che il paziente è un giovane molto socievole, desideroso di uscire dal suo disagio.

Egli comincia a raccontare i suoi problemi. Espone  così come i fatti causa della sua angoscia avevano a che fare con l’assunzione di responsabilità più adulte. Essi riguardavano  la separazione affettiva dai suoi , vissuta come un abbandono. E a tutto ciò  reagiva con un attaccamento morboso, richiamando così alla memoria un antica situazione affettiva vissuta.

Marco viene a sapere della sua adozione

In realtà Marco aveva saputo per caso, pur avendolo sempre intuito, di essere un figlio adottivo mentre frequentava la terza media.

Allora si limitò a chiederne conferma alla madre e la sua reazione fu di assoluta normalità nel senso che sembrava accettare le spiegazioni e le ragioni di quella situazione date dalla madre.

Marco, però, dimostrò di volersi allontanare di casa immediatamente. Infatti, dovendo frequentare una scuola di grado superiore si trasferì a Roma, per andare a frequentare una scuola di aeronautica come piaceva al padre .

In questo momento il ragazzo vuole accontentare suo padre dimostrando di essere un bravo figlio. Ma lui , in verità, è molto arrabbiato con i suoi. Purtroppo non può dimostrarlo perchè si sentirebbe cattivo e negativo due volte. La prima perchè inconsciamente lo è dato che è stato abbandonato. La seconda perchè non sa essere grato ai genitori che l’hanno accolto, come dovrebbe essere.

Marco inizia a mostrare problemi

Il ragazzo cominciò ad avere problemi di studio che lui attribuiva, infatti, alla sua cattiva volontà e alla voglia di fare niente. Ancora oggi, almeno in parte, questo è il suo atteggiamento verso l’università.

Di fatto, cominciò a fare uso di droghe e a frequentare ambienti pericolosi.

Racconta nel corso della terapia che le prime occasioni in cui ha sentito un forte stato d’ansia fino a spaccargli il cuore, è stato quando una volta, per caso, in metropolitana si trovava con un amico.  Questi, d’improvviso senza che lui ne sapesse nulla, scippò una donna e fuggì via.

Lui rimase fermo lì senza rendersi conto subito della situazione, ma capì in quel momento che rischiava molto se qualcuno si fosse reso conto che lo scippatore era in sua compagnia.

In un’ altra occasione simile, gli fu chiesto di fare il palo all’ultimo momento e non fu capace di tirarsi indietro.

Poi semplicemente evitò l’amico, ma cominciò a vivere pericolosamente per un ragazzo della sua età.

Andò a convivere con una donna più grande di lui per circa tre anni. Assunse l’aspetto di un “metallaro”, che ancora conserva un pò a causa dei piercing e i tatuaggi eccessivi. Ma che attualmente si preoccupa di coprire perchè si vergogna di mostrarli.

Attraverso queste attività si mise in contrasto con i genitori ed i loro rapporti sono diventati aggressivi a volte addirittura violenti.

Il ragazzo   costringe a farsi accettare dai suoi. Questi  invece vorrebbero appunto che lui studiasse. Attraverso una  ribellione inconscia egli  mette in mostra la sua parte cattiva.

Marco viene preso da una improvvisa e forte ansia

Ad un certo punto, però, Marco comincia a sentire a volte improvvisamente una paura improvvisa che non sa spiegarsi. Lui si  vergogna di fronte ai suoi amici che non capiscono. Comincia ad evitare i luoghi affollati. Sente un malessere che non sa definire e che attribuisce all’uso di droghe.

Quindi smette persino di fumare. Ma la paura non passa, sente il bisogno di tornare a casa nella speranza che i suoi lo aiutino.

In effetti, loro, si danno molto da fare e giungono a dare una ragione a questo stare così male di Marco , al quale viene diagnosticata una intolleranza a quasi tutti gli alimenti.

La sua relazione con una giovane ragazza

Nel frattempo si diploma e conosce questa giovane ragazza. A questa  si attacca moltissimo dimostrando una gelosia esagerata. Contrariamente a quanto provava nei confronti della sua convivente. Pensate che persino durante la terapia si scambiano diversi squilli di telefono! Con lei ha un rapporto molto conflittuale. Non riesce a fare a meno di fare cose e raccontarle cose che scatenano la sua gelosia. Come se volesse continuamente provocarla e correre il rischio di essere lasciato.

Lui sa che lei potrebbe lasciarlo e non vuole ma non riesce a fare a meno di farla ingelosire. Si dispiace e si deprime quando lei, per es., piange a causa dei suoi comportamenti. Ma lo stesso non riesce a non raccontargli cose che potrebbe non raccontare. Lui ha necessità quasi ossessiva di farlo rispondendo così ad uno stimolo interiore di pericolo. L’abbandono.

Via via che nella terapia si affrontano tutti i problemi della sua vita di oggi, attraverso le difficoltà che vive.  Marco ha dei ricordi circa la sua sensazione di aver sempre saputo di non essere figlio naturale e circa le emozioni provate nel momento in cui lo ha confermato scoprendolo per caso, che hanno rimesso in atto una sensazione di abbandono già vissuta in modo traumatico molto precocemente vista la tenera età in cui è stato messo in istituto e poi adottato.

Marco proprio martedì scorso ha fatto il suo primo esame all’università con un buon risultato….ma ancora mi fa chiamare dal padre per chiedermi un appuntamento in più in caso di necessità.

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 E’ uno stato mentale

L’ansia è uno stato mentale che fa parte dell’esperienza comune dell’essere umano, ma quando comporta un peggioramento dello stile di vita di chi la prova può andare a configurare un quadro patologico e rendere necessaria una terapia dell’ansia. Il disturbo di ansia sociale è un tipo di ansia ancora più marcata , che ha luogo nell’individuo in un contesto sociale. L’ansia generalizzata è quella che non è relativa ad un motivo specifico ma generale a molteplici e non circoscrivibili circostanze.

E’ diversa dalla paura

E’  quello stato d’animo che proviamo quando sappiamo di andare incontro a un pericolo inevitabile. Può essere assimilata anche alla paura di uno stimolo non ancora presente, ma atteso nel prossimo futuro. Per questo motivo viene anche detta “ansia anticipatoria”. Spesso si parla di ansia e depressione come due sintomi spesso assieme.

Sembra rispondere a delle precise variabili ambientali:

  • la gravità del pericolo
  • la probabilità che esso si verifichi

ed individuali:

  • la capacità di sopportare
  • la percezione di poter rimediare.

Si distingue dalla paura, in quanto lo stimolo ansiogeno non è fisicamente presente.

Più importante è qualitativamente diversa dal panico, poiché mancano i tipici pensieri di morte o perdita di controllo.

Quando  diventa patologica

L’inquietudine è quindi comune nella vita quotidiana di chiunque debba rispettare delle scadenze o affrontare una valutazione. Ma quando si trasforma invece in patologia? Quando si può parlare di ansia forte ?

Il DSM5 come sempre ci viene in soccorso elencando una serie di criteri diagnostici.

Il problema è che la categoria dei disturbi d’ansia è molto vasta e raccoglie al suo interno un lunga serie di disturbi.

Le caratteristiche comuni comunque sono due:

  • il soggetto deve provare senso di apprensione, in qualche situazione specifica o aspecifica
  • quest’apprensione deve causare disagi importanti nella sfera sociale, lavorativa e/o privata del soggetto.

Risulta da quest’ultimo punto come la differenza fra fisiologia e patologia risieda nelle ripercussioni sulla vita del soggetto. In questi casi necessaria una terapia dell’ansia.

I disturbi nel DSM5

I disturbi d’ansia classificati nella quinta versione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali sono:

  • Disturbo d’ansia da separazione
  • Mutismo selettivo
  • Altro Disturbo d’ansia specifico
  • Fobia Specifica
  • Ansia sociale
  • Disturbo di panico
  • Agorafobia
  • Disturbi d’ansia generalizzato
  • Disturbo d’ansia da condizione medica
  • Disturbo d’ansia non altrimenti specificato

Il Disturbo ossessivo-compulsivo e i disturbi stress correlati (disturbo post-traumatico da stress e disturbo da stress acuto), che nel DSM-IV-TR rientravano nel gruppo dei Disturbi d’ansia, in questa nuova versione del DSM sono classificati in altre sezioni.

Ciò riflette la necessità di porre particolare accento sugli aspetti che distinguono questi disturbi da quelli d’ansia e di rendere più simile la classificazione americana a quella dell’ICD (Classificazione Internazionale delle malattie e dei problemi correlati, proposta dall’OMS).

Terapia dell’ansia

Le patologie legate al vissuto ansioso possono essere ricondotte a una o più delle variabili a cui questa sensazione fa capo. Ma quali le cura dell’ansia, quali i rimedi dell’ansia ?

Come detto precedentemente se dovessimo illustrarla con una formula matematica, l’ansia sarebbe all’incirca uguale a:

formula matematica

Ovviamente il compito della psicoterapia sarà quello di lavorare sulla percezione che il soggetto ha di questi dati e sullo sviluppo di nuove strategie di coping, qualora il valore discriminante fosse la capacità carente di far fronte allo stimolo ansiogeno.

In combinazione con la psicoterapia ossia una terapia dell’ansia a livello psicologico il soggetto ansioso può essere sottoposto a una terapia farmacologica, che prevede l’uso di ansiolitici e/o antidepressivi SSRI.

Conclusioni

Vista la tendenza dei soggetti ansiosi a evitare lo stimolo ansiogeno, i disturbi d’ansia possono rivelarsi molto invalidanti. Per questo la terapia deve essere mirata, almeno in un primo stadio, a restituire al paziente la capacità di vivere una vita soddisfacente.

Se anche tu soffri d’ansia e non vuoi più rinunciare a vivere la tua vita contatta subito la dottoressa De Michele attraverso il modulo di contatto per iniziare un percorso di psicoterapia.

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: La psicologia dell’ansia (dal Seminario ad Avezzano, 25 maggio 2005).

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