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Distanziamento sociale e senso di morte

Le relazioni sociali si svolgono all’interno di una continua dialettica tra momenti di condivisione profonda e momenti di separazione dall’altro.  Si tratta di due processi complementari che accompagneranno tutte le relazioni umane e aiutano il processo d’individuazione personale. La vicinanza e il contatto relazionale continuo, tipico delle società moderne, ha riattivato meccanismi primordiali di attaccamento.  Tutte le gioie ed i conflitti insiti in questo tipo di relazioni, la fragilità relazionale fino ad ora contenute ed elaborate all’esterno della famiglia, sono messi a nudo dal Coronavirus.  Il lockdown ha costretto tutte le organizzazioni istituzionali della società (famiglia lavoro scuola) ad un ritiro personale. Obbligati al distanziamento sociale  di sicurezza dagli altri e al rifugio all’interno della propria famiglia , per chi ne possiede una!

Attaccamento e distacco

Il primo momento di condivisione intima risale alla nascita.  In quel momento il piccolo essere umano appare indifeso, dipendente e assolutamente bisognoso della presenza di una figura che si prenda cura di lui. La presenza fisica di tale figura nei primi mesi ed anni di vita significa sicurezza per il piccolo uomo e la paura di separarsi da lei è il primo grande terrore che egli deve affrontare. Questo comportamento d’attaccamento ha una funzione auto conservativa. I neonati, così come i cuccioli delle altre specie animali, fanno in modo di restare vicini alla madre per assicurarsi protezione dai pericoli del mondo esterno.

L’individuazione del Sé

A un certo punto, la crescita spinge all’affermarsi di Sé come soggetto che desidera essere separato. Lo stato di fusione materno viene abbandonato ed inizia l’avventura lungo la strada dell’autonomia e dell’individuazione. L’esperienza simbiotica che, dunque, è l’espressione massima della vicinanza e dell’attaccamento non è sufficiente al bambino perché si senta riconosciuto nel proprio Sè. Occorre mettere distanza, occorre separarsi. L’atto di separazione, anche fisico, si collega all’emergenza del bambino di uscire dallo stato fusionale, che non riconosce l’alterità, o la diversità per costruirsi un’ identità propria. Così scorre la vita in un tempo fatto di gioco libero tra in primis nella relazione terapeuta-paziente. e distanziamento. La condivisione profonda, dunque, comporta il distacco, ma il distacco ri-cercherà la condivisione. E ciò che all’origine accade nella relazione madre-bambino si ripeterà nelle relazioni sociali tutte.

L’analista come specchio

Nella psicoanalisi diventatale modello relazionale diventa occasione di cura. Il tradizionale setting freudiano è strutturato in modo tale da creare una distanza fisica tra l’analista e il paziente. Il paziente, durante le sedute, veniva fatto sdraiare sul lettino con l’analista alle sue spalle. Una scelta che rifletteva la necessità di un distacco emotivo dal paziente, il quale veniva lasciato in balia dei propri pensieri inconsci. In questo modo l’espressione del viso del clinico non poteva influenzare il flusso dei pensieri del paziente. Freud, a tal proposito, descrisse l’analista come uno specchio opaco che si limita a “riflettere” le emozioni del paziente. Un’immagine del terapeuta basata sul presupposto della neutralità come prerogativa per una conoscenza oggettiva e scientifica dell’essere umano.

distanza e vicinanza relazionale

Secondo Freud abbandonandosi lui stesso, durante l’ascolto, ai propri pensieri inconsci, l’espressione del suo volto avrebbe potuto offrire al paziente materiale che lo avrebbe influenzato e indirizzato nella comunicazione. Gli ulteriori sviluppi della psicoanalisi porranno maggiormente l’accento sull’importanza della partecipazione affettiva empatica e personale del clinico dinnanzi al materiale del paziente (il controtrasfert). La partecipazione del terapeuta non sarà più un elemento di interferenza nel trattamento analitico, ma verrà vista come uno strumento di lavoro che facilita la comprensione dell’altro. Si afferma così l’importanza di cercare il giusto equilibrio tra un’attività osservativa – interpretativa (funzione Io-osservante e distante) ed una empatico – partecipativa (funzione Io-partecipante e vicina).

La distanza è un fattore terapeutico

Una vicinanza eccessiva, secondo Saraval, faciliterebbe l’identificazione proiettiva ossia la proiezione di parti di sé nell’altro che potrebbe inficiare la relazione umana. Questo processo, infatti, invischierebbe la relazione terapeutica con aspetti intrusivi e simbiotici, poco utili nella comprensione del paziente. Per contro, una relazione caratterizzata da un’eccessiva distanza comporterebbe un clima emotivo freddo e connotato da aspetti narcisistici e individualisti. Questo implica fasi di avvicinamento e allontanamento psicologico tra terapeuta e paziente, entrambi alla ricerca di un confine. Lo stesso confine che se da un lato li delimita lo spazio corporeo di ognuno, consentendo di vedersi, dall’altro mette a contatto le persone potendosi così conoscere.

Effetti del distanziamento sociale nella pandemia

Che cosa succederebbe se la normale dialettica tra avvicinamento-allontanamento fosse impedita? Che cosa succederebbe se i nostri confini fossero solo delle barriere e perdessero la loro funzione di punti di contatto? Il distanziamento sociale, quell’ insieme di azioni (non farmacologiche) intraprese per rallentare la diffusione del coronavirus, ci impone una distanza di almeno un metro gli uni dagli altri. La prossemica, scienza che studia l’uso che gli individui fanno dello spazio personale e sociale, ci conferma che lo spazio fisico, che ci separa dall’altro, è rappresentativo della distanza mentale che decidiamo di tenere in quella relazione. Se tra due persone vi è una relazione intima, esse tendono a ridurre al minimo le distanze. Per contro, tenere qualcuno a distanza indica che la relazione è stata, in qualche modo, minacciata. Data la corrispondenza tra distanza fisica e mentale, possiamo pensare che le regole introdotte dal distanziamento sociale avranno grandi ripercussioni anche a livello emotivo.

Tipi di distanziamento interpersonale

Hall distingue quattro tipi di distanza interpersonale: Intima (da 0 a 45 cm circa). A questa distanza possono accedere solo coloro che hanno un rapporto di fiducia e, chiunque vi possa accedere senza il consenso viene percepito come aggressore. Denota pertanto i rapporti intimi, come quelli tra partner, tra madre e bambino. Personale (da 45 a 120 cm circa). Questo spazio viene frequentemente occupato da coloro che hanno con le persone relazioni sociali familiari, con le quali si ha un rapporto quotidiano e confidenziale. In questa zona possono accedervi familiari, amici, colleghi, che non hanno un rapporto intimo, ma con le quali si comunica con piacere. Sociale (da 120 a 360 cm circa). La distanza sociale è riservata a relazioni formali e impersonali. In essa si affrontano le questioni di lavoro, si negozia, si contratta. A questa distanza non è possibile avere il contatto fisico con l’altro. Pubblica (da 360 cm circa in poi). Questo spazio è utilizzato nelle situazioni pubbliche. Chi comunica in questa zona non intende stabilire con ogni partecipante un rapporto di coinvolgimento.

Senso di sicurezza

Il distanziamento sociale va ad abolire quelle che, secondo la prossemica, sono le distanze intime e personali. Un’ intimità e una prossimità che, come abbiamo visto, sono necessarie all’uomo per assicurarsi la sopravvivenza. Da un punto di vista genetico quindi, l’essere umano è programmato per mantenere la vicinanza fisica con i suoi simili. La presenza degli altri è responsabile, a livello neuro-chimico, dell’innalzamento degli oppiodi endogeni nel cervello, i quali producono effetti di piacevolezza simili a quelli prodotti dagli oppiacei (droghe). Al contrario, la solitudine produce un abbassamento degli stessi che innesca una sorta di crisi d’astinenza: quanto più siamo lontani dagli altri, tanto più li desideriamo. Un aumento del desiderio che, in questo periodo, potrebbe rivelarsi pericoloso in quanto potrebbe spingere molte persone a infrangere le norme relative al distanziamento sociale che la comunità ha adottato per mettere in sicurezza le nostre vite.

Sensazione di libertà

Come ci ricorda Freud, siamo entrati in società disposti a barattare un po’ di felicità per un po’ di sicurezza. La libertà individuale, al contrario di quello che si può pensare, non è il frutto del nostro ingresso in società. Essa era massima prima di ogni civiltà e subisce delle limitazioni proprio ad opera dell’incivilimento, il quale impone delle restrizioni per tutti. Il vivere in società comporta disagio perché, di base, vi è in un perenne contrasto tra i nostri bisogni/desideri individuali e gli imperativi che la società ci impone. Il distanziamento sociale, imposto dall’avvento del coronavirus, rappresenta un imperativo che va contro il soddisfacimento di un bisogno umano universale, quello di socialità.

Il disagio della società

La corrente pandemia potrebbe così scatenare una sofferenza psichica di massa dai connotati mortiferi. Come ci ricorda Freud nel “Disagio della civiltà”, i gruppi si possono ammalare e quando tutti i membri sono ammalati diventa difficile comprendere lo stato della patologia nella quale si è immersi. La malattia psichica può divenire onnipotenza, negazione o persecuzione verso l’altro. Le attuali restrizioni sociali potrebbero determinare l’affermarsi di un nuovo “ordine psicopatologico” legato a questo cambiamento sociale. Infatti, come tutti i cambiamenti storici, anche questo influenza le nostre dinamiche inconsce. Dirà Fiumano: “Col variare delle forme del legame sociale anche l’organizzazione psichica del singolo cambia, nelle forme del sintomo e delle sindromi”.olitudine  e senso di morte

Il senso di solitudine

Socialità e solitudine sono speculari l’una all’altra. La solitudine è connessa al senso di morte. A livello ontogenetico il senso di morte porta l’eco del primo grande timore del bambino, quello di separarsi dalla madre; a livello filogenetico invece, secondo meccanismi ancestrali, si collega al timore di non poter sopravvivere da soli. La società moderna è riuscita ad allontanare dalla coscienza sociale la paura della morte concentrando il suo interesse su ogni forma di piacere e benessere umano  possibile. Il virus  rivelatosi come altamente mortifero ha obbligato tutti alla distanza dagli altri, e a ricontattare la paura originaria della solitudine dovuta alla separazione . Parlare della morte oggi è diventato un tabù in quanto mette l’essere umano di fronte al suo limite, ridimensionando notevolmente il senso del benessere onnipotente che caratterizza la società odierna. La morte viene negata perchè non è più vista come conclusione inevitabile e naturale dell’esistenza umana, ma come nemico da “combattere e battere” grazie ai progressi della scienza.

Il senso di morte

Un tempo si moriva a casa, nel proprio letto e circondati dalle persone care. La morte rappresentava un avvenimento importante nella vita delle famiglie che si accettava anche se con tanto dolore. Oggi la morte viene sottratta dalle case e perfino dallo sguardo dei congiunti. Il tentativo di nascondere la morte è avvenuto anche in questa situazione pandemica, quando una lunga colonna di mezzi militari ha trasportato, di notte, fuori dalla città di Bergamo i feretri delle vittime del coronavirus che non hanno trovato posto nel cimitero della città a causa dei lunghi tempi di cremazione. Il professor Galimberti, parlando di tale avvenimento, dice che l’operazione compiuta di notte è in linea con la cultura occidentale che ha completamente rimosso l’idea della morte. La stessa idea di morte che il Coronavirus ci ripropone ogni giorno obbligando alla convivenza col male. Una convivenza che, a causa della distanza a cui costringe le persone, rende più acuta la mancanza e la perdita dell’altro, vissuto come abbandono e come sensazione di terrore che la morte possa colpire improvvisamente con la sua falce senza darne conto a nessuno.

distanziamento non più sociale ma fisico

Pur di non risvegliare la paura atavica della morte si preferisce non parlare più di distanziamento sociale che evoca un vissuto affettivo profondo in tutti relativo alla fine vita. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) consiglia di sostituire questo termine con quello di distanziamento fisico perché è importante, nella lotta contro il virus, distanziarsi fisicamente dagli altri, ma potendo restare affettivamente e socialmente connessi e vicini ai propri cari.

Bibliografia

Corbella S. (2003). Storie e luoghi del gruppo. Cortina, Milano.

Fiumano M. (2010). L’ inconscio è il sociale, Mondadori, Milano.

Freud S. (1912). Consigli al medico nel trattamento psicanalitico, Bollati Boringhhieri, (OSF), Torino.

Freud S. (1971). Il disagio della civiltà e altri saggi, Bollati Boringhieri (OSF), Torino.

Hull E. T (1969). La dimensione nascosta, Bompiani, Milano.

Savaral A. (1988). “La tecnica psicoanalitica e la sua evoluzione” in Trattato di psicoanalisi, A.A. Semi (a cura di), vol. I, Raffaello Cortina, Milano

Viorst J. (2019). Distacchi, Mondadori, Milano.

A cura della Tirocinante Ambra Cialfi – Tutor Dott.ssa Floriana De Michele

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