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Coronavirus: la relazione tra madre e bambino.

Cosa sappiamo dei bambini in questa pandemia?

Uno dei dati più forti e immediati, che oggi abbiamo a disposizione, sembra essere la minore suscettibilità della popolazione pediatrica al Covid. Per questo sono state prontamente mobilitate diverse ricerche atte a cercarne la spiegazione. Ragioni che sembrano essere ascrivibili a fattori, sia esterni che interni.

Il fatto che, ad esempio, i bambini siano coinvolti in minori spostamenti si traduce in una minore possibilità, rispetto a quella stimata per gli adulti, di frequentare luoghi di affollamento. Così come sembrerebbe che i bambini presentino una maggiore resistenza intrinseca al virus rispetto ad altre popolazioni. Tale resistenza, da un lato, sembra dovuta ad una maggiore risposta immunitaria, dall’altro a una minore espressione dei recettori virali che costituiscono a livello polmonare dei veri e propri punti d’attacco per il virus.

Possiamo affermare, dunque, sulla base di queste prime analisi dei dati disponibili, che nella popolazione i bambini rischiano di contrarre, meno di tutti, il coronavirus. Si può dire lo stesso dal punto di vista psicologico? I bambini, anche in quest’ambito, sono i soggetti che rischiano meno perchè più protetti?

A questo proposito appare allarmante uno studio condotto da Sprang e Silman, secondo il quale i pazienti che in età pediatrica sono stati sottoposti a quarantena, a causa di un evento pandemico o epidemico, riportano un aumento (di 4 volte) degli scores ascrivibili alla sindrome post traumatica da stress, per cui sembra obbligo dover intervenire, per quanto possibile, in maniera preventiva.

Il bersaglio principale di tale intervento è, naturalmente, la relazione genitore-bambino. Considerando lo scenario aperto da questa pandemia, in cui regna la desertificazione delle relazioni sociali e del contatto fisico, tale relazione sembra essere risparmiata dal virus ed i bambini continuano, nella maggior parte dei casi, a poter godere della relazione con mamma e papà. E allora, la domanda che ci poniamo è: come poter preservare questa relazione (spesso l’unico contatto diretto) dalle ansie, le paure, le angosce che, in questo periodo, investono i genitori?

La madre

Il bambino, nei primi mesi, si forma attraverso la relazione con coloro che si prendono cura di lui, respirando lo stato affettivo della madre (in una sorta di fusione) e il clima emotivo che regna in casa.

Oggi queste parole possono risuonare forti e generare paura, soprattutto nei neo-genitori. Ma cerchiamo di chiarire quest’affermazione. Il genitore non è chiamato alla perfezione, per il semplice motivo che il genitore perfetto non esiste. Qual è, allora, il ruolo dell’adulto, specialmente della madre? Riprendendo la terminologia winnicottiana, possiamo affermare che per espletare la funzione di accudimento basta che la madre sia una madre “sufficientemente buona”, quindi non perfetta. Per Winnicott, nei mesi susseguenti la nascita, “le cure fisiche sono anche cure psicologiche”.

La madre, infatti, ha il compito di tenere insieme le parti scisse della personalità del bambino, in primis attraverso il contatto fisico. Quando la madre lo abbraccia, lo accarezza o lo tiene in braccio, sta assolvendo a questa funzione. Possiamo affermare che la mamma, che prima conteneva il bambino al suo interno, continua nei primi mesi di vita dell’infante, a contenerlo dall’esterno. Bion userà l’espressione “madre contenitore” proprio per indicare la capacità di quest’ultima di rendere “pensabili” e “nominabili” le angosce senza nome del bambino.

Seppur riferendosi a modelli teorici diversi, i due autori sembrano concordare sul fatto che la funzione primaria a cui è chiamata la figura dell’adulto è inerente all’accogliere e al rendere tollerabili le angosce dei propri figli. Banalmente, questa funzione di contenimento-contenitore può essere compromessa dall’ansia, dall’inquietudine e dall’angoscia che, soprattutto in questo periodo, possono investire la figura materna. Il genitore dovrebbe comunque poter continuare a svolgere la funzione di “base sicura” per suo figlio e quindi tendere forti braccia in cui il bambino troverà sicurezza e protezione.

Molti di voi, a questo punto, si staranno chiedendo, come aumentare la percezione della protezione nell’infante? A tal proposito, riassumiamo i consigli che l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha stilato sulla base delle direttive emanate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e divulgate il 6 Marzo 2020. Si tratta di indicazioni rivolte ai genitori e associate alla gestione dello stress e dell’ansia in questa situazione emergenziale.

Il filo invisibile, che tiene insieme tali indicazioni, sembra essere il concetto che prendendosi cura del proprio benessere psico-fisico ci si occupa anche di quello del bambino. Proprio per questo si consiglia all’adulto di coltivare i propri spazi, le proprie esigenze, di mantenere un alimentazione e uno stile di vita sano, di curare il proprio aspetto e di concedersi ( senza per questo sentirsi in colpa) momenti che favoriscano il rilassamento.

Solo occupandosi di sé stessi, si è grado di prendersi cura dell’altro. Cura che, sempre secondo le direttive dell’ISS, va incentrata sul contatto fisico madre-neonato. Si suggerisce, a tal proposito di tenere il neonato sulla propria pancia e accarezzarlo mentre si ascolta una musica rilassante, di prolungare i momenti di cambio del pannolino attraverso un massaggio, di ballare tendendo l’infante in braccio e così via.

La funzione del gioco nella relazione

Nel corso dello sviluppo il bambino esce da questa fase fusionale con la madre per intraprendere un percorso che lo porterà a costituirsi come essere a sé stante.

Secondo Winnicott, l’ “oggetto transizionale” è il primo oggetto “non-me” che accompagna il bambino in questo distacco. Esso, generalmente, è rappresentato da un pupazzo o una copertina che il bimbo tiene sempre con sé e rappresenta per lui la prima esperienza di gioco. Winicott ci dirà di più quando affermerà che: “il gioco è esso stesso una terapia.”

Il ruolo terapeutico del gioco è stato ormai confermato da numerose ricerche. Proprio in questo periodo la Fisher Price, uno dei più noti marchi di giocattoli, ha commissionato una ricerca alla dottoressa Jacqueline Harding, la quale ha passato in rassegna oltre cento studi accademici. Secondo tale studio i beneficiari di queste attività ludiche non sono solo i bambini ma anche gli adulti. Giocare con i più piccoli allontanerebbe lo stress e aumenterebbe la produzione di ossitocina, ormone che, oltre a svolgere importanti funzioni fisiologiche, gioca un ruolo essenziale nei comportamenti pro sociali come l’altruismo e l’empatia.

Nella psicodinamica evolutiva si parla molto di empatia, quale capacità di riconoscere e sentire lo stato emotivo dell’altro. Sarebbero le relazioni empatiche a permettere un sano sviluppo della personalità. E grazie a queste recenti ricerche sappiamo che sarebbe proprio giocare con i più piccoli ad aumentare i comportamenti empatici.

Quali giochi ci consigliano gli esperti? L’istituto Superiore di Sanità punta sul cosiddetto “gioco di movimento”, riconoscendo il ruolo dell’esercizio fisico, limitato dalla pandemia, come fondamentale per la promozione del benessere psico-fisico. Per contro i giochi sedentari, come i videogiochi, amplificherebbero una serie di problematiche già accentuate dalla corrente situazione pandemica (disturbi del sonno, sovrappeso, difficoltà di concentrazione..)

Quelli che seguiranno saranno solo alcuni esempi di attività pratiche (enunciate dall’ISS) che, in base all’età, si potranno fare col proprio bambino.

– 12/24 mesi

Si può pensare di far mimare al bambino alcuni animali (saltare come una rana, strisciare come un serpente, galoppare come un cavallo), o realizzare breve percorsi psicomotori ( circuiti con degli ostacoli).

– 24/36 mesi

In questa fase d’età lo sviluppo motorio investe soprattutto gli arti superiori, in particolare polso, mani e dita. Di conseguenza, si possono pensare giochi che mettono alla prova queste nuove acquisizioni, come un bowling casalingo (con bottiglie di plastica e palline da tennis).

– 3/4 anni

Con l’aumento dello sviluppo psicomotorio e la capacità imitativa del bambino vengono proposti passatempi come quello del salto della corda, oppure di una caccia al tesoro che ricopra tutto l’ambiente domestico.

– 5/7 anni

Età in cui migliora sensibilmente la coordinazione. Questo ci permette di organizzare dei percorsi ad ostacoli che richiamano diversi movimenti. Oppure, possiamo riproporre, adattandolo all’ambiente domestico, il classico gioco della campana. Sostituendo ai gessetti il nastro adesivo e utilizzando dei bottoni a posto del sassi, il gioco sarà presto fatto. Cambiando materiali, anche il gioco del basket è facilmente riproducibile. Basta attaccare alla maniglia di una porta un cestino o un cesto per la biancheria e avremo il nostro canestro.

-8/11

A quest’età i giochi di coordinazione ed equilibrio, adatti al bambino, sono più numerosi. Si può pensare di organizzare una festa da ballo, di liberare una stanza della casa per far finta di pattinare sul ghiaccio. O ancora, possiamo organizzare “le olimpiadi di salto in lungo”. In questo caso ci servirà solo creare, con dello scotch di carta, 5/10 linee distanziate di 20 cm circa. Iniziando dalla prima, il bambino dovrà saltarle e gli adulti registrare quante linee salterà.

La funzione del disegno

L’ISS riconosce l’importanza di alternare, a questi giochi movimentati, attività più rilassanti come la lettura di fiabe e il disegno. Si tratta di attività paragonabili, per i benefici che producono, al gioco. È noto che il linguaggio verbale è solo una delle forme di comunicazione e d’espressione del sé. Il disegno è una di quelle modalità di linguaggio non verbale che trova espressione per mezzo delle immagini.

Attraverso il disegno, infatti, il bambino sposta (proietta) emozioni, sentimenti, conflitti, angosce, dall’interno all’esterno (foglio). È uno strumento che ci aiuta a rappresentare parti di noi e a guardarle, quando sono sul foglio, con il giusto distacco emotivo. In questo modo, mostriamo quello che il linguaggio verbale avrebbe fatto fatica ad esprimere attraverso le parole. Proprio per questo il disegno, oltre che a liberare il bambino interiormente, offre una finestra attraverso la quale guardare l’anima del disegnatore.

Di conseguenza concede all’adulto la possibilità di intravedere le spie di un eventuale malessere emotivo del figlio. Per questo invitiamo gli adulti a munire i bambini di carta, matite, colori e a non porre alcun limite alle loro fantasie, facciamocele raccontare senza farci prendere dall’ansia di volerle interpretare o trovare dei significati reconditi.

È utile che l’adulto tenga a mente che il bambino antepone la fantasia alle rigide regole della logica. Maria Montessori, una delle più grandi pedagogiste e educatrici di tutti i tempi, consiglia di evitare l’atteggiamento della critica e del paragone, o più in generale qualsiasi appunto sottolinei l’errore. È importante che frasi come “non sai” o “non ci riuscirai mai” vengano bandite e sostituite da un accentuazione delle virtù.

La funzione della Fiaba

Un’altra modalità che da voce ai timori del piccolo è costituita dalla fiaba. Le fiabe hanno un struttura che rappresenta il nostro mondo interiore, in particolare quello dei più piccoli. Nello specifico, è attraverso il meccanismo dell’identificazione col protagonista, generalmente rappresentato dall’eroe coraggioso, che il bambino riesce a rivivere le proprie paure e angosce.

Il contesto fiabesco però offre qualcosa in più, ossia la percezione del “ri-vivere in sicurezza”. Tale sicurezza può nascere dalla voce calda e calma di chi narra la storia, ma soprattutto dalla garanzia del lieto fine. La lettura per i più piccoli, in questo periodo, è state ampliamente incentivata tramite numerosi progetti. Uno fra questi, prende il nome di “Pronto.. chi favola?” Si tratta di un’iniziativa ideata dal regista cinematografico Francesco Zecca e un gruppo di attori che verrà portata avanti per tutta la durata di questa emergenza sanitaria. Il genitore, previa prenotazione, riceverà nell’orario stabilito una telefonata da parte di un attore che racconterà una delle 70 favole contenute nella raccolta di Gianni Rodari.

Un’idea simile è stata proposta dal governo e prende il nome di CiStoDentro. L’ obiettivo che si propone è anche quello di incentivare il rispetto della prima regola legata alla pandemia del coronavirus, quella di stare a casa. Proprio nel sito del Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, le famiglie, oltre che informarsi sui consigli propinati per i più piccoli, potranno condividere i prodotti del loro stare a casa. A questo proposito, è stato condiviso con le famiglie un indirizzo e-mail a cui poter spedire disegni, racconti e ogni altro genere di produzione quotidiana.

Anche noi ci auguriamo di poter raccontare presto una fiaba a tutti i bambini. Un racconto che inizi con “C’era una volta, in un paese lontano, Covid” e termini, come tutte le fiabe, con un bel “E vissero tutti felici e contenti”.

C’è, tuttavia, ancora della strada da fare per chiudere questo delicato capitolo di vita che si può percorrere al fianco dei vostri figli, seguendo i consigli che gli esperti mettono a disposizione, ma non rinunciando mai al bambino interiore che è in voi e che vi permetterà di amarli.

Dal 2 Marzo al 5 Aprile sono state 2.867 le donne che hanno contattato i centri antiviolenza Donne in Rete (D.i.re.), di cui 806 non avevano mai fatto prima una richiesta di supporto, a conferma di quanto la convivenza forzata abbia ulteriormente intensificato le situazioni maltrattanti che le vittime si trovano costrette a vivere.

A cura della Tirocinante Ambra Cialfi – Tutor Dott.ssa Floriana De Michele

Bibliografia

Amedei, G.; Cavanna, D.; Zavattini, G.C. (2015). Psicologia dinamica. Il Mulino, Bologna. Carotenuto, A. (1991). Trattato di psicologia della personalità. Cortina, Milano.

Pecoraro L. I bambini ai tempi del covid-19. Rivista di immunologia e allergologia pediatrica 2020, 34: 2-3.

Bion, W. R., (2019). Apprendere dall’esperienza, Astrolabio Ubaldini, Roma.

Winnicott, D.W., (1965). Sviluppo affettivo e ambiente: studi sulla teoria dello sviluppo affettivo, trad. Alda Bencini Bariatti, Roma: Armando, 1974

Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: Il ruolo del padre tra normalità e patologia

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