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Ansia e panico spiegate con calma

“Aiuto, ho l’ansia” . Quante volte avrete pensato o detto a qualcuno questa frase. E con la parola “ansia” volevate intendere un mix di forti reazioni fisiche ed angoscianti pensieri. E a causa di questi avete dovuto  affrontare la situazione ansiogena (see e come no!) o a rifuggirla a gambe levate.

Ansia

Spesso è difficile per una sola parola spiegare un fenomeno così complesso e multidimensionale.

L’ansia, infatti, è caratterizzata da una risposta soggettiva di disagio per un pericolo incombente. Essa è accompagnata da un corollario di sensazioni fisiche (tachicardia, sudorazioni, tensione muscolare, dolori addominali..) e di pensieri (preoccupazioni, idee di pericolo, aspettative negative…). Entrambi  portano a sperimentare irritabilità, nervosismo, calo della concentrazione e delle abilità nelle attività quotidiane.

Quest’ansia potrebbe essere una caratteristica stabile della nostra personalità (“Fabiana è una persona ansiosa”). Oppure potrebbe essere legata ad uno stato momentaneo, transitorio (“Fabiana ha svolto quel compito in maniera ansiosa”).

Teniamo sempre come esempio la nostra Fabiana. Spesso sono le richieste dell’ambiente esterno (lavoro, famiglia, stile di vita cittadino…) a spingerla a pensare e ad agire, nella sua quotidianità, in maniera ansiosa. Ma è pur vero che anche lei ci mette la sua parte.

Alla base dell’ansia vi è una distorsione della realtà

Gli psicologi, infatti, a seguito di studi scientifici hanno collegato l’ansia a fenomeni di distorsione e ad errori di elaborazione delle informazioni provenienti dall’ambiente . Ciò vuol dire che  Fabiana tenderebbe a dare interpretazioni di pericolosità a situazioni che, in realtà  non lo sono affatto. Oppure  non lo sono così tanto da richiedere al soggetto una risposta d’allarme così abnorme.

Inoltre, di fronte a queste situazioni, Fabiana tenderà a percepirsi vulnerabile e priva delle risorse per affrontarle con successo. Di solito questi schemi di pensiero sono di natura appresa ed operano tacitamente nella mente di Fabiana sotto forma di aspettative, ricordi, convincimenti.

E visto che i pensieri disfunzionali hanno un ruolo centrale nel mantenere questa erronea valutazione dell’ambiente, uno psicoterapeuta potrebbe, di certo aiutarla ad indagare e a ristrutturare questi modi di pensare. Questo al fine di  aiutarla a capire se veramente un evento o una situazione costituisca una minaccia. E inoltre  e per fare in modo che riesca a trovare soluzioni applicabili alle situazioni problematiche in modo che non lo siano più. O che risultino, a Fabiana, più controllabili e gestibili. Ma procediamo con calma. Ce lo siamo ripromessi, no?

Attacco di panico

L’attacco di panico è un momento circoscritto. Un picco di paura intensa, della durata di qualche minuto. In questo intervallo  la sintomatologia fisica è così forte ed i pensieri così catastrofici che si pensa di essere prossimi alla morte o alla pazzia. Decisamente una sensazione orribile!

Dato questo episodio così drammatico è possibile che ai primi segni di ansia sempre la nostra Fabiana, che ha provato la sensazione dell’attacco di panico, esacerbi l’ansia per timore di un nuovo attacco e dia il via alla profezia che si auto avvera chiamata “paura della paura”. Ansia e panico sono in stretta successione.

Paura della paura

Ovvero le persone che hanno sofferto di attacchi di panico tendono a dare interpretazioni catastrofiche, al limite dell’ipocondria, delle sensazioni interne, spesso neutre, che provano.

Inoltre queste persone oltre a sopravvalutare le proprie sensazioni interne, considerandole fonte di pericolo, sottostimano, allo stesso tempo, le proprie capacità di fronteggiarle. E si  sentono  totalmente vulnerabili di fronte ad esse. Quindi, come avrete notato, alla base c’è lo stesso meccanismo dell’ansia. Infatti  l’attacco di panico figlio di questa categoria di disturbi psicologici.  Ancora una analogia tra ansia e panico dunque.

E’ ovviamente importante che ci si assicuri che i sintomi provati non siano causa di malattie fisiche come l’ipoglicemia, l’ipertiroidismo, disturbi vascolari, la sindrome da prolasso della valvola mitralica od altre e che non vi sia alla base un disturbo da assunzione di sostante a generare o aggravare il problema.

Per assicurarsi di questo è necessario, pertanto, prima, recarsi dal medico di medicina generale. Questi , dopo opportuni controlli fisici, può decretare che il disturbo è psicologico. Può quindi fornire supporto farmacologico (benzodiazepine) se lo ritiene necessario. Ed infine , può suggerire a Fabiana l’intervento di uno specialista.

Supporto Psicologico

Per la gestione dell’ansia il terapeuta potrebbe proporre a Fabiana diverse soluzioni per la gestione dell’ansia, tendenzialmente affiancandole tra loro.

Controllo dell’iperventilazione
  • 1. Controllo dell’iperventilazione: Potrebbe mostrarle quanto simili siano i sintomi del panico e quelli dell’iperventilazione volontaria (magari sperimentata salendo, con una certa solerzia, 4 piani di scale) e quanto, a riposo, si possa ridurre il ritmo del respiro. Potrebbe, altresì, proporle di fare a casa prove di controllo del respiro.
Meditazione
  • 2. Meditazione: potrebbe essere istruita ad eseguire semplici esercizi di meditazione. Sedersi con gli occhi chiusi, comoda e concentrata sulla propria respirazione, dicendo la parola “uno” ad ogni espirazione. Continuando così per circa 10 minuti. Riconcentrandosi, con calma, sul compito, ogni qualvolta emergano pensieri di varia natura e non per forza negativi.
Esposizione
  • 3. Esposizione: il terapeuta potrebbe preparare a Fabiana un elenco di situazioni, gerarchicamente disposti dal più ansiogeno a quello più neutro, in cui Fabiana deve sperimentarsi, “dal vivo”, in modo da imparare che l’eccessiva ansia provata è immotivata. Del resto questa tecnica non è affatto merito degli psicologici. Già Goethe, lo scrittore, nel 1770, rispetto alle sue paure dei rumori, delle altezze, delle ferite e del buio scriveva: “Ho ripetuto le sensazioni penose e moleste finché le conseguenze mi sono diventate abbastanza indifferenti”.
Gestione dei pensieri
  • 4. Gestione dei pensieri: il terapeuta, come abbiamo già accennato prima, potrebbe, infine, aiutare Fabiana a sviluppare modi di pensare più razionali rispetto agli iniziali pensieri, esagerati o distorti rispetto alle situazioni giudicate ansiogene e rispetto alle proprie abilità di fronteggiarle.

Il rapporto psicoterapeuta-paziente

Alla base del trattamento, non solo dell’ansia ma di tutti i disturbi psicologici, ricordiamo però che è fondamentale che il terapeuta e Fabiana diventino alleati durante la terapia in modo che Fabiana, col tempo diventi, come Goethe, terapeuta.

Fabiana deve sentirsi responsabile della promozione del proprio benessere, deve desiderare cambiare. Il terapeuta, con un approccio empatico e comprensivo, fungerà da guida ma alla fine, quello che deve stare meglio non è lui per cui Fabiana avrà proprio da rimboccarsi le maniche.

Per capire questa motivazione il terapeuta dovrebbe chiedere come prima cosa “Fabiana perché sei venuta a farti curare ora?” e sentire la sua risposta. Dopo di che ci si augura che il terapeuta possa continuare il suo discorso dicendo: “Ansia e panico? Ora te le spiego con calma”.

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: La psicologia dell’ansia (dal Seminario ad Avezzano, 25 maggio 2005).

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Attacco di panico: sintomi, cause e trattamento

L’attacco di panico è un evento improvviso di estremo disagio caratterizzato da sintomi somatici e cognitivi, descritto come un’esperienza terribile da chi l’ha vissuto.

Panico, ansia e paura

Spesso chiamati erroneamente “crisi d’ansia” o “attacchi d’ansia”, gli attacchi di panico differiscono in realtà dall’ansia e dalla paura non solo a livello quantitativo, e quindi per la violenza dell’episodio, ma anche a livello qualitativo.

Mentre l’ansia coincide con la paura di uno stimolo atteso ma non ancora presente (e per questo accompagnata spesso dall’aggettivo “anticipatoria”), l’attacco di panico si presenta di solito inaspettatamente e senza alcun rapporto con gli stimoli ambientali.

L’attacco di panico si differenzia poi per la presenza di caratteristici pensieri di morte o di perdita di controllo, che costituiscono i suoi sintomi cognitivi.

Il soggetto vittima di un attacco di panico non capisce cosa gli stia succedendo, è confuso e disorientato e gli unici pensieri che riesce a formulare riguardano appunto la paura di stare impazzendo o di essere vicini alla morte. Basti dire che un’alta percentuale di persone che arrivano al pronto soccorso convinte di avere un infarto in corso stanno invece esperendo un attacco di panico.

Attacco di panico: i sintomi nel dettaglio

Come già accennato i sintomi dell’attacco di panico si dividono in fisiologici:

  • palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia;
  • sudorazione; tremori fini o a grandi scosse;
  • dispnea o sensazione di soffocamento;
  • mancanza d’aria;
  • dolore o fastidio al petto;
  • nausea o disturbi addominali;
  • sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento;
  • sensazione di irrealtà o di essere distaccati da sé stessi;
  • sensazioni di torpore o di formicolio;
  • brividi o vampate di calore

e cognitivi:

  • paura di perdere il controllo o di impazzire;
  • paura di morire.

Ovviamente questi sintomi non devono necessariamente presentarsi tutti insieme, ma ne bastano 4. è comunque necessario che siano presenti sia sintomi fisiologici che cognitivi.

Inutile dire che i sintomi fisiologici sono molto comuni nell’esperienza quotidiana di tutti, visto che sono i classici seni dell’attivazione fisiologica. Questa aspecificità dei sintomi causa nel soggetto affetto da disturbo di panico il cronicizzarsi degli attacchi secondo un meccanismo circolare difficile da disapprendere.

Il disturbo di panico

L’attacco di panico può presentarsi in maniera isolata e non comparire più nella vita dell’individuo, ma più spesso si cronicizza andando a costituire un vero e proprio disturbo. Di solito la prima rara eventualità capita quando l’attacco di panico non viene riconosciuto, ad esempio può venire scambiato per un abbassamento di pressione ortostatica.

Il DSM 5 prevede i seguenti criteri diagnostici:

1) Attacchi di panico inaspettati ricorrenti.

2) Almeno uno degli attacchi è stato seguito da 1 mese (o più) di uno (o più) dei seguenti sintomi:

  • preoccupazione persistente di avere altri attacchi;
  • preoccupazione a proposito delle implicazioni dell’attacco o delle sue conseguenze (per es., perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, “impazzire”);
  • significativa alterazione del comportamento correlata agli attacchi.

Tutti e due i criteri devono essere soddisfatti per poter parlare di Disturbo di panico.

La cronicizzazione del panico è causata dalla stessa preoccupazione di nuovi attacchi: il soggetto interpreta ogni segno di attivazione fisiologica come sintomo di un nuovo attacco di panico innescando una risposta ansiosa che causa l’attacco stesso.

Terapia del panico

La terapia più indicata per questo disturbo è la psicoterapia psicoanalitica. L’obiettivo è disinnescare il circolo vizioso che causa la comparsa di nuovi attacchi di panico. Si cerca in soldoni di insegnare al paziente a riconoscere e gestire l’attacco di panico.

La terapia farmacologica è invece sconsigliata perché c’è un alto rischio che il paziente diventi dipendente dai farmaci, iniziando a utilizzarli come oggetto controfobico.

Nei casi in cui comunque questa si rendesse necessaria i farmaci d’elezione sono le benzodiazepine, anche se stanno cedendo il passo agli antidepressivi SSRI che vengono utilizzati sempre più estesamente per i ridotti effetti collaterali.

Se queste due classi di farmaci dovesse fallire si può ricorrere

  • agli antidepressivi triciclici che sono un po’ datati ma ancora efficaci
  • come ultima spiaggia, agli IMAO che presentano però molti effetti indesiderati e richiedono molta attenzione e un’alimentazione ristretta.

Il disturbo è estremamente invalidante quindi un intervento è sempre necessario. Le ripercussioni sulla vita sociale e lavorativa possono essere addirittura tragiche, arrivando all’isolamento totale del soggetto per evitare nuovi attacchi.

L’evitamento di tutte le situazioni potenzialmente ansiogene diviene la modalità prevalente ed il paziente diviene schiavo dei suoi attacchi di panico. A pagarne le conseuenze sono spesso anche i familiari costretti a non lasciarlo mai solo e ad accompagnarlo ovunque; questa dipendenza causa spesso senso di colpa e di inadeuatezza nel sogetto che possono condurre ad una depressione secondaria.

Conclusioni

Il Disturbo di panico è basato su un meccanismo circolare che si autoinnesca e autoalimenta e che causa grande sofferenza in chi ne soffre e nei suoi familiari.

Con l’intervento di uno psicoterapeuta si può spezzare il circolo vizioso e imparare a gestire gli attacchi per riappropriarsi della propria vita sociale e lavorativa.

Se soffri di questo disturbo contatta la dottoressa attraverso il form apposito nella pagina dei contatti.

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: Per capire l’Attacco di panico.

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Attacco di panico.

L’Attacco di panico può essere descritto come un sabotaggio all’integrità della persona che lo vive. Il panico arriva, travolge e se ne va, lasciando dietro di sé una potente scia che resta impressa nella memoria.

È il Disturbo d’ansia più diffuso. Un italiano su sei sa cos’è un Attacco di panico perché lo ha vissuto, ma un italiano su trenta soffre di Disturbo di panico con attacchi ripetuti che limitano libertà e autonomia della persona. Il Disturbo di panico si sviluppa tipicamente tra i 15 e 19 anni e tra i 25 e 30 e ha una prevalenza che oscilla tra l’1,5% e 3,5% della popolazione generale. Nonostante le manifestazioni cliniche del disturbo siano simili nei due sessi, esso viene diagnosticato con una frequenza doppia nelle donne.

Per capire cosa sia realmente l’Attacco di panico è necessario approfondire l’argomento (leggi anche questo articolo).

Ansia anticipatoria: campanello d’allarme

L’ansia, di per sé, è uno stato anticipatorio di un pericolo futuro, che può essere interno o esterno e che nei pazienti con Disturbo da panico ha la funzione di preparare la persona per il panico successivo. Essa è caratterizzata da apprensione e preoccupazione accompagnate da tensione, coinvolgendo corpo e mente.

Panico: cos’è?

Il panico è uno stato emotivo caratterizzato da un senso di estrema paura o di morte imminente. Il soggetto con panico sente la minaccia come “presente”, si sente esattamente dentro la situazione temuta, ossia “dentro la minaccia”. È un intenso arousal (stato di attivazione) che prepara alla lotta o fuga. Il panico, in questo senso, è l’emozione che accompagna la gestione dell’emergenza.

Attacco di panico: sintomo + sintomo

Un attacco di panico viene definito come un momento preciso di intensa paura o disagio, durante il quale quattro (o più) dei seguenti sintomi si sviluppano improvvisamente e raggiungono il picco nel giro di 10 minuti: palpitazioni o tachicardia; sudorazione; tremori fini o grandi scosse; sensazione di soffocamento; sensazione di asfissia; dolore o fastidio al petto; nausea o disturbi addominali; sensazioni di sbandamento, testa leggera o svenimento; derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da sé stessi); paura di perdere il controllo o di impazzire; paura di morire; parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio); brividi o vampate di calore.

Disturbo di panico: attacco + attacco

Il Disturbo è caratterizzato da attacchi inaspettati (cioè non associati ad uno stimolo situazionale, che si manifestano “a ciel sereno”) e ricorrenti, con una persistente preoccupazione di avere altri attacchi. Clinicamente, se gli attacchi di panico persistono per un periodo di 6 mesi in modo continuativo, allora viene diagnosticato il Disturbo.

Paura della paura

Gli Attacchi di panico si verificano quando le persone percepiscono come molto pericolose alcune sensazioni corporee e mentali oggettivamente innocue, cioè le interpretano come segnali di un’imminente e improvvisa catastrofe. Ad esempio, un soggetto può avere un Attacco di panico se interpreta:

  • la confusione mentale di un momento come un segnale di “impazzimento” o perdita di controllo della propria mente e dei propri comportamenti;
  • qualche secondo di tachicardia come il segnale di un infarto imminente;
  • un capogiro come segnale di svenimento improvviso.

Queste interpretazioni innescano un circolo vizioso di panico.

Circolo vizioso

Il circolo che culmina in un Attacco di panico si sviluppa quando uno stimolo viene percepito come minaccia incombente per il soggetto, creando uno stato di forte preoccupazione (ansia). A questo punto il soggetto interpreta in modo catastrofico le sensazioni mentali e fisiche che accompagnano lo stato di ansia. Così, la persona convinta di essere in balia di una catastrofe tenderà ad allarmarsi ulteriormente, aumentando l’intensità delle sensazioni fisiche e mentali fino a far esplodere il vero e proprio attacco.

Dopo l’Attacco di panico?

Una volta che l’Attacco di panico è avvenuto, intervengono una serie di fattori che contribuiscono a cronicizzare la situazione vissuta. Le credenze catastrofiche si rinforzano a causa di comportamenti protettivi finalizzati ad evitare gli attacchi.

I comportamenti protettivi

Contribuiscono a mantenere il Disturbo e Attacchi di panico in due modi:

  • Impediscono la possibilità di disconfermare le interpretazioni catastrofiche.
  • Peggiorano i sintomi da cui ci si vuole difendere.

Sono di quattro tipi:

  • 1. Evitamento: il paziente evita situazioni che ritiene favoriscano il panico (ad es. metropolitana, solitudine, etc.)
  • 2. Fuga: il paziente scappa da una situazione appena si presentano sensazione di panico o sensazioni considerate come l’inizio dell’attacco.
  • 3. Comportamenti di prevenzione della minaccia: serie di comportamenti messi in atto per gestire l’ansia anticipatoria. Ad esempio: il paziente, temendo che il capogiro sia un segno di collasso, cammina rasente al muro per evitare di svenire.
  • 4. Distrazione (evitamento sottile): cercare una distrazione per attenuare la paura. Ad esempio, un paziente teme di avere un attacco di panico in macchina imbottigliato nel traffico, decide allora di leggere un libro che ha sul sedile posteriore o di ascoltare musica con le cuffiette.

Trattamento dell’Attacco di Panico.

La psicoterapia psicoanalitica è indicata come il trattamento elettivo di Attacchi e Disturbo di panico. Essendo il panico frutto di credenze, il trattamento sarà centrato da un lato sull’interruzione di tutti i comportamenti che contribuiscono ad alimentare il disturbo (comportamenti protettivi), dall’altro sulla modificazione delle credenze che contribuiscono invece ad alimentare ansia e panico. La terapia segue le seguenti fasi tipiche:

    • 1. Assessment: (indagine su tutti i comportamenti di evitamento messi in atto dal soggetto; individuazione dei circoli viziosi)
    • 2. Costruzione relazione terapeutica:
      • Condivisione
      • Psicoeducazione
      • Motivazione.
    • 3. Modificazione delle credenze patogene:
      • Ristrutturazione cognitiva
      • Accettazione dell’ansia e del rischio di panico
      • Esposizione Enterocettiva (esposizione a sensazioni collegate al panico)
    • 4. La prevenzione delle ricadute:
      • La ricostruzione della storia personale
      • Incrementare il senso di sé

Ristrutturazione e accettazione

La fase centrale del trattamento è la modificazione delle credenze patogene. L’intervento terapeutico consiste nell’identificare gli errori cognitivi (pensieri, credenze) e nel sottoporli ad un rigoroso esame di realtà. Una volta che il paziente è divenuto consapevole dell’importanza dei suoi pensieri nello sviluppo e mantenimento del disturbo, il terapeuta può mettere in discussione la validità di quei pensieri. L’obiettivo è “decatastrofizzare” le minacce percepite, per esempio attraverso domande di questo tipo: “Cosa succederebbe se la tua paura più grande diventasse realtà? Sarebbe davvero così terribile?”. Lo scopo è che il soggetto divenga consapevole tanto dell’inutilità e della disfunzionalità di tutti i tentativi di evitare l’ansia, quanto dell’impossibilità di sottrarsi ad essa. “Quando sento che l’ansia inizia mi dico: non mi piace, ma non posso evitarla. Aspetto quindi che passi, perché so che se non faccio niente in pochi minuti si riduce”.

A cura della Dott.ssa Floriana De Michele

Psicologa Psicoterapeuta

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