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Rabbia: Fuoco dell’anima. Caso clinico 2.

Rabbia: Fuoco dell’anima. Caso Clinico 2, dal Seminario del 7 maggio 2006

Come sempre, da qualche anno a questa parte, questo momento del seminario, è un’importante occasione per me di riflessione ed approfondimento teorico di problematiche che maturano o si sviluppano nell’ambito della pratica clinica e, perciò, lo dedico ai miei pazienti , che ringrazio molto per l’aiuto personale che loro danno a me.

In questo seminario in particolare ho voluto affrontare il tema della “Rabbia”, perché molti dei miei pazienti soffrono per essa: per quella che li sommerge con la sua forza (caso n.1), ma soprattutto quella che non è espressa ( caso n.2).

La rabbia “E’ un segnale emotivo istintivo che si genera in noi ogni volta che qualcuno o qualcosa invade il campo invisibile del nostro equilibrio psicologico e ci fa sentire attaccati nel profondo del nostro Sé ”. ( M. Morganti ).

Caso 2: M.R. e l’angoscia narcisistica

M.R. è un giovane uomo di 29 anni. Persona dall’aspetto tranquilla e curata, di bell’aspetto anche se un po’ su di peso. Lavora par-time presso un azienda e studia scienze investigative all’università. Viene in terapia non per un reale bisogno (dice lui), ma perché vuole capire alcuni aspetti della sua personalità, stimolato da una lezione di psicologia dinamica all’università. In questo momento della sua vita è innamorato e fidanzato con una ragazza, studentessa pure lei. Il problema sta nel fatto che lui non ha fiducia in questa ragazza, nonostante non ci fosse alcun motivo di dubitare di lei, M.R. pensa che possa tradirlo, che prima o poi sicuramente lo farà! Bisogna dire che prima di fidanzarsi con lei qualche difficoltà l’ha avuta perché lei faceva un tipo di vita un po’ “sregolata” essendo la sua famiglia non molto dignitosa: i suoi erano separati e suo padre oltre ad avere problemi psichiatrici aveva anche problemi con la giustizia.

Per certi versi lei rappresentava il suo opposto! M.R. si preoccupava di come potevano reagire i suoi familiari a questo fidanzamento. Lui è sempre stato bene in casa e non voleva dare problemi.

M.R. è il terzo figlio di un poliziotto molto geloso della moglie e di una madre molto infantile, che si lamenta sempre, ma due genitori molto bravi e attenti alle esigenze dei figli , fin troppo, al punto che “non ti fanno muovere per paura che possa succederti qualcosa “… dice M.R.. Il fratello piu grande è diventato poliziotto come il padre ed anzi il padre lo ha aiutato per questo, M.R. non ci riesce , viene scartato in due concorsi. Veramente, non riesce nemmeno ad arruolarsi nei paracadutisti perché ha paura di lanciarsi col paracadute nonostante lo abbia desiderato tanto e non riesce nemmeno a prendere il diploma di scuola superiore prima del militare! Eppure anche studiare gli piaceva tanto e non sopportava l’idea di non aver almeno un diploma, come suo padre e suo fratello ! Farà queste cose successivamente perché il paziente è motivato da una grande volontà di migliorarsi e questo è ciò che lo porta anche in terapia!

Di suo padre dice che è un uomo insopportabile perché ha sempre ragione lui e non dà mai la soddisfazione di riconoscere ai figli una qualsiasi cosa. Della madre dice che è una povera donna che ha dovuto sopportare il marito geloso e perciò non la faceva muovere così l ei ha riversato tutte le attenzioni sui figli, ma lo giustifica sempre agli occhi dei figli pur lamentandosene continuamente, soprattutto col paziente che invece è una persona comprensiva ed equilibrata, che tiene molto al dialogo. Queste caratteristiche gli vengono riconosciute da sempre anche dal gruppo di amici che lo hanno come riferimento (organizza vita del gruppo).

Un buon rapporto psico-terapeutico

Con me M.R. stabilisce subito un buon rapporto, comincia ad affrontare le cose piano piano , ma già dopo alcune settimane di terapia invita la sua ragazza a casa e inizia questo fidanzamento con molta gioia. Comincia a confrontarsi più direttamente col padre opponendosi a lui qualche volta anche se molto ragionevolmente e comincia a fare richieste affettive alla madre.

Al rientro delle ferie pasquali, durante le quali mi chiama per accertarsi dell’appuntamento successivo, a soli tre mesi dell’inizio della terapia , M.R. porta questo sogno: passeggiavo in bicicletta quando davanti a me compare una scena orribile: un coniglietto bianco è aggredito, azzannato al collo da due faine. Io mi sono subito fermato per aiutare il coniglietto e le faine, vigliacche, appena mi hanno visto sono fuggite . Io allora ho preso il coniglietto che respirava ancora e l’ho portato da Federica un amica della mia fidanzata in quanto una volta la mia fidanzata mi aveva detto che la sua amica si prendeva cura degli animali abbandonati e feriti. Stranamente Federica però era lei ( cioè io la terapeuta) che per curare il coniglietto lo doveva mettere sulla sua scrivania . La cosa che devo dirle anche essendone imbarazzato, è che lei ha dovuto togliere dalla scrivania biancheria intima femminile, per poterci poggiare su il coniglietto. Nel fare questo però lei non era più lei ma la mia fidanzata!

La rabbia: precursore dell’odio

L’odio deriva dalla rabbia, l’affetto in cui spesso viene canalizzata la pulsione aggressiva, e che spesso si manifesta attraverso comportamenti violenti contro il Sé o contro l’Altro. Otto Kernberg (1992) definisce l’odio come “l’affetto nucleare di gravi stati psicopatologici, in particolare i gravi disturbi di personalità, le perversioni e le psicosi funzionali”. Talvolta, infatti,l’odio può essere talmente forte da oscurare gli altri affetti legati all’aggressività, quali l’ invidia e il disgusto. E’ proprio questo il processo che si è osservato nel caso di M.R. e nel sogno riportato il paziente si rappresenta a livello simbolico istintuale come un coniglietto che viene azzannato al collo dalle due faine (la coppia genitoriale).

Come ci insegna Kernber, con la sua revisione della teoria psicoanalitica delle pulsioni, la struttura della personalità si costruisce attraverso delle unità di base fatte dal Sé, dall’altro e dall’affetto che li unisce, che viene chiamata diade relazionale oggettuale. Nel corso dello sviluppo individuale si costituiscono le molteplici diadi relazionali interiorizzate con il succedersi delle esperienze affettive più o meno intense e in base alla presenza dei bisogni e alla possibilità della loro soddisfazione che conduce al piacere, o insoddisfazione che conduce al dolore.

La rabbia si manifesta nel bambino con una funzione biologica specifica:segnalare al caregiver uno stato di disagio al fine di sollecitare l’eliminazione di una fonte di dolore o di irritazione. Successivamente la sua funzione si evolve nell’eliminazione dell’ostacolo alla gratificazione, così l’originaria funzione biologica si trasforma nella ricerca della gratificazione stessa. In una fase ancora più avanzata avviene un ulteriore cambiamento e la rabbia può rappresentare il disperato tentativo di ristabilire il senso di autonomia minacciato dagli eventi frustranti.

A livello inconscio, come ci ha mostrato il sogno di M.R., la rabbia è legata alle rappresentazioni di relazioni oggettuali buone e cattive, e la sua funzione può essere quindi interpretata come il tentativo di ripristinare una relazione oggettuale completamente buona e di sopprimere quella cattiva persecutoria. In altre parole la rabbia è un atto di autoaffermazione che rappresenta l’identificazione con un oggetto buono idealizzato e pertanto agisce col fine di ristabilire l’equilibrio narcisistico. Quando, però, il tentativo fallisce cosa succede?

La dinamica dell’Odio

Ognuno di noi nella vita può fare l’esperienza di provare un odio profondo per qualcuno! L’odio è un affetto aggressivo complesso, cronico e stabile che implica forti razionalizzazioni e distorsioni delle funzioni dell’Io e del Super-io. Il suo scopo primario consiste nella distruzione dell’ oggetto esterno, rappresentazione di una fantasia inconscia. L’odio non sempre è patologico, esso infatti, qualora risponda ad una reale minaccia di distruzione fisica o psicologica, o di sopravvivenza di se stessi o di altri significativi, diviene una normale elaborazione della rabbia. Quando, però, vi è una predisposizione caratteriale cronica all’odio esso riflette sempre la psicopatologia dell’aggressività, ed implica comportamenti aggressivi verso il Sé, identificato con l’oggetto odiato, come il suicidio, e verso l’altro come l’omicidio (che mira all’eliminazione dell’oggetto stesso) o tendenze sadiche (che tendono a mantenere una relazione con l’oggetto di tipo onnipotente: vittima-aggressore). E’ questo il caso di individui che presentano una sindrome di narcisismo maligno. Fondamentale per quel che riguarda la psicodinamica dell’odio è il grado di integrazione del Super-io: soggetti che presentano un Super-io scarsamente integrato sono più inclini a commettere azioni aggressive violente.

Il reato criminale nasce come angoscia narcisistica

In soggetti con una grave patologia narcisistica diviene essenziale comprendere come l’odio origini da ciò che Melanie Klein (1957) definì “invidia dell’oggetto buono”.

A livello superficiale l’odio per l’oggetto invidiato viene razionalizzato nella paura del potenziale distruttivo dell’oggetto, derivato sia dalla reale aggressione inflitta nel passato, sia dalla proiezione delle propria rabbia e del proprio odio.

Le strutture narcisistiche sono dominate da disturbi caratterizzati da angosce e temi di tipo pre-Edipico, profonde ed esistenziali, che originano da livelli arcaici e primitivi dello sviluppo libidico e pulsionale dell’individuo, che possono essere, per esempio, la perdita dell’oggetto d’amore (ansia di separazione), l’angoscia persecutoria e l’angoscia di disintegrazione.

Ferite narcisistiche, provocate da frustrazioni ambientali (relazionali e non) provocano il riemergere di queste angosce arcaiche e primitive che irrompono nell’individuo e che possono portare ad un episodio psicotico o alla frammentazione del Sé (psicosi conclamata di tipo depressivo) e quindi a comportamenti istintuali e pulsionali non più mediati da strutture quali Io e Super-io. E’ proprio questo il passaggio all’interno del quale può collocarsi il fatto reato, in cui un’azione criminale che trae origine dalla pulsione aggressiva sollecitata da una ferita narcisistica, può rappresentare un tentativo di fronteggiare l’angoscia profonda di frammentazione del Sé, ed un tentativo di affermarsi, di sentirsi vivo e di poter dire “esisto ancora”.

A cura della Dott.ssa Floriana De Michele

Psicologa Psicoterapeuta

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Puoi leggere anche: Il ruolo del padre tra normalità e patologia.

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