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Sessualità e Amore in psicoanalisi

Psicanalisi : teoria della personalità

La psicoanalisi è una teoria della personalità, che spiega l’evoluzione e la crescita degli individui in base allo sviluppo psico sessuale. Questo viene  orientato dall’entrare in gioco progressivo delle diverse zone erogene, e al contestuale stabilirsi della relazione d’oggetto, o relazione oggettuale. Cioè la relazione che il soggetto stabilisce con i suoi “oggetti” così detti “d’amore”, nel corso di questi momenti evolutivi. (J.Bergeret, Psicologia Patologica).

La forza sessuale secondo Freud

Fu S. Freud , a mettere, prepotentemente, in evidenza la forza sessuale. Lo studioso spinse la cultura accademica del suo tempo a non ignorare alcuni fenomeni importanti della vita interiore. Evidenziando come una parte importante dei comportamenti umani sfugge al controllo razionale dell’individuo. Sulla base di questa teoria, che si è andata arricchendo di molti e diversi contributi da parte di altri psicoanalisti importanti, è fondata la tecnica della cura o terapia psicoanalitica. In verità, l’una e l’altra sono indissolubili. Nel senso che non si conosce il limite in cui l’una inizia e l’altra finisce. E che , proprio per questo, dal fondatore ai nostri giorni, diversi processi psicologici sono meglio compresi e diversi cambiamenti sono stati fatti in senso tecnico. Ma questo esula dai nostri interessi attuali, per cui accennerò solamente alla diversità Junghiana del concetto di personalità.

Quali cause dei comportamenti irrazionali?

Nel 1905 Freud pubblica “Tre saggi sulla sessualità” dove sostiene che, accanto all’attrazione fra i due sessi vi sono anche altre forme di attrazione che non vanno occultate. Piuttosto esaminate. La sessualità non si esaurisce nella funzione riproduttiva, essa esprime pulsioni verso il piacere. Pulsioni che sono  complesse e variamente articolate, a seconda dell’età.

Per quali ragioni certe pulsioni vengono respinte ?  Come mai certi ricordi sono a disposizione della coscienza ? Mentre altri possono essere, almeno in apparenza, sottratti ad essa e rimossi nell’inconscio?

Freud ritiene che la ragione sta nel fatto che si tratta di pulsioni e desideri in palese contrasto con i valori e le esigenze etiche proclamate e ritenute valide dall’individuo cosciente.

Quando avviene che c’è contrasto tra l’io cosciente ( i suoi valori e i suoi ideali) e certe pulsioni e certi desideri. E’  allora che entra in azione un meccanismo di “repressione”. Questa  strappa queste cose vergognose e indicibili alla coscienza e le colloca nell’inconscio al fine di non farle riaffiorare alla vita cosciente.

Queste cose vergognose e indicibili sono principalmente di natura sessuale.

Le pulsioni vitali “EROS” e “THANATOS”

Freud riconduce la vita dell’uomo ad una originaria libido. Cioè ad una energia connessa principalmente al desiderio sessuale. “Analoga alla fame in generale, la libido designa la forza con la quale si manifesta l’istinto sessuale. Come la fame designa la forza con la quale si manifesta l’assorbimento del nutrimento”.

Ma mentre la fame o la sete non sono peccaminosi e non vengono rimossi, le pulsioni sessuali vengono rimosse, per poi riaffiorare nei sogni e nelle nevrosi.

Egli scrive: “La prima scoperta alla quale ci conduce la psicoanalisi è che, regolarmente, i sintomi morbosi sono legati alla vita amorosa del malato. Questa scoperta ci obbliga a considerare i disturbi della vita sessuale come una delle cause più importanti della malattia”.

I malati non si rendono conto di questo, in quanto, essi sono costretti a subire e sopportare il pesante fardello delle menzogne con le quali nascondono le cose vergognose. Così la malattia, o meglio , io dico , il disagio, il malessere della malattia, prende il posto del malessere legato direttamente ai contenuti sessuali. Esempio lampante ed immediatamente comprensibile potrebbe essere il classico mal di testa in occasione del praticare di sesso indesiderato. Quello che si fa con una persona, con la quale, in quel momento , non si ha una relazione sintonica.

Nell’ultimo periodo della sua vita ed in antitesi con la prima parte della sua opera, Freud introdusse la nozione di “pulsione di vita”, che chiamò EROS, e la “pulsione di morte”, che definì THANATOS.

La “libido” per Freud e Jung

Inizialmente, quindi , Freud intendeva la libido come l’insieme delle energie vitali. Poi delimitò il riferimento del termine alle sole energie sessuali. Più avanti negli anni descrive la libido come una forza cieca e irrazionale, violenta e incoercibile come la fame; essa nonostante promuova l’incontro tra i sessi, è intimamente asociale, perché spinge l’individuo a ricercare il proprio piacere personale e ad investire cariche energetiche in obiettivi edonistici.

Jung, invece, concepisce la libido come un’energia psichica unitaria , omnicomprensiva, che riguarda molte attività durante l’arco della vita e i cui principi sono fortemente influenzati dagli archetipi. Scrive,infatti: “concepivo la libido come il corrispondente psichico dell’energia fisica, e quindi, più o meno, come un concetto quantitativo, che perciò non avrebbe dovuto essere definito in termini qualitativi … non intendevo più parlare di istinti di fame, aggressivi, sessuali, ma considerare tutti questi fenomeni come manifestazioni diverse dell’energia psichica”.

L’inconscio per Jung

L’inconscio non è, come per Freud, la zona o regione connotata dai contenuti inadeguati e da residui pulsionali obsoleti e conflittuali. Bensì è la fonte primaria, la madre dell’energie, è il luogo dove si svolgono i processi di trasformazione creativa ,che consentono all’individuo di trascendere i limiti del proprio IO ed arricchire la personalità di nuovi modi di essere idonei a fronteggiare le mutevoli esigenze della realtà.

Jung suggerisce di controllare tali forze e integrarle nella coscienza al fine di favorire il doloroso processo d’individuazione della personalità.

Egli scrive:“L’incontro con se stessi è una delle esperienze più sgradevoli alle quali si sfugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante. Chi è in condizione di vedere la propria ombra e di sopportare la conoscenza ha già assolto una piccola parte del compito. In assenza di una adeguata correlazione tra Io e Inconscio non è possibile una vera trasformazione, una crescita individuale e collettiva. L’Io scisso dalle sue radici Inconsce è incapace di autentici rinnovamenti.

Il centro della personalità

Il vero centro della personalità, la vera identità individuale , che Jung chiama il “Sé” si trova proprio là dove l’Io e l’Inconscio riescono ad unirsi, a stare insieme. E continua: “Una psicologia capace di soddisfare soltanto l’intelletto non è mai una psicologia pratica; l’anima nella sua totalità non può mai essere intesa soltanto con l’intelletto. Ci piaccia o no, il momento della visione universale s’impone, perché l’anima cerca un’espressione capace di coglierla in tutta la sua pienezza”.

Come per dire che la libido intesa come sessualità è solo un’ aspetto della vita degli individui e che l’individuazione della personalità è un processo anche di carattere collettivo o sociale.

Le tappe fondamentali dello sviluppo si possono ricondurre a le seguenti fasi o stadi : influenze pre-natali e/o perinatali

Stadio Pre-natale

L’importanza delle esperienze prenatali e la situazione che segue immediatamente la nascita viene evidenziata da P. Greenacre, secondo il quale queste contribuiscono a creare una predisposizione all’angoscia o pre-angoscia, diversa dall’angoscia successiva, in quanto manca di contenuto psicologico e opera a livello riflesso.

O. Rank, invece, sottolinea l’importanza della nascita, che descrive sotto forma di trauma. Infatti, l’afflusso iniziale di eccitazioni provenienti dal mondo esterno, al momento dell’uscita del bambino da un ambiente relativamente calmo e tranquillo, quale può essere l’utero materno, può sopraffarlo. Ogni situazione della nascita diventa il modello o prototipo di ogni angoscia ulteriore, che si esprime dunque all’origine in termini di separazione biologica dalla madre, ma in seguito si manifesta in maniera più psicologica e più simbolica. Ogni piacere avrebbe per scopo finale l’accesso al sentimento di soddisfazione pura e di originaria beatitudine intrauterina, e l’atto sessuale, che rappresenta l’unione simbolica con la madre, è il mezzo più soddisfacente per realizzare questo ritorno alla vita intrauterina.

Significa, in sostanza, venire in contatto con ciò che ci ha ferito e non fermarsi ai sentimenti che suscitano la ferita, riconoscere cioè di essere diventati adulti ed indipendenti.

Stadi pregenitali

Esaminiamo gli Stadi pregenitali. Essi non sono mai completamente delimitati e separati l’uno dall’altro, per cui ognuno passa gradualmente nell’altro e si accavallano.

Lo stadio orale

Lo stadio orale: fase d’organizzazione libidica che va dalla nascita allo svezzamento (1° anno di vita). In questa fase la sessualità inf. è indifferenziata e poco organizzata, diretta sulla zona erogena, la bocca e tutti i sensi ad essa collegati, e perciò è autoerotica.

L’oggetto originario del desiderio sessuale è il seno materno (oggetti parziali) o il suo sostituto. Il piacere sessuale sotteso, inizialmente mediato dalla funzione nutrizionale, dato dall’atto del poppare, si separerà dando piacere di per sé. La relazione è anoggettuale, manca ,cioè, il riconoscimento dell’oggetto da parte dell’Io come cosa differente da sé. L’oggetto in questo momento è parte del bambino e perciò, portando alla bocca tutto quanto lo interessa, egli lo confonde col suo piacere di essere: la paura principale in questo periodo è quella di essere mangiati. La relazione è Anaclitica, cioè il bambino si appoggia sulle persone che lo curano, subendo la dipendenza naturale che lo lega fisicamente alle persone che se ne prendono cura.

La scoperta dell’oggetto avviene poco a poco attraverso i momenti d’assenza dell’oggetto anaclitico ed il bambino incomincia a provare una sensazione nostalgica di qualcosa che può soddisfare i suoi bisogni, ma che al momento è assente (Fenichel). Imparerà poi a differenziare le sue impressioni e a stabilire fiducia negli oggetti conosciuti e amati. Comincerà a comunicare con la madre, in questo momento è molto importante la manipolazione corporea con il bambino. Egli stabilirà una relazione ambivalente, nel momento in cui comincerà a mordere (pulsioni sadiche), il desiderio di distruggere la madre si associa all’unione libidica con lei. Questo è il primo conflitto che minaccia la primitiva unità rassicurante con la madre e in cui la componente aggressiva occupa un posto preponderante.

Infine,lo svezzamento, cioè l’interruzione dell’allattamento (Lacan ne ha sottolineato la dimensione culturale e l’indissociabilità dalla maternità) provoca spesso un trauma quando esso è vissuto come una punizione in conseguenza dell’aggressione.

Lo stadio Anale

Lo stadio anale : Nel 2°, 3° anno le facoltà del camminare, parlare, pensare, controllare gli sfinteri si sviluppano e offrono al bambino una progressiva indipendenza dalla madre. La zona erogena parziale è la mucosa anorettale e tutta la mucosa della zona intestinale di escrezione. L’oggetto è la scibala fecale, intesa come parte del proprio corpo che egli può sia conservare all’interno, che espellere all’esterno , cosa che permetterà la distinzione tra oggetto interno ed oggetto esterno.

La paura anale tipica è essere brutalmente privato del contenuto del corpo, essere letteralmente svuotato. La scibala, o prodotto fecale, diventerà oggetto di scambio con gli adulti: regalo che si offre o si rifiuta.

La relazione oggettuale è sul modello delle relazioni avute con le sue materie fecali e in funzione dei conflitti suscitati dall’educazione alla pulizia. Questo periodo viene descritto bene da Abraham nelle sue componenti erotiche e aggressive, sadiche (Piacere autoerotico sadico se si espelle) e masochistiche (quando si trattiene).

Il bambino attraverso la conquista della disciplina sfinterica scoprirà la nozione della sua proprietà privata, del suo potere affettivo sulla madre che egli può compensare o frustrare a sua volta. Egli proverà un piacere nel controllare, padroneggiare, opponendosi alla madre, in breve a possedere, come succede con le sue materie fecali. L’atteggiamento contraddittorio del dare/avere rispetto alle feci rafforzerà l’atteggiamento ambivalente iniziato nella fase precedente verso gli oggetti amati (madre).

In questa fase origina la bisessualità, che Freud ha messo in evidenza, e si forma la coppia attività-passività, derivata dall’investimento libidico anale; partendo da questo poi il bambino è sensibilizzato, nella sua relazione con gli altri, alla percezione di tutta una serie di coppie antagoniste: buono-cattivo, bello-brutto, ma, soprattutto, la coppia grande–piccolo.

Il bambino di fronte all’adulto si sentirà di essere sia il più piccolo, sia il più grande sia il più forte, basta che egli immagini di essere un leone o un mostro. Quindi, l’apice della relazione d’amore è nella coppia soggiogare – essere soggiogati, dominare-essere dominati.

In questa fase il narcisismo è in primo piano: la conquista dell’indipendenza, soprattutto attraverso il camminare e il controllo sfinterico, la possibilità di opposizione e di contrattazione di fronte all’oggetto materno, il sentimento di onnipotenza e sopravvalutazione ne sono la manifestazione.

La relazione sessuale così caratterizzata è di tipo omosessuale, qualunque sia il sesso reale dell’oggetto, essendo la caratteristica genitale , per ora, accessoria.

Lo stadio fallico (dopo il 3° anno)

E’ il periodo, questo, in cui le pulsioni parziali precedenti si unificano sotto un certo primato degli organi genitali, ma non si tratta ancora di una genitalizzazione della libido. In questo periodo il bambino prende coscienza dell’organo genitale maschile. Compare la masturbazione infantile, il cui determinante occasionale è l’eccitazione naturale della minzione.

Il controllo dello sfintere vescicale maschile comporta fierezza narcisistica che sarebbe dovuta al fatto che i genitori fanno sì che il bimbo si vergogni al momento degli insuccessi di questo controllo.

La masturbazione primaria lascia tracce profonde e inconscie nella memoria e sembra che sia una delle cause principali della forte amnesia infantile, la quale è strettamente collegata all’attività repressiva dei genitori e alle fantasie, ai fantasmi sessuali propri di questa età, il più spesso di natura edipica, quindi angoscianti e colpevolizzanti.

In questa fase, tuttavia, il pene non è percepito come un organo genitale , ma come un organo di potenza o di completezza, cioè come un fallo. I bambini sono diventati capaci di distinguere i sessi, ma lo fanno solo in funzione di una realtà anatomica esterna e falsamente interpretata.

Si tratta della differenza non di un uomo o di una donna, ma della differenza tra la presenza e l’assenza di un solo termine. I due genitori saranno vissuti in funzione della loro potenza o della loro debolezza , simbolizzate da questo possesso o meno. Questo è lo stadio anche del diniego di questa differenza, che consisterà nel negare la castrazione narcisistica con la negazione del sesso femminile per il bambino, mentre per la bambina consiste nel negare la castrazione con la rivendicazione del fallo (narcisistica).

La reazione affettiva che segue alla constatazione dell’assenza del pene nella bambina, comporta nel maschietto la paura di perderlo, nella femmina il desiderio di averlo. Questa angoscia di incompletezza o di carenza determina l’angoscia di morte, contro la quale ci si difende con il fantasma di desiderio di avere un bambino ( una sorta di duplicazione di sé).

Quindi, il bambino sapendosi possessore di un pene lo superinveste, libidicamente (masturbazione), ma soprattutto in quanto simbolo della valorizzazione narcisistica di sé, contrassegnata dalle esigenze esibizionistiche di questo stadio. Si dice che Il bambino si identifica col suo pene.

Nella bambina la vagina viene ignorata e l’attività sessuale è clitoridea, dato che il passaggio dalla clitoride alla vagina, come zona erogena dominante avverrà quando si avvicina la pubertà. Scoprendo la mancanza del pene , dopo un periodo di disconoscimento e di speranza , si vede obbligata ad accettare abbastanza in fretta questa assenza.

Il complesso di Edipo

La bambina entrerà nell’Edipo assumendo in sé una ferita narcisistica profonda, che comporterà sentimenti di inferiorità sul piano corporeo e genitale, complicato e rafforzato da fattori socio culturali. Ella si difenderà dapprima rivendicando l’organo genitale perso (desiderio del pene), sperando di poterlo riacquistare; poi obbligata ad accettare la carenza non la perdonerà a sua madre , della quale diventerà gelosa, e si avvicinerà al padre, sperando di averlo da lui; il desiderio di avere un figlio dal padre si sostituirà al desiderio del pene.

Il complesso d’Edipo ha un ruolo fondamentale, un ruolo di organizzatore centrale nella struttura della personalità. Rappresenta l’asse di maggior riferimento della psicogenetica umana per gli psicoanalisti freudiani, qualsiasi sia la loro appartenenza ad una scuola particolare. Appare tra i 3 e i 5 anni d’età ed è un conflitto sessualmente specificato, giocato in una problematica a tre, i tre personaggi della famiglia : bambino, padre, madre e dà inizio alla genitalizzazione della libido.

Con la risoluzione del complesso di Edipo le scelte oggettuali, cioè il desiderio di possedere sessualmente un individuo, per esempio l’attrazione del maschio per la madre, sono sostituite da identificazioni, che vuol dire il desiderio di assomigliare a qualcuno, per es. il bambino che imita le caratteristiche del padre. L’energia liberata dall’Edipo in una considerevole quantità , generalmente, verrà investita nell’acquisizione di un assetto intellettuale, e pronta per essere più tardi diretta su altri oggetti (identificazione secondaria).

L’Edipo segna l’apice della sessualità infantile facendola pervenire alla genitalità, in cui c’è il primato della zona genitale, il superamento dell’autoerotismo e l’orientamento verso oggetti esterni, a seguito dell’avvenuta costituzione della realtà dell’oggetto, che si definisce come oggetto globale, intero e sessuato, sostituendosi all’oggetto parziale delle pulsioni pregenitali.

Quest’oggetto sessuale , in quanto edipico , è destinato a scomparire: la sua reviviscenza si attua normalmente con lo spostamento dell’immagine parentale su altri oggetti interi determinando la scelta dell’oggetto d’amore definitivo ( partner adulto).

La dissoluzione dell’Edipo lascia il posto a due istanze morali: l’Ideale dell’Io, avviene quando il bambino attribuisce poteri magici ai genitori , erede del narcisismo, ma ora per la prima volta l’idealizzazione riguarda il comportamento morale: fai questo, sii come tuo padre, pensa come lui; e il Super Io, erede dell’Edipo: non fare questo, non fare come tuo padre, sii come lui ma scegli un altro oggetto, rappresenta l’interiorizzazione di tutte le proibizioni passate e presenti, soprattutto riguardo alla pulsione sessuale.

Il bambino non si identifica col genitore reale, ma con quello idealizzato, puro, senza difetti, fedeli ai loro principi. Lo fa così bene che alla fine si identifica con il Super Io proprio dei genitori. Tutti abbiamo tratti dei due genitori nel proprio Super Io, ma come dice Fenichel, nelle nostre condizioni sociali è il Super Io paterno in generale più decisivo tra i sessi, in quanto fonte di maggiori frustrazioni sia per il maschietto che per la femminuccia.

Il periodo della latenza

In questo periodo (5-6 anni d’ètà fino alla pubertà) si assiste ad un arresto nello sviluppo sessuale , è tutto tranquillo, il bambino è impegnato in altri interessi che hanno più un carattere sociale, scuola, compagni di gioco ed altri oggetti del mondo reale. La desessualizzazione si accompagna all’instaurarsi delle relazioni oggettuali e i sentimenti: c’è una prevalenza della tenerezza sui desideri sessuali. Tuttavia, spesso, si tratta di un riposo solo apparente e in realtà la masturbazione,le tendenze edipiche e le regressioni pregenitali continuano in una certa misura. E’ un età particolarmente ricettiva a livello intellettuale, nella nostra civiltà è considerata l’ètà della ragione.

La pubertà

Si tratta in realtà di una crisi, così detta, dell’adolescenza, il cui inizio mette fine alla latenza. Il compito psicologico più importante è l’adattamento della personalità alle nuove condizioni prodotte dalle trasformazioni fisiche.

Prima di tutto , vi è una riviviscenza pulsionale forte, brutale a volte drammatica, poiché si riattivano in modo spropositato , sia le pulsioni sessuali sia quelle aggressive.

Lo sviluppo sessuale sembra riprendere esattamente al punto in cui era stato lasciato all’epoca della risoluzione del complesso edipico. Regolarmente si verifica un’intensificazione delle pulsioni edipiche. Associata a ciò si verifica una crisi narcisistica e identificatoria con particolari dubbi angosciosi sull’autenticità del sé, del corpo, del sesso. Si osservano spesso, anche al di fuori di ogni fattore o contesto psicotico, sentimenti di bizzarria e stranezze. Inquietitudini spesso molto vive si manifestano a proposito delle parti del corpo che si trasformano. Il maschio continuerà ad attribuire un valore narcisistico al pene; la femmina effettuerà un cambiamento di direzione con tendenza a trasferire l’interesse per gli organi genitali su tutto il corpo La pubertà rappresenta l’ultima occasione offerta all’adolescente di risolvere spontaneamente il conflitto edipico se non è stato risolto e le strutture psichiche (nevrotica, psicotica, stati limite) possono rientrare in gioco.

La pubertà propriamente detta definita dall’accesso alla maturità sessuale fisica è contrassegnata dal fatto che, da questo momento la libido si concentrerà specificatamente sui sentimenti, scopi e idee genitali. La masturbazione diventa un’attività espressiva delle tendenze genitali acquisite, essa si esprime come un bisogno nello stesso tempo molto forte ma condannato, sia da sé che dagli altri, che crea sentimenti di colpa intensa, benché si tratti nel nostro contesto socio culturale di un fenomeno normale. Ciò probabilmente accade per la reviviscenza dei problemi edipici non risolti e per i fantasmi masturbatori che l’accompagnano, che sono molto spesso di natura edipica.

La pubertà si considera superata, cioè la sessualità è insediata nella personalità, quando il soggetto è capace di avere un orgasmo completo (Fenichel).

Le relazioni oggettuali,nel periodo preadolescenziale, sono caratterizzate da un ritorno della libido verso gli oggetti d’amore dell’infanzia, i genitori, e la prima mansione dell’Io sarà proprio quella di abbandonare questa scelta parentale a tutti i costi: è la rivolta puberale contro i genitori, l’autorità e i suoi sostituti simbolici.

Questa lotta contro i vecchi investimenti libidici può portare sia al rigetto totale dei genitori, alla rottura a un modo di vita complementare diverso, sia al riassetto di un equilibrio con una tolleranza reciproca ,con un affetto condiviso. La soluzione di questo conflitto dipende , appunto, dalle modalità di risoluzione o di non risoluzione del conflitto edipico. La scelta di nuovi oggetti libidici avrà per l’adolescente un ruolo molto importante. Il più delle volte si tratta di attaccamenti compulsivi e transitori sia a persone della stessa età sia a persone più adulte, che rappresentano chiaramente sostituti di figure parentali.

Queste fissazioni amorose transitorie rappresentano non tanto delle relazioni oggettuali, ma piuttosto degli attaccamenti identificatori, infatti spessissimo vengono tanto rapidamente ed altrettanto rapidamente scompaiono. Molto spesso si verifica anche che i giovani si riuniscano in gruppi omosessuali per evitare la presenza eccitante dell’altro sesso , contemporaneamente per evitare di essere soli, e accade che quello che si cerca di allontanare ritorna nelle amicizie allacciate nella speranza di evitare relazioni sessuali oggettuali. Allora, si possono fare esperienze omosessuali tra adolescenti, ed è facile che accada, e non devono essere considerate forzatamente scelte definitive, ma testimonianza della solidità dell’identificazioni parentali, che l’adolescente cerca di risolvere e qualunque sia la scelta che farà, avrà in ogni caso risolto il suo problema d ‘identità, gruppo sociale d’appartenenza permettendo.

Il Caso Clinico di Mario

Mario è un ragazzo che compirà 13 anni a settembre. Ad ottobre 2003, è venuto da me , forzato dalla madre , una donna di 40 anni , madre anche di una ragazza di qualche anno in più rispetto a M.. Moglie felice di un uomo di anni 45, professionista, che però ha un lavoro , se pur ottimo, in una città del nord. Per questo motivo il padre di Mario  è fuori tutta la settimana e sta poco in casa per forza di cosa. E’ un uomo abbastanza ambizioso ed è molto legato alla famiglia. La madre di Mario è casalinga, mi ha dato l’impressione di una donna perfetta. Segue moltissimo i figli, è una donna curata, ha una casa grande perfettamente sistemata.

Il giorno del primo appuntamento nel mio studio

Il giorno del primo appuntamento lei era molto agitata, parlava affannosamente. Cercava di spiegarmi i problemi del figlio. Mario era molto chiuso. Anche fisicamente, si presentava ricurvo su sé stesso . Non voleva entrare nello studio. Diceva che sentiva soffocarsi, che la stanza gli girava attorno. E’  scappato fuori, e poi ha cominciato a fare dentro e fuori. Era molto agitato. Vedeva che la madre non lo seguiva e si preoccupava di controllare quello che mi diceva facendo dentro e fuori nella stanza.

La madre si lamentava del comportamento del figlio e non credeva a tutti i sintomi che il ragazzo lamentava. Mal di testa , mal di pancia. Aveva reazioni di rabbia eccessiva se spostavano gli oggetti di casa. Non sopportava le luci. Dimostrava paure eccessive , del tipo non era in grado di andare da una stanza all’altra da solo e di accendere le luci. Presentava tremolii ed una grande confusione. La madre era arrabbiata per questo comportamento del figlio, soprattutto perché fino al mese di giugno, si era comportato normalmente. Era un ragazzino normale. In casa nessuno si spiega questo cambiamento. La signora riferisce che Mario  si comporta così da quando ha dovuto fare una risonanza magnetica. Questa era stata fatta  proprio per accertare alcuni dei disturbi prima menzionati, di cui non si capiva l’origine. D’allora tutto era precipitato e c’era stato un peggioramento continuo. Io ascolto ed osservo quanto succede per capire cosa stesse esprimendo tutta quella situazione.

Il mio colloquio con Mario

A quel punto mi viene istintivo rassicurare il ragazzo, dicendogli che io credevo alla sua sofferenza. Contestualmente cerco di evidenziare alla madre, che in quel momento anche lei era chiaramente sofferente. Perché io avrei dovuto credere a lei e non al ragazzo? Mi sembravano molto simili!

Il ragazzo accetta di parlare con me e via via mi racconterà le sue cose , anche se con molta difficoltà!

I vari colloqui cominceremo a farli in macchina. Sono io che esco dallo studio e vado nell’auto dove è lui. Parleremo anche solo per pochi minuti, fino a quanto lui ce la fa. Riusciamo a creare un rapporto di fiducia.

Lui entrerà nello studio successivamente mi racconterà tutte le sue paure. Nel frattempo cerco di creare delle cose in comuni tra noi. Per es. ”il tifo” per la Roma, l’amore per i cani, e cose simili. Lui mi chiamerà la mia amica Flori. Ci scambieremo il numero  di cellulare., e mi chiamerà a volte per raccontarmi delle cose.

Mario mi racconta le sue paure

Mi parla di come si è sentito solo quella volta della risonanza magnetica, al buio. Si era sentito soffocare, della paura della morte. Mi parla della paura di saltare il muretto a di salire su di una scala per saltare. Cose che tutti i suoi amici di scuola fanno. Dell’imbarazzo che prova quando lo prendono in giro per questo.

Mi racconta del suo stare male a scuola, dove non viene creduto neanche dalle insegnanti, che non capiscono e si lamentano del suo comportamento!

Io l’aiuto , faccio colloqui con i genitori per far comprendere loro la natura del problema di Mario  ed anche con le insegnanti e tutti hanno dimostrato di poterlo sostenere.

I genitori hanno accettato che Mario  rimanesse a casa rischiando di essere bocciato. E le insegnanti promettendo di aiutarlo in questo anno  scolastico.

Così Mario  non va più a scuola, sta in casa tutto il giorno, gioca con il game boy, guarda la tv oppure gioca col pallone fuori nel grande giardino che è intorno alla casa!

Le insegnanti sono andate a trovarlo con la classe, a volte dei ragazzi vanno a trovarlo. Sta molto insieme al padre il fine settimana , il quale gli insegna a saltare il muretto!

Mario migliora ma ….

Migliora moltissimo, le paure scompaiono , anche i dolori scompaiono: uno ne resta non vuole più uscire di casa , nemmeno per venire alla terapia.

Mi telefona, mi dice che vorrebbe, ma poi non ci riesce, torna la confusione e il male di tutto! Io aspetto, gli dico che non fa nulla , io ho pazienza , gli do tempo anche se incomincio ad intuire che sta succedendo qualcosa.

Un giorno il padre mi chiama per telefono e si lamenta del comportamento del figlio. Nonostante sappia anche che se lui non viene in terapia questa viene pagata ugualmente, si sente preso in giro dal figlio. Questi a suo dire  promette di venire e poi dice di stare male e all’ultimo momento non viene. Soprattutto , si lamenta perché a volte il figlio sembra migliorato, invece peggiora. Infatti ora vuole dormire sempre nel letto matrimoniale e manda via sua moglie,. Lui è ben felice di passare il tempo col figlio, ma vorrebbe dormire con la moglie.

… Si rifiuta di venire

La madre viene in una delle ultime sedute al posto del figlio dicendo ”così almeno posso pagarle il mese”. Riprendendo lo stesso filo del marito. Aprendo la borsa tira fuori il game boy del figlio e mi racconta quello che era successo tra loro.

Siccome lui si rifiutava di venire, lei gli ha preso il gioco dicendogli che l’avrebbe venduto per pagare le sedute a cui lui mancava. Mario  ha reagito con una forte crisi di pianto. Ma lei non ha ceduto. Mi racconta anche lei del peggioramento di Mario  in quanto era tornato a dormire nel letto matrimoniale ed è veramente arrabbiata per il fatto che la manda a dormire nel suo lettino e lui resta col padre.

Non c’è verso per farlo tornare al suo letto. Anzi la cosa peggiora se lei dà un bacio al marito! In questa seduta, viene fuori che lei ha sofferto molto per la nascita di Mario  in quanto l’avevano fatta aspettare per molto tempo con il bambino che aveva già la testolina quasi fuori. E  che poi il bambino aveva il cordone ombelicale attorno al collo. Per fortuna è stato aiutato bene a nascere, ma ha sofferto molto , anche lui.

Vado a “vedere” a casa di Mario

Tutte queste cose mi avevano creato una sensazione nuova. Del resto anch’io pensavo per mio conto al perché Mario  non ce la faceva più a venire. Ma mi cercava ! Allora ho pensato di andare io da lui. Parlando di questo mio dubbio ad un collega mi suggerì di andare a casa sua. “Vai a casa sua , forse vuole farti vedere qualcosa!” Ed io l’ho fatto.  Ed ho visto!

Mario  mi ha accolto con gioia. La sua casa era molto accogliente ed era ancora più bella in quella giornata di sole in mezzo al verde della Valle Roveto.

Gli dico di fermarci a parlare in giardino, per questo, ma lui vuole farmi entrare in casa, nell’enorme perfetta cucina della mamma!

Mario vuole mostrarmi il suo ambiente

In quell’attimo ho pensato che voleva farmi vedere proprio quello. L’ambiente in cui lui si era rifugiato.

Mi è tornato in mente in quel momento il pensiero che avevo fatto la prima volta avendolo visto e la cosa mi aveva intenerito.  “Ha il viso di una bambina! Con queste guance piene e lisce e la boccuccia a cuoricino!“. Questo avevo pensato, eppure guardandolo bene ora sembrava di no.

Gli chiedo cosa succede. Gli racconto quello che i genitori mi hanno detto. Gli chiedo cosa volesse fare nel mandare via la madre dal letto? E cosa voleva dire quel suo stare dapprima in casa, nel regno di lei, e poi prendendo il suo posto nel letto accanto al padre.

Se questo aveva a che fare con il malessere scolastico e delle prese in giro dei suoi amici. Forse era una femminuccia se non riusciva a scavalcare il muretto? Questo voleva dire prendere il posto di mamma? Mario  è molto partecipe in questo colloquio e si deprime perché , appoggia la testa sul tavolino. Voleva evitare tutto questo. Lui vorrebbe essere come papà ma sente di non potersi staccare da mamma, anche se a volte la odia.

Per esempio quando lei gli racconta bugie e l’aveva fatto il giorno prima, prendendogli il game boy e dicendo di venderlo per pagare le sedute. Quando è tornata a casa lui ha notato che la borsa della madre era rigonfia, l’ha aperta e il suo gioco era ancora lì!

Mario vuole essere come il papà

Gli chiedo cosa avesse voluto fare la madre in quel modo. Lui dice che il game boy è il suo gioco preferito, e forse voleva obbligarlo in quel modo a venire alla terapia così lei non aveva più pensieri! Così stai meglio e torni fuori a giocare? E lei si libera di te?

Era questo quello che è successo quella volta facendo entrando nel tubo o buco nero della risonanza magnetica? Ma vale la pena di essere lei per non perderla? E prendere il suo posto nel letto di papà?

Lui risponde che vuole essere come papà. Allora gli propongo di chiarire bene questi suoi pensieri strani , che lo fanno sentire diverso dai suoi amici, e pauroso come una femminuccia e su quest’accordo ci siamo dati il solito appuntamento per il lunedì. Ed io ho fiducia che verrà.

Partendo dalla base sicura il bambino può iniziare a muovere i primi passi lontano dalla mamma e cominciare ad esplorare il mondo esterno e a stimolare lo sviluppo delle funzioni cognitive, certo di poter tornare in qualsiasi momento dalla mamma stessa.

Ora ci possiamo chiedere: quale sarà il destino di questo ragazzo? Come si svilupperà o meglio definirà la sua identità : in senso maschile? O in senso femminile? In ogni caso : cosa lo renderà felice? l’indirizzo sessuale affermato o il suo benessere psicofisico? ?

A cura di Floriana de Michele

Psicologa Psicoterapeuta Avezzano

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Rabbia in psicoanalisi è fuoco dell’anima.

Tratto  dal Seminario del 7 maggio 2006

Premessa

Come sempre, da qualche anno a questa parte, questo momento del seminario, è un’importante occasione per me di riflessione ed approfondimento teorico di problematiche che maturano o si sviluppano nell’ambito della pratica clinica. E perciò, lo dedico ai miei pazienti , che ringrazio molto per l’aiuto personale che loro danno a me. In questo seminario in particolare ho voluto affrontare il tema della “Rabbia”. Perché molti dei miei pazienti soffrono per essa: per quella che li sommerge con la sua forza (caso n.1), ma soprattutto quella che non è espressa ( caso n.2).

Cosa è la rabbia?

La rabbia è un’ emozione difficilmente riconosciuta dagli individui come determinante del proprio comportamento perché è associata alla parte aggressiva della personalità e solitamente è interpretata come cattiva e negativa.

“E’ un segnale emotivo istintivo che si genera in noi ogni volta che qualcuno o qualcosa invade il campo invisibile del nostro equilibrio psicologico e ci fa sentire attaccati nel profondo del nostro Sé ”. ( M. Morganti ).

La rabbia è la reazione all’ incapacità di rendere legittimi e di soddisfare i propri bisogni fisici, emotivi, sessuali. Di influenzare gli eventi della propria vita nella direzione voluta e giusta per noi. Aprendo, la porta alla coscienza del dolore , della disistima , della mancanza di rispetto, dell’abuso fisico e psicologico. Provocando, così, un senso di impotenza, di sfiducia e di spersonalizzazione .

Ogni individuo ha il bisogno di esprimere la propria rabbia

Ogni individuo, infatti, ha il bisogno e può esprimere la propria personalità pienamente e autenticamente. Ciò  nella completa soddisfazione di se e può farlo solo rispettando i suoi desideri e bisogni emotivi . A volte però non è possibile e l’aggressività diventa indispensabile per un adeguato funzionamento della persona , per la sua capacità di relazionarsi e per la sua capacità di amare.

Capita a tutti di trovarsi in delle situazioni , anche semplici da un punto di vista razionale, anche abituali, di vita giornaliera, che sembrano normalmente sotto controllo e che invadono la nostra interiorità.

Bisogna manifestare la rabbia?

Pensiamo alla nostra ultima settimana di vita, quante rabbie ci siamo presi in famiglia, con gli amici, collaboratori o colleghi, nella vita sociale in generale. Oppure onfrontandoci con un compito esclusivamente nostro? D’improvviso ci si trova travolti da una emozione molto forte , una sensazione di pienezza di sentimenti, pronti a straboccare. Che fanno sentire come un fuoco interiore e sembra che si possa esplodere da un momento all’altro.

Eppure si continua a resistere pur di non manifestare la rabbia: normalmente si è addestrati o educati così dai genitori, almeno nelle società occidentali!

Possiamo capire la rabbia?

Si genera così il senso di impotenza e di spersonalizzazione, dovuto alla sensazione di essere diventati incapaci di affermarsi, di farsi vedere e sentire, di farsi riconoscere, apprezzare, amare dagli altri.

Si diventa realisticamente incapaci di legittimare e soddisfare i propri bisogni fisici, emotivi, sessuali o di influenzare positivamente gli eventi della propria vita.

Si sviluppa un senso di vuoto o di assenza che si vive nel rapporto emotivamente distaccato dagli altri, senso di solitudine.

Quando ci si sente molto impotenti, si sviluppa rabbia repressa. Si può essere travolti da una grande collera a cui si accompagnano fantasie di distruzione, che permettono al nostro Io di riscattarsi, sentendosi attivo e forte, onnipotente.

La sensazione di distruzione rabbiosa

La sensazione di distruzione rabbiosa , ed è l’unica cosa possibile, è ciò che fa sentire vivi in quel momento di annullamento del Sé. Purtroppo l’effetto di compensazione dura poco e molto spesso provoca un senso di vergogna e quindi ci si sente di nuovo feriti nel Sé.

Circolo vizioso della rabbia

Si innesca un circolo vizioso , per cui si parte dalla rabbia e lì si ritorna. La rabbia distruttiva porta ad un “escalation” in cui ogni dolore deve essere affrontato con una nuova ondata di aggressività. In un processo che potrebbe non avere mai fine. Per poterne uscire, bisogna osservare e capire il funzionamento dei nostri meccanismi psicologici ripetitivi. A partire dal momento in cui è necessario riconoscere il sentimento di collera. Poi i tentativi di cancellare la distanza emotiva che percepiamo negli altri e che genera delusione. Infine, il desiderio , pieno di risentimento, di essere per l’altro il centro del suo mondo affettivo.

La rabbia trova radici nel nostro passato.

La rabbia spesso è antica. Il senso di vuoto e di assenza sono il risultato delle relazioni genitoriali imperfette. Relazioni  in cui siamo stati , in qualche modo, deprivati dell’amore che serve a nutrire e strutturare la personalità.

Succede così che i rapporti di amicizia e di amore vissuti successivamente vengano scelti ed agiti nel tentativo di riparare magicamente questa ferita. Ma, proprio per questo, sono relazioni destinate a deludere inevitabilmente.

Il vuoto interiore delle relazioni genitoriali imperfette

Il vuoto interiore è ciò che terrorizza ed è alla base dell’aspettativa che l’altro, con la sua assoluta presenza, ripari la nostra ferita profonda e antica.

Allora, diventa un esperienza fondamentale sentire questo vuoto interiore. E solo dopo aver imparato a riconoscere e ad accettare la nostra rabbia per questo vuoto, solo allora, si potrà vivere il lutto , il dolore, dovuto alla perdita dell’infanzia innocente in realtà mai vissuta.

Significa, in sostanza, venire in contatto con ciò che ci ha ferito e non fermarsi ai sentimenti che suscitano la ferita, riconoscere cioè di essere diventati adulti ed indipendenti.

Caso Clinico.

La rabbia nasce da un rapporto distorto con il genitore

D.M. è un paziente in cura da alcuni anni, che a causa di un disturbo fisico è costretto da due mesi circa ad interrompere terapia. Egli proveniva da una separazione coniugale a cui non riusciva ad adattarsi ed in seguito alla quale aveva manifestato o sviluppato un carattere paranoico. Nonostante fosse stato sposato alcuni anni e dopo un lungo fidanzamento, non aveva figli .

Pochi amici

Aveva pochissimi amici. Anche al lavoro viveva un isolamento straordinario e pur avendo una qualifica dignitosissima svolgeva funzioni tipo usciere. Dai colleghi si teneva alla larga perché lo facevano innervosire e temeva di poter perdere il controllo e reagire molto aggressivamente verso loro.

Pochi parenti

Unici parenti una madre ed un fratello molto piu’ grande di lui. D.M. sentiva per la madre un odio profondo, da lei si era sempre sentito rifiutato. Sicuramente perché preferiva il fratello molto palesemente. E poi perché il paziente aveva sempre avuto il sospetto che lui fosse nato da una relazione extraconiugale di lei. Per tutti questi motivi con lei non riusciva ad avere rapporti e le rare visite che le faceva erano caratterizzate da forti litigi.

L’importanza della terapia per D.M.

All’inizio della terapia manifestava atteggiamenti aggressivi anche verso di me . La terapia gli ha fatto recuperare il legame importante con la madre , di cui il paziente si prende cura in modo molto amorevole. Purtroppo l’anziana signora nell’ultimo anno ha molti problemi di salute e spesso il figlio ha avuto il timore che potesse morire .

La terapia è per lui una cosa molto importante perché gli ha permesso di cambiare molto positivamente la sua vita. Anche se non ancora definitivamente visto che è ancora il solo legame significativo che ha.

La grande importanza della terapia per D.M.

Pensate che D.M. al fine di garantirsi le sedute ha preso l’abitudine di pagare il mese in anticipo anche se poi spesso non viene! Questi ultimi due mesi è stato impossibilitato fisicamente a causa degli altri problemi a venire. Per questo motivo  telefonicamente abbiamo deciso che non era necessario pagare terapia durante sua assenza. Lui tra l’altro doveva affrontare maggiori spese, quindi appena lui si fosse ristabilito io gli avrei restituito i suoi soliti appuntamenti senza problemi!

Alcune volte lui mi chiamava per farmi sapere come stava e devo dire che anch’io l’ho fatto. Ma poi ho lasciato che vivesse la sua vita visto che mi sembrava andasse tutto bene nonostante i problemi fisici.

Alcune difficoltà di salute di D.M.

D.M. ha iniziato ad avere serie difficoltà a causa di calcoli alle ghiandole salivari, che lui sapeva di avere da molti anni. Negli ultimi mesi si era rivolto all’ospedale perché era arrivato al punto di dover risolvere quel problema. Purtroppo non era rimasto soddisfatto della soluzione. Lì gli avevano prospettato  un intervento chirurgico col quale togliere le ghiandole lasciandogli una cicatrice sotto la gola. Si era rivolto ad un altro specialista il quale gli aveva prospettato un altro tipo di soluzione: togliere direttamente i calcoli dall’interno della bocca.

La rabbia riaffiora

D.M. era molto contento di questa ultima soluzione , ed era anche molto contento della professionalità del secondo specialista, che aveva trovato davvero molto gentile e disponibile. L’ intervento, dolorosissimo a suo dire, è stato fatto per due volte.

Quindi andando a fare una ecografia di controllo scopre che ci sono ancora tre calcoli molto grossi da togliere ancora.

La notizia che ha scatenato la rabbia

D.M. reagisce a questa notizia con molta rabbia. Comincia a chiedere spiegazioni al chirurgo in modo pressante, vuole indietro le cartelle cliniche , che pure ci vuole tempo per averle. Interpreta tutte le cose in modo persecutorio e minaccia di denunciare l’ospedale. Mi chiama proprio prima di andare da un avvocato e anzi non può venire da me proprio per ché aveva appuntamento con lui. Quindi, abbiamo occasione di elaborare appena un pò la situazione per telefono.

Tra l’altro D.M. è una persona sola. Egli  viveva da un anno circa con una donna straniera e lei proprio in questi giorni importanti per lui lo lascia per trasferirsi in una città del nord.

La rabbia accecante e distruttiva

Questo è quindi il caso in cui la rabbia è accecante e distruttiva al massimo.

Il sentimento di rabbia, nel caso di D.M. è riconoscibile immediatamente dalla sua reazione distruttiva e vendicativa. Ma è del tutto inconsapevole per il paziente, anche se apparentemente la sua reazione sembra molto razionale e dovuta ad un grave torto subito.

Le cause della sua rabbia interiore

In effetti, dal suo punto di vista, egli ha ricevuto oggettivamente un danno, una ferita psicologica difficile da perdonare!

Nella sua realtà psicologica D.M. non ha sopportato l’idea di dover affrontare di nuovo un grande dolore, attraverso un successivo intervento (sicuramente avvilente). Per cui chi non fosse riuscito ad evitarglielo (per es. il chirurgo togliendo tutti i calcoli) si trasformava nel suo persecutore (cioè colui che gli procurava il danno). Il suo persecutore che  soprattutto era colui cui lui aveva affidatola sua vita, contando molto sul suo aiuto.

In questo caso l’unico modo di riappropriarsene e risentire la propria vita è proprio quello di affermare la propria persona. Facendosi inevitabilmente vedere e sentire, attraverso un atto vendicativo: la denuncia del chirurgo o ospedale.

Soffre veramente tanto questo paziente, ma perché?

Io sono portata a pensare che il paziente si sentisse molto solo, abbandonato. Per dirla con un termine bioniano (Wilfred Ruprecht Bion, è stato uno psicoanalista britannico). Senza più il suo contenitore, rappresentato dalla terapia e il forte sostegno emotivo della sua amica intima che l’ha lasciato, in questo momento di sofferenza oggettiva, fisica, del corpo.

Il ricordo di un bambino rifiutato dalla madre

Questo momento richiamava una stessa sofferenza, più lontana, infantile, mai superata. Una sofferenza in cui il suo corpo era l’ unica sede delle sue emozioni. Probabilmente in un epoca pre-edipica , in cui non c’era la sensazione di se come altro separato.

La sensazione era, invece, quella di essere un tutt’uno con il corpo della madre , di cui lui, bambino, era solo un appendice. Un appendice improvvisamente staccata e perciò rifiutata. Fa veramente male questa cosa! La madre che presto lo abbandonerà di nuovo come si può capire data l’età!

L’isolamento emotivo, l’angoscia e poi la rabbia

La solitudine in cui viveva D.M. nel momento in cui gli viene comunicato che il suo problema non è risolto. Rimettendolo così  in contatto col suo dolore in modo completamento estraneo , freddo, tramite una ecografia fatta in una struttura diversa. Lo rimette in contatto col vuoto affettivo e l’isolamento emotivo originario.

L’angoscia lo sovrasta e lo destabilizza , la rabbia lo invade nel tentativo di cancellare la distanza emotiva che percepisce nella figura del medico: Quel medico  che prima aveva idealizzato e poi aveva trasformato in una fonte di delusione . Per il paziente questo medico era diventato improvvisamente evitante e forse stava facendo in modo di non fargli avere la copia delle cartelle cliniche! Cerca così attraverso l’azione giudiziaria di ristabilire l’equilibrio psichico. In tal modo  soddisfacendo il desiderio pieno di risentimento di rimettere sé stesso al centro dell’attenzione dell’altro.

La ricerca di un contatto terapeutico

Ma lo fa, fortunatamente, anche ricercando il contatto terapeutico nella speranza di placare il suo dolore. Come può accadere una cosa simile? Per poterlo capire dobbiamo guardare allo sviluppo del Sé durante la prima infanzia.

Lo psicoanalista inglese, Winnicott afferma. ”Non esiste niente come il bambino” , il bambino in sé non esiste, esiste il bambino e l’ambiente in cui egli cresce, composto principalmente dalle cure materne. Allora, è essenziale considerare centrale per la crescita sana del bambino il ruolo della madre. Ma anche  di tutte quelle figure deputate all’educazione e allo sviluppo psicofisico del bambino stesso.

Il rapporto tra madre e bambino

Il rapporto con la madre deve assolvere ad una duplice funzione: sostenere il bambino ed introdurlo nel mondo reale.

Per Winnicott la madre già nei primi mesi di gravidanza entra in uno stato psicologico di preoccupazione materna primaria. In questo stato  fornisce al bambino un ambiente psichico e fisico di sostegno. Pone in secondo piano i propri bisogni e si sintonizza con quelli del bambino. In questo modo riesce a soddisfare i bisogni del piccolo non appena questi si manifestano (ad esempio allattare il neonato non appena questi percepisce lo stimolo della fame).

Stato di onnipotenza soggettiva e maturazione del bambino

In questa fase dello sviluppo il bambino attraversa uno stato di onnipotenza soggettiva in cui, essendo ancora un tuttuno con la madre, crede di poter soddisfare da solo i propri bisogni. Successivamente quando la madre esce dallo stato di preoccupazione materna primaria e inizia a “riattivare” i propri bisogni e desideri, il bambino sperimenta le prime frustrazioni. Ad esempio l’allattamento arriva un po’ in ritardo rispetto alla sensazione di fame. Ed è proprio attraverso queste frustrazioni che il bambino inizia a percepire la realtà esterna e, uscendo dallo stato di onnipotenza soggettiva, attraverso una fase di transizione – in cui si relaziona con il cosiddetto oggetto transazionale (ad esempio l’orsacchiotto di peluche o la famigerata “copertina di Linus”) – raggiunge la maturità psicologica.

Il sistema di attaccamento madre-bambino per Bowlby

E Bowlby sostiene che in tutte le specie in cui si sviluppa attaccamento tra il neonato e la madre, quest’ultima dimostra un comportamento di cura verso il piccolo che è complementare alle risposte di attaccamento del neonato.

Bowlby scardinando il primato delle pulsioni freudiano (libido o pulsione di vita e aggressività o pulsione di morte) pone al centro del comportamento e della psiche umana il sistema d’attaccamento, che diviene quindi il sistema motivazionale principale del comportamento.

Integra il modello psicoanalitico classico con le osservazioni comportamentali del mondo animale di stampo etologico di Lorenz, soprattutto riguardo le interazioni madre-cucciolo e madre-bambino.

La solitudine , l’angoscia e infine la rabbia di D.M.

La solitudine in cui viveva D.M. nel momento in cui gli viene comunicato che il suo problema non è risolto, rimettendolo in contatto col suo dolore in modo completamento estraneo , freddo, tramite una ecografia fatta in una struttura diversa, lo rimette in contatto col vuoto affettivo e l’isolamento emotivo originario.

L’angoscia lo sovrasta e lo destabilizza , la rabbia lo invade nel tentativo di cancellare la distanza emotiva che percepisce nella figura del medico, che prima aveva idealizzato e poi aveva trasformato in una fonte di delusione . Per il paziente questo medico era diventato improvvisamente evitante e forse stava facendo in modo di non fargli avere la copia delle cartelle cliniche! Cerca così attraverso l’azione giudiziaria di ristabilire l’equilibrio psichico, soddisfacendo il desiderio pieno di risentimento di rimettere sé stesso al centro dell’attenzione dell’altro.

Il sistema di attaccamento e lo sviluppo del bambino

Lo psicoanalista britannico riprende le osservazioni di Harlow sul comportamento delle scimmie. In una situazione sperimentale di laboratorio un cucciolo di scimmia veniva collocato di fronte a una scimmia meccanica che forniva latte e una scimmia di pezza. Harlow osservò che il cucciolo, dopo un breve periodo in cui volgeva l’attenzione alla scimmia meccanica che forniva il nutrimento, si rivolgeva esclusivamente alla scimmia di pezza, cercando contatto e calore. La motivazione primaria non era più la nutrizione, ma il contatto fisico con un corpo accogliente.

Le interazioni tra madre e bambino (che iniziano già durante la gravidanza, e che vanno dall’abbraccio allo scambio di sguardi, alla nutrizione, alla consolazione ecc.). Strutturano ciò che viene definito sistema d’attaccamento, il sistema che guiderà (anche nella vita adulta) le interazioni e gli scambi relazionali affettivi.

La base sicura della madre

La funzione principale della madre è quella di fornire al bambino una base sicura. Fargli sentire che esiste ed è protetto. La funzione di base sicura, nei primi anni di vita viene assolta fisicamente dalla mamma, poi diviene una struttura interna capace di consolare e proteggere durante tutto l’arco della vita, attraverso l’interiorizzazione dei comportamenti e degli affetti suscitati dalla mamma stessa.

Partendo dalla base sicura il bambino può iniziare a muovere i primi passi lontano dalla mamma e cominciare ad esplorare il mondo esterno e a stimolare lo sviluppo delle funzioni cognitive. In tal modo sarà certo di poter tornare in qualsiasi momento dalla mamma stessa.

In questo modo il bambino, e poi l’adulto, può sentirsi libero di allontanarsi e differenziarsi gradualmente dalla mamma, senza dover temere l’allontanamento.

La struttura dei Modelli Operativi Interni

Attraverso le interazioni bambino-figure d’attaccamento (scambi affettivi, abbracci, dialoghi, accudimento durante periodi di malattia, ecc. ) il bambino struttura dei Modelli Operativi Interni (MOI), cioè rappresentazioni di interazioni che guideranno lo stile d’attaccamento.

Quest’ultimo caratterizza le interazioni affettive (relazioni di coppia, relazioni intime, ecc.) ed è a sua volta predittivo dello stile d’attaccamento del proprio figlio.

Figure di attaccamento e Stili di attaccamento

E’ importante sottolineare che Bowlby parla di figure d’attaccamento e non solo di madre. Egli, infatti, è convinto che dove le figure d’attaccamento primarie (i genitori e la madre in primis) falliscono, altre figure d’attaccamento significative (zii, parenti, amici, nonni, addirittura animali domestici, ecc.) possono fornire al bambino quei pattern di interazione “sani”. Tali pattern  gli consentono di interiorizzare la funzione di base sicura e di poter esplorare l’ambiente liberamente.

Il modello di Bowlby, infatti, ritiene importantissimo per lo sviluppo sano del bambino la presenza di almeno una figura d’attaccamento in grado di fornire al bambino il senso di protezione e di consolazione. Ossia il porto sicuro (“safe harbour”) dove poter tornare dopo l’allontanamento esplorativo e su cui poter fare affidamento. In un primo momento fisicamente e successivamente psichicamente (la funzione psichica interiorizzata di base sicura).

La fiducia nella disponibilità da parte delle figure di attaccamento è alla base della stabilità emotiva, mentre l’angoscia e la sofferenza sono determinate massimamente da disturbi nel primo attaccamento alla madre e ai successivi oggetti.

Lo stile d’attaccamento può comunque modificarsi nel corso della vita attraverso relazioni affettive significative in grado di fornire “sicurezza” (come relazioni di coppia, relazioni con analisti/terapeuti, ecc.).

Classificazione degli stili d’attaccamento

Bowlby classifica gli stili d’attaccamento in quattro categorie principali che possono essere rilevate nei bambini attraverso la strange situation, creata dalla Ainsworth e collaboratori, e nell’adulto tramite l’Adult Attach ment Interview, costruita dalla Main e collaboratori. Esse sono le seguenti.

Sicuro
  • sicuro: L’individuo ha fiducia nella disponibilità e nel supporto della figura di attaccamento, nel caso si verifichino condizioni avverse o di pericolo. In tal modo, si sente libero di poter esplorare il mondo. Tale stile è promosso da una figura sensibile ai segnali del bambino, disponibile e pronta a dargli protezione nel momento in cui il bambino lo richiede. I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: sicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di essere amabile, capacità di sopportare distacchi prolungati, nessun timore di abbandono, fiducia nelle proprie capacità e in quelle degli altri, Sé positivo e affidabile, altro positivo e affidabile. L’emozione predominante è la gioia.
Insicuro distanziante/evitante
  • insicuro distanziante/evitante: Questo stile è caratterizzato dalla convinzione dell’individuo che, alla richiesta d’aiuto, non solo non incontrerà la disponibilità della figura di attaccamento, ma addirittura verrà rifiutato da que sta. Così facendo, il bambino costruisce le proprie esperienze facendo esclusivo affidamento su se stesso, senza l’amore ed il sostegno degli altri, ricercando l’autosufficienza anche sul piano emotivo, con la possibilità di arrivare a costruire un falso Sé. Questo stile è il risultato di una figura che respinge costantemente il figlio ogni volta che le si avvicina per la ricerca di conforto o protezione. I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: insicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di non essere amato, percezione del distacco come “prevedibile”, tendenza all’evitamento della relazione per convinzione del rifiuto, apparente esclusiva fiducia in se stessi e nessuna richiesta di aiuto, Sé positivo e affidabile, altro negativo e inaffidabile. Le emozioni predominanti sono tristezza e dolore.
Insicuro preoccupato/ansioso ambivalente
  • insicuro preoccupato/ansioso ambivalente: Non vi è nell’individuo la certezza che la figura di attaccamento sia disponibile a rispondere ad una richiesta di aiuto. Per questo motivo l’esplorazione del mondo è incerta, esitante, connotata da ansia ed il bambino è incline all’angoscia da separazione. Questo stile è promosso da una figura che è disponibile in alcune occasioni ma non in altre e da frequenti separazioni. Se non addirittura da minacce di abbandono, usate come mezzo coercitivo. I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono. Insicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di non essere amabile, incapacità di sopportare distacchi prolungati, ansia di abbandono, sfiducia nelle proprie capacità e fiducia nelle capacità degli altri. Sé negativo e inaffidabile (a causa della sfiducia verso di lui percepita nella figura di attaccamento). Altro positivo e affidabile. L’emozione predominante è la colpa;

Disorientato/disorganizzato

  • disorientato/disorganizzato:  Bambini che appaiono apprensivi, piangono e si buttano sul pavimento o portano le mani alla bocca con le spalle curve in risposta al ritorno dei genitori dopo una breve separazione. O bambini che manifestano comportamenti conflittuali, come girare in tondo mentre simultaneamente si avvicinano ai genitori. Altri ancora appaiono disorientati, congelati in tutti i movimenti (freezing), mentre assumono espressioni simili alla trance. Sono anche da considerarsi casi di attaccamento disorganizzato quelli in cui i bambini si muovono verso la figura di attaccamento con la testa girata in altra direzione, in modo da evitarne lo sguardo. Gli adulti con questo stile d’attaccamento risulteranno spaventati/spaventanti con il proprio bambino, in altre parole non solo non saranno in grado di proteggere il bambino, ma addirittura lo spaventeranno.

La rabbia narcisistica (Heinz Kohut)

Heinz Kohut, lo studioso del narcisismo e il padre dell’importante movimento della Psicologia del Sé (la cui cornice teorica ha fatto poi da sfondo a tutta la recente infant research) , è stato sempre attento alle dinamiche dell’aggressività, in particolare della “rabbia narcisistica”.

Kohut, nel saggio “Pensieri sul narcisismo e sulla rabbia narcisistica”, del 1972 (ibid., p. 136) ricorda che una volta Freud (1932, p. 177) criticò la tesi di un biografo di Guglielmo II che aveva seguito le idee di Adler nell’interpretare la sua tendenza ad offendersi e a ricorrere alla guerra. Guglielmo II era nato con un braccio deforme, e quel biografo ipotizzò una sua ferita narcisistica cronica come reazione a un senso di “inferiorità d’organo”, reazione responsabile del suo carattere vendicativo e possibilmente anche dello scoppio della prima guerra mondiale.

L’importanza di un sano sviluppo emotivo

Secondo Freud invece questa interpretazione non era assolutamente corretta, poiché la ferita narcisistica non era il trauma di nascere con un braccio deforme, ma il rifiuto di lui da parte della sua orgogliosa madre che non poteva tollerare di avere un figlio imperfetto.

Kohut concordando con questa osservazione di Freud, approfondisce il tema affermando che un sano sviluppo emotivo dipende esclusivamente dal rispecchiamento empatico della madre (che è l’oggetto-Sé [self-object]) nei confronti del bambino : “Io credo che la distruttività umana, come fenomeno psicologico, sia secondaria; che essa sorga originariamente come fallimento da parte dell’ambiente oggetto-Sé di venire incontro ai bisogni empatici ottimali da parte del bambino” (Kohut, 1977, p. 116 ed. or.).

L’importanza dell’approvazione della madre

L’ approvazione ed ammirazione della madre costituiscono i fattori che permettono la trasformazione dell’investimento narcisistico del Sé grandioso ed esibizionistico arcaico (tramite quella che lui chiama “internalizzazione trasmutante”) in modo tale da poter integrare la grandiosità e l’esibizionismo arcaici nel resto della organizzazione psichica.

Se vi è dunque un mancato rispecchiamento empatico da parte dell’oggetto-Sé, si crea una “scissione verticale” nella psiche, per cui il Sé arcaico grandioso-esibizionistico rimarrà latente e potrà a tratti rompere le difese e paralizzare l’Io con sensi di vergogna e rabbia intense.

Questi sentimenti arcaici che permangono in settori scissi della psiche sono responsabili, secondo Kohut, di altrettanto arcaiche e primitive manifestazioni difensive di odio, aggressività o rabbia in occasione di determinate ferite narcisistiche.

Il bambino narcisista secondo Kohut

Kohut pensa che i primi bisogni del bambino non sono pulsionali, bensì narcisistici. Il bambino si propone e si afferma “con richieste di ammirazione onnipotenza che hanno bisogno di essere rispecchiate e restituite”. Il bambino, cioè, ha bisogno di essere accettato incondizionatamente per come egli è, si trova ad essere e si sta disgelando; contemporaneamente ha bisogno di un interesse, di un’attenzione viva ed empatica, che dia immediata risposta alle sue necessità primarie, ma anche a quelle di calore, sostegno, conforto, rassicurazione, di accettazione gioiosa dei propri movimenti evolutivi.

Un inadeguata risposta empatica dei genitori ai bisogni del bambino porterà ad uno sviluppo dell’autostima difettoso.

Inadeguata empatia causa  mancanza di autostima del bambino

La mancanza di autostima, quindi, non è legata ad una frustrazione o ad un evento traumatico in se, sostanzialmente al sesso (complesso edipico, angoscia di castrazione, invidia del pene, “genitalità“ non raggiunta). Ma le sue origini genetiche sono individuabili ad una serie ripetuta di risposte inadeguate degli adulti ai bisogni del bambino che comporta per lui una serie ripetuta di eventi traumatizzanti, responsabili dei disturbi emotivi.

La formazione nel bambino di un Sé solido e armonico, per Kohut riprendendo le ipotesi di Sullivan sull’esistenza di un legame empatico tra madre e bambino. Attraverso questo legame vengono trasmesse influenze reciproche e il flusso di vissuti di soddisfacimento di angoscia dipendeva dalla capacità innata della madre di entrare in sintonia con lui. Nonché  dalla sua sensibilità affettiva.

Inadeguata sensibilità affettiva causa angoscia del bambino

Viceversa, qualora queste stesse capacità della madre fossero difettose, sarebbero responsabili del determinarsi nel bambino di un Sé colmo di angoscia e predisposto alla scissione.

L’empatia materna implica, oltre all’identificazione e alla comunione di sentimenti con il bambino, anche la sensazione di separazione da lui. La madre deve avere sul bambino pensieri e progetti coerenti con ciò che il bambino sta svelando di sè , che gli consentirà la separazione da lei attraverso una progettualità propria ed individuale.

La trasformazione del sistema disdico madre-bambino

Infatti, il tipo di relazione simbiotica deve necessariamente trasformarsi man mano che il neonato cresce, in modo graduale e armonico, in modo da poter contenere l’onnipotenza trasmessa al bambino tramite l’indifferenziazione tra sé e l’adulto accuditivo.

La matrice dell’esperienza psicologica è, dunque, la madre e le origini dei disturbi del Sé, le future patologie psichiche a livello di vulnerabilità emotiva e di disturbi narcisistici sono da rinvenire nel sistema diadico madre-bambino.

La crescente esperienza, da parte dei due soggetti della relazione, che l’oggetto d’amore ha desideri che non coincidono automaticamente con i propri, mette infatti fortemente in discussione l’onnipotenza simbiotica in cui è immerso il bambino, fornendogli la cognizione altrettanto crescente che l’altro è un individuo a sé stante.

Esibizione grandiosa del Sé ossia bisogno di essere riconosciuto

Di solito, in un ambiente adeguatamente rispondente, tali bisogni primari perdono spontaneamente in intensità e urgenza anche grazie ad una dinamica complementare, alla cosiddetta “esibizione grandiosa del Sé” che rientra nel bisogno innato di essere riconosciuti, accettati e apprezzati da un’altra persona significativa per la nostra unicità ed esclusività: Questa  consiste, secondo Kohut, nel bisogno di idealizzazione di una figura parentale (generalmente la madre, ma anche il padre) e questo accade perché, ad arginare l’onnipotenza del bambino, saranno intervenuti “naturalmente” i limiti della figura di accudimento che, per quanto empatica, difetterà inevitabilmente nel tentativo di corrispondere ai suoi bisogni.

L’identificazione del bambino con a madre

Infatti i limiti dell’oggetto-Sé saranno in fase precoce percepiti dal bambino come limiti propri. Constaterà che il proprio desiderare non comporterà inevitabilmente l’accadere di quanto desiderato. Idealizzerà allora l’adulto attribuendogli una onnipotente perfezione irrealistica, dovuta al fatto che è in grado di soddisfargli ogni esigenza. In questa fase il bambino ha necessità di percepire dall’adulto quella calma, forza e benevolenza. Doti queste  che gli permetteranno sia di sentirsi sicuro che di potersi identificare con la persona che può ammirare.

Successivamente, gli stessi inevitabili limiti genitoriali, percepiti come non traumatici, saranno sentiti dal bambino realisticamente come tali, permettendogli un ritiro di investimenti affidandosi a se stesso nell’esercizio di funzioni che gli consentiranno gradatamente il cammino verso l’autonomia , avvalendosi di strutture nel frattempo metabolizzate e costituite proprie.

Frustrazione ottimale cioè modulare l’onnipotenza del sé

E’ necessario che i genitori in questa fase sappiano contenere le richieste del bambino dando un limite all’iniziativa. Si tratta di modulare, con le richieste, la sua onnipotenza e di non lasciarlo in preda a sentimenti e sensazioni che per quanto piacevoli, o spiacevoli, non è in grado di sostenere per qualità e livello rischiando di esser e sopraffatto.

E’ la cosiddetta frustrazione ottimale, che interverrà in modo contenitivo ed armonico, senza traumi, così come la dilatazione dell’inspirazione sarà con tenuta dall’espirazione, la sistole dalla diastole.

La madre è la figura che influisce sulla percezione di sé

La madre è pertanto quella prima figura (Oggetto-Sé) che viene recepita, vissuta, esperita dal bambino come capace – o meno – di offrire in modo sufficientemente stabile e duraturo. Funzioni di cui pian piano si approprierà, entro una relazione che lo conserva, lo contiene, lo protegge, lo rassicura, lo tranquillizza, lo sostiene e lo stimola. Influendo così, positivamente, sulla percezione di sé.

Il legame con l’oggetto-Sé che è stato interiorizzato in condizioni generalmente buone è disponibile ad essere evocato quando necessario, quale fonte propria di tranquillità, sostegno e accrescimento di autostima.

Infatti, l’esperienza dell’offerta di funzioni di oggetto-Sé da parte di un altro, relativamente differenziato, è esigenza normale e sana. E’ sano anche il senso di possesso presente nel bambino verso l’oggetto-Sé, possesso meglio inteso come presunzione al diritto della sua presenza. Anche se la percezione di possederlo e di aver diritto alle sue funzioni è del tutto inconsapevole.

Il danneggiamento del Sè e la ferita narcisistica

La rabbia ha una duplice origine. Da un lato scaturisce da un danneggiamento della grandiosità. Dall’altro deriva dalla perdita del controllo e dalla rottura della fusione con l’oggetto idealizzato onnipotente . E dunque deriva sia da una ferita narcisistica che da un tentativo di ristabilire l’integrità del Sé. Ed è finalizzata a rendere disponibile incondizionatamente un oggetto-Sé ammirante e di fondersi con un oggetto-Sé idealizzato.

Esser capaci di farsi valere, di esprimere i propri punti di vista o desideri, di opporsi in forma assertiva è segno della presenza di un Sé integro. In questo senso, l’esperienza della rispondenza dell’ “ambiente oggetto-Sé” precoce è l’indispensabile punto di partenza normale del bambino. Ciò in quanto solo la solida interiorizzazione di tale esperienza pone le basi per un’attesa fiduciosa di un’adeguata rispondenza di altri “oggetti” nel corso dell’esistenza.

Il fallimento della rispondenza materna

Se, invece, il bambino sperimenta ripetutamente il fallimento della rispondenza materna, stabilisce un legame con la propria esperienza interna negativo e alla fine sarà costretto a sviluppare meccanismi di autoconservazione fragili e spesso coatti. Un Sé deficitario o frammentato ha difficoltà a far fluire le proprie potenzialità o a mobilizzare adeguatamente l’aggressività.

Quando il Sé ha subìto precocemente un indebolimento, o non ha mai raggiunto un’integrazione soddisfacente e stabile perché la “figura materna oggetto-Sé”, non è stata in grado di offrire le funzioni relazionali necessarie al bambino, questi sarà predisposto alle tensioni derivanti dalla propria vulnerabilità. Vivrà spesso situazioni esistenziali come ripetizione del trauma subito. E sarà incapace di rispondere assertivamente agli eventi. Il fallimento della relazione primaria determinerà un senso di vergogna e di umiliazione.

La rabbia che scaturisce dall’oggetto frustrante

E questo e per la loro intollerabilità verranno cancellate dalla consapevolezza, innescando rabbia nei confronti dell’oggetto frustrante.

In queste condizioni il Sè reagirà con una forma distorta di rabbia (narcisistica), associata di solito ad un senso continuo di danno subito: ciò non costituisce un’espressione della natura della personalità (pulsione), ma uno stato affettivo conseguente ad un’esperienza patogena. Gli psicologi del Sé ne parlano come di un prodotto derivato.

Si possono sviluppare comportamenti patologici che vanno dalla sofferenza lieve.  Per es. problemi di attaccamento e dell’affettività.  Ad una gravità importante per es., alcune depressioni gravi, tentativi di suicidio, oppure episodi antisociali di varia gravità ( furti, persecuzioni, violenze varie). Queste ultime  hanno un valore difensivo per il Sé , nel tentativo di riparare o ricucire una grave ferita dell’immagine di Sè. In realtà si diventa vendicativi verso gli altri , subdolamente aggressivi, lamentosi.

A cura della Dott.ssa Floriana De Michele

Psicologa Psicoterapeuta

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