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ospedale oncologico

Esperienza in un Reparto Oncologico ospedaliero del centro-sud per malati terminali

Dipartimento di Psichiatria e di Igiene Mentale della U.L. S.S. di Avezzano

DE MICHELE F., GALLESE A., ORAZI F., MORONI N.

ESPERIENZA PSICOTERAPEUTICA ALL’INTERNO DI UN REPARTO ONCOLOGICO DI UN OSPEDALE DEL CENTRO-SUD D’ITALIA

 PREMESSA

Come il granchio, crostaceo invisibile, perchè vive sotto la sabbia con la quale si mimetizza; imprevedibile, perchè esce fuori aggressivamente disturbato da fattori esterni; insaziabile, perchè si nutre voracemente e rapidamente; insinuante, perché  avanza invadendo lo spazio che lo circonda; persecutore, perchè non di tregua alla sua vittima fino alla fine; cosi è vissuta la malattia cancro: aggressiva, insinuante, insaziabile, inattaccabile. Seguendo questa metafora, è opportuno sottolineare la condizione psicopatologica del paziente oncologico.

La risposta emozionale all’avvenimento cancro, il suo terrore per la morte e per la follia, fa sentire al paziente che la continuità della sua esistenzasubisca uno stroncamento, uno stravolgimento nell’ambito del suo gruppo familiare e di lavoro, avvertendo di non essere più se stesso.

Un vissuto d’estraneità comincia ad insinuarsi dentro di lui, accanto al panico dell’ignoto, accanto alla certezza che la vita gli sfugge.

Aiutare il malato di cancro a “morire con dignità” è oggi il compito più importante che lo psicoterapeuta deve affrontare nei reparti di oncologia, dato che nella maggior parte dei casi ii cancro è una malattia non ancora curabile. “In una diagnosi di cancro la parte fantasmatica – e quindi la fantasia di morte- è molto rilevante. E ciò sia che si tratti di una fantasia verbalizzata, sia che si tratti di una fantasia inconscia (che si esprime soltanto attraverso la depressione). E’ questa fantasia che rende “terminate” un malato di cancro fin dall’inizio della diagnosi. a prescindere dalla stessa possibilità di guarigione.” (Rolando)

DESCRIZIONE DELL’ESPERIENZA

Dalle suddette considerazioni è nata l’esigenza di operare all’interno di un reparto di oncologia.

Le osservazioni che seguiranno derivano dall’esperienza della dott.ssa Florian De Michele, che ha lavorato per alcuni anni nella Divisione di Oncologia dell’Ospedale Civile di Avezzano, in collaborazione con il dott. Angelo Gallese (responsabile DPIM U.L.S.S. 2 di Avezzano) coadiuvato dalle psicologhe tirocinanti dott.ssa Floriana Orazi e dott.ssa Nicoletta Moroni. Il lavoro è stato svolto a partire dalla fine del 1989. La Divisione di Oncologia comprende 15 posti letto all’interno del reparto di Medicina Mista. Le patologie riguardano, per ordine di incidenza.mammella, colon, polmone, laringe, stomaco, melanoma, rene, vescica, prostata, a sede primitiva sconosciuta. Nell’anno 1993 le degenze sono state 742 e 1.120 pazienti sono stati seguiti in regime di day hospital. Di questi pazienti, e stato coinvolto nell’esperienza solo un numero limitato, a causa della scarsa cultura psicologica presente nella realtà marsicana e nella realtà ospedaliera. Notevoli, infatti, sono state le difficolta che si sono dovute affrontare per farsi conoscere e accettare all’interno del reparto. Il primo approccio con i pazienti è avvenuto durante la visita medica: in quell’occasione il paziente ha avuto l’opportunità di conoscere una figura diversa, di un dottore che non è un medico, e che si distingue da quest’ultimo per il suo interesse rivolto ai sentimenti e alle emozioni che accompagnano la sua malattia. Prima di poterstabilire un rapporto psicoterapeutico vero e proprio, a stato necessario un periodo di assessment durante il quale:

  1. c’è stata una ricerca attiva da parte dello psicologo verso il paziente, l’attenzione veniva posta su diversi tipi di pazienti: il paziente difficile, che piange, che rifiuta la terapia, che ha appena ricevuto la diagnosi o che da pocoentrato nel reparto oncologico: in definitiva il paziente in crisi.
  2. è stato il medico ad inviare il paziente dallo psicologo.
  3. finalmente il paziente ha cercato attivamente lo psicologo, mosso da una motivazione intrinseca. A questo punto si profila il ruolo del terapeuta in quanta persona che entra in rapporto con un’altra persona (il paziente), e lo aiuta ad affrontare le problematiche inerenti la malattia, a contenere ed elaborare l’ansia, rinforzando, con la propria presenza, la sua identità.

PROSPETTIVE PSICOTERAPEUTICHE

Il setting classico della psicoterapia richiede il realizzarsi di alcune condizioni:

1- la richiesta di aiuto psicologico deve provenire dal soggetto stesso;

2- il soggetto deve essere cosciente del proprio stato di disagio;

3- il soggetto deve possedere le capacita. introspettive;

4- il soggetto deve possedere qualche conoscenza delle tecniche e delle terapie psicologiche;

5- il soggetto deve ritenere che queste gli possono essere di giovamento.

Solo a questo punto lo psicoterapeuta può valutare la possibilità propria e del paziente, ed accettare di prendersene carico. Nell’ospedale in genere, e nel reparto di oncologia in particolare, questi presupposti si presentano raramente. Infatti, in questo caso, ci si trova di fronte a due tipi di  problematiche, delle quali bisogna tener conto:

  1. il paziente è un ospedalizzato;
  2. il paziente è un malato di cancro.

Il primo tipo di intervento, perciò , deve essere volto ad affrontare il disagio e la sofferenza provocati dello status di’ paziente: perdita del proprio ruolo sociale, regressione verso comportamenti di tipo infantile, dipendenza degli altri, ecc.; non è quindi un intervento clinico in senso stretto, ma dovrebbe basarsi soprattutto su un lavoro di formazione degli operatori sanitari, del tipo gruppi Balint, e dei familiari attraverso gruppi self-help. Il secondo tipo di intervento si focalizza  sulle forme di sofferenza psichica che derivano dal versante psichico dellapatologia organica. Il cancro rappresenta, a questo punto, una situazione di crisi, di emergenza, carica di rischi, ma non psicopatologica di per se: la malattia non si trasforma necessariamente in un serio disturbo psichico, se viene adeguatamente contenuta ed elaborata.

La terapia clinica è terapia di supporto quando e l’occasione per il contenimento e l’elaborazione della crisi; ed e cura quando attiva il potenziale e le risorse di difesa psicologica dell’individuo contro la malattia.

L’intervento psicoterapeutico si configura prevalentemente come un intervento sulla crisi. Questo è concepito per persone “in via di scompenso psichico le quali hanno affrontato una situazione particolarmente stressante, che non sono riuscite a superare, e che è ritenuta direttamente responsabile dello stato di squilibrio avvertito.” (Grasso).

La psicoterapia auspicabile nel reparto oncologico è quella ad orientamento psicoanalitico. Fare psicoterapia significa comprendere le motivazioni attivate dalla relazione terapeutica.

“Mentre nella psicoanalisi classica si intende promuovere la comprensione, e l’accento è posto sulla storia passata, in questi trattamenti si intende attivare la speranza e l’accento posto sul futuro del paziente.” (Frighi).

Condividiamo l’ipotesi di Frighi secondo cui in questi casi i temi fondamentali di una psicoterapia psicoanalitica, sono:

  1. il motivo della richiesta d’aiuto.
  2. la dipendenza dal nucleo familiare.
  3. il rapporto con il tempo.

Queste caratteristiche vanno considerate in maniera particolare, e adattate nel caso della psicoterapia con i malati di cancro, che cosi diventa una psicoterapia psicoanalitica breve, allo scopo di migliorare lo stile di comportamento dell’individuo. In particolare, nell’attuare questo tipo di psicoterapia con i pazienti neoplastici bisogna agire subito ma, nello stesso tempo, evitare di restare intrappolati dalla fretta.

Il modello di relazione è quello duale, tale modello è caratterizzato da comunicazioni inconsce preverbali che si manifestano in un forte clima emozionale d’alleanza terapeutica. Lo scopo a quello di dare opportunità almalato di elaborare, di dare un significato individuale, personale, a ciò che gli sta succedendo.

Questi pazienti hanno bisogno di spazio e di attenzione particolare perchè la loro difficolta a separarsi è grande.

La continuità della relazione è  fondamentale per i pazienti the intraprendono un rapporto psicoterapeutico e deve essere un punto nodale imprescindibile fino a quando il paziente lo desidera: “la relazione interpersonale soggettiva è la relazione di qualità alla quale si dovrebbe tendere in oncologia, perchè essa offre una certa liberta in rapporto al problema generale del cancro, e permette di evitare l’angosciante ambiguità. Essa infatti permette di riconoscere un certo numero di convinzioni o di frustrazioni o di ammettere le sensazioni di onnipotenza di fronte alla realtà della malattia, senza per questo interrompere la presa in carico o dare l’impressione che non c’è più niente da fare. Il paziente si rende conto che it trattamento si svolge a livello pin esistenziale, sente di essere stimato e compreso nei suoi sentimenti e nella sua storia personale, indipendentemente calla storia della malattia che appartiene alla sua cartella clinica”. (Guex).

Il paziente scivola lentamente e implacabilmente nel nulla, costituito della depressione della morte, dal desiderio di lasciarsi andare senza dover più lottare, in un mondo di perdenti che sanno che il cancro li ha sconfitti.

In lui viene meno il diritto alla speranza di vivere, si sente sospeso tra la condanna e la morte, ed il suo Io si sbriciola lentamente, nell’impossibilita di tendere ad un fine, ad un divenire.

A questo punto centrale il ruolo del terapeuta, che rappresenta il centro tra la vita e la morte e che pub significare con la sua presenza la relazione: essa si fonda sulla tenuta mentale del terapeuta e sulla consapevolezza che egli ha dei propri limiti L’abbandono dell’onnipotenza da parte del terapeuta fa si che il malato lo viva come essere umano con il quale è possibile parlare. Quando l’ascolto della morte è centrale nell’appoggio psicoterapeutico, quando la morte è la parola della storia, non c’è relazione di qualità che tenga se non tiene il terapeuta.

D’altro canto, l’esigenza primaria del paziente è il contatto con il terapeuta,l’essere ascoltato dall’Altro, perchè l’Altro rappresenta la vita e diventa parte del suo stesso mondo interno. Il terapeuta deve tener conto di questo mondo sotterraneo e sforzarsi di capire cosa avviene all’interno del suo paziente e di se stesso.

La presenza dell’Altro funziona non solo come sostegno dell’Io, ma serve a confermare la Vita, nonostante la disconferma della Morte.

CONCLUSIONI

L’esperienza effettuata ha evidenziato l’urgenza di realizzare un progetto psicoterapeutico all’interno del reparto oncologico, al di la degli indirizzi terapeutici che il singolo professionista pub prediligere. Considerando, infatti, le difficoltà pratiche, culturali e burocratiche ad attuare tale progetto, sarebbe auspicabile anche il solo fatto di non lasciare il reparto abbandonato ai problemi dei pazienti, del rapporto con i loro parenti e del personale che vi lavora. Ove non sia possibile fare psicoterapia psicoanalitica breve con i malati, si possono comunque realizzare gruppi self-help per i pazienti e per i loro familiari, nella certezza che questi gruppi non sostituiscano la terapia, ma ne costituiscano un complemento ideale.

E’ necessario, inoltre, formare il personale ospedaliero attraverso gruppi Balint, per fare in modo che il contesto ospedaliero funga da supporto al progetto terapeutico.

Poichè “le nostre idee sul cancro sono soprattutto un veicolo delle gravi insufficienze di questa cultura, di un atteggiamento superficiale verso la morte, delle nostre ansie emotive, delle sconsiderate risposte al vero problema di crescita”, l’importante e riuscire a far crollare la mistificazione legata alla fantasia di un fato inevitabile.

BIBLIOGRAFIA

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Se hai trovato interessante questo articolo, puoi leggere anche: Caratteristiche di un centro di psicologia oncologica.

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