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protagoniste la pazza gioia

Recensione del film : La Pazza Gioia

La pazza gioia

La pazza gioia è il titolo di un   film italiano  del 2016 (di Paolo Virzì) che racconta la storia di un’amicizia nata tra due donne (Beatrice e Donatella) ospiti di una comunità per persone affette da disturbi mentali. In questa struttura sanitaria, un ampio gruppo di pazienti formato prevalentemente da donne, seguono un interessante progetto riabilitativo. Le pazienti hanno la possibilità di esprimere ed elaborare le proprie fragilità psichiche in assoluta libertà. In questo complesso contesto, nonostante la loro grande sofferenza psichica e sociale, Beatrice e Donatella, le due donne protagoniste, riescono ad istaurare un rapporto di sincera amicizia trovando l’intesa sulla gioia di vivere. All’inizio non sembrava facile, ma appena si presenta l’opportunità di scappare via dalla comunità le due pazienti colgono al volo l’occasione ed incominciano un viaggio di vita strepitoso.

 Viaggio e psicoterapia

L’inatteso e giocoso viaggio le farà diventare amiche intime e solidali, come solo le donne a volte sanno essere, nonostante le forti incomprensioni.  Il viaggio fatto insieme nel mondo del reale rappresenterà la psicoterapia che cambierà le loro vite. Si divertiranno come pazze (la pazza gioia) agendo liberamente tutte le loro stranezze. Nel viaggio, però, le due donne si rispecchieranno l’una nell’altra e si riconosceranno in un gioco di proiezioni e di identificazioni, dove ognuna riscoprirà il proprio essere donne, amanti, figlie e madri. Si sosterranno e aiuteranno. Si cureranno reciprocamente, scambiandosi attenzioni maldestre, critiche e rabbia, comprensioni profonde e abbracci.

La maternità

Donatella avrà l’occasione di  rielaborare la sua difficile maternità, attraverso il ricordo del tentato suicidio, buttandosi giù da un ponte con il figlioletto in braccio. Rivivrà quegli attimi in una regressione freudiana. Dopo essere stata derisa maltrattata e rifiutata da un compagno egoista e prepotente la giovane donna, si è sentita persa, devastata senza speranza. Questo è ciò che succede a tante donne, donne ignote eppure cosi importanti nella nostra società civile.

Donatella , completamente sola e in un periodo della vita in cui nessuna donna deve essere sola – la maternità , ha bisogno di sostegno, comprensione e protezione. Le donne vivono la maternità come un’illusione in cui sentono di poter raggiungere, tramite l’amore, il punto massimo del potere verso l’uomo, il padre.

Il ruolo del padre

Nel passato forse era così, ma nella società di oggi non è più. Le peggiori battaglie tra uomini e donne si giocano sulla vita e la salute psicologica dei figli. Le donne si deprimono senza il sostegno del padre, soprattutto, se i padri sono stati assenti per motivi vari nella vita dei figli. Il padre non può permettersi di essere assente mai nella vita dei bambini che crescono. La  pena è il mancato sviluppo della   femminilità della loro figlia e del loro futuro di amanti e madri felici.

Il tentativo di suicidio di Donatella

Nella giovane protagonista il vissuto suicidario, il desiderio di morire non passa, non guarisce. Donatella continua a vivere nella grave depressione che l’attanaglia e che la porterà, infine, dopo diversi ricoveri ospedale psichiatrico, in questa comunità. L’incontro con Beatrice, in fase di infante eterna nella sua bipolare maniacalità, risveglierà in Donatella il desiderio di rivedere suo figlio. Beatrice, con il suo iper-attivismo, l’aiuterà a realizzare l’incontro con il bambino ormai figlio adottivo di una coppia di splendidi genitori. Prendendo azzardate iniziative ed utilizzando la propria sensibilità di donna ed eterna figlia (nel gioco tra l’irrazionalità e la consapevolezza) Beatrice vuole riparare la maternità di Donatella. Vuole farne una madre accogliente. Cosi facendo, in un rapporto terapeutico con Donatella,   recupera anche la sua bontà di figlia, per sentirsi brava figlia, come non si è mai sentita nel rapporto reale con la madre.

Beatrice, infatti, è sempre stata trattata dalla sua ricca austera e affettivamente distante madre, come una bambina indisponente e viziata. Beatrice è cresciuta così sperando che i suoi dispetti infantili, diventati comportamenti antisociali in età adulta, riuscissero ad attrarre le attenzioni della madre che invece non la sopporta nemmeno in vecchiaia.

Comportamento bipolare di Beatrice

Anche il suo matrimonio è stato un delirio come tutta la sua stravagante vita vissuta al limite. Lei passerà la sua vita nel bipolarismo caratteriale che la farà vivere maniacalmente. Nello stesso tempo con crisi profonde depressive che la rendono a volte simpatica divertente iperattiva e altre volte arrabbiata aggressiva e cattiva. Nel rapporto con Donatella finalmente la donna potrà prendere atto di come lei non sia mai stata voluta e desiderata dalla madre che l’ha sempre svalutata e criticata duramente.

La pazza gioia ..  di vivere

L’incontro tra Beatrice e Donatella diventa così l’inizio di un rapporto di muto aiuto, di amicizia e di cura tra due persone che imparano a volersi bene e nel loro rapporto si completano. Incominciano a giocare a fare cose pazze insieme, riscoprendo la gioia di vivere e il divertimento. A modo proprio. Imparare dall’esperienza, senza sentirsi soli, aiuta a sopportare le sofferenze della crescita. Insegna  a prendere atto del proprio essere diventati adulti, conservando la parte infantile che è in noi e che ci fa preservare la voglia di giocare e di gioire per sempre senza essere considerati pazzi.

Conclusioni

Insomma in un rapporto terapeutico simbiotico, sembra apparire il miracolo: sia Donatella che Beatrice migliorano il loro stato di salute mentale ed il loro inserimento nella comunità terapeutica.

prevenzione suicidi

LA PREVENZIONE DEI SUICIDI

Il suicidio è tra le prime venti cause di morte principali a livello mondiale in tutte le fasce d’ età e per questo la prevenzione dei suicidi riveste grande importanza.

Ogni anno si registrano circa 800.000 suicidi quindi uno ogni 40 secondi. In Italia nel 2016 ci sono stati 3.780 morti per suicidio facendo registrare un tasso di mortalità pari a 7,1 per 100.000 abitanti. Tali dati, elaborati dal’Istituto Superiore di Sanità, sono derivati dall’indagine Istat sulle cause di morte e riferiti alla popolazione di 15 anni in su.

Gli uomini (77%) si suicidano più delle donne (22%) e si muore maggiormente nelle regioni del Nord Italia rispetto alle regioni del Centro e del Sud Italia. Gli over 70enni (27,4%) si suicidano di più dei giovani fino a 29 anni (8%) nonostante per quest’ultimi il suicidio rappresenti la terza causa di morte dopo gli incidenti stradali e le malattie oncologiche.

Nel corso dei secoli questa percentuale è salita poi ridiscesa poi salita nuovamente attualmente. Tra il 1999 ed il 2017 questa percentuale è salita del 33%. I metodi che più frequentemente vengono utilizzati sia dagli uomini che dalle donne, anziani e giovani, sono l’impiccagione, la precipitazione dai luoghi elevati, l’uso d’arma da fuoco, farsi travolgere da un mezzo in movimento.

Fattori di rischio nei suicidi

Molti sono i fattori associati con l’aumento del rischio di suicidio degli ultimi due decenni: la depressione, l’ansia, fattori sociodemografici e l’uso di sostanze.

Deshaies ritiene che il suicidio sia determinato da fattori psicologici integrarti con fattori sociali. La situazione suicidaria scaturirebbe da una determinata struttura psichica capace di irrompere sotto la spinta di stimoli psicologici personali ed ambientali per cui si caratterizzano sei tipi di suicidio. Il suicidio difensivo per una situazione intollerabile, il suicidio autopunitivo per un sentimento di colpa, il suicidio auto-aggressivo per la interiorizzazione di un atto aggressivo. Infine il suicidio oblativo per atto sacrificale, il suicidio ludico per suggestione, il suicidio tanatologico per istinto di morte.

La suicidiologia, cioè lo studio scientifico del suicidio, che è la base degli studi per la prevenzione dei suicidi, e che si fa risalire a Edwin Sheneidman. Essa identifica il soggetto a rischio di suicidio nella persona che si presenta attraverso l’espressione di pensieri quali:

    • Sono triste, depresso,
    • Vorrei essere morto
    • Mi sento solo,
    • Non riesco a fare nulla
    • Non posso più andare avanti cosi’,
    • Sono un perdente,
    • Gli altri staranno meglio senza di me.

Tutti dovrebbero poter riconoscere questi segnali e dovrebbero tenere presente che chi desidera o minaccia di uccidersi si mette alla ricerca dei mezzi come armi da fuoco, farmaci o altro e parla della morte in modo insolito.

Stati d’animo premonitori

A ciò è frequentemente associato uno stato d’animo caratterizzato da sentimenti di disperazione, ma anche di rabbia incontrollabile, di desiderio di vendetta; di sentirsi intrappolati e senza via d’uscita. Sono segnali d’allarme utili per la prevenzione dei suicidi. Tutte queste sono persone tendenti all’azione, all’agire in modo istintivo e imprudente, senza riflettere sulle conseguenze di determinati comportamenti. In genere esse  possono eccedere nel consumo di alcol e di droga. Si tende a vivere condizioni di isolamento, allontanandosi dalla famiglia e dagli amici, dai contatti sociali.

Ansia, agitazione, disturbi del sonno, cambiamenti marcati del tono dell’umore, stanchezza di vivere associata alla difficoltà di riconoscere un senso alla vita. Questi sono i sentimenti prevalenti nella persona a rischio di suicidio.

Come prevedere il rischio suicidio

La predizione dei suicidi, tuttavia, è materia ardua in quanto decenni di ricerca non hanno portato a grandi conclusioni per cui può essere poco più di una chance, una probabilità e niente di più. Un singolo fattore di rischio non può portare a concludere che quella persona è realmente a rischio di suicidio e persino l’atto di autolesionismo rappresenta un timido effetto premonitore del suicidio.

Presso la Carnegie Mellon University si sono studiati, con tecniche di apprendimento automatico, alcune migliaia di pazienti con tendenze autolesionistiche. Questo studio ha teso a  verificare quali fattori o concomitanza di fattori portasse con una certa attendibilità al suicidio. In questo studio si sono identificati alcuni fattori, con il 91% di accuratezza, quali firme genetiche e l’attività neuro cognitiva, che determinerebbero il tipo di persone che potessero sviluppare idee suicidiarie. In tal modo acclarando, nel campione prescelto, quante persone avessero tentato effettivamente il suicidio, con il 94% di accuratezza. Si è dimostrato che alcune tecniche di intervento possono avere buoni esiti di previsione suicidiaria. Ad esempio, attraverso uno screening che valuta il rischio suicidio tra i pazienti e sottoponendo ad un secondo screening quelli con una probabilità più alta. Si  garantisce così un programma di prevenzione a lungo termine (1 anno) attraverso il contatto telefonico o incontri vis a vis.

Si è dimostrato che i pazienti sottoposti a tale trattamento abbiano effettuato almeno il 30% in meno di tentativi di suicidio rispetto a quelli che hanno ricevuto un trattamento di emergenza tradizionale.

Attualmente la previsione dei suicidi rappresenta un campo di frontiera per tutti coloro che si occupano di sanità e che devono acquisire strumenti per identificare chi è a rischio suicidio in modo tale da poter intervenire in tempo.

La psicologia e l’aiuto dello psicologo

L’impegno della psicologia e il ruolo dello psicologo in questo campo è ancora debole nonostante possa rappresentare un punto di forza favorendo l’interdisciplinarietà e la multidiciplinarietà tra le professionalità coinvolte (psichiatri, operatori dell’emergenza, caregiver, operatori sociali, pediatri, consulenti scolastici, insegnanti e molte altre figure).

Il suicidio è un fenomeno psicologico complesso che fa paura a livello comunitario ed è forse per questo che viene affrontato soprattutto come se si trattasse di una malattia psichiatrica all’interno dei centri di salute mentale o nei reparti ospedalieri psichiatrici. Sono queste le strutture dove può avere inizio la prevenzione dei suicidi.

La psicologia ha un enorme potenziale nel favorire la comprensione del fenomeno che, soprattutto nei momenti di forti crisi economiche e sociali come quella che si sta vivendo attualmente a causa dell’emergenza sanitaria dovuta al virus Covid-19, può esacerbare il fenomeno. Questo,  come previsto Negli Stati Uniti da uno studio (riportato da Enrico Marro sul giornale LA STAMPA) redatto dal Well Being Trust e dai ricercatori dell’American Academy of Family Physicians, stima per il prossimo decennio ben 75mila vittime legate alla crisi del coronavirus: Vengono  classificate come “morti per disperazione”.

Ma la psicologia ha un enorme potenziale nel favorire il cambiamento personale. Questo avviene  tramite le tecniche di elaborazione analitica e comportamentale, le tecniche di psico-educazione che favoriscono la crescita culturale e sociale. Ciò fa si  che si lavori insieme tra le varie scienze e le varie pratiche. Assieme si potranno salvare più vite e fare un passo in avanti nella prevenzione dei suicidi.

Bibliografia

1. “In Italia 3.780 decessi, sono spesso uomini e residenti al Nord” di Monica Vichi, Servizio tecnico scientifico di statistica (STAT) – Istituto Superiore di Sanità, e Silvia Ghirini Centro Nazionale Dipendenze e Doping (DIDOP) – Istituto Superiore di Sanità, quotidianosanita.it, 10 settembre 2019

2. “Malattie fisiche e mentali associate al suicidio: un’analisi delle cause multiple di morte” di Luisa Frova, Stefano Marchetti, Enrico Grande,G. Deshaies, www.istat.it

3. “Psicologia del suicidio” (1951) Astrolabio

4. “Il dolore mentale – psychache” , di M. Pompili, http://www.prevenireilsuicidio.it

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: La cura dello psicologo, dello psichiatra e degli operatori di salute mentale. Farmacologia e Psicoterapia a confronto.

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Violenza di genere. Le Conseguenze psicologiche

Recentemente ci siamo abituati a sentir parlare di violenza di genere, quasi sempre in riferimento a fatti di cronaca nera.

Esistono però altre strategie di prevaricazione più subdole e che vanno a compromettere la sfera psicologica della donna abusata.

Una di queste crudeli tecniche di manipolazione è il gaslighting  (per conoscere l’origine del termine vedi l’interessante articolo) .

Anatomia di una violenza: cos’è il gaslighting?

Il termine, inizialmente colloquiale, è stato utilizzato recentemente anche nella letteratura clinica sulla violenza contro le donne.

Mutuato dal titolo dell’opera teatrale “Gas Light”, il neologismo si riferisce a una serie di comportamenti subdoli attuati al fine di convincere le vittime di aver perso la ragione.

La trama di “Gas Light” racconta, infatti, di un marito che modifica alcuni elementi ambientali, negando con sua moglie di averlo fatto e attribuendo il tutto all’immaginazione di lei.

Il gaslighting rientra a pieno titolo nella categoria delle violenze domestiche, o violenze di genere, spesso associato ad altri tipi di abuso. È così feroce da spingere le donne che lo subiscono in un vortice di insicurezza e depressione e, in casi estremi, al suicidio.

Il partner abusante che usa il gaslighting per torturare la sua compagna opera un vero e proprio lavaggio del cervello, attuando una violenza gratuita e continua, perpetrata con una lucidità agghiacciante.

Non a caso secondo la psicologa americana Martha Stout questa tattica viene spesso adottata dai sociopatici. Questi soggetti patologici, forti della loro straordinaria abilità nel mentire, sono conosciuti per la loro propensione a manipolare.

Questa forma insidiosa e sottile di violenza domestica può riscontrarsi anche in legami precedentemente solidi e basati sull’affetto. Questo in seguito a difficoltà mai superate, si trasforma in cieca cattiveria da parte dell’uomo verso la partner femminile.

Lo scopo del gaslighter è convincere la vittima del fatto che il suo esame di realtà non è affidabile. Questo la porterà a dubitare di sé e quindi a diventare psicologicamente dipendente dall’abusatore.

Conseguenze psicologiche del gaslighting

Nel suo tragico cammino verso l’abisso la donna vittima di gaslight attraverserà le seguenti tre fasi.

  • 1. Comunicazione distorta. Il perseguitato non riesce più a comprendere il suo aguzzino, che alterna silenzi ostili a esternazioni di stizza apparentemente insensate. Questa fase serve a destabilizzare la vittima, che fatica a spiegarsi le intenzioni e i comportamenti anomali del partner.
  • 2. Tentativo di difesa. La vittima, ancora confusa, tenta strenuamente di far valere le proprie ragioni. Cerca di intavolare un dialogo con il partner abusante, convinta che la situazione dipenda da una propria incapacità comunicativa.
  • 3. Depressione. Fase particolarmente interessante dal punto di vista psicologico: la violenza diventa cronica e la vittima idealizza il manipolatore. La donna è infatti ormai convinta delle ragioni del gaslighter e rassegnata perde sicurezza diventando dipendente.

Per concludere

Il gaslighting è una forma di violenza domestica particolarmente subdola e deleteria.

È quindi fondamentale l’intervento di uno specialista della salute mentale, al fine di prevenire le sue drammatiche conseguenze psicologiche.

Se una tua amica o conoscente subisce questa situazione o altri tipi di violenza domestica consigliale di rivolgersi a un centro antiviolenza territoriale.

Se la tua situazione è simile a quella descritta nell’articolo non aspettare, io posso aiutarti! Contattami immediatamente attraverso la pagina contatti.

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: Depressione: sintomi, cause e possibilità di cura.

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